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Cristianesimo. Conviene in molte cose col mio sistema sulla Natura.

Christianity. Agrees in many respects with my system on Nature.

393,2 436,1 1004,1 1626 1619,1 1627,1.2 1637,1 2114,1 2178,1 2263,2 2666-72574,1?

[393,2]  Il mio sistema intorno alle cose ed agli uomini, e l'attribuir ch'io fo tutto o quasi tutto alla natura, e pochissimo o nulla alla ragione, ossia all'opera dell'uomo o della creatura, non si oppone al Cristianesimo.

[436,1]  Nella Genesi non si trova nulla in favore della pretesa scienza infusa in Adamo, eccetto quello che appartiene ad un certo linguaggio, come ho detto p. 394. fine. Dio, dice la Genesi, adduxit ea * (gli animali) ad Adam, ut videret quid vocaret ea: omne enim quod vocavit Adam animae viventis, * (che forse è quanto dire: omnis enim anima vivens, quam vocavit Adam, cioè omne animal vivens) ipsum est nomen eius. Appellavitque Adam nominibus suis cuncta animantia, et universa volatilia caeli, et omnes bestias terrae. * (Gen. 2. 19. et 20.) Questo non suppone mica una storia naturale infusa in Adamo, nè la scienza di quelle qualità degli animali che non si conoscono senza studio, ma solamente di quelle che appariscono a prima giunta agli occhi, all'orecchio ec: qualità dalle quali ordinariamente son derivati i nomi di tutti gli oggetti sensibili  437 nei primordi di qualunque lingua; quei nomi dico e quelle parole che formano le radici degl'idiomi.

[1004,1]   1004 Uno dei principali dogmi del Cristianesimo è la degenerazione dell'uomo da uno stato primitivo più perfetto e felice: e con questo dogma è legato quello della Redenzione, e si può dir, tutta quanta la Religion Cristiana. Il principale insegnamento del mio sistema, è appunto la detta degenerazione. Tutte, per tanto, le infinite osservazioni e prove generali o particolari, ch'io adduco per dimostrare come l'uomo fosse fatto primitivamente alla felicità, come il suo stato perfettamente naturale (che non si trova mai nel fatto) fosse per lui il solo perfetto, come quanto più ci allontaniamo dalla natura, tanto più diveniamo infelici ec. ec: tutte queste, dico, sono altrettante prove dirette di uno dei dogmi principali del Cristianesimo, e possiamo dire, della verità dello stesso Cristianesimo. (1. Maggio 1821.).

[1625,1]  Non attribuiamo a Dio se non un solo modo di esistere, e una sola perfezione. Ma se niuna perfezione è assoluta, egli non sarà dunque perfetto, avendo questa sola. L'unica perfezione assoluta, è di esistere in tutti i possibili modi, ed in tutti esser perfetto, cioè perfettamente conveniente, dentro la natura  1626 e la proprietà di quel modo di essere. La perfezione assoluta abbraccia tutte le possibili qualità, anche contrarie, perchè non v'è contrarietà assoluta, ma relativa: e se è possibile un modo di essere contrario a quello che noi concepiamo in Dio e nelle cose a noi note (che certo è possibile, non essendovi ragione assoluta e indipendente che lo neghi), Iddio non sarebbe nè infinito nè perfetto, anzi imperfettissimo, s'egli non esistesse anche in quel modo, e non fosse in perfetta relazione e convenienza con quel modo di essere. Noi dunque non conosciamo se non una sola parte {dell'essenza} di Dio, fra le infinite, {+o vogliamo dire una sola delle infinite sue essenze.} Egli ha precisamente le perfezioni che noi gli diamo: egli esiste verso noi in quel modo che la religione insegna; i suoi rapporti verso noi, sono perfettamente quali denno essere verso noi, e quali richiede la natura del mondo a noi noto. Ma egli esiste in infiniti altri modi, ed ha infinite altre parti, che non possiamo in veruna maniera concepire, se non immaginandoci questo medesimo. La Religione Cristiana è dunque interamente vera, e i miei non si oppongono, anzi favoriscono i suoi dogmi.  1627 (4. Sett. 1821.).

[1619,1]  Io non credo che le mie osservazioni circa la falsità d'ogni assoluto, debbano distruggere l'idea di Dio. Da che le cose sono, par ch'elle debbano avere una ragion sufficiente di essere, e di essere in questo lor modo; appunto perch'elle potevano non essere o esser tutt'altre, e non sono punto necessarie. Ego sum qui sum * , cioè ho in me la ragione di essere: grandi e notabili parole! Io concepisco l'idea di Dio in questo modo. Può esservi una cagione universale di tutte le cose che sono o ponno essere, e del loro modo di essere. - Ma la cagione di questa cagione qual sarà? poich'egli non può esser necessario, come voi avete dimostrato. - È vero che niente preesiste alle cose. {Non preesiste dunque la necessità.} Ma pur preesiste la possibilità. Noi non possiamo concepir nulla al di là della materia. Noi non possiamo {dunque} negare l'aseità, benchè neghiamo la necessità di essere. Dentro i limiti della materia, e nell'ordine di cose che ci è noto,  1620 pare a noi che nulla possa accadere senza ragion sufficiente; e che però quell'essere che non ha in se stesso veruna ragione e quindi veruna necessità assoluta di essere, debba averla fuor di se stesso. E quindi neghiamo che il mondo possa essere, ed esser qual è, senza una cagione posta fuori di lui. Sin qui nella materia. Usciti della materia ogni facoltà dell'intelletto si spegne. Noi vediamo solamente che nulla è {assoluto nè quindi} necessario. Ma appunto perchè nulla è assoluto, chi ci ha detto che le cose fuor della materia non possano esser senza ragion sufficiente? Che quindi un Essere onnipotente non possa sussister da se ab eterno, ed aver fatto tutte le cose, bench'egli assolutamente parlando non sia necessario? Appunto perchè nulla è vero nè falso assolutamente, non è egli tutto possibile, come abbiamo provato altrove? pp. 1339-42 pp. 1461-64 pp. 1616-18

[1637,1]   1637 Dal detto in altri pensieri pp. 1619-23 risulta che Dio poteva manifestarsi a noi in quel modo e sotto quell'aspetto che giudicava più conveniente. Non manifestarsi, come ai Gentili; manifestarsi meno, e in forma alquanto diversa, come agli Ebrei; più, come a' Cristiani: dal che non bisogna concludere ch'egli ci si è manifestato tutto intero, come noi crediamo. Errore non insegnato dalla Religione, ma da' pregiudizi che ci fanno credere assoluto ogni vero relativo. La rivelazione poteva esserci e non esserci. Ella non è necessaria primordialmente, ma stante le convenienze relative, originate dal semplice voler di Dio. Egli si nascose a' Gentili, rivelossi alquanto agli Ebrei, manifestò al mondo una maggior parte di se, nella pienezza de' tempi, cioè quando gli uomini furono in istato di meglio comprenderlo. Egli si è rivelato perchè ha voluto e l'ha stimato conveniente, e quanto e come e sotto la forma che ha stimato conveniente, secondo le diverse circostanze delle sue creature: forma sempre vera, perch'egli esiste in tutti i modi possibili.

[2114,1]  Gli antichi pensatori Cristiani, S. Paolo,  2115 i padri, e prima anche del Cristianesimo, i filosofi gentili, s'erano ben accorti di una contraddizione fra le qualità dell'animo umano, di una lotta e nemicizia evidente fra la ragione e la natura, di un impedimento essenziale ed ingenito nell'uomo (qual era divenuto) alla felicità, e per conseguenza di una degenerazione e corruzione dell'uomo, conosciuta e predicata anche nelle antichissime mitologie.

[2178,1]  A quello che ho detto dell'essenza di Dio pp. 2073-74. Lasciando in piedi tutto ciò che la fede insegna su questo punto, io non fo che spaziarmi in ciò ch'è permesso al filosofo, cioè nelle speculazioni sull'arcana essenza di Dio, speculazioni non men lecite al filosofo che al teologo, giacchè anche questi dopo che ha lasciato intatta la rivelazione, e che scorre col pensiero a quelle cose a cui la rivelazione non giunge, senza però escluderle nè contraddirle, allora, dico, il teologo si confonde col filosofo. Di più le mie osservazioni combinano cogli insegnamenti cristiani, non solo affermando, ma rendendo quasi palpabile, e sminuzzando, e quasi materializzando quella verità, che l'essenza di Dio non può esser concepita dall'uomo. Anzi dimostrando ancora che l'uomo s'inganna  2179 in quelle medesime confuse immagini ch'egli se ne forma, e rintuzzando in ciò le pretensioni dell'umano intelletto. Del resto la religione affermando dell'essenza di Dio quel ch'ella sa, e insegnando ch'ella non può esser conosciuta, lascia {con ciò stesso} libero il campo a quelle speculazioni razionali e metafisiche su questo punto, che possono arrivare più o meno avanti nell'infinito spazio di questo arcano, spazio ch'essendo infinito, nessun avanzamento di speculazione correrà mai pericolo di toccarne il termine. Ed è per ciò, e consentaneamente a ciò, che molti padri, e Dottori, si sono ingegnati di spiegare o dilucidare quale in un modo, quale in un altro, il mistero della trinità, dell'incarnazione ec. non già coi lumi rivelati, e già noti a tutti, ma col discorso umano e ragionato; ed hanno pertanto (senza biasimo) applicato il discorso umano alla speculazione dell'essenza di Dio, al di là  2180 o fuori de' termini della rivelazione senza lederli, e perciò senza essere ripresi. (27. Nov. 1821.).

[2263,2]  Soglion dire i teologi, {i Padri,} e gl'interpreti in proposito di molte parti dell'antica divina legislazione ebraica, che il legislatore  2264 si adattava alla rozzezza, materialità, incapacità, e spesso (così pur dicono) alla durezza, indocilità, sensualità, tendenza, ostinazione, caparbietà ec. del popolo ebraico. Or questo medesimo non dimostra dunque evidentemente la non esistenza di una morale eterna, assoluta, antecedente (il cui dettato non avrebbe il divino legislatore potuto mai preterire d'un apice); e che essa, come ha bisogno di adattarsi alle diverse circostanze e delle nazioni e de' tempi (e delle specie, se diverse specie di esseri avessero morale, e legislazione), così per conseguenza da esse dipende, e da esse sole deriva? (20. Dic. 1821.).

[2574,1]  Non c'è virtù in un popolo senz'amor patrio, come ho dimostrato altrove pp. 892-93. Vogliono che basti la Religione. I tempi barbari, bassi ec. erano religiosi fino alla superstizione, e la virtù dov'era? Se per religione intendono la pratica della medesima, vengono a dire che non c'è virtù senza virtù. Chi è religioso in pratica, è virtuoso. Se intendono la teorica, {e} la speranza e il timore delle cose di là, l'esperienza di tutti i tempi dimostra che questa non basta a fare un popolo attualmente e praticamente virtuoso. L'uomo, e specialmente  2575 la moltitudine non è fisicamente capace di uno stato continuo di riflessione. Or quello ch'è lontano, quello che non si vede, quello che dee venir dopo la morte, dalla quale ciascuno naturalmente si figura d'esser lontanissimo, non può fortemente {costantemente} ed efficacemente influire sulle azioni e sulla vita, se non di chi tutto giorno riflettesse. Appena l'uomo entra nel mondo, anzi appena egli esce del suo interno (nel quale il più degli uomini non entra mai, e ciò per natura propria) le cose che influiscono su di lui, sono le presenti, le sensibili, o quelle le cui immagini sono suscitate e fomentate dalle cose in qualunque modo sensibili: non già le cose, che oltre all'esser lontane, appartengono ad uno stato di natura diversa dalla nostra presente, cioè al nostro stato dopo la morte, e quindi, vivendo {noi} necessariamente fra  2576 la materia, e fra questa presente natura, appena le sappiamo considerare come esistenti, giacchè non hanno che far punto con niente di quello la cui esistenza sperimentiamo, e trattiamo, e sentiamo ec. La conchiusione è che tolta alla virtù una ragione presente, o vicina, e sensibile, e tuttogiorno posta dinanzi a noi; tolta dico questa ragione alla virtù (la qual ragione, come ho provato, non può esser che l'amor patrio), è tolta anche la virtù: e la ragione lontana, insensibile, e soprattutto, estrinseca affatto alla natura della vita presente, e delle cose in cui la virtù si deve esercitare, questa ragione, dico, non sarà mai sufficiente all'attuale e pratica virtù dell'uomo, e molto meno della moltitudine, se non forse ne' primi anni, in cui dura il fervore della nuova opinione, come nel primo secolo del Cristianesimo (corrotto già nel secondo.  2577 V. i SS. Padri.) (21. Luglio 1822.).