9-15. Dicembre 1820.
[393,2] Il mio sistema intorno alle cose ed agli uomini, e
l'attribuir ch'io fo tutto o quasi tutto alla natura, e pochissimo o nulla alla
ragione, ossia all'opera dell'uomo o della creatura, non si oppone al
Cristianesimo.
[393,3] 1o. La natura è lo stesso che Dio. Quanto più
attribuisco alla natura, tanto più a Dio: quanto più tolgo alla ragione, tanto
più alla creatura. Quanto più
394 esalto e predico la
natura, tanto più Dio. Stimando perfetta l'opera della natura, stimo perfetta
quella di Dio; condanno la presunzione dell'uomo di perfezionar egli l'opera del
creatore; asserisco che qualunque alterazione fatta all'opera tal qual è uscita
dalle mani di Dio non può esser altro che corruzione. Laddove coloro che si
credono più amici della religione; attribuendo tutto o quasi tutto alla ragione,
fanno {dipendere} la massima e principal parte
dell'ordine umano ed universale, dalle facoltà della creatura. Sostenendo la
perfettibilità dell'uomo, sostengono che l'opera della natura, cioè di Dio, era
imperfetta; che l'uomo può essere perfezionato non già da Dio, ma da se stesso;
che per conseguenza la perfezione o felicità della prima delle creature
terrestri derivi {e debba derivare} da essa e non da
Dio.
[394,1] 2o. Io ammetto anzi sostengo la corruzione dell'uomo,
e il suo decadimento dallo stato primitivo, stato di felicità; come appunto fa
il Cristianesimo. S'io dico che l'uomo fu corrotto dall'abuso della ragione, dal
sapere, e dalla società, questi sono i mezzi, o le cagioni secondarie della
corruzione, e non tolgono che la causa originale non sia stato il peccato. Io
non credo che nessuna vera e soda ragion di fede provi la scienza infusa in Adamo. S'egli ebbe subito un linguaggio,
si può stimare, ed è ben verosimile che n'abbiano anche le bestie per servire a
395 quella tal società di cui abbisognano; a quella
che sarebbe convenuta anche all'uomo nello stato primitivo, come conviene alle
bestie che sono ancora in esso stato; a quella che Dio volle indicare (e non
altro) quando disse: Non est bonum esse hominem solum:
faciamus ei adiutorium simile sibi[sui]
*
(Gen. 2.
18.); a quella della quale ho detto bastantemente altrove [p.
370]. E contuttociò le bestie non hanno scienza infusa, e dalla Genesi non risulta niente di questo, riguardo ad
Adamo, anzi il contrario. Giacchè
qualunque cosa si voglia intendere per l'albero della scienza del bene e del
male, è certo che il solo comando che Dio diede all'uomo dopo averlo posto in paradiso voluptatis
*
(Gen. c. 2. v. 8. 15. {23.
24.}) (s'intende voluttà e felicità terrena, contro quello
che si vuol sostenere, che all'uomo non sia destinata naturalmente se non se una
felicità spirituale e d'un'altra vita), fu De ligno
autem scientiae boni et mali ne comedas, in quocumque enim die
comederis ex eo, morte morieris.
*
(Gen. 2. 17.) Non è questo un interdir
chiaramente all'uomo il sapere? un voler porre soprattutte le altre cose
(giacchè questo fu il solo comando o divieto) un ostacolo agl'incrementi della
ragione, come quella che Dio conosceva essere per sua natura e dover essere la
distruttrice della felicità, e vera perfezione
396 di
quella tal creatura, tal quale egli l'aveva fatta, e in quanto era così fatta?
Il serpente disse alla donna Scit enim Deus quod
in quocumque die comederitis ex eo, aperientur oculi vestri, et
eritis sicut dii, scientes bonum et malum.
*
(Gen. 3. 5.) In maniera che la sola prova a
cui Dio volle esporre la prima delle sue creature terrestri, per donargli quella
felicità che gli era destinata, fu appunto ed evidentemente il vedere s'egli
avrebbe saputo contenere la sua ragione, ed astenersi da quella scienza, da
quella cognizione, in cui pretendono che consista, e da cui vogliono che dipenda
la felicità umana: fu appunto il vedere s'egli avrebbe saputo conservarsi quella
felicità che gli era destinata, e vincere il solo ostacolo o pericolo che allora
se le opponesse, cioè quello della ragione e del sapere. Questa fu la prova a
cui Dio volle assoggettar l'uomo, se bene lo fece in un modo o materiale, o
misterioso. Di che cosa poi si trattava? È egli assurdo o cattivo per sua natura
il desiderio di conoscere {e discernere} il bene ed il
male? {(che in somma è quanto dire la cognizione)}
Secondo voi altri apologisti della Religione, non è. Ma all'autor della
Religione parve che fosse, perchè l'uomo già sapeva abbastanza per natura, cioè
per opera propria, immediata e primitiva di Dio, tutto ciò che gli conveniva
sapere. La colpa dell'uomo fu volerlo sapere per opera sua, cioè non
397 più per natura, ma per ragione, e conseguentemente
saper più di quello che gli conveniva, cioè entrare colle sue proprie facoltà
nei campi dello scibile, e quindi non dipendendo più dalle leggi della sua
natura nella cognizione, scoprir quello, che alle leggi della sua natura, era
contrario che si scoprisse. Questo e non altro fu il peccato di superbia che gli
scrittori sacri rimproverano ai nostri primi padri; peccato di superbia
nell'aver voluto sapere quello che non dovevano, e impiegare alla cognizione, un
mezzo e un'opera propria, cioè la ragione, in luogo dell'istinto, ch'era un
mezzo e un'azione immediata di Dio: peccato di superbia che a me pare che sia
rinnuovato precisamente da chi sostiene la perfettibilità dell'uomo. I primi
padri finalmente peccarono appunto per aver sognata questa perfettibilità, e
cercata questa perfezione {fattizia, ossia} derivata da
essi. Il loro peccato, la loro superbia, non consiste in altro che nella
ragione: ragione assoluta: ragione, parlando assolutamente, non male adoperata,
giacchè non cercava se non la scienza del bene e del male. Or questo appunto fu
peccato e superbia. Condannato ch'ebbe {la donna e}
l'uomo, disse Iddio: Ecce Adam quasi unus ex nobis factus
398 est, sciens bonum et malum.
*
(Gen. 3. 22.) E non aggiunse altro
in questo proposito. Dunque egli non tolse alla ragione umana quell'incremento
che l'uomo indebitamente gli aveva proccurato. Dunque l'uomo restò veramente
simile a Dio per la ragione, restò più sapiente assai di quando era stato
creato. Dunque il decadimento dell'uomo, non consistè nel decadimento della
ragione, anzi nell'incremento. {+V. p. 433. capoverso 1.} E
sebben l'uomo ottenne precisamente quello che il serpente aveva promesso ad Eva, cioè la scienza
del bene e del male, non però {questa} accrebbe la sua
felicità, anzi la distrusse. Questi mi paiono discorsi concludenti, e raziocini
non istiracchiati ma solidi, e dedotti naturalmente e da dedursi dalle parole e
dallo spirito bene inteso della narrazione Mosaica, e se ne può efficacemente
concludere che lo spirito di questa narrazione, è di attribuire formalmente la
corruzione e decadenza dell'uomo all'aumento della sua ragione, e all'acquisto
della sapienza; considerar come corruttrice dell'uomo la ragione e il sapere:
cioè come mezzi {espressi} di corruzione, perchè la
causa primaria fu la disubbidienza, ma la disubbidienza a un divieto che
proibiva appunto all'uomo di proccurarsi e di rendere efficaci questi mezzi di
corruzione e d'infelicità.
[399,1]
399 3o. Avanti il peccato, ossia avanti il sapere, erat autem uterque nudus, Adam scilicet et uxor eius, et non
erubescebant.
*
(Gen. 2.
25.) Ma come prima Adamo ebbe
mangiato del frutto, et aperti sunt
oculi amborum: cumque cognovissent se esse nudos, consuerunt folia ficus et
fecerunt sibi perizomata.
*
(3. 7.) E Dio disse
loro: Quis enim indicavit tibi quod nudus esses, nisi quod
ex ligno de quo praeceperam tibi ne comederes,
comedisti
*
? (3. 11.) Questi luoghi suggerirebbero
vaste osservazioni sulla legge naturale, pretesa innata. In sostanza è chiaro 1.
che la decadenza dell'uomo consistè nella decadenza dallo stato naturale o
primitivo, giacchè subito dopo il peccato l'uomo provò una contraddizione colla
sua natura, vergognandosi della nudità, ossia del modo nel quale era stato
fatto: vergogna, e per conseguenza dovere, che non esisteva innanzi alla
corruzone. 2. Che questa decadenza o corruzione in luogo di consistere in quella
della ragione, fu anzi cagionata dal sapere, giacchè l'uomo allora seppe quello che prima non sapeva, e non avrebbe
saputo nè dovuto sapere, cioè di esser nudo. Quando aprirono gli occhi, come dice la Genesi, allora conobbero di esser nudi, e si
vergognarono della loro natura (contro quello che prima era
400 avvenuto), e decaddero dallo stato naturale, o si corruppero.
Dunque l'aprir gli occhi, dunque il conoscere fu lo stesso che decadere o
corrompersi; dunque questa decadenza fu decadenza di natura, non di ragione o di
cognizione. 3. Che l'uomo naturale sarebbe vissuto come gli altri animali senza
vestimenti. Questo è un gran colpo, tanto alla pretesa legge di natura, ingenita
ed essenziale: quanto alla pretesa necessità, o naturale e primordiale e
sostanziale disposizione dell'uomo alla società. Una gran parte del bisogno che
l'uomo ha dell'aiuto scambievole, che il bambino ha per lungo tempo de'
genitori, consiste ne' vestimenti. Di più, una gran parte del bisogno che l'uomo
ha di una certa arte, di un certo uso della sua ragione, consiste nel bisogno
de' vestimenti.
[400,1] 4o. Quanto alla società, non quella primitiva, e {tenue e} comune anche agli animali, che ho definita di
sopra, ma quella intera, e bisognosa di leggi, di costumi, di riti, di potere e
sudditi, di comando e ubbidienza ec. ec. vedi quello che ne pensi la religion
Cristiana p. 112. capoverso
1.[2]
191. capoverso 2.
[400,2] 5o. La descrizione che fa Mosè del paradiso terrestre, prova che i piaceri
destinati all'uomo naturale in questa vita, erano piaceri di questa vita,
materiali, sensibili,
401 e corporali, e così per tanto
la felicità. Oltracciò Dio pose Adamo
in paradiso voluptatis ut operaretur et custodiret
illum.
*
(2. 15.) Dunque sebben l'uomo fu condannato
{dopo il peccato} a lavorar la terra maledetta nell'opera di esso,
*
(3.
17.) e scacciato dal paradiso di voluttà (3. 23.)
ut operaretur terram de qua sumptus
est
*
(ib.), si deve
intendere a lavorarla con sudore, e {con} ingratitudine
d'essa terra, secondo il contesto della Genesi, e
non che la sua vita avanti il peccato, e la sua felicità dovesse consistere
nella contemplazione, ed essere inattiva, ossia senza opere {e occupazioni} corporali {ed esterne}, e
piacere di queste opere. Infatti chi non vede che l'uomo corrotto, ossia l'uomo
tal qual è oggi ha molto più bisogni degli altri viventi, molto più ostacoli a
proccurarsi il necessario, e quindi ha mestieri di molto più fatica per la sua
conservazione? Fatica di stento, comandata dalla ragione e dalla necessità, ma
ripugnante alla natura: fatica non piacevole ec. Laddove gli altri animali con
poca fatica, e quasi nessuno stento si
procacciano il bisognevole; non lavorano la terra, nè questa produce loro spinas et tribulos,
*
(3. 18.)
cioè non contrasta ai loro desideri, ma somministra loro il necessario
spontaneamente; ed essi raccolgono e non
402 seminano.
Intendo parlare di qualunque cibo del quale si pascano. Del vestire, l'uomo
abbisogna nello stato presente, essi no, ma nascono vestiti dalla natura. La
società primitiva qual è usata anche dagli animali; il raziocinio primitivo,
ossia il principio di cognizione comune a tutti gli esseri capaci di scelta,
erano destinati a supplire ai bisogni dell'uomo. La società qual è, la ragione
qual è ridotta, accresce smisuratamente questi bisogni: il mezzo di servire ai
bisogni e di estinguerli, è divenuto padre, e cagione, e fonte perenne e
abbondantissima di bisogni. I bisogni naturali dell'uomo sarebbero pochissimi,
come quelli degli altri anmali; ma la società e la ragione aumentano il numero e
la misura de' suoi bisogni eccessivamente. Questa distinzione fra' bisogni
naturali, e sociali o fattizi, e nonpertanto inevitabili nel nostro stato,
formava il fondamento della setta Cinica, la quale si prefiggeva di mostrare col
fatto, di quanto poco abbisogni l'uomo naturalmente. V. l'epitaffio di Diogene nel Laerzio. L'uomo fu dunque veramente condannato alla fatica, e
fatica di stento; vi fu condannato a differenza degli altri animali; ed
essendovi stato condannato sotto l'aspetto che ho esposto, non ne segue che la
sua vita innanzi la corruzione dovesse essere inattiva, cioè dovesse
403 contenere meno attività ed occupazione fisica, di
quello che ne contenga la vita degli altri animali.
[403,1] 6o. Se la Religione ha poi divinizzato la ragione e il
sapere; dato la preferenza allo spirito sopra i sensi; fatto consistere la
perfezione dell'uomo nella ragione a differenza dei bruti; e in somma dato alla
ragione il primato nell'uomo sopra la natura: tutto ciò non si oppone al mio
sistema. L'uomo era corrotto, cioè, come ho dimostrato, la ragione aveva preso
il disopra sulla natura: e quindi l'uomo era divenuto sociale: quindi l'uomo era
divenuto infelice, perchè prevalendo la ragione, la sua natura primitiva era
alterata e guasta, ed egli era, decaduto dalla sua perfezione primigenia, la
quale non consisteva in altro che nella sua essenza o condizione propria e
primordiale. Da questo stato di corruzione, l'esperienza prova che l'uomo non
può tornare indietro senza un miracolo: lo prova anche la ragione, perchè quello
che si è imparato non si dimentica. In fatti la storia dell'uomo non presenta
altro che un passaggio continuo da un grado di civiltà ad un altro, poi
all'eccesso di civiltà, e finalmente alla barbarie, e poi da capo. Barbarie,
s'intende, di corruzione, non già stato primitivo
404
assolutamente e naturale, giacchè questo non sarebbe barbarie. Ma la storia non
ci presenta mai l'uomo in questo stato preciso. Bensì ci dimostra che l'uomo tal
quale è ridotto, non può godere maggior felicità che in uno stato di civiltà
media, dove prevalga la natura, quanto è compatibile colla sua ragione già
radicata in un posto più alto del primitivo. Questo stato non è il naturale
assoluto, ma è quello stabilito appresso a poco dalla religione, come dirò poi.
Lo stato naturale assoluto non poteva dunque tornare senza un miracolo. Il
discorso de' miracoli, è sopraumano, e non entra in filosofia. Perchè dunque
l'uomo corrotto com'è, non abbia mai ricuperato nè sia per ricuperare lo stato
puramente naturale, e la felicità di cui godono tutti gli altri esseri, rimane,
colla detta ragione, spiegato in filosofia. In religione anche meglio; perchè
Dio in pena del peccato, avendo condannato l'uomo all'infelicità della
corruzione derivata da esso peccato, non voleva nè doveva fare questo miracolo.
Volendo mostrargli la sua misericordia, e dare al suo stato una perfezione
compatibile colla sua condanna, cioè colla sua infelicità, non restava altro che
perfezionare la sua ragione, cioè quella parte che aveva prevaluto {immutabilmente} nell'uomo
405
per la sua disubbidienza, e con ciò causata la sua corruzione. La perfezion
della ragione non è la perfezione dell'uomo assolutamente, ma bensì dell'uomo
tal qual è dopo la corruzione. Perchè la perfezione di un essere non è altro che
l'intiera conformità colla sua essenza primigenia. Ora l'essenza primigenia
dell'uomo supponeva e conteneva l'ubbidienza della ragione, in somma tutto
l'opposto della perfezion della ragione. Questa perfezione dunque non poteva
essere la sua felicità in questa vita, non essendo la perfezione dell'ente. Non
poteva dunque se non formare la sua felicità in un'altra vita, dove la natura
dell'ente in certo modo si cambiasse. La ragione (massime relativamente
all'altra vita) non può essere perfezionata se non dalla rivelazione. Fu dunque
necessario che Dio rivelasse all'uomo la sua origine, e i suoi destini; quei
destini che avrebbe conseguiti rimanendo nello stato naturale, e gli avrebbe
conseguiti insieme colla felicità terrena. Laddove il Cristianesimo chiama beato
chi piange, predica i patimenti, li rende utili e necessari; in una parola
suppone essenzialmente l'infelicità di questa vita, per conseguenza
406 naturale degli addotti principj. Ma da questi segue
ancora che la maggior felicità possibile dell'uomo in questa vita, ossia il
maggior conforto possibile, e il più vero ed intero, all'infelicità naturale, è
la religione. Perchè (riassumendo il discorso) la perfezione {primitiva o umana assolutamente,} e quindi la felicità naturale, e
quindi la felicità temporale, è impossibile all'uomo dopo la corruzione. La
ragione autrice di essa corruzione, avendo prevaluto per sempre, il miglior
grado dell'uomo corrotto è la
perfezione di essa ragione, che forma oggi la sua parte principale. La perfezion
della ragione non può condurre se non alla felicità di un'altra vita. Quindi, e
anche senza ciò, la perfezion della ragione e della cognizione, non può stare
senza la rivelazione. Dunque il migliore stato dell'uomo corrotto, è la
Religione, e siccome è il migliore, cioè quello che più gli conviene, perciò,
sebben suppone l'infelicità di questa vita, contiene però il maggior conforto, e
quindi la maggior felicità, e quindi la maggior perfezione possibile dell'uomo
in questa vita. Ecco come la Religione si accorda mirabilmente col mio sistema,
e quasi ne riceve una nuova prova.
[407,1]
407 7o. La perfezion della ragione consiste in conoscere
la sua propria insufficienza a felicitarci, anzi l'opposizione intrinseca
ch'ella ha colla nostra felicità. V. p.
304. capoverso 2. Questa è tutta la perfettibilità dell'uomo,
conoscersi incapace affatto a perfezionarsi, anzi ch'essendo egli uscito
perfetto sostanzialmente dalle mani della natura, alterandosi non può altro che
guastarsi. Ora la Religione confonde appunto la nostra ragione, gli mostra la
sua insufficienza, la corruttela che ha introdotto nell'uomo, e l'impossibilità
ch'ell'ha di felicitarci: ed ecco la perfezion della ragione. Perchè queste cose
l'uomo non le avrebbe conosciute nel suo stato primitivo, ma prevaluta la
ragione, egli non può giungere a maggior perfezione che di conoscere l'impotenza
e il danno della ragione. La perfezion della ragione consiste a richiamar l'uomo
quanto è possibile al suo stato naturale; ritorno ch'essendo fatto mediante
quella ragione stessa che ha corrotto l'uomo, ed avendo il suo fondamento in
questa medesima corruttrice, non può più equivalere allo stato naturale, nè per
conseguenza alla nostra perfezion primitiva, nè quindi proccurarci quella
felicità che ci era destinata. Ma contuttociò, riguardo a questa vita, è la
miglior condizione che l'uomo possa sperare. Ed ecco che la Religione favorisce
infinitamente
408 la natura, come ho detto in parecchi
altri luoghi, stabilisce moltissime di quelle qualità ch'eran proprie degli
uomini antichi o più vicini alla natura, appaga la nostra immaginazione
coll'idea dell'infinito, predica l'eroismo, dà vita, corpo, ragione e fondamento
a mille di quelle illusioni che costituiscono lo stato di civiltà media, il più
felice stato dell'uomo sociale e corrotto insanabilmente, stato dove si concede
tanto alla natura, quanto è compatibile colla società. Osservate infatti che lo
stato di un popolo Cristiano, è precisamente lo stato di un popolo mezzanamente
civile. Vita, attività, piaceri della vita domestica, eroismo, sacrifizi, amor
pubblico, fedeltà privata e pubblica degl'individui e delle nazioni, virtù
pubbliche e private, importanza data alle cose, compassione e carità ec. ec.
Tutte le illusioni che sublimavano gli antichi popoli, e sublimano il fanciullo
e il giovane, acquistano vita e forza nel Cristianesimo. Esempio della Spagna fino al
1820. del suo eroismo contro i francesi ec. Le sue stesse superstizioni non
erano altro che illusioni, e però vita. {+Osservate ancora che tutto quello che v'è di meno della civiltà media nello
stato di un popolo, è contrario al Cristianesimo, o deriva da corruzione di
esso, come nello stato de' bassi tempi, della Spagna ec. Perchè il
Cristianesimo puro, conduce, anzi equivale a una sufficiente e giusta
civiltà, quanta nè più nè meno conviene all'uomo sociale.} D'altra parte osservate che nessun
popolo al di qua della civiltà media, nessun popolo al di là, è stato mai
cristiano, e viceversa nessun popolo cristiano veramente, è stato mai al
409 di qua nè al di là della civiltà media. Le società o barbare assolutamente, o
corrotte e barbare per corruzione, sono incivilite dal Cristianesimo, e portate
al detto stato di civiltà media. Esempio de' popoli barbari convertiti dalla
predicazione del Vangelo. All'opposto le società eccessivamente incivilite, e
strettamente ragionevoli, (come anche gl'individui) non sono state mai
cristiane. Esempio de' nostri tempi. In luogo delle qualità dette di sopra, i
distintivi di queste società, sono l'egoismo, la morte, il tedio,
l'indifferenza, l'inazione, la mala fede pubblica e privata, l'assenza di ogni
eroismo, sacrifizio, virtù, di ogni illusione ispirata dalla natura nello stato
primitivo, o sviluppatasi naturalmente nello stato sociale; di ogni illusione
che forma la sostanza e la ragione della vita, e ch'essendo ispirata dalla
natura è confermata dal Cristianesimo.
[409,1] 8o. La detta perfezion della ragione è relativa a
questa vita. Ma la ragione non può
esser perfetta se non è relativa all'altra vita. Perchè quel richiamarci ch'ella
deve fare alla natura, e alle illusioni naturali, essendo un richiamo fatto
dalla ragione, non può esser altro che persuasione di esse illusioni. Dopo
ch'esse son conosciute, come ci torneremmo, se non
410
ci persuadessimo {di nuovo} che fossero vere? Un
ritorno della ragione, non ragionato, ma solamente volontario, non può esser che
vano, istabile e passeggero, come quello de' moderni filosofi sensibili, che
cercando a più potere di riprendere le illusioni perdute, ci riescono, al più,
momentaneamente, e del resto passano la vita nella freddezza, indifferenza e
morte. Dopo la cognizione pertanto, non possiamo tornare alle illusioni, cioè
ripersuadercene, se non conoscendo che son vere. Ma non son vere se non rispetto
a Dio e ad un'altra vita. Rispetto a Dio ch'è la virtù, la bellezza ec.
personificata; la virtù sostanza, e non fantasma, come nell'ordine delle cose
create. Rispetto a un'altra vita, dove la speranza sarà realizzata, la virtù e
l'eroismo premiato ec. dove insomma le illusioni non saranno più illusioni ma
realtà. Dunque la perfezion della ragione (tanto rispetto a questa come
all'altra vita, perchè ho mostrato che la perfezione rispetto a questa vita
dipende dalla perfezione rispetto all'altra) consiste formalmente nella
cognizione di un altro mondo. In questa cognizione dunque consiste la
perfezione, e quindi la felicità dell'uomo corrotto. Dunque l'uomo corrotto non poteva esser perfezionato nè
felicitato se non dalla rivelazione, ossia dalla Religione. Ed ecco strettamente
411 dimostrato e dichiarato come all'uomo corrotto
sia necessaria quella cognizione, ch'era contraria alla natura dell'uomo
primitivo; e come il Cristianesimo divinizzando la ragione e il sapere, non si
opponga al mio sistema che divinizza la natura nemica della ragione e del
sapere.
[411,1] 9o. L'esperienza conferma che l'uomo qual è ridotto,
non può esser felice {sodamente e durevolmente (quanto può
esserlo quaggiù)} se non in uno stato (ma veramente) religioso, cioè
che dia un corpo e una verità alle illusioni, senza le quali non c'è felicità,
ma ch'essendo conosciute dalla ragione, non possono più parer vere all'uomo,
come paiono agli altri viventi, se non per la relazione e il fondamento {e la realtà} che si suppongano avere in un'altra vita. A
questo effetto contribuirono anche le Religioni antiche, il Maomettismo, le
sette d'ogni genere, e tutte quelle opinioni che hanno dato vita a un popolo o
ad una società, e indottala ad operare. Riferite a
questo tutto quello che ho detto altrove [p. 125]
[p. 215]
[pp.
285-87]
[pp.
293-94]
[pp.
329-30]
[pp. 362-63] della necessità di una persuasone per condurre alle
azioni, e di una persuasione che abbia l'aspetto d'illusione e di passione, ec.
Giacchè la persuasione che tutto sia nullo, non conduce all'azione. E la
persuasione che le cose sieno cose, non può
412 aver
fondamento nè ragione, se non se nell'idea e persuasione di un'altra vita. Ma
questa ci deve persuadere: dunque bisogna che la religione ci persuada, e non si
può essere indifferenti circa la sua qualità e verità. Altrimenti se la
Religione si considera e si segue come una delle altre illusioni, questa non
sarà più persuasione, e tanto le altre illusioni, quanto questa, mancheranno di
nuovo del loro fondamento, e non ci potranno quindi condurre all'azione
durevole, alla perfezione, alla felicità. Ecco perchè la Religione si trova
presso la culla di tutti i popoli; ecco perchè gl'imperi o stati fondati o
conservati dalle opinioni religiose, sono distrutti dalla filosofia; ecco perchè
la decadenza di Roma fu compagna della
decadenza della sua Religione ec. ec. V. gli altri pensieri. Perchè {indebolendo} o mancando le credenze Religiose, {indebolisce, o} manca il principio di azione, cioè la
credenza alle illusioni, o sia la persuasione della realtà delle cose, le quali
non possono essere reali ed importanti se non rispetto ad un'altra vita. E nello
stesso modo, mancando quella tal Religione che realizza quelle tali illusioni,
manca quel tale stato di un popolo, e la sostituzione di un'altra Religione, non
riconduce quello stesso stato, anzi lo cambia. E così avvenne del Cristianesimo
rispetto al paganesimo in Roma. Perchè l'uomo
credendo
413 (non dico conoscendo ma credendo)
diversamente, opera diversamente. Quindi resta giustificata anzi lodata la
gelosia che gli antichi {politici} greci e Romani
manifestarono sempre per le loro antiche credenze, colle quali doveva mancare e
mancò il loro stato.
[413,1] 10o. Dal sopraddetto segue che il Cristianesimo non
prova che la verità assoluta non sia indifferente per l'uomo, non prova che la
felicità dell'uomo consista nel conoscere. Col prevaler della ragione e del
sapere, l'uomo non potendo più credere quello che credeva naturalmente,
bisognava ch'egli tornasse a crederlo mediante questa medesima ragione e questo
sapere che non si poteva più estinguere. La cognizione del vero gli era dunque
necessaria, non come indirizzata al vero, ma come solo fonte di quella credenza
che gli bisognava per riacquistare quella felicità che la stessa cognizione gli
avea tolta. Verità o errore, bastava ed importava solamente che l'uomo credesse
quelle cose, senza le quali non poteva esser felice. Ma l'errore l'avrebbe
potuto credere stabilmente nello stato naturale, nello stato di ragione, non
poteva credere stabilmente altro che il vero. Bisognava dunque ch'egli trovasse
verità reali in quelle opinioni e in
414 quei giudizi che formano e servono di base alla
vita umana. Ma queste opinioni e giudizi, non poteva trovarli realmente veri, se non supposta una
Religione, e una Religion vera, cioè universalmente e stabilmente credibile. Ecco dunque come la ragione
non poteva condurre alla felicità senza la rivelazione. La verità non era
necessaria all'uomo in quanto verità, ma in quanto stabile credibilità. Ora la
verità sola è stabilmente credibile nello stato di ragione e di sapere. E l'uomo
senza credenza stabile, non ha stabile motivo di determinarsi, quindi di agire,
quindi di vivere.
[414,1] Ma siccome la verità era necessaria all'uomo, soltanto
come unico fondamento di quelle credenze che sono necessarie alla sua vita,
perciò tutta quella parte di verità che non serve di fondamento a queste
credenze, è indifferente all'uomo, anzi nociva, anche nello stato presente di
corruzione. Al contrario di quello che accadrebbe se la felicità dell'uomo o
naturale o corrotto dovesse necessariamente consistere nella cognizione
assoluta; il cui oggetto essendo la verità assolutamente, nessuna minima verità
sarebbe indifferente all'uomo, e l'uomo sarebbe infelice finchè non avesse
conosciuta tutta la generale e particolare estensione della verità, perch'egli
prima di questo punto, non sarebbe arrivato alla
415 sua
perfezione. Al qual punto però gli è formalmente impossibile di arrivare, come
ho detto altrove. V. p. 385. - 386.
e p. 389 - 390. Dove che la
Religione, avendo insegnato all'uomo quelle verità che realizzano le credenze
necessarie alla sua felicità, non solo non {insegna, o}
suppone le altre verità, ma anzi, come ho detto di sopra, e come prova
l'esperienza, non c'è maggior nemico della Religione che un secolo pieno di
cognizioni. E la Religion {Cristiana} si adatta {e si deve adattare} alla capacità dell'ignorante, e
conviene, anzi trova il suo miglior posto nell'ignoranza delle altre verità. Le
quali {anche astraendo dalla relig.,} pregiudicano alla
felicità dell'uomo, quantunque già ragionevole, perchè non sono altro che
un'estensione di questa ragione e sapere che distruggono la umana felicità, e un
più vasto eccidio di quelle opinioni e illusioni {parziali,} che anche dopo prevaluta la ragione, possono esser credute
stabilmente, se il sapere,
l'esperienza ec. non si applicano parzialmente a sradicarle, cioè finchè dura
l'ignoranza parziale. La quale può occupare maggiore o minore spazio, e quanto
più ne occupa tanto più l'uomo è felice. Per esempio le scoperte geografiche
sono indifferenti alla religione. Ma geometrizzando l'idea del mondo,
distruggono quelle belle illusioni che ancora restavano a causa dell'ignoranza
parziale intorno a questo capo.
416 E la perfezione
della ragione non consiste nella cognizione di queste verità, perchè non
consiste nella cognizione della verità in quanto verità, ma in quanto stabile
fondamento delle credenze necessarie o utili alla vita. E ci deve richiamare
alla natura o alla felicità naturale per una strada diversa dalla primitiva, la
quale è irrevocabilmente perduta. Ora se alcune delle dette credenze hanno già
un fondamento stabile nell'ignoranza parziale, la ragione e il sapere,
distruggendole nuocono alla nostra felicità, e non corrispondono alla loro
perfezione la quale consiste in richiamarci alla natura. Laddove scoprendo
queste verità parziali ch'erano stabilmente nascoste, ci allontanano
maggiormente dalla natura, e quindi dalla felicità. {{V. p. 420.
capoverso 1[2].}}
[416,1] 11o. Il mio sistema non si fonda sul Cristianesimo, ma
si accorda con lui, sicchè tutto il fin qui detto suppone essenzialmente la
verità reale del Cristianesimo: ma
tolta questa supposizione il mio sistema resta intatto. Frattanto osserverò che
il Cristianesimo legandosi col mio sistema può supplire a spiegare quella parte
della natura delle cose che nel mio sistema resta intatta, ovvero oscura e
difficile. 1. L'origine del mondo e dell'uomo, che
417
mediante il Cristianesimo resta spiegata colla creazione. 2. Col Cristianesimo
resta spiegato perchè l'uomo sia così facile a perdere il suo stato primitivo, e
non si trovi, si può dir, popolo nè individuo che perfettamente conservi questo
stato, ch'io predico pel solo perfetto, felice, destinatogli, e proprio suo:
laddove tutti gli altri viventi appresso a poco (escluse alcune cause
accidentali, e provenienti per lo più dall'uomo) conservano il loro primo stato.
(Sebbene si potrebbero forse addurre parecchi esempi di nazioni che conservano
quasi interamente lo stato naturale, e ne sono felici e contente: nè hanno se
non quanta società conviene ai loro bisogni, come ne hanno gli animali; peraltro
con quel di più che conviene alla nostra specie, a causa dell'organizzazione,
specialmente riguardo agli organi della favella. Anche gli animali hanno più o
meno società, proporzionatamente alla natura rispettiva, e le scimie più degli
altri, perchè più si accostano alla nostra organizzazione). Questo fenomeno si
può naturalmente spiegare colla diversità dell'organizzazione, la quale in noi è
tale che ci dà somma facilità di sperimentare, e quindi conoscere, e quindi
alterare il nostro primo stato: giacchè l'esperienza è la sola madre della
cognizione
418 e del sapere, come anche delle
immaginazioni determinate (non della facoltà immaginativa): e questo in tutti i
viventi: essendo riconosciute per favola le idee assolutamente innate. {Così forse anche la nostra diversa organizzazione interna,
come del cervello ec.} Ma da questa spiegazione si potrebbe
conchiudere che l'uomo dunque, in vece d'essere il primo degli enti nell'ordine
delle cose terrestri, è anzi l'infimo, perch'è il più facile a perdere la sua
felicità, ossia la perfezione; e quasi impossibilitato a conservarla. (Questa
conseguenza già non sarebbe assurda se non per chi si forma della perfezione
un'idea assoluta, ossia considera la perfezione assolutamente secondo le nostre
idee nello stato presente. Chi considera la perfezione e ogni altra cosa come
relativa, non avrebbe difficoltà di creder l'uomo l'infimo degli enti
terrestri). Il Cristianesimo spiega chiaramente perchè la ragione e il sapere
corruttori dell'uomo, siano in lui così facili a prevalere, giacchè attribuisce
la cagione originale e radicale della sua corruzione, al peccato, il quale
introdusse lo squilibrio fra la ragione e la natura sua, ragione e natura
ottimamente equilibrate {o subordinate l'una all'altra,
insomma combinate} negli altri esseri viventi. Ed è ben conforme alla
ragione, e ben verisimile il supporre che Dio volendo manifestare la sua
misericordia e tutta la sua gloria alla terra, e avendo scelto
419 di farlo, com'era naturale, nella più nobile delle creature
terrestri, abbia voluto assoggettarla ad una prova, e permettere la sua
corruzione {e infelicità temporale,} la quale ha dato
luogo a tutta quella manifestazion di Dio, ch'è seguita dall'incremento della
ragione umana, alla Redenzione ec. Manifestazione che non avrebbe avuto luogo se
l'uomo avesse conservato il suo grado e felicità naturale, ancorchè più
perfetto, relativamente alla sua natura. Questa supposizione è conforme non solo
alla ragione, ma espressamente al Cristianesimo, il quale insegna (e non può
altrimenti) che Dio permise il peccato dell'uomo per sua maggior gloria. Ora,
secondo lo stesso Cristianesimo, era certamente meglio che l'uomo non peccasse:
ed egli sarebbe rimasto più perfetto e più buono non peccando, e non corrompendosi, e questo gli era destinato
primordialmente. Eppure Iddio permise che peccasse. Dunque secondo lo stesso
Cristianesimo, Dio permise un effettivo male, per un bene: permise una cosa
contraria alla destinazione dell'uomo. Dunque questa destinazione era meno atta
alla gloria di Dio, secondo i suoi misteriosi giudizi.
420 Altrimenti Dio avrebbe permesso un male (e sommo male qual è il peccato)
senza motivo: avrebbe lasciato violare e guastare l'ordine da lui stabilito
senza motivo; e non avrebbe fatto il meglio ma il peggio.
[420,1] Così il Cristianesimo aiuta il mio sistema
riempiendone le necessarie lagune nelle cose dove non arriva il nostro
ragionamento: e di più l'appoggia precisamente; come apparisce dal sopraddetto,
massime dalla esposizione di quei luoghi della Genesi, i quali somministrano una formale e stretta dimostrazion
religiosa del punto principale del mio sistema, cioè che la corruzione e
l'infelicità conseguente dell'uomo, è stata operata dalla ragione e dalla cognizione, (9-15. Dicembre
1820.)
{e consiste immediatamente nell'esso incremento
loro.}