5 - 7. Sett. 1821.
[1637,1]
1637 Dal detto in altri pensieri pp. 1619-23 risulta che Dio poteva
manifestarsi a noi in quel modo e sotto quell'aspetto che giudicava più
conveniente. Non manifestarsi, come ai Gentili; manifestarsi meno, e in forma
alquanto diversa, come agli Ebrei; più, come a' Cristiani: dal che non bisogna
concludere ch'egli ci si è manifestato tutto intero, come noi crediamo. Errore
non insegnato dalla Religione, ma da' pregiudizi che ci fanno credere assoluto
ogni vero relativo. La rivelazione poteva esserci e non esserci. Ella non è
necessaria primordialmente, ma stante le convenienze relative, originate dal
semplice voler di Dio. Egli si nascose a' Gentili, rivelossi alquanto agli
Ebrei, manifestò al mondo una maggior parte di se, nella pienezza de' tempi,
cioè quando gli uomini furono in istato di meglio comprenderlo. Egli si è
rivelato perchè ha voluto e l'ha stimato conveniente, e quanto e come e sotto la
forma che ha stimato conveniente, secondo le diverse circostanze delle sue
creature: forma sempre vera, perch'egli esiste in tutti i modi possibili.
[1637,2] Da ciò che si è detto della legge pretesa naturale,
risulta che non vi è bene nè
1638 male assoluto di
azioni; che queste non son buone o cattive fuorchè secondo le convenienze, le
quali sono stabilite, cioè determinate dal solo Dio, ossia, come diciamo, dalla
natura; che variando le circostanze, e quindi le convenienze, varia ancor la
morale, nè v'è legge alcuna scolpita primordialmente ne' nostri cuori; che molto
meno v'è una morale eterna e preesistente alla natura delle cose, ma ch'ella
dipende e consiste del tutto nella volontà e nell'arbitrio di Dio padrone sì di
stabilire quelle determinate convenienze che voleva, sì di ordinare o proibire
espressamente agli esseri pensanti quello che gli piaccia, secondo gli ordini e
le convenienze da lui solo create; che Dio non ha quindi nè può avere alcuna
morale, il che non potrebb'essere, se non ammettendo le idee di Platone indipendenti da Dio, e i modelli
eterni {e necessari} delle cose; che la morale per
tanto è creata da lui, come tutto il resto, e ch'egli era padrone di mutarla a
tenore delle diverse circostanze del genere umano, siccome è padrone di darne
una tutta diversa, e anche contraria, o anche non darne alcuna, a un diverso
genere di esseri, sì dentro gli ordini noti delle cose (come agli abitanti
d'altri
1639 pianeti), sì in altri sconosciuti, ed
ugualmente possibili e verisimili. Da tutto ciò resta spiegata la differenza fra
la legge che corse prima di Mosè, quella
di Mosè, e quella di Cristo. Tutti dicono che il Cristianesimo ha
perfezionata la Morale. (Ciò stesso vuol dire ch'ella non è dunque innata.)
Mutiamo i termini. Non l'ha perfezionata, ma rinnovata, cioè perfezionata solo
relativamente allo stato in cui la società umana era ridotta, e da cui (quanto
al sostanziale) non poteva più tornare indietro, come non ha fatto. Allora
divenne conveniente la nuova morale,
ossia la legge di Cristo, legge che
doveva essere perpetua per la detta ragione; legge che ha fatto illecito {realmente} ciò che prima era lecito, e viceversa, come
agevolmente si può vedere confrontando i costumi naturali di qualsivoglia o uomo
isolato, o società, e degli Ebrei prima di Mosè, con la legge contenuta nel Pentateuco, e questa e quelli con la
legge del Vangelo. Giacchè queste due leggi non si restringono di
gran lunga al Decalogo, il quale intanto è rimasto immutabile, in
quanto contenendo i primissimi
1640 elementi della
morale, è perciò appunto applicabile e conveniente a tutti i possibili stati
della società umana, che non può
sussistere, senza una morale, e questa non può aver fondamento vero se non in
Dio. Però il Decalogo combina appresso a poco {colla sostanza e collo spirito delle} leggi scritte di tutti i savi
legislatori antichissimi e modernissimi, e colle leggi praticate anche da' più
rozzi popoli, che pur compongano una società. L'uomo poteva esser fatto
diversamente, ma è fatto realmente in modo, che formando società co' suoi
simili, gli divien subito necessaria una legge il cui spirito sia quello del
Decalogo. Vale a dire che il Decalogo contiene
i principii generali delle convenienze delle azioni in una società umana, pel
bene di essa. Il generale contiene tutti i particolari: ma questi sono infiniti
e diversissimi. Le convenienze loro rispetto alle azioni, variano secondo gli
stati delle società, e della società in genere. L'antica legge Ebraica
permetteva il concubinato, fuorchè colle donne forestiere ec. L'odio del nemico
costituiva lo spirito delle antiche nazioni. Ecco le leggi di Mosè tutte patriottiche, ecco santificate
1641 le invasioni, le guerre contro i forestieri,
proibite le nozze con loro, permesso anche l'odio del nemico privato. E Gesù comandando
l'amor del nemico, dice formalmente che dà un precetto nuovo. Come ciò, se la
morale è eterna e necessaria? Come è male oggi, quel ch'era forse bene ieri? Ma
la morale non è altro che convenienza, e i tempi avevano portato nuove
convenienze. Questo discorso potrebbe infinitamente estendersi generalizzando
sullo stato del mondo antico e moderno, e sulla differente morale adattata a
questi diversi stati. L'uomo isolato non aveva bisogno di morale, e nessuna ne
ebbe infatti, essendo un sogno la legge naturale. Egli ebbe solo dei doveri
d'inclinazione verso se stesso, i soli doveri utili e convenienti nel suo stato.
Stretta la società, la morale fu convenienza, e Dio la diede all'uomo appoco
appoco, o piuttosto ora una ora un'altra, secondo i successivi stati della
società: e ciascuna di queste morali era ugualmente perfetta, perchè
conveniente; e perfetto è l'uomo isolato, senza morale. La morale cristiana
sarebbe stata imperfetta {perchè sconveniente} per Abramo,
1642 e
per Mosè. ec. Ciò che dicono i Teologi
delle azioni fatte lecite da un particolare impulso dello Spirito Santo, non
dimostra egli chiaro che la morale dipende da Dio (siccome la convenienza), e
che Dio non dipende punto dalla morale?
[1642,1] A me pare che il mio sistema appoggi il
Cristianesimo in luogo di scuoterlo; anzi che egli n'abbia bisogno, e in certo
modo lo supponga. Nè fuori del mio sistema si ponno facilmente accordare le
parti in apparenza discordantissime {e contraddittorie}
della religione Cristiana non solo quanto ai misteri, ma alla legge, alla storia
successiva della religione, ai dogmi d'ogni genere ec.
[1642,2] La fede nostra fa guerra alla ragione. Io dimostro
l'impotenza assoluta ed essenziale
della ragione, non solo in ordine alla felicità umana, al conservare ec. la
società, allo stabilire {e mantenere} una morale, ma
alla stessa facoltà di ragionare e concepire.
[1642,3] La pluralità de' mondi, quasi fisicamente
dimostrata, come si può accordare col Cristianesimo fuori del mio sistema, il
quale dimostra che le creature possono esser d'infinite specie, e che Dio
esistendo verso noi come la religione insegna,
1643
esiste ancora in tutti i possibili modi, e può avere avuto ed avere con
diversissime creature, diversissimi e contrari rapporti, e non averne alcuno?
Quante verità fisiche, metafisiche ec. ripugnano alla religione, fuori del mio
sistema che nega ogni verità e falsità assoluta, ammettendo le relative, e in
queste la religione?
[1643,1] Il mio sistema abbracciando e ammettendo quasi tutto
il sistema dell'ateismo, {+negando tutti
i sistemi ec.} e {pur} facendone risultare
l'idea costante di Dio, religione, morale ec. mi par l'ultima e decisiva prova
della religione; o se non altro che non può per ragioni esser dimostrata falsa
quella rivelazione, che d'altronde avendo prove di fatto, si deve tenere per
vera, perchè il fatto nel mio sistema decide, e la ragione non se gli può mai
opporre.
[1643,2] Ma, se Dio è superiore alla morale, se il buono o
cattivo non esiste assolutamente ec. Dio non può egli ingannarci in ciò che ci
ha rivelato, promesso, minacciato ec.? - No, perch'egli ci vieta d'ingannare. La
legge ch'egli ci ha data, quel modo del suo essere ch'egli ci ha
1644 manifestato, la maniera in cui l'ha fatto, i
rapporti che ha preso con noi, i doveri che ci ha prescritti verso lui, verso i
nostri simili, verso noi stessi, ciò che ci ha proibito, gl'insegnamenti che ci
ha dato, la verità che ci ha fatto amare, la natura in cui ci ha formati,
l'ordine di cose che ha stabilito, ec. decidono del modo in cui egli deve
portarsi verso noi, cioè ha voluto e vorrà portarsi, si è portato e porterà.
Altrimenti non sarebbero buoni i suoi rapporti verso noi, e quindi egli non
sarebbe buono o perfetto cioè conveniente ed in intera armonia rispetto a noi,
ed a quest'ordine di cose, che egli poteva bene tutt'altrimenti costituire, ma
ha costituito in {questo tal} modo in cui l'ingannare è
male. Il nostro modo, la nostra facoltà di ragionare è giusta e capace del vero,
quando si restringe all'ordine di cose che noi conosciamo o possiamo conoscere,
e che in qualche maniera ci appartiene, ed alle cose che vi hanno rapporto, in
quanto ve lo hanno. Io non distruggo verun principio della ragione umana (nè in
quanto alla morale, nè a tutto il resto):
1645
solamente li converto di assoluti in relativi al nostro ordine di cose ec. La
Religion Cristiana, come ho già detto, resta tutta quanta in piedi (restano
quindi i suoi effetti, le sue promesse ec.), non come assolutamente vera, e
necessaria indipendentemente dalle cose quali sono, e dal modo in cui sono ec.
ma relativamente, e dipendentemente in origine dall'arbitrio di chi potendo
stabilire e ordinar la natura ben altrimenti, o non istabilirla ec. la stabilì
però, {ed} in questa tal guisa ec. Sicchè quanto a noi,
quanto agli effetti ec. la cosa è tutt'una. (5 - 7. Sett.
1821.).