Amor patrio.
Love of fatherland.
67,4 123,2 133,1 148,2 150,2.3 151,1.2 457,1 540,1 542,1 872,1 923,12 1361,3 1715,2 1723,1 2574,1 2628,1 2677,1 3029,1[67,4] Moltissime volte anzi la più parte si prende l'amor
della gloria per l'amor della patria. P. e. si attribuisce a questo la costanza
dei greci alle termopile, il fatto d'Attilio Regolo (se è vero) ec. ec. le quali cose
furono puri effetti dell'amor della gloria, cioè dell'amor proprio immediato ed
evidente, non trasformato ec. Il gran mobile degli antichi popoli era la gloria
che si prometteva a chi si sacrificava per la patria, e la vergogna a chi
ricusava questo sacrifizio, e però come i maomettani si espongono alla morte,
anzi la
68 cercano per la speranza del paradiso che
gliene viene secondo la loro opinione, così gli antichi per la speranza, anzi
certezza della gloria cercavano la morte i patimenti ec. ed è evidente che così
facendo erano spinti da amor di se stessi e non della patria, dal vedere che
alle volte cercavano di morire anche senza necessità nè utile, (come puoi vedere
nei dettagli che dà il Barthelemy sulle
Termopile) e da quegli Spartani accusati
{dall'opinione pubblica} d'aver fuggito la morte
alle Termopile che si uccisero da se, non per la patria
ma per la vergogna. Ed esaminando bene si vedrà che l'amor puramente della
patria, anche presso gli antichi era un mobile molto più raro che non si crede.
Piuttosto quello della libertà, l'odio di quelle tali nazioni nemiche ec.
affetti che poi si comprendono generalmente sotto il nome di amor di patria,
nome che bisogna ben intendere, perchè il sacrifizio precisamente per altrui non
è possibile all'uomo.
[123,2] Lo spatrio cioè il trapiantarsi d'un paese in un altro
era {possiamo dire} ignoto agli antichi popoli civili,
finchè durò la loro civiltà, segno di quanto fosse il loro amor patrio, e l'odio
o disprezzo degli stranieri. Al contrario quando declinarono alla barbarie. (V. Montesquieu
Grandeur ec. ch. 2. p. 20. fine e ch. 16.
p. 179 e la nota 6.) Le colonie non erano altro che ampliazioni della
patria, dove ciascuno restava fra' suoi compatriotti, colle stesse leggi,
costumi ec.
[133,1] Dice Luciano
nelle Lodi della
Patria (t. 2. p. 479.), καὶ τοὺς κατὰ τὸν
τῆς ἀποδημίας χρόνον λαμπροὺς γενομένους ἢ διὰ χρημάτων κτῆσιν, ἢ διὰ
τιμῆς δόξαν
*
(vel ob honoris gloriam), ἢ διὰ παιδείας μαρτυρίαν, ἢ δι᾽
ἀνδρίας[ἀνδρείας] ἔπαινον, ἔστιν
ἰδεῖν ἐς τὴν πατρίδα {πάντας}
ἐπειγομένους
*
(properantes) ὡς οὐκ ἂν ἐν ἄλλοις βελτίοσιν
ἐπιδειξομένους τὰ αὐῶν καλά. καὶ τοσούτῳ γε μᾶλλον ἕκαστος σπεύδει
λαβέσθαι τῆς πατρίδος ὅσῳπερ ἂν ϕαίνηται μειζόνων παρ᾽ ἄλλοις
ἠξιωμένος
*
. Questo è vero, e quando anche tu viva in una
città molto maggiore della tua patria, non ostante il gran cambiamento delle
opinioni antiche a questo riguardo, desidererai anche adesso, se non altro che
la gloria o qualunque altro bene che tu hai acquistato sia ben noto, e faccia
romore particolare nella tua patria. Ma la cagione non è mica l'amor della
patria, come stima Luciano, e come
pare a prima vista. E infatti stando nella tua stessa patria, tu provi lo stesso
effetto
134 riguardo alla {tua}
famiglia, e a' tuoi più intimi conoscenti. La ragione è che noi desideriamo che
i nostri onori o pregi siano massimamente noti a coloro che ci conoscono più
intieramente, e che ne sieno testimoni quelli che sanno più per minuto le nostre
qualità, i nostri mezzi, la nostra natura, i nostri costumi ec. E come non ti
contenteresti di una fama anonima, cioè di esser celebrato senza che si sapesse
il tuo nome, perchè quella fama, ti parrebbe piuttosto generica che tua propria,
così proporzionatamente desideri ch'ella sia sulle bocche di quelli presso i
quali, conoscendoti più intimamente e particolarmente, la tua stima viene ad
essere più individuale e propria tua, perchè si applica a tutto te, che sei loro
noto minutamente. E viene anche ciò dalla inclinazione che tutti abbiamo per li
nostri simili, onde non saremmo soddisfatti di una fama acquistata appresso una
specie di animali diversa dall'umana, e così venendo per gradi, poco ci
cureremmo di esser famosi fra i Lapponi o gl'irocchesi, essendo ignoti ai popoli
colti, e non saremmo contenti di una celebrità francese o inglese, essendo
sconosciuti ai nostri italiani, e così finalmente arriveremo ai nostri propri
cittadini, e anche alla nostra famiglia. Aggiungete le tante relazioni che si
hanno o si sono avute colle persone più attenenti alla nostra, le emulazioni, le
gare, le invidie, le contrarietà avute, le amicizie fatte ec. ec. alle quali
cose tutte applichiamo il sentimento che ci cagiona la nostra gloria, o
qualunque vantaggio acquistato. In somma
135 la cagione
è l'amore {immediato} di noi stessi, e {non} della nostra patria. {{V. p. 536,
capoverso 2.}}
[148,2] Ma questa è una bella curiosità, che mentre le nazioni
per l'esteriore vanno a divenire tutta una persona, e oramai non si distingue
più uomo da uomo, ciascun uomo poi {nell'interiore} è
divenuto una nazione, vale a dire che non hanno più interesse comune con
chicchessia, non formano più corpo, non hanno più patria, e l'egoismo gli
ristringe dentro il solo circolo de' propri interessi, senza amore nè cura
149 degli altri, nè legame nè rapporto nessuno interiore
col resto degli uomini. Al contrario degli antichi, che mentre le nazioni per
l'esteriore erano composte di diversissimi individui, nella sostanza poi, e
nell'importante, o in quel punto in cui giova l'unità della nazione, erano in
fatti tutta una persona, per l'amor patrio, le virtù, le illusioni ec. che
riunivano tutti gl'individui a far causa comune, e ad essere i membri di un sol
corpo. E per questo capo si può dire che ora ci son tante nazioni quanti
individui, bensì tutti uguali anche in questo che non hanno altro amore nè idolo
che se stessi.
[457,1]
457 Quanto sia vero che l'amore universale distruggendo
l'amor patrio non gli sostituisce verun'altra passione attiva, e {che} quanto più l'amor di corpo guadagna in estensione,
tanto perde in intensità ed efficacia, si può considerare anche da questo, che i
primi sintomi della malattia mortale che distrusse la libertà e quindi la
grandezza di Roma, furono contemporanei alla cittadinanza
data all'italia dopo la guerra sociale, e alla gran
diffusione delle colonie spedite per la prima volta fuori
d'italia per legge di Gracco o di Druso, 30 anni circa dopo l'affare di C. Gracco e 40 circa dopo quello di Tiberio Gracco del quale dice Velleio, (II. 3.) Hoc
initium in {urbe}
Roma civilis sanguinis, gladiorumque
impunitatis fuit.
*
col resto, dove viene a
considerarlo come il principio del guasto e della decadenza di
Roma. Vedilo l.
2. c. 2. c. 6. c. 8. init. et c. 15. et lib. I. c. 15. fine. colle note Varior. Le quali colonie portando con se la
cittadinanza Romana, diffondevano Roma per tutta
l'italia, e poi per tutto l'impero. V. in particolare
Montesquieu, Grandeur etc. ch. 9. p. 99. - 101. {e quivi le note.}
Ainsi Rome
n'étoit pas proprement une Monarchie
458 ou
une République, mais la tête d'un corps formé par tous les peuples
du monde... Les peuples... ne faisoient un corps que par une
obéissance commune; et sans être compatriotes, ils
etoient[étoient] tous
Romains
*
(ch.
6. fin. p. 80. dove però egli parla sotto un altro rapporto). Quando
tutto il mondo fu cittadino Romano, Roma non ebbe più
cittadini; e quando cittadino Romano fu lo stesso che Cosmopolita, non si amò nè
Roma nè il mondo: l'amor patrio di
Roma divenuto cosmopolita, divenne indifferente,
inattivo e nullo: e quando Roma fu lo stesso che il
mondo, non fu più patria di nessuno, e i cittadini Romani, avendo per patria il
mondo, non ebbero nessuna patria, e lo mostrarono col fatto. (24. Dic.
1820.).
[540,1]
Sic enim mihi perspicere
videor, ita natos esse nos,
541 ut inter omnes
esset societas quaedam
*
; (ecco l'amore universale, notato
anche da Cicerone, e naturale, perchè la
natura, e tutti gli animali tendono più che ad altro al loro simile;
preferiscono nella inclinazione, nell'amore, nella società, il loro simile, allo
straniero e diverso. Questo è il vero confine dell'amore universale secondo
natura, non quelli che gli assegnano i nostri filosofi. Ma seguitiamo) maior autem, ut quisque
proxime accederet. Itaque cives, potiores, quam peregrini; et propinqui
quam alieni.
*
(Così che nel conflitto degl'interessi di
coloro che nobis proxime accedunt,
*
cogl'interessi
degli stranieri, alieni, lontani, quelli vincono nell'animo, nella inclinazione,
e nella natura nostra: e non già nella sola parità di circostanze, ma quando
anche o il bene, o la salute e incolumità de' vicini, porti agli strani un danno
sproporzionato; quando anche si tratti di un solo o pochi vicini, e di molti
lontani; quando si tratti della sola sua patria in comparazione di tutto il
mondo. E tali sono realmente gli effetti e la misura dell'amore dei bruti verso
i loro
542 figli ec. rispetto agli altri loro simili:
delle api di un alveare, rispetto alle altre ec. E v. il pensiero seguente.) Cum his enim
amicitiam natura
ipsa peperit.
*
Cic., Lael.
sive de Amicitia c. 5. sulla fine.
(22. Gen. 1821.).
[542,1]
Quapropter a natura mihi
videtur potius, quam ab indigentia, orta amicitia, et applicatione magis
animi cum quodam sensu amandi, quam cogitatione, quantum illa res
utilitatis esset habitura. Quod quidem quale sit, etiam in bestiis
quibusdam animadverti potest; quae ex se natos ita amant ad quoddam
tempus, et ab eis ita amantur, ut facile earum sensus appareat. Quod in
homine multo est evidentius.
*
Cic., Lael.
sive de Amicitia c. 8.
(22. Gen. 1821.).
[872,1] L'amor proprio dell'uomo, e di qualunque individuo di
qualunque specie, è un amore di preferenza. Cioè l'individuo amandosi
naturalmente quanto può amarsi, si preferisce dunque agli altri, dunque cerca di
soverchiarli in quanto può, dunque effettivamente l'individuo odia l'altro
individuo, e l'odio degli altri è una conseguenza necessaria ed immediata
dell'amore di se stesso, il quale essendo innato, anche l'odio degli altri viene
ad essere innato in ogni vivente. {{V. p. 926. capoverso 1.}}
[923,2] Siccome l'amor patrio o nazionale non è altro che una
illusione, ma facilmente derivante dalla natura, posta la società, com'è
naturale l'amor proprio nell'individuo, e posta la famiglia, l'amor di famiglia,
che si vede anche ne' bruti; così esso non si mantiene, e non produce buon
frutto senza le illusioni e i pregiudizi che naturalmente ne derivano, o che
anche ne sono il fondamento. L'uomo non è sempre ragionevole, ma sempre
conseguente in un modo o nell'altro. Come dunque amerà
924 la sua patria sopra tutte, e come sarà disposto nei fatti, a tutte le
conseguenze che derivano da questo amore di preferenza, se effettivamente egli
non la crederà degna di essere amata sopra tutte, e perciò la migliore di tutte;
e molto più s'egli crederà le altre, o qualcun'altra, migliore di lei? Come sarà
intollerante del giogo straniero, e geloso della nazionalità per tutti i versi,
{e disposto a dar la vita e la roba per sottrarsi al
dominio forestiero,} se egli crederà lo straniero uguale al
compatriota, e peggio, se lo crederà migliore? Cosa indubitata: da che il
nazionale ha potuto {o voluto} ragionare sulle nazioni,
e giudicarle; da che tutti gli uomini sono stati uguali nella sua mente; da che
il merito presso lui non ha dipenduto dalla comunanza della patria ec. ec.; da
che egli ha cessato di persuadersi che la sua nazione fosse il fiore delle
nazioni, la sua razza, la cima delle razze umane; dopo, dico, che questo ha
avuto luogo, le nazioni sono finite, e come nella opinione, così nel fatto, si
sono confuse insieme; passando inevitabilmente la indifferenza dello spirito e
del giudizio e del concetto, alla indifferenza del sentimento, della
inclinazione, e dell'azione. E questi pregiudizi che si rimproverano alla
Francia, perchè offendono l'amor proprio degli
stranieri, sono la somma salvaguardia della sua nazionale indipendenza, come lo
furono presso gli antichi;
925 la causa di quello
spirito nazionale che in lei sussiste, di quei sacrifizi che i francesi son
pronti a fare ed hanno sempre fatto, per conservarsi nazione, e per non
dipendere dallo straniero; e il motivo per cui quella nazione, sebbene così
colta ed istruita (cose contrarissime all'amor patrio), tuttavia serba ancora,
forse più che qualunque altra, la sembianza di nazione. E non è dubbio che dalla
forza di questi pregiudizi, come preso[presso]
gli antichi, così nella Francia, doveva seguire quella
preponderanza sulle altre nazioni d'europa, ch'ella ebbe
finora, e che riacquisterà verisimilmente. (6. Aprile 1821.).
[1361,3] Chi vuol vedere la differenza fra l'amor patrio
antico e moderno, e fra lo stato antico e moderno delle nazioni, e fra l'idea
che s'aveva anticamente, e che si ha presentemente del proprio paese ec.
consideri la pena dell'esilio, usitatissima e somma presso gli antichi, ed
ultima pena de' cittadini romani; ed oggi quasi disusata, e sempre minima, e
1362 spesso ridicola. Nè vale addurre la piccolezza
degli stati. Presso gli antichi l'essere esiliato da una sola città, fosse pur
piccola, povera, infelice quanto si voglia, era formidabile, se quella era
patria dell'esiliato. {+Così forse anche
oggi nelle parti meno civili; o più naturali, come la
Svizzera ec. ec. il cui straordinario amor patrio
è ben noto. ec.} Oggi l'esilio non si suol dare veramente per pena, ma
come misura di convenienza, di utilità ec. per liberarsi della presenza di una
persona, per impedirla da quel tal luogo ec. Non così anticamente dove il fine
principale dell'esiliare, era il gastigo dell'esiliato. ec. ec. (21.
Luglio. 1821.). {{La gravità
della pena d'esilio consisteva nel trovarsi l'esiliato privo de' diritti
e vantaggi di cittadino (giacchè altrove non poteva essere cittadino), i
quali anticamente erano qualche cosa.}}
[1715,2] L'individuo, ordinariamente, è tanto grande o
piccolo quanto la società, il corpo {ec. la patria,} a
cui egli specialmente appartiene, {o s'immagina, prefigge,
cerca di appartenere.} In una piccola patria, gli uomini son piccoli,
se istituzioni e opinioni straordinariamente felici, non lo ingrandiscono, come
nelle città greche, ciascuna
1716 delle quali era
patria. Ma il principal mezzo è di allargare al possibile, se non altro, l'idea
della propria società, come ciascuna città greca {e loro
individui} riguardavano (anche col fatto) per loro patria tutta la
grecia e sue appartenenze, e per compatriota chiunque
non era βάρβαρος. Senza ciò la grecia non sarebbe stata
quello che fu, neppure in quei tempi tutti propri della grandezza. (16.
Sett. 1821.).
[1723,1] Chi ha disperato di se stesso, o per qualunque
ragione, si ama meno vivamente, è meno invidioso, odia meno i suoi simili, ed è
quindi più suscettibile di amicizia {{per questa}}
parte, o almeno in minor contraddizione con lei. Chi più si ama meno può amare.
Applicate questa osservazione alle nazioni, ai diversi gradi di amor patrio
sempre proporzionali a' diversi gradi di odio nazionale; alla necessità di
render l'uomo egoista di una patria perch'egli possa amare i suoi simili a
cagion di se stesso, appresso a poco come dicono i teologi che l'uomo deve amar
se stesso e i suoi prossimi in Dio, e
1724 per l'amore
di Dio. (17. Sett. 1821.).
[2574,1] Non c'è virtù in un popolo senz'amor patrio, come ho
dimostrato altrove pp. 892-93. Vogliono che basti la Religione. I tempi
barbari, bassi ec. erano religiosi fino alla superstizione, e la virtù dov'era?
Se per religione intendono la pratica della medesima, vengono a dire che non c'è
virtù senza virtù. Chi è religioso in pratica, è virtuoso. Se intendono la
teorica, {e} la speranza e il timore delle cose di là,
l'esperienza di tutti i tempi dimostra che questa non basta a fare un popolo
attualmente e praticamente virtuoso. L'uomo, e specialmente
2575 la moltitudine non è fisicamente capace di uno stato continuo di
riflessione. Or quello ch'è lontano, quello che non si vede, quello che dee
venir dopo la morte, dalla quale ciascuno naturalmente si figura d'esser
lontanissimo, non può fortemente {costantemente} ed
efficacemente influire sulle azioni e sulla vita, se non di chi tutto giorno
riflettesse. Appena l'uomo entra nel mondo, anzi appena egli esce del suo
interno (nel quale il più degli uomini non entra mai, e ciò per natura propria)
le cose che influiscono su di lui, sono le presenti, le sensibili, o quelle le
cui immagini sono suscitate e fomentate dalle cose in qualunque modo sensibili:
non già le cose, che oltre all'esser lontane, appartengono ad uno stato di
natura diversa dalla nostra presente, cioè al nostro stato dopo la morte, e
quindi, vivendo {noi} necessariamente fra
2576 la materia, e fra questa presente natura, appena
le sappiamo considerare come esistenti, giacchè non hanno che far punto con
niente di quello la cui esistenza sperimentiamo, e trattiamo, e sentiamo ec. La
conchiusione è che tolta alla virtù una ragione presente, o vicina, e sensibile,
e tuttogiorno posta dinanzi a noi; tolta dico questa ragione alla virtù (la qual
ragione, come ho provato, non può esser che l'amor patrio), è tolta anche la
virtù: e la ragione lontana, insensibile, e soprattutto, estrinseca affatto alla
natura della vita presente, e delle cose in cui la virtù si deve esercitare,
questa ragione, dico, non sarà mai sufficiente all'attuale e pratica virtù
dell'uomo, e molto meno della moltitudine, se non forse ne' primi anni, in cui
dura il fervore della nuova opinione, come nel primo secolo del Cristianesimo (corrotto già nel secondo.
2577
V. i SS. Padri.) (21. Luglio
1822.).
[2628,1]
Isocrate nel Panegirico p. 133.
cioè prima del mezzo, (quando entra a parlare delle due guerre Persiane)
lodando i costumi e gl'istituti di coloro che ressero
Atene e Sparta innanzi al
tempo d'esse guerre, dice, ἴδια μὲν ἄστη τὰς ἑαυτῶν
πόλεις ἡγούμενοι, κοινὴν δὲ πατρίδα τὴν ῾Eλλάδα νομίζοντες
εἶναι
*
. (30. Settembre 1822.)
[2677,1]
{Puoi vedere p.
3791.} Tutti gl'imperi, tutte le nazioni ch'hanno
ottenuto dominio sulle altre, da principio hanno combattuto con quelli di fuori,
co' vicini, co' nemici: poi liberati dal timore esterno, e soddisfatti
dell'ambizione e della cupidigia di dominare sugli stranieri e di possedere quel
di costoro, e saziato l'odio nazionale contro l'altre nazioni, hanno sempre
rivolto il
2678 ferro contro loro medesime, ed hanno
per lo più perduto colle guerre civili quell'impero e quella ricchezza ec. che
aveano guadagnato colle guerre esterne. Questa è cosa notissima e ripetutissima
da tutti i filosofi, istorici, politici ec. Quindi i politici romani prima e
dopo la distruzion di Cartagine, discorsero della
necessità di conservarla, e se ne discorre anche oggidì ec. L'egoismo nazionale
si tramuta allora in egoismo individuale: e tanto è vero che l'uomo è per sua
natura e per natura dell'amor proprio, nemico degli altri viventi e se-amanti;
in modo che s'anche si congiunge con alcuno di questi, lo fa per odio o per
timore degli altri, mancate le quali passioni, l'odio e il timore si rivolge
contro i compagni e i vicini. Quel ch'è successo nelle nazioni è successo ancora
nelle città, nelle corporazioni, nelle famiglie ch'hanno figurato nel mondo ec.
unite contro gli esteri, finchè questi non erano vinti, divise e discordi e
piene d'invidia ec. nel loro interno, subito sottomessi gli estranei. {+Così in ciascuna fazione di una stessa
città, dopo vinte le contrarie o la contraria. V. il proem. del lib. 7. delle Stor. del
Machiavello.} Ed
è bello a questo proposito un passo di Plutarco sulla fine del libro Come si potria
trar giovamento da' nimici (Opusc. mor. di Plut. volgarizzamento da Marcello Adriani il giovane. Opusc. 14. Fir. 1819. t. 1. p.
394.) La qual cosa ben parve che
comprendesse
2679 un saggio uomo di governo
nominato Demo, il quale,
in una civil sedizione dell'isola di Chio,
ritrovandosi dalla parte superiore, consigliava i compagni a non
cacciare della città tutti gli avversarj, ma lasciarne alcuni, acciò
(disse egli) non incominciamo a contendere con gli amici, liberati
che saremo interamente da' nimici: così questi nostri
affetti
*
(soggiunge Plutarco, cioè l'emulazione, la gelosia, e
l'invidia) consumati
contra i nimici meno turberanno gli amici.
*
{+(V.
ancora gl'Insegnamenti Civili di Plut. dove il citato Volgarizzamento p. 434. ha Onomademo in vece di Demo
{{: ὄνομα
Δῆμος.}})}
[3029,1] La vita umana non fu mai più felice che quando fu
stimato poter esser bella e dolce anche la morte, nè mai gli uomini vissero più
volentieri che quando furono apparecchiati e desiderosi di morire per la patria
e per la gloria. (25. Luglio, dì di San Giacomo. 1823.).
Related Themes
Antichi. (1827) (4)
Odio verso i nostri simili. (1827) (3)
Memorie della mia vita. (pnr) (3)
Amor proprio. (1827) (3)
Amore dei propri simili. (1827) (3)
Amore di corpo. (1827) (3)
Governi. (1827) (3)
Civiltà. Incivilimento. (1827) (3)
Egoismo. (1827) (2)
Cristianesimo, ha peggiorato i costumi. (1827) (2)
Amore universale. (1827) (2)
Società degli animali. (1827) (2)
Della natura degli uomini e delle cose. (pnr) (2)
Eserciti (grandezza degli). (1827) (1)
Guerre antiche, guerre moderne. (1827) (1)
Francesi. (1827) (1)
Illusioni. (1827) (1)
Amore di parte. (1827) (1)
Superbia nazionale. (1827) (1)
(b) Pensieri isolati filosofici. (danno) (1)
Provinciale (spirito). (1827) (1)
Municipale, provinciale ec. (spirito). (1827) (1)
. Suo stato, costumi ec. antichi e moderni. (1827) (1)
amavano la in comune, come loro patria. (1827) (1)
Greci, ignoranti del latino ec. (1827) (1)
Amore di municipio, di provincia ec. (1827) (1)
Esilio. (1827) (1)
Virtù. (1827) (1)
Invidia. (1827) (1)
Patria. Quanto importi ch'ella sia grande. (1827) (1)
Religione. Culto. (1827) (1)
Paradossi. (danno) (1)