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Italia. Suo stato, costumi ec. antichi e moderni.

Italy. Its state, customs, etc., ancient and modern.

1092,1 2609,1 2628,1 3129,marg. 3471,1 3855,1 4031,1 4053,3 4261,2 4265,1 4267,2

Italia. Non ha costumi, ma usanze.

Italy. Does not have customs, but habits.

2923,1

Ciascun italiano ha il suo tuono di società.

Each Italian has his own social tone.

3546,1

[1092,1]   1092 Alla pagina 894. marg. Riferite pure agli stessi principii il danno, le stragi, la miseria, l'impotenza p. e. dell'italia ne' bassi tempi, di quell'italia ch'era per altro animata di sì vivo, sì attivo, e spesso sì eroico amor di patria. Ma di patria oscura, debole, piccola, cioè le repubblichette, e le città, e le terre nelle quali era divisa allora la nazione, formando tante nazioni, tutte, com'è naturale, nemiche scambievoli. Dal che nasceva l'oscurità, la debolezza, la piccolezza delle virtù patrie, e il poco splendore dello stesso eroismo esistente. Riferite agli stessi principii, {cioè alla soverchia divisione e piccolezza, e alla conseguente moltiplicità delle nimicizie,} il famosissimo danno, e l'estrema miseria del sistema feudale. Riferitevi parimente il danno riconosciuto da tutti i savi {oggidì} nel soverchio amore delle patrie private, cioè delle città, ovvero anche delle provincie natali. Danno pur troppo ed evidente e gravissimo oggi in italia, per naturale conseguenza della sua divisione non solo statistica o territoriale, (come ogni regno ec.) ma politica. Ed è osservabile che l'amor patrio (intendo delle patrie private) regna oggi in italia tanto più fortemente e radicatamente, quanto è maggiore o l'ignoranza, o il poco commercio, o la piccolezza di ciascuna città, o terra, o provincia (come la Toscana); insomma in proporzione  1093 del rispettivo grado di civiltà e di coltura. E in alcune delle più piccole città d'italia l'amor patrio, e l'odio de' forestieri è veramente accanito. E così proporzionatamente in Toscana, paese pur troppo rimaso indietro nella coltura artificiale, non si sa come. E lo stesso dico degl'individui più ignoranti ec. (26. Maggio 1821.).

[2609,1]  L'immenso francesismo che inonda i costumi e la {letteratura e la} lingua degl'italiani e degli altri europei, non è bevuto se non dai libri francesi, e dall'influenza delle loro mode, e coll'andarli a trovare in casa loro, il che per quanto sia frequente, non può mai esser gran cosa. Laddove Roma e l'italia da' tempi del secondo Scipione in poi, e massime sotto i primi imperatori, era piena di greci (greci proprii, o nativi d'altri paesi grecizzati); n'eran piene le case de' nobili, dove i greci erano chiamati e ricevuti e collocati stabilmente in ogni genere di uffici, da quei della cucina, fino a quello di maestro di filosofia ec. ec. (V. Luciano περὶ τῶν ἐπὶ μισϑῷ συνόντων,  2610 e l'epig. di Marziale del graeculus esuriens ec. ec.); n'eran pieni i palazzi e gli offici pubblici: oltre che tutti i ricchi mandavano i figli a studiare in grecia, e questi poi divenivano i principali in Roma e in italia, nelle cariche, nel foro ec. Quindi si può stimar quale e quanto dovesse necessariamente essere il grecismo de' costumi, e letteratura, e quindi della lingua in italia a quei tempi. Aggiunto che anche le donne avevano a sapere il greco, lo studio che tutti più o meno facevano de' loro libri, e il piacere che ne prendevano, e le biblioteche che ne componevano ec. ec. (18. Agosto. Domenica. 1822.).

[2628,1]  Isocrate nel Panegirico p. 133. cioè prima del mezzo, (quando entra a parlare delle due guerre Persiane) lodando i costumi e gl'istituti di coloro che ressero Atene e Sparta innanzi al tempo d'esse guerre, dice, ἴδια μὲν ἄστη τὰς ἑαυτῶν πόλεις ἡγούμενοι, κοινὴν δὲ πατρίδα τὴν ῾Eλλάδα νομίζοντες εἶναι * . (30. Settembre 1822.)

[3125,1]  Quindi è che ne' poemi epici posteriori ad Omero, l'Eroe e l'impresa felice nulla avrebbero interessato i lettori, se desso eroe, dessa impresa, dessa felicità non fossero in qualche modo appartenuti ai lettori medesimi, come Achille ec. ai greci. In verità un  3126 poema epico di lieto fine richiede necessariamente la qualità di poema nazionale; e per ciò che spetta e mira a esso fine, un poema epico non nazionale non può interessar niuno; nazionale, non può mai produrre un interesse universale nè perpetuo, ma solo nella nazione e per certe circostanze. L'Eneide fu dunque poema nazionale, e lasciando star tutti gli episodi e tutte le parti e allusioni che spettano alla storia ed alla gloria de' Romani, l'Eneide anche pel suo proprio soggetto potè produr ne' Romani il primo di quegl'interessi che abbiamo distinto in Omero, perocchè i Romani si credevano troiani di origine, sicchè la vittoria d'Enea consideravasi {+o poteva considerarsi} da essi come un successo e una gloria avita, e ad essi appartenente, e da essi ereditata. Il soggetto della Lusiade fu nazionale, e di più moderno. Egli non poteva esser più felice quanto al produrre quel primo interesse di cui ragioniamo. {+Il soggetto dell'Enriade è affatto nazionale e la memoria di quell'Eroe era particolarmente cara ai francesi, onde la scelta dell'argomento in genere fu molto giudiziosa, massime ch'e' non era nè troppo antico nè troppo moderno, anzi quasi forse a quella stessa o poco diversa distanza a cui fu la guerra troiana da' tempi d'Omero.} Il soggetto e l'  3127 eroe della Gerusalemme furono anche più che nazionali, e quindi anche più degni; e furono attissimi ad interessare. Dico più che nazionali, perchè non appartennero a una nazione sola, ma a molte ridotte in una da una medesima opinione, da un medesimo spirito, da una medesima professione, da un medesimo interesse circa quello che fu il soggetto del Goffredo. Dico tanto più degni, perchè essendo d'interesse più generale, rendevano il poema più che nazionale, senza però renderlo d'interesse universale, il che, trattandosi di quello interesse di cui ora discorriamo, tanto sarebbe a dire quanto di niuno interesse. Dico attissimi a interessare perchè quantunque fosse spento in quel secolo il fervore delle Crociate, durava però ancora generalmente ne' Cristiani uno spirito di sensibile odio contro i Turchi, quasi contro nemici della propria lor professione, perchè in quel tempo i Cristiani, ancorchè corrottissimi ne' costumi e divisi tra loro nella fede, consideravano per anche la fede Cristiana  3128 come cosa propria, e i nemici di lei come propri nemici ciascuno; e quindi non solo con odio spirituale e per amor di Dio, ma con odio umano, con passione per così dir, carnale e sensibile, per proprio rispetto, e per inclinazione odiavano i maomettani non che il maomettanesimo. E la liberazione del sepolcro di Cristo era cosa di che allora tutti s'interessavano, siccome in questi ultimi tempi, della distruzione della pirateria Tunisina e Algerina, benchè questa e quella fossero più nel desiderio che nella speranza, o certo più desiderate che probabili: aggiunta però di più la differenza de' tempi, perocchè nel cinquecento le inclinazioni e le opinioni e i desiderii pubblici erano molto più manifesti, decisi, vivi, forti e costanti ch'e' non possono essere in questo secolo. Siccome nel 300 il Petrarca (Canz. O aspettata), così nel 500 tutti gli uomini dotti esercitavano il loro ingegno nell'esortare o con orazioni o con lettere o con poesie pubblicate per le stampe, le nazioni e i principi d'europa  3129 a deporre le differenze scambievoli e collegarsi insieme per liberar da' cani {#2. Petr. Tr. della Fama cap. 2. terzina 48.} il Sepolcro, e distruggere il nemico de' Cristiani, e vendicar le ingiurie e i danni ricevutine. Questo era in quel secolo il voto generale così delle persone colte ancorchè non dotte, come ancora, se non de' gabinetti, certo di tutti i privati politici, che in quel secolo di molta libertà della voce e della stampa, massimamente in italia, non eran pochi; {#1. Erano allora i politici privati più di numero in italia che altrove, l'opposto appunto di oggidì, perchè pure al contrario di oggidì, era in quel secolo maggiore in italia che altrove e più comune e divulgata nelle diverse classi, la coltura, e l'amor delle lettere e scienze ed erudizione per una parte (le quali cose tra noi si trattavano in lingua volgare, e tra gli altri per lo più in latino, fuorchè in ispagna), e per l'altra una turbolenta libertà fomentata dalla molteplicità e piccolezza degli Stati, che dava luogo a poter facilmente trovar sicurezza e impunità, col passare i confini e mutar soggiorno, chi aveva o violate le leggi, o troppo liberamente parlato o scritto, o offeso alcun principe o repubblica nello Stato italiano in ch'ei dapprima si trovava.} e di questo voto si faceva continuamente materia alle scritture e allusioni {digressioni} ec. e di quel progetto o sogno che vogliam dire si riscaldava l'immaginazione de' poeti e de' prosatori, e se ne traeva l'ispirazione dello scrivere. Niente meno che fosse nell'ultimo secolo della libertà della grecia fino ad Alessandro, il desiderio, il voto, il progetto di tutti i savi greci la concordia di quelle repubbliche, l'alleanza loro e la guerra contro il gran re, e contro il {barbaro} impero persiano perpetuo nemico del nome greco. E come Isocrate  3130 per conseguir questo fine s'indirizzava colle sue studiatissime ed epidittiche, {+scritte e non recitate} orazioni ora agli Ateniesi (nel Panegirico, e v. l'oraz. a Filippo, edizione sopra cit. p. 260-1.) ora a Filippo, secondo ch'ei giudicava questo o quelli più capaci di volerlo ascoltare, e più atti a concordare e pacificar la grecia e capitanarla contro i Barbari, così nel 500. lo Speroni s'indirizzava pel detto effetto con una {lavoratissima} orazione stampata {+e non recitata nè da recitarsi,} a Filippo II. di Spagna, ed altri ad altri, secondo i tempi e le occasioni. Ma tutto indarno, non come accadde ai greci, il cui voto fu adempiuto da Alessandro, mosso fra l'altre cose, come è fama (v. Eliano Var. l. 13. e ὑπόϑεσ. τοῦ πρὸς Φίλιπ. λόγου), dall'orazione appunto che Isocrate n' avea scritto a Filippo suo padre, l'uno e l'altro già morti.

[3471,1]  Mὴ μετέχοντας δὲ τῆς πολιτείας, πῶς οἷόν τε ϕιλικῶς ἔχειν πρὸς τὴν πολιτεῖαν * ; Aristot. Polit. l. 2. ed. Victor. Flor. 1576. ap. Juntas, p. 131. (19. Sett. 1823.).

[3855,1]  Tra le cagioni del mancar noi (e così gli spagnuoli) di lingua e letteratura moderna propria, si dee porre, e per prima di tutte, la nullità politica e militare in cui è caduta l'italia non men che la Spagna dal 600 in poi, epoca appunto da cui incomincia la decadenza ed estinzione delle lingue e letterature proprie in italia e in ispagna. Questa nullità si può considerare e come una delle cagioni del detto effetto, e come la cagione assoluta di esso. Come una delle cagioni, perocchè se noi manchiamo oggi affatto di voci moderne proprie italiane e spagnuole, politiche e militari, ciò viene perchè gl'italiani e spagnuoli non hanno più, dal 600 in poi, nè affari politici propri, nè milizia propria. Fino dall'estinzione dell'imperio romano, l'italia è stata serva, perchè divisa; ma sino a tutto il 500 la milizia italiana propria ha esistito, e le corti e repubbliche italiane hanno operato da se, benchè piccole e deboli. Il governo era in mano d'italiani, le dinastie erano italiane in assai maggior numero che poi non furono  3856 ed or non sono. Influiti e dominati da' governi e dagli eserciti stranieri, i governi e gli eserciti italiani, chè tali essi erano ancora, agivano tuttavia essi medesimi, ed avevano affari. Essi erano che si davano agli stranieri, quando a questo, quando a quello, che li chiamavano, che gli scacciavano, o contribuivano a ciò fare, che si alleavano cogli stranieri, o contro di loro, con altri stranieri, o con altri italiani, contro altri italiani, o a favore. L'amicizia de' governi italiani, ancorchè piccolissimi, delle stesse singolari città, era considerata e ricercata dagli stranieri, e la nemicizia temuta; e in qualunque modo i governi e le città italiane erano allora nemiche o amiche di questa o quella straniera potenza. Gl'italiani agivano per se presso o nelle corti straniere, e gli stranieri presso gl'italiani. {+V. p. 3887.} Quindi è che noi avevamo allora a dovizia voci politiche e militari; più a dovizia ancora delle altre nazioni, perchè la politica e il militare, ridotti ad arte e scienza tra noi, non lo erano presso gli altri. Negli storici, negli scrittori tecnici di politica o di milizia, o d'altre materie appartenenti, e generalmente negli scrittori italiani avanti il seicento, non troverete mai difficoltà veruna di esprimersi in checchessia che spetti agli affari pubblici, economia pubblica, diplomatica, negoziazioni, politica, e a qualsivoglia parte dell'arte militare; mai povertà; {e} mai li vedrete ricorrere a voci straniere, o che possano pur sospettarsi tali: al contrario li vedrete franchissimi  3857 nell'espressione di tali materie, anzi ricchissimi e abbondantissimi, esattissimi, provvisti di termini per ciascuna cosa e parte di essa, ed anche di più termini per ciascuna, voci tutte italianissime e tanto italiane quanto or sono francesi quelle di cui i francesi e noi ed anche altri in tali materie si servono; e queste voci e questi termini ben si vede che non erano inventati da quegli scrittori, nè debbonsi al loro ingegno, ma all'uso della favella italiana d'allora, e che erano fra noi (come anche fuori non poche[pochi]) comunissimi, notissimi, e di significato ben certo e determinato. La più parte di questi, dal 600. in poi, perduti nell'uso del favellare, {lo furono e lo sono} conseguentemente nelle scritture, di modo che le stesse cose ancora, che noi a que' tempi con parole italianissime, e con più parole eziandio, chiarissimamente e notissimamente esprimevamo, or non le sappiamo esprimere che con voci straniere affatto, o se queste ci mancano, e son troppo straniere per potersi introdurre, o non furono ancora introdotte, non possiamo esprimer quelle cose in verun modo. Moltissime di quelle voci, usandole, sarebbero intese fra noi anche oggidì nel lor proprio e perfetto senso, come allora, e non farebbero oscurità. Ma moltissime, sostituite alle straniere che or s'usano, riuscirebbero oscure, parte per la nuova assuefazione fatta a queste altre voci, perchè[parte] perchè il loro senso non sarebbe più inteso così determinatamente come  3858 allora. E il simile dico di molte voci con cui potremmo esprimer cose per cui non abbiamo nemmen voci straniere, o che a questi pur manchino, o che tra noi non sieno state ancora introdotte. Moltissime voci militari, civili e politiche sì del nostro 300, sì dello stesso 500, benchè significative di cose or notissime e comunissime, son tali che noi ora, leggendole negli antichi, o non le intendiamo, o non senza studio, o non avvertiamo, almen senza molta acutezza e attenzione, {o imperfettamente} la loro corrispondenza con quelle che oggi ne' medesimi casi comunemente usiamo. Altresì ci accade {non di rado} tale incertezza nelle voci significative di cose, or non più comuni, e spesso in queste ci accade più che nell'altre. Ecco come, mancati gli affari politici e la milizia in italia, la nostra nazione non ha nè può avere, nè ebbe dal 600 in poi, lingua moderna propria per significar le cose politiche e militari, non ch'ella mai non l'abbia avuta, anzi l'ebbe, ma l'ha perduta, o non l'ha se non antica. E nello stesso modo proporzionatamente e ragguagliatamente discorrasi della Spagna.

[4031,1]   4031 Certo le condizioni sociali e i governi e ogni sorta di circostanze della vita influiscono sommamente e modificano il carattere e i costumi delle varie nazioni, anche contro quello che porterebbe il rispettivo loro clima e l'altre circostanze naturali, ma in tal caso quello stato o non è durevole, o debole, o cattivo, o poco contrario al clima, o poco esteso nella nazione, o ec. ec. E generalmente si vede che i principali caratteri o costumi nazionali, anche quando paiono non aver niente a fare col clima, o ne derivano, o quando anche non ne derivino, e vengano da cagioni affatto diverse, pur corrispondono mirabilmente alla qualità d'esso clima o dell'altre condizioni naturali d'essa nazione o popolo o cittadinanza ec. Per es. io non dirò che il modo della vita sociale rispetto alla conversazione e all'altre infinite cose che da questa dipendono o sono influite, proceda assolutamente e sia determinato nelle varie nazioni d'europa dal loro clima, ma certo ne' vari modi tenuti da ciascuna, e propri di ciascuna quasi fin da quando furono ridotte a precisa civiltà e distinta forma nazionale, ovvero da più o men tempo, si scopre una curiosissima conformità {generale} col rispettivo clima in generale considerato. Il clima d'italia e di Spagna è clima da passeggiate e massime nelle lor parti più meridionali. Ora queste nazioni non hanno conversazione affatto, nè se ne dilettano: e quel poco che ve n'è in italia, è nella sua parte più settentrionale, in Lombardia, dove certo si conversa assai più che in Toscana, a Napoli, nel Marchegiano, in Romagna, dove si villeggia  4032 e si fanno tuttodì partite di piacere, ma non di conversazione, e si chiacchiera assai, e si donneggia assaissimo, ma non si conversa; in Roma ec. Il clima d'Inghilterra e di Germania chiude gli uomini in casa propria, quindi è loro nazionale e caratteristica la vita domestica, con tutte l'altre infinite qualità di carattere e di costume e di opinione, che nascono o sono modificate da tale abitudine. Pur vi si conversa più assai che in italia e Spagna (che son l'eccesso contrario alla conversazione) perchè il clima è per tale sua natura meno nemico alla conversazione, poichè obbligandoli a vivere il più del tempo sotto tetto e privandoli de' piaceri della natura, ispira loro il desiderio di stare insieme, per supplire a quelli, e riparare al vôto del tempo ec. Il clima della Francia ch'è il centro della conversazione e la cui vita e carattere e costumi e opinioni è tutto conversazione, tiene appunto il mezzo tra quelli d'Italia e Spagna, Inghilterra e Germania, non vietando il sortire, {e il trasferirsi da luogo a luogo,} e rendendo aggradevole il soggiornare al coperto: siccome la vita d'Inghilterra e Germania tiene appunto il mezzo, massime {in quest'ultimi tempi,} per rispetto alla conversazione, tra la vita d'Italia e Spagna e quella di Francia, e così il carattere ec. che ne dipende. E già in mille altre cose la Francia, siccome il suo clima, tiene il mezzo fra' meridionali e settentrionali, del che altrove in più luoghi pp. 1045-46 pp. 2989-90. Non parlo delle meno estrinseche e più spirituali influenze del clima sulla complessione e abitudine del corpo e dello spirito, {+anche fin dalla nascita,} che pur grandissimamente  4033 contribuiscono a cagionare e determinare la varietà che si vede nella vita delle nazioni, popolazioni, individui tutti partecipi (come son oggi) di una stessa sorta di civiltà, circa il genio e l'uso della conversazione. (15. Feb. 1824.).

[4053,3]  La galanteria degli antichi italiani può esser dimostrata dall'etimologia del nome generico di donna, etimologia che in nessun'altra lingua cred'io, nè moderna nè antica si troverà nel corrispondente nome. (24. Marzo. Vigilia della SS. Annunziata. 1824.). {{V. p. 4067.}}

[4261,2]  Tutti siamo naturalmente inclinati a stimar noi medesimi uguali a chi ci è superiore, superiori agli uguali, maggiori di ogni comparazione cogl'inferiori; in somma ad innalzare il merito proprio sopra {quel degli altri fuor di modo e ragione.} Questo è natura universale, e vien da una sorgente comune a tutti. Ma un'altra sorgente d'orgoglio {e di disistima altrui,} sconosciuta affatto a noi; divenuta, per l'assuefazione incominciata sin dall'infanzia, naturale e propria; è ai Francesi e agl'Inglesi la stima della propria nazione. Tant'è: il più umano e ben educato e spregiudicato francese o inglese, non può mai far che trovandosi con forestieri, non si creda cordialmente e sinceramente di trovarsi con un inferiore a se (qualunque si sieno le altre circostanze); che non disprezzi più o meno le altre nazioni prese in grosso; e che in qualche modo, più o meno, non dimostri {esteriormente} questa sua opinione di superiorità. Questa è una molla, una fonte {ben distinta} di orgoglio, e di stima di se in pregiudizio o abbassamento d'altrui, della quale niun altro fra i popoli civili, se non gli uomini delle dette nazioni, possono avere o formarsi una giusta idea. I Tedeschi che potrebbero con altrettanto diritto aver lo stesso sentimento, ne sono impediti dalla lor divisione, dal non esserci nazion tedesca. I Russi sentono di esser mezzo barbari; gli Svedesi, i Danesi, gli Olandesi, di essere troppo piccoli, e di poter poco. Gli Spagnuoli del tempo di Carlo quinto e di Filippo secondo, ebbero certamente questo sentimento, come veggiamo dalle storie, niente meno che i francesi e gl'inglesi di oggidì, e con diritto uguale; forse, senza diritto alcuno, l'hanno anche oggi; e così i Portoghesi: ma chi pone oggi in conto gli Spagnuoli e i Portoghesi, parlando di popoli civili? Gl'italiani forse l'ebbero (e par veramente di sì) nei secoli 15.o e 16.o e parte del precedente e del susseguente; per conto della lor civiltà, che essi ben conoscevano, e gli altri riconoscevano, esser superiore a quella di tutto il resto d'europa. Degl'italiani d'oggi non parlo; non so ben se ve n'abbia.

[4265,1]  Noi italiani siamo derisi per le nostre cerimonie e i nostri titoli (che noi abbiamo avuti dagli spagnuoli) {+specialmente dai francesi, che hanno fama d'essere in ciò i più disinvolti.} Frattanto noi non abbiamo il costume che hanno i francesi, che il Monsieur sia, per così dire, inseparabile da tutti i nomi di persone; che gli autori lo aggiungano al lor nome proprio nei {frontespizi} delle loro opere; che esso vi si conservi perpetuamente, o vi sia posto, anche quando gli autori son morti; e simili. (Recanati. 29. Marzo. 1827.).

[4267,2]  Quegli tra gli stranieri che più onorano l'italia della loro stima, che sono quei che la riguardano come terra classica, non considerano l'italia presente, cioè noi italiani moderni e viventi, se non come tanti custodi di un museo, di un gabinetto e simili; e ci hanno quella stima che si suole avere a questo genere di persone; quella che noi abbiamo in Roma agli usufruttuarii, per così dire, delle diverse antichità, luoghi, ruine, musei ec. (31. Marzo. 1827.)

[2923,1]   2923 Gl'italiani non hanno costumi: essi hanno delle usanze. Così tutti i popoli civili che non sono nazioni. (9. Luglio. 1823.).

[3546,1]  In una città piccola, massime dove sia poca conversazione, non essendo determinato il tuono della società, {+(neppur un tuono proprio particolarmente d'essa città, qual sempre sarebbe in una città piccola, quando veggiamo che anche le grandi hanno sempre notabilissime nuances di tuono lor proprio, e differenze da quello dell'altre, anche dentro una stessa nazione)} ciascun fa tuono da se, e la maniera di ciascuno, qual ch'ella sia, è tollerata e giudicata per buona e conveniente. Così a proporzione in una nazione, dove non v'abbia se non pochissima società, come in italia. Il tuono sociale di questa nazione non esiste: ciascuno ha il suo. Infatti non v'è tuono di società che possa dirsi italiano. Ciascuno italiano ha la sua maniera di conversare, o naturale, o imparata dagli stranieri, o comunque acquistata. Laddove in una nazione socievole, e così a proporzione in una città grande, non è, non solo stimato, ma neppur tollerato, chi non si  3547 conforma alla maniera comune di trattare, e chi non ha il tuono degli altri, perchè questa maniera comune esiste, e il tuono di società è determinato, più o meno strettamente, e non è lecito uscirne senza esser messo, nella società ec., fuor della legge, e considerato come da men degli altri, perchè dagli altri diverso, diverso dai più. (28. Sett. 1823.).

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