Dialetti greci.
Greek dialects.
961,1 2060,1 2122,1 2126,1 2180,2 2811,2 3011-4 3041,1 3921,13931,1 3964,3 4009,3 4030,10 4147,6[961,1]
961
Alla p. 786. E
prima della potenza Ateniese e degl'incrementi di quella repubblica, essendo il
dialetto ionico il più copioso, come pare, di tutti gli altri nello stato
d'allora, per lo molto commercio della nazione o nazioni e repubbliche che
l'usavano, prevalse il dialetto ionico nella letteratura greca, usato da Omero, {da Ecateo Milesio istorico
antichissimo, ed anteriore ad Erodoto che molto prese da lui} da Erodoto, da Ippocrate, da Democrito e da
molti altri di gran fama. Così che Giordani crede (B. Ital. vol. 2. p. 20.) che Empedocle
*
(il quale parimente scrisse
in quel dialetto) lasciasse di adoperare il
dialetto
*
(dorico) della sua patria e della
sua scuola
*
(Pitagorica) non perchè fosse o
più difficile o meno gradito ai greci, ma perchè vedesse più frequentato
fuori della grecia l'ionico, al quale Omero, Erodoto e Ippocrate avevano acquistata più universale
celebrità.
*
Di maniera che ancor dopo prevaluto l'attico si
seguitò da alcuni a scrivere ionico, non come dialetto proprio, ma come vezzo, e
quasi in memoria della sua antica fama. Come fece Arriano, il quale continuò {i 7
libri della} Impresa di
Alessandro scritti in puro attico, colla storia indiana, o
libro delle cose indiane scritto in dialetto ionico, per puro capriccio. Ora
questo dialetto ionico tutti sanno qual sia presso Omero, cioè una mescolanza di tutti i dialetti, {e di voci estere,} solamente {prevalendo} lo ionico, ed Ermogene
περὶ
ἰδεῶν lib. II. p. 513.
notat Hecatęum Milesium a quo plurima accepit
Herodotus (notante
etiam Porphyr. ap. Eus. l. 10.
pręp. c. 2. p. 466.) usum ἀκράτῳ ᾽Iάδι, Herodotum
ποικίλῃ.
*
(Fabric.
B. G. II. c. 20. §. 2. t. I. 697. nota
K.)
{+cioè l'uno del
dialetto ionico puro, l'altro del dialetto
ionico variato o misto.} E contuttociò Erodoto è chiamato
962 dal suo
concittadino Dionigi d'Alicarnasso
(Epist. ad
Cneium Pompeium p. 130.
Fabric.) ᾽Iάδος ἄριστος κανών
*
. (20. Aprile. Venerdì Santo.
1821.)
[2060,1] La lingua greca {a' suoi buoni
tempi} fu anch'ella molto usata nel foro, nelle concioni, ne' consigli
degli ottimati, ma oltrechè le circostanze de' tempi, e lo spirito, era ben
diverso da quello de' tempi moderni, e di quei medesimi in cui fu formata la
latina, e perciò le stesse cagioni non producevano allora gli stessi effetti; la
lingua greca dovea necessariamente anche rispetto a questi usi esser tanto
varia, quanto moltiplici erano le repubbliche in cui la
grecia era divisa, e moltiplici le patrie degli
oratori. La grecia era composta come di moltissimi
reggimenti, {+(giacchè ogni città era una
repubblica)} così di moltissime lingue, e l'uso {pubblico} di queste non poteva nuocere alla varietà nè introdurre
l'uniformità e la schiavitù, essendo esso stesso necessariamente vario, e non
potendo essere uniforme. La grecia non aveva una
capitale. Non aveva neppure
2061 molto stretto uso di
società, se non in Atene. E in
Atene infatti per quel tal uso che v'era di polita
società, per innalzarsi quella città sopra le altre in materia di gusto, di
coltura, di arti, ec. la lingua greca fu più formata, più stabilita, meno libera
che altrove, nonostante la diversità de' forestieri che accorrevano a quella
città, la sua situazione marittima, il suo commercio, la sua ϑαλασσοκρατία. E
quando i gramatici cominciarono a ridurre ad arte la lingua greca, e quando
nella lingua greca si cominciò a sentire il non si può, e gli scrupoli ec. tutto questo fu in relazione alla
lingua attica. Ma i diversi dialetti greci, tutti riconosciuti per legittimi,
dopo essere stati adoperati o interamente o in parte da grandi scrittori; lo
stesso costume della lingua attica notato da Senofonte; il carattere sostanziale finalmente
2062 della lingua greca, già da tanto tempo formata ed anteriore assai
alla superiorità di Atene, preservarono la lingua greca
dalla servitù. Ed in quanto la lingua attica prevalse, in quanto i filologi
incominciarono a notare e a condannare negli scritti contemporanei quello che
non era attico, in tanto la lingua greca perdette senza fallo della sua libertà.
Ma ciò fu fatto assai lassamente, e mancò ben assai perchè i più caldi fautori
dell'atticismo, {o gli stessi ateniesi (che si servivano
volentierissimo delle parole ec. forestiere, quando avevano bisogno, e anche
senza ciò)} arrivassero alla superstizione, o alla {minuta} tirannia de' nostri fautori del toscanismo. {+(Bisogna notare che il purismo era appunto allora
nascente nel mondo per la prima volta)}
[2122,1] L'italia non ha capitale.
Quindi il centro della lingua italiana si considera
Firenze, come già si considerò la
Sicilia. In tutte le monarchie la buona e vera lingua
nazionale risiede nella Capitale, (Parigi,
Madrid, o Castiglia,
Londra; {ec.}) più o meno
notabilmente secondo la grandezza, l'influenza, la società di essa capitale, e
lo spirito e gli ordini politici e sociali della nazione.
[2126,1] La gran libertà, varietà, ricchezza della lingua
greca, ed italiana, (siccome oggi della tedesca) qualità proprie del loro
carattere, oltre le altre cagioni assegnatene altrove pp. 2060-65 , riconosce come una delle
principali cause la circostanza contraria a quella che produsse le qualità
contrarie nella lingua latina e francese; cioè la mancanza di capitale, di
società nazionale, di unità politica, e di un centro di costumi, opinioni,
2127 spirito, letteratura e lingua nazionale. Omero e Dante (massime Dante) fecero
espressa professione di non volere restringere la lingua a veruna o città o
provincia d'italia, e per lingua cortigiana l'Alighieri, dichiarandosi di adottarla,
intese una lingua altrettanto varia, quante erano le corti e le repubbliche e
governi d'italia in que' tempi. Simile fu il caso d'Omero e della
Grecia a' suoi tempi e poi. Simile è quello
dell'italia anche oggi, e simile è stato da Dante in qua. Simile pertanto dev'essere
assolutamente la massima fondamentale d'ogni vero filosofo linguista italiano,
come lo è fra' tedeschi. (19. Nov. 1821.).
[2180,2] Anche dopo introdotto in
Grecia lo studio dell'atticismo ec. l'essere o non
essere ateniese di nascita o allevato in Atene, non fu
mai prevenzione per giudicare favorevolmente o sfavorevolmente di uno scrittore
neppur quanto alla purità della lingua; almeno non lo fu tanto quanto rispetto
alla toscaneria o fiorentineria nel 500 (e anche oggi), e nell'opinione degli
2181 Accademici della Crusca circa il giudicar
classici o non classici di lingua gli scrittori altronde esimi e famosi (anche
in genere di stile); siccome neppure fu stimato vizio lo scrivere espressamente
in altro dialetto (non solo il mescolare all'atticismo parole o modi ec.
forestieri, o il ridurre l'atticismo a nient'altro che dialetto comune, e
formato di tutto ciò ch'era proprio de' diversi paesi greci), come fece Arriano nell'indica, {+e forse anche in altre opere, v. p. 2231.}
Ecateo Milesio (ma
molto prima) ec. Anzi Atene dopo prevaluto nella
grecia l'atticismo, ebbe appresso a poco la sorte di
Firenze, cioè non produsse nulla di buono, nel che
v. un passo di Cicerone
in una nota al Dial. del Capro, nella Proposta del Monti, voce Becco.- ec. ec. (28. Nov.
1821.).
[2811,2]
Institutum autem
eius
*
(Moeridis in ᾽Aττικιστῇ) est annotare
et inter se conferre voces quibus Attici, et quibus Graeci in aliis
dialectis, maxime illa κοινῇ utebantur: interdum notat et κοινὸν vulgi,
illudque diversum facit non modo ab Attico sed etiam ἑλληνικῷ, ut in
ἐξίλλειν, εὐϕήμει, κάϑησο, λέμμα, οἰδίπουν, οἶσε, σχέατον.
*
Fabric.
B. G. edit. vet. l. 5. c. 38. §. 9. num.
157. vol. 9 p. 420. (23. Giugno. 1823.).
[3010,1] Or questa diversa e poetica inflessione e pronunzia
de' vocaboli correnti, che altro è per l'ordinario, se non inflessione e
pronunzia antica, usitata dagli antichi prosatori, nell'antico discorso, ed ora
andata in disuso nella prosa e nel parlar familiare? di modo che quelle parole
così pronunziate e scritte non altro sono veramente che parole antiche e
arcaismi, in quanto così sono scritte e pronunziate? nè altro è ordinariamente
dire inflessioni, licenze, voci poetiche se non arcaismi? Vedi in questo proposito una bella
riflessione di Perticari, Apologia, Capo 14. fine p.
131-2. Certo questa diversità d'inflessione per la più parte non è se
3011 non quello ch'io dico: così ne' poeti greci,
così ne' latini (più schivi però dell'antico, e quindi il loro linguaggio
poetico è assai meno distinto dalla lor prosa quanto a' vocaboli, che il greco),
così negl'italiani. Perocchè non è da credere che {la
inflession d'}una voce sia stimata, e quindi veramente sia, più
elegante o per la prosa o pel verso, perchè e quanto ella è più conforme
all'etimologia, ma solamente perchè e quanto ella è meno trita dall'uso
familiare, essendo però bene intesa e non riuscendo ricercata. (Anzi bene spesso
è trivialissima l'inflessione regolare ed etimologica, ed elegantissima e tutta
poetica la medesima voce storpiata, come dichiaro in altro luogo pp.
2075-76). E questo non esser trita, nè anche ricercata, ma pur bene
intesa, come può accadere a una voce, o ad una cotale inflessione della
medesima? Il pigliarla da un particolar dialetto {o
l'infletterla secondo questo} fa ch'ella non riesca trita
all'universale, ma difficilmente può far ch'ella e non paia ricercata e sia bene
intesa da tutti. {+Oltre ch'ella riesce
anche trita a quella parte della nazione di cui quel dialetto è
proprio.} In verità i dialetti particolari sono scarso sussidio e
fonte al linguaggio poetico, e all'eleganza qualunque. Lo vediamo noi italiani
in Dante, dove le
3012 le voci e inflessioni veramente proprie di dialetti particolari
d'italia fanno molto mala riuscita, nè la poesia
nostra, nè verun savio tra' nostri o poeti o prosatori ha mai voluto imitar Dante nell'uso de' dialetti, non solo
generalmente, ma neppure in ordine a quelle medesime voci e pronunzie o
inflessioni da lui adoperate. Circa l'uso e mescolanza de' dialetti greci nella
inflessione delle parole appresso Omero,
non volendo rinnovare le infinite discussioni già fatte da tanti e tanti in
questo proposito, solamente dirò che o le circostanze della
Grecia e d'Omero erano diverse da quelle che noi possiamo considerare, e quindi
per l'antichità ed oscurità della materia non potendo nulla giudicarne di certo
e di chiaro, niuno argomento ne possiamo dedurre; ovvero (e così penso) quelle
inflessioni che in Omero s'attribuiscono
a' dialetti, e da' dialetti si stima che Omero le prendesse, {o tutte o gran parte}
erano in verità proprie della lingua greca comune del suo tempo, o d'una lingua,
o vogliamo dir d'un uso più
3013 antico ancora di lui;
dalla qual lingua comune, o {{fosse}} più antica, o
allora usitata, Omero tolse quelle
inflessioni ch'egli si stima aver pigliato da questo e da quel dialetto
indifferentemente e confusamente. Non volendo ammetter nulla di questo, dirò che
in Omero la mescolanza de' dialetti dovè
riuscir così male come in Dante. Circa i
poeti greci posteriori, i quali tutti (fuor di quelli che scrissero in dialetti
privati, come Saffo, Teocrito ec.) seguirono interamente Omero, come in ogni altra cosa, così
nella lingua, e da lui tolsero quanto il loro linguaggio ha di poetico, cioè della sua lingua
formarono quella che si chiama dialetto poetico greco, ossia linguaggio poetico
comune, la questione non è difficile a sciogliere. Perocchè quelle inflessioni
ch'essi adoperavano, benchè proprie di particolari dialetti, essi non le
toglievano da' dialetti ma dal dialetto o linguaggio Omerico, di modo ch'elle
riuscivano eleganti e poetiche, non in quanto proprie di privati dialetti, ma in
quanto antiche ed Omeriche; ed erano bene intese
3014
dall'universale della nazione, nè parevano ricercate perchè tutta la nazione
benchè non usasse familiarmente nè in iscrittura prosaica le inflessioni e voci
Omeriche, le conosceva però e v'aveva l'orecchio assuefatto per lo gran
divulgamento de' versi d'Omero cantati
da' rapsodi per le piazze e le taverne, e saputi a memoria fino da' fanciulli.
{#1. V. p. 3041.}
Il che non accadde a' poemi di Dante, il
quale non fu mai in italia neppur poeta di scuola, come
Omero in
grecia presso i grammatisti medesimi, o certo presso i grammatici
(vedi il Laerz. del Wetstenio, tom. 2. p. 583. not. 5.); nè il dialetto o
linguaggio poetico italiano è o fu mai quello di Dante. Dico generalmente parlando, e non d'alcuni pochi
e particolari poeti, suoi decisi imitatori, come Fazio degli
Uberti, l'autore del Quadriregio
Federico Frezzi, ed alcuni
dell'ultimo secolo, come il Varano.
Neppur la lingua del Petrarca è quella
di Dante, nè da lui fu presa, nè punto
si serve de' particolari dialetti.
[3041,1]
3041
Alla p. 3014.
Io credo per certo che in qualunque modo, quelle inflessioni, voci, frasi ec.
che in Omero si credono proprie di tale
o tal altro dialetto, fossero al suo tempo per qualsivoglia cagione conosciute
ed intese da tutte le nazioni greche, o se non altro, da una tal nazione (come
forse la ionica), alla qual sola, in questo caso, egli avrà avuto in animo di
cantare e di scrivere, e avrà probabilmente cantato e scritto. Quanto agli altri
poeti, se le ragioni che ho addotte per ispiegare come, malgrado l'uso de'
dialetti, essi fossero universalmente intesi, non paressero bastanti, si osservi
che effettivamente in grecia, siccome altrove, i poeti
cessarono ben presto di cantare al popolo, (e così pur gli altri scrittori), e
il linguaggio poetico greco divenne certo inintelligibile al volgo, dal cui
idioma esso era anche più separato che non è la lingua poetica italiana dalla
volgare e familiare. Scrissero dunque i poeti per le persone colte, le quali
intendendo e studiando tuttodì e sapendo a memoria i versi d'Omero, e citandoli, parodiandoli, alludendovi a ogni
tratto
3042 nella colta conversazione e nella
scrittura, intendevano anche facilmente gli altri poeti, e il linguaggio poetico
greco, benchè composto delle proprietà di vari dialetti. Perocchè esso era tutto
Omerico, come ho detto, sia in ispecie sia in genere; cioè le inflessioni, le
frasi, le voci che lo componevano, o erano le identiche Omeriche (e tali erano
in fatti forse la più gran parte), o erano di quel tenore, di quella origine,
derivate o formate da quelle di Omero, o
tolte dai fonti e dai luoghi ond'egli le trasse, e ciò secondo i modi e le leggi
da lui seguite. Quei poeti che scrissero dopo Omero al popolo, e per il popolo composero, come i drammatici, poco o
nulla mescolarono i dialetti, e ne segue effettivamente che se talvolta il loro
stile è Omerico, come quello di Sofocle,
il loro linguaggio però non è tale. Esso è attico veramente, {+siccome fatto per gli Ateniesi,} se
non forse nei pezzi lirici, i quali anche per la natura del soggetto e del
genere, sarebbero stati poco alla portata degl'ignoranti. In effetto Frinico appresso Fozio (cod.
158.) conta fra' modelli, regole
3043 norme del puro e schietto sermone attico i tragici Eschilo, Sofocle, Euripide, e i Comici in quanto sono attici, perocchè questi talora
per ischerzo o per contraffazione mescolarono qualche cosa d'altri dialetti, e
ciò non appartiene al nostro proposito, ed alcuni tragici, forse, avendo
rispetto al gran concorso de' forestieri che d'ogni parte della
grecia accorrevano alla rappresentazione dei drammi
in Atene, non avranno avuto riguardo di usare alcuna cosa
d'altri dialetti. Ma generalmente si vede che il dialetto de' drammatici greci è
un solo. E del resto, siccome tra noi e ne' teatri di tutte le colte nazioni,
benchè la più parte dell'uditorio sia popolo, nondimeno i drammi che
s'espongono, non sono scritti nè in istile nè in lingua popolare, ma sempre
colta, e bene spesso anzi poetichissima e diversissima dalla corrente e
familiare ed eziandio dalla prosaica colta; così si deve stimare che accadesse
appresso a poco più o meno anche in grecia e in
Atene, dove i giudici de' drammi che concorrevano al
premio,
3044 non era finalmente il popolo, ma uno
scelto {e piccol} numero d'intelligenti, e dove le
persone colte fra quelle che componevano l'uditorio, erano per lo meno in tanto
numero come fra noi. {V. il Viaggio
d'Anacar. cap. 70.}
[3931,1]
3931 Al detto altrove p. 961
pp. 3012-14
pp. 3041-47 sopra i
dialetti d'Omero, e quello d'Empedocle, che benchè Dorico usò il
dialetto Ionico, aggiungi che nello stesso caso è Ippocrate, e vedi
Fabric.
B. G. edit. vet. in Hippocr. §. 1. t. 1. p. 844. lin. 4-6. e nott. i.
k.
(27. Nov. 1823.).
[3964,3] Parlo altrove p. 961
pp. 3012-14
pp. 3041-47 de' dialetti
d'Omero. Posto che il dialetto
Ionico non fosse il comune o il più comune, e perciò prescelto, l'avere Omero scritto in un dialetto piuttosto
che nella lingua comune, non prova altro se non che questa a' suoi tempi non
v'era; e il non esservi prova che non v'era ancora letteratura greca formata,
perchè nè questa poteva esservi senza quella, e la mancanza di lingua comune è
segno certo ed effetto non d'altro che della mancanza di letteratura nazionale o
della sua infanzia, poca diffusione ec. Similmente dico di {#2. Democrito
ec. Ctesia è più moderno, ma forse
anteriore al pieno della letteratura ateniese ec}
Erodoto
{#1. V. p. 3982.} e degli altri che ne' più antichi tempi
scrissero ne' dialetti loro nativi e non in lingua comune. Del resto se Omero usò {e
mescolò} anche gli altri dialetti più di quello che poi fosse fatto
dagli altri scrittori greci, anche poeti, prevalendo però in lui l'ionico; il
simile fece Dante, che
3965 usò e mescolò i dialetti
d'italia molto più che poi gli altri, anche poeti, e
a lui vicini, non fecero, e che oggi niuno farebbe, perchè v'è lingua comune, e
questa certa e formata e determinata, e tutto ciò principalmente a causa della
letteratura. Se poi alcuni, come Empedocle e Ippocrate, non
essendo ioni ec., scrissero nell'ionico, {V. p. 3982.} ciò fu
perchè Omero l'aveva usato e fatto
famoso e atto alla scrittura, e creduto solo o principalmente capace di essere
scritto, nel modo stesso che poi l'abbondanza degli scrittori ateniesi, maggiore
che quella degli altri, rese comune, e per sempre, il dialetto attico, o una
lingua partecipante massimamente dell'attico, e lo ridusse ad essere il greco
propriamente detto sì nell'uso dello scrivere, sì in quello del parlare, massime
delle persone colte; e nel modo stesso che in italia per
simil cagione è avvenuto rispetto al toscano, mentre prima, come in
grecia l'ionico invece dell'attico, così in
italia si era fatto comune ec. non il toscano, ma il
siculo ec. per la coltura di quella corte e poeti ec. e loro abbondanza
preponderante ec. {Del resto l'uso
dell'ionico fatto anticamente dagli non ionici prova con certezza che il
ionico o era il greco comune, o il più comune, o il solo o il più applicato
e quindi atto alla letteratura e al dir colto ec. o il più famoso ec. v. p. 3991.} Onde molto
s'ingannano, secondo me, quelli sì antichi (v. i luoghi citati alla pagina 3931.) sì moderni (che sono,
io credo, non pochi) i quali riconoscono l'uso o preponderanza del dialetto
ionico in Omero, in Ippocrate ec. e nelle scritture dell'antica
grecia da questo, che il dialetto ionico, secondo
loro, o almen quello di detti scrittori {+quale egli si è} ec. era l'antico dialetto attico, e usato dagli
ateniesi. Il che, se non hanno altri argomenti per provarlo, certamente non è
provato dall'uso di quegli scrittori, poichè che diritto e che mezzo aveva
allora il dialetto ateniese per esser preferito agli altri nelle scritture? Essi
cadono nel solito errore,
3966 sì comune per sì lungo
tempo (e fin oggi) in italia, anche fra' più dotti e
imparziali, circa il dialetto toscano, cioè di credere che l'attico prevalesse
agli altri dialetti per se (mentre niun dialetto prevale per se, giacchè quanto
all'ordine, forma ec. esso non l'ha prima della letteratura, quanto alla
bellezza del suono materiale ec. questo è un sogno, perchè a tutti i popoli
{+e parti di essi} è più bello
degli altri suoni quello che gli è dettato dalla natura, e quindi quello del
dialetto nativo, e imparato nella fanciullezza ec.), e non per causa della
preponderante letteratura e scrittori attici, la qual causa a' tempi d'Omero ec. non esisteva, anzi
Atene non aveva, che si sappia, scrittore alcuno, non
che n'abbondasse particolarmente ec. Neanche era potente, nè commerciante, nè
che si sappia, assai culta, o più culta degli altri, seppure aveva coltura
alcuna notabile. Bensì lo erano gl'ioni ec. e questo appunto produsse o fece
possibile un Omero ec. Se poi hanno
altre prove della detta proposizione, certo ragionano a rovescio pigliando per
effetto la causa, e per causa l'effetto. Poichè se quello fu allora il dialetto
attico, ciò venne appunto perch'esso aveva avuto scrittori e letteratura, e così
fattosi comune ec., ovvero a causa del commercio {+e potenza} e della coltura degl'ioni, alla qual
coltura non avrà poco contribuito la stessa letteratura che n'aveva avuto
origine ec. Del resto gli attici erano molto facili ad adottare le voci e modi
greci stranieri, e anche i barbari, almeno ne' tempi susseguenti; e lo dice Senofonte in un luogo da me citato e discusso altrove
p.
741
pp.
785-86
pp. 793. (9. Dec. 1823. Vigilia della Venuta della Santa Casa
di Loreto.)
[4009,3] Diminutivi greci positivati. οἰκίον per οἶκος ed
οἰκία. Notisi ch'egli è antichissimo, perchè proprio di Omero. O forse degl'ioni, massime antichi. Arriano imitatore di questi l'usa nell'Indica 29. 16, 30. 9.
Lo Scap. non cita che Omero. È positivato anche presso Arriano. (7. Gen. 1824.). Lo stesso discorso o
dell'antichità o del dialetto ionico, massime antico, si può fare intorno al
diminutivo positivato προβάτιον, ch'è d'Ippocrate, o di chi altro è l'autore del libro ec., e di cui altrove
p.
4002. La quale osservazione unita con questa della voce οἰκίον, e
coll'altre che si potranno fare, può dar luogo a buone conghietture circa l'uso
de' diminutivi positivati nell'antico greco o ionico ec. (7. Gen.
1824.) πλημμυρίς ίδος. ϕυκίον. (7. Gen. 1824.).
[4030,10] Neanche ad Erodoto par che fosse nativo il dialetto ionico (a proposito del
detto altrove pp. 961-62), a quanto osservo nella nota del Palmerio al principio dell'Herodotus sive Aetion di Luciano.
(15. Febbraio. 1824.).
[4147,6]
Posidippe, rival de Ménandre, reproche aux Athéniens comme une
grande incivilité leur affectation de considérer l'accent et le langage
d'Athènes comme le seul qu'il soit permis
d'avoir et de parler, et de reprendre ou de tourner en ridicule les
étrangers qui y manquoient. L'atticisme, dit-il à cette occasion, dans
un fragment cité par ce Dicéarque, ami de Théophraste, dont j'ai parlé plus haut
*
(credo, nei
Geografi greci minori si trova il pezzo di Dicearco), {V. Creuzer,
Meletemata, dov'è il framm. di Dicearco.}
est le
langage d'une des villes de la Grèce;
l'hellénisme celui des autres.
*
I. G. Schweighæuser, note 24.
sur le Discours de La Bruyere sur
Théophraste. Les Caractères de Théophraste,
traduits par La Bruyere,
avec des additions et des notes nouvelles par I. G. Schweighæuser.
ParisRenouard. 1816. tome 3.e des œuvres
de La Bruyere, p.
LIII-IV.
(Bologna. 26. Ottob. 1825.).
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