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16. Marzo 1821.

[785,1]  Tutto quello che ho detto della derivazione di nuove parole o modi ec. dalle proprie radici, o dei nuovi usi delle parole o modi già correnti, lo voglio estendere anche alle nuove radici, non già straniere, non già prese dalle lingue madri, ma italiane, e non già d'invenzione dello scrittore, ma venute in uso nel linguaggio della nazione, o anche nelle scritture anche più rozze ed impure, purchè quelle tali radici abbiano le condizioni dette di sopra in ordine ai nuovi derivati ec. E queste nuove radici possono esser nuove in due sensi, o nuove nella scrittura, ma antiche nell'uso quotidiano; o nuove ancora in questo. {V. p. 800. fine.} Qui non voglio entrare nelle antichissime quistioni, qual popolo d'italia, qual classe ec. abbia diritto di somministrar nuovi incrementi alla lingua degli scrittori. Osserverò solamente 1. quel luogo di Senofonte circa la lingua attica che ho citato p. 741. in marg. notando che la grecia si trovava appunto nella circostanza dell'italia per la varietà dei dialetti, e che quello che prevalse  786 fu quello che tutti gli abbracciò (come dice quivi Senofonte) cioè l'attico, come quello che fra noi si chiama propriamente italiano. Giacchè c'è gran differenza tra quell'attico usitato da' buoni scrittori greci, divulgato per tutto, quello di cui parla Senofonte ec. ec. e l'attico proprio. Nello stesso modo fra il toscano proprio, e il toscano sinonimo d'italiano. {V. p. 961. capoverso 1.} 2. Che senza entrare in discussioni è ben facile il distinguere (almeno agli uomini giudiziosi, perchè già senza buon giudizio non si scriverà mai bene per nessun verso) se una parola usitata in questa o quella parte d'italia, non però ammessa ancora o nelle scritture o nel vocabolario, ec. abbia le dette condizioni, cioè sia chiara, facile, inaffettata, di sapore di suono di forma italiana. (Giacchè di origine italiana, è sempre ch'ella è usata in italia da molti, purchè non sia manifestamente straniera, e questo di recente venuta; mentre infinite sono le antiche parole straniere domiciliate, e fatte cittadine della nostra lingua.). In questo caso qualunque sia la parte d'italia che la usa, una voce, una frase qualsivoglia sarà sempre  787 italiana, e salva quanto alla purità, restando che per usarla nelle scritture si considerino le altre qualità necessarie {oltre la purità} ad una voce o frase per essere ammessa nelle scritture, e in questo o quel genere di scrittura, in questa o quella occasione ec. 3. Che tutte le lingue crescono in questo modo, cioè coll'accogliere, e porre nel loro tesoro le nuove voci create dall'uso della nazione; e che come quest'uso è sempre fecondo, così le porte della scrittura e della cittadinanza, sono sempre aperte, per diritto naturale, a' suoi novelli parti, in tutte le lingue, fuorchè nella nostra, secondo i pedanti. E questa è una delle massime, e più naturali e legittime e ragionevoli fonti, della novità, e degl'incrementi necessari della favella. Perchè cogl'incrementi delle cognizioni, e col successivo variar degli usi, opinioni, idee, circostanze intrinseche o estrinseche ec. ec. crescono le parole {e il tesoro della lingua} nell'uso quotidiano, e da quest'uso debbono passare nella scrittura, se questa ha da parlare ai contemporanei, e da contemporanea, e delle cose del tempo ec. Così cresce ogni momento di parole proprissime e francesissime  788 la lingua francese, mediante quel fervore e quella continua vita di società e di conversazione, che non lascia esser cosa bisognosa di nome, senza nominarla; massime se appartiene all'uso del viver civile, o alle comuni cognizioni della parte colta della nazione: e per l'altra parte mediante quella debita e necessaria libertà, che non fa loro riguardare come illecita una parola in ogni altro riguardo buona, e francese, ed utile, e necessaria, per questo solo che non è registrata nel Vocabolario, o non anche adoperata sia nelle scritture in genere, sia nelle riputate e classiche. 4. Ripeterò quello che ho detto della necessità di ammettere la giudiziosa novità a fine appunto di impedire che la lingua non diventi barbara. Perchè la novità delle cose necessitando la novità delle parole, quegli che non avrà parole proprie e riconosciute dalla sua lingua, per esprimerle; forzato dall'imperioso bisogno ricorrerà alle straniere, e appoco appoco si romperà ogni riguardo, e trascurata la purità della lingua, si cadrà del tutto nella barbarie.  789 Il che si può vedere, oltre l'esempio nostro, per quello della lingua latina, perchè questa parimente, dopo Cicerone, mancata, o per trascuraggine e ignoranza, come ho detto altrove pp. 750-51, e per non trovarsi nè così perfetti possessori, e assoluti padroni della lingua, nè così industriosi, oculati, giudiziosi, solerti, artifiziosi coltivatori del di lei fondo, e negoziatori della sua merce e capitali, come Cicerone; o per timidità, scoraggimento, falsa e dannosa opinione che la ricchezza della lingua fosse già perfetta, o ch'ella in quanto a se non fosse più da crescere nè da muovere, nè da toccare; o per superstizione di pedanti che sbandissero le nuove voci tratte dall'uso, o dalle radici della lingua, come mancanti di autorità competente di scrittori (il che veramente accadeva, come si vede in Gellio); o anche per falsa opinione che le radici o l'uso, o insomma il capitale proprio della lingua non avessero effettivamente più nulla da dare, che facesse al caso, o convenisse alle scritture ec. ec: mancata dico per tutte queste ragioni alla lingua latina la debita libertà, e la  790 giudiziosa novità, ebbe ricorso, per bisogno, allo straniero, e degenerò in barbaro grecismo. E come, per fuggir questo male, è necessario dar giusta e ragionata (non precipitata, e illegittima, e ingiudicata e anarchica) cittadinanza anche alle parole straniere, se sono necessarie, molto più bisogna e ricercare con ogni diligenza, e trovate accogliere con buon viso, e ricevere nel tesoro della buona e scrivibile e legittima favella, sì i derivati delle buone e già riconosciute radici, sì le radici che non essendo ancora riconosciute, vanno così vagando per l'uso della nazione, senza studio nè osservazione, di chi le fermi, le cerchi, le chiami, le inviti, e le introduca a far parte delle voci o modi riconosciuti, e a partecipare degli onori dovuti ai cittadini della buona lingua. 5. In ultimo osserverò che non si hanno da avere per forestiere quelle voci o frasi, che benchè tali di origine hanno acquistato già stabile e comune domicilio nell'uso quotidiano, e molto più se nelle scritture di vaglia. Queste voci o frasi sono  791 come naturalizzate, e debbono partecipare ai diritti e alle considerazioni delle sopraddette. Altrimenti siamo da capo, perchè una grandissima parte delle nuove voci e frasi di cui s'accresce l'uso quotidiano, vengono dallo straniero. E tutte le lingue ancorchè ottime, ancorchè conservate nella loro purità, ancorchè ricchissime, si accrescono col commercio degli stranieri, e per conseguenza con una moderata partecipazione delle loro lingue. Le cognizioni, le cose di qualunque genere che ci vengono dall'estero, e accrescono il numero degli oggetti che cadono nel discorso, o scritto o no, e quindi i bisogni della denominazione e della favella, portano naturalmente con se, i nomi che hanno presso quella nazione da cui vengono, e da cui le riceviamo. Come elle son nuove, così nella lingua nostra, non si trova bene spesso come esprimerle appositamente e adequatamente in nessun modo. L'inventar di pianta nuove radici nella nostra lingua, è impossibile all'individuo, e difficilissimamente e rarissimamente accade nella nazione, come si può facilmente osservare:  792 e questo in tutte le lingue, perchè ogni nuova parola deve aver qualche immediata e precisa ragione per venire in uso, e per esser tale e non altra, e per esser subito e generalmente e facilmente intesa {e applicata a quel tale oggetto, e ricevuta in quella tal significazione;} il che non può avvenire mediante il capriccio di un'invenzione arbitraria. Di più, c'è forse lingua che ne' suoi principii e di mano in mano non sia stata composta di voci straniere e d'altre lingue? Quante ne ha la lingua nostra prese dal francese, dallo Spagnuolo, dalle lingue settentrionali, e tuttavia riconosciute, e necessariamente, e legittimamente divenute da gran tempo italiane? Come in fatti si formerebbe una lingua senza ciò? colla sola invenzione a capriccio, o mediante un trattato, un accordo fatto espressamente, e individuo per individuo, da tutta la nazione? Perchè dunque quello ch'era lecito anzi necessario ne' principii e dopo, non sarà lecito ora nel caso della stessa necessità relativamente a questa o quella parola? Così fa tuttogiorno la lingua francese, così  793 hanno fatto e fanno necessariamente e per natura tutte le lingue antiche e moderne. E sebbene la lingua greca fosse così schiva d'ogni foresteria, anche per carattere nazionale, come si è veduto dall'aver essa mantenuta la sua purità forse più lungo tempo di tutte le altre, e anche in mezzo alla corruzione totale della {sua} letteratura, ec. e alla schiavitù straniera della nazione, al commercio ai viaggi antichi e moderni, alla dimora di tanti suoi nazionali in Roma ec. ec. (come Plutarco) nondimeno la lingua attica, riconosciuta più universalmente di qualunque altra dagli scrittori per lingua propriamente greca, e fra le greche elegantissima, bellissima e purissima, attesta Senofonte nel luogo citato da me p. 741. ch'era un misto non solo di ogni sorta di voci greche, ma anche prese da ogni sorta di barbari, mediante il commercio marittimo degli Ateniesi, e la cognizione ed uso di oggetti stranieri, che questo commercio proccurava loro, come dice pure Senofonte. Che se la necessità, naturale come ho  794 detto, e comune a tutte le lingue, porta a ricevere per buone anche le voci straniere, entrate recentemente nell'uso quotidiano, o non ancora entratevi nemmeno (purchè siano intelligibili), tanto più quelle che colla molta dimora fra noi, si sono familiarizzate e domesticate co' nostri orecchi, ed hanno quasi perduto l'abito, e il portamento, e la sembianza, e il costume straniero, o certo l'opinione di straniere. Anzi queste pure vanno cercate sollecitamente, ed accolte, e preferite, per sostituirle, quanto sia possibile alle intieramente estranee. Giacchè ripeto che con ogni cura bisogna arricchir la lingua del bisognevole, e farlo con buon giudizio, ed esplorate le circostanze e la necessità ec. ec. acciocchè non sia fatto senza giudizio, e senza previo esame, ma alla ventura e illegittimamente; perocchè quella lingua che non si accresce, mentre i soggetti della lingua moltiplicano, cade inevitabilmente, e a corto andare nella barbarie.
[794,1]  Per aver {poco} bisogno  795 di voci straniere, è necessario che una nazione, non solo abbia coltivatori di ogni sorta di cognizioni {e nel tempo stesso diligenti, studiosi e coltivatori della lingua,} ed in se stessa una vita piena di varietà, di azione, di movimento ec. ec. ma ancora ch'ella sia l'inventrice o di tutte o di quasi tutte le cognizioni, e di tutti gli oggetti della vita che cadono nella lingua, e non solo pura inventrice, ma anche perfezionatrice, perchè dove le discipline, e le cose s'inventano, si formano, si perfezionano, quivi se ne creano i vocaboli, e questi con quelle discipline e con quegli oggetti, passano agli stranieri. Così appunto è avvenuto alla Grecia, e però appunto la sua lingua si fe' così ricca, e potè mantenersi così pura, a differenza della latina. Perchè la greca abbisognava di poco dagli stranieri, da' quali poche notizie e nessuna disciplina (si può dire) ricevea (eccetto negli antichissimi tempi, cioè intanto che la lingua diveniva tale): la latina viceversa. All'italia da principio veniva ad accader quasi lo stesso, essendo ella inventrice di tutte quasi le discipline che si conobbero in quei tempi,  796 abbondandone nel suo seno i coltivatori, e questi diligenti, studiosi e padroni della lingua; ed avendo anche molta vita e varietà e riputazione al di fuori, e spirito patriotico, sebben disunito, pure e forse anche più valevole, a fornirla di molti oggetti di lingua. Ma essendosi fermata nel momento che le discipline e sono cresciute di numero, e tutte portate a un perfezionamento rapidissimo, e vastissimo; non essendo intervenuta per nessuna parte ai travagli immensi di questi ultimi secoli, tanto nel perfezionamento delle cognizioni, quanto nel resto; di più avendo nello stesso tempo per diverse cagioni, trascurata affatto la sua lingua, in maniera che anche quegli italiani scrittori che hanno cooperato alquanto (e ben poco, e pochi) col resto dell'europa, al progresso ultimo delle cognizioni, non hanno niente accresciuta la lingua del suo, avendo scritto non italiano, ma barbaro, {+ed avendo adottate di pianta le rispettive nomenclature o linguaggi che aveano trovati presso gli stranieri nello stesso genere, o in generi simili al loro (se per avventura essi ne fossero stati gl'inventori):} è doloroso, ma necessario il dire, che s'ella d'ora innanzi non vuol esser la sola parte d'europa meramente ascoltatrice, o ignorare affatto le nuove universalissime cognizioni, s'ella vuol parlare a' contemporanei, e di cose adattate al tempo, come tutti i buoni scrittori han fatto, e come bisogna pur fare in ogni modo; le conviene ricevere  797 nella cittadinanza della lingua (bisogna pur dirlo) non poche, anzi buona quantità di parole affatto straniere. Si consoli però che tutte le nazioni, quando più quando meno hanno avuto il medesimo bisogno, quale in un tempo, quale in un'[un] altro; l'ha avuto anche la sua antica lingua, cioè la latina; l'abbiamo avuto noi stessi nei principii della nostra lingua (e se ora ci bisogna ritornare a quella necessità che si prova nei principii, nostra colpa): e non creda di diventar barbara, se saprà far quello ch'io dico con retto e maturo e accurato {e posato} giudizio. Anzi si dia fretta {a introdurre e scegliere queste medesime voci straniere} se non vuole che la lingua imbarbarisca del tutto, e senza rimedio. Perchè l'unica via di arrestare i progressi {della corruttela} è questa. Proclamare lo studio profondo e vasto della lingua, e nel tempo stesso la libertà che ciascuno {scrittore} impadronitosi bene della lingua e conosciutone a fondo l'indole e le risorse, usi il suo giudizio nell'introdurre, e impiegare e spendere la novità necessaria, anche straniera. Finchè uno scrittore qualunque (che non sia da bisavoli)  798 sarà privo di questa libertà, sarà stimato impuro se vorrà usare la necessaria novità si vedrà costretto a scegliere fra quella che si chiama e se le presenta e prescrive come purità di lingua, e {tra} la facoltà di trattare il suo soggetto e di esprimere i suoi pensieri (originali e propri, o no, ma solamente moderni): disperando di una purità nella quale sia non solamente difficile, (come sempre sarà ed in ogni caso) ma del tutto impossibile di esprimere i suoi pensieri, la trascurerà affatto, e diverrà (malgrado ancora la buona intenzione) colpevole per la forza del bisogno, ricorrendo a quella barbarie la quale sola gli fornirà il modo di farsi intendere e di scrivere. Ovvero al più seguirà quella miserabile separazione fra gli scrittori vuotissimi e nulli ma puri, e fra gli scrittori di cose ma barbari; quando nessun de' due può mai sperare l'immortalità, ma molto meno i primi, senza riunire le due qualità e i due pregi che consistono nelle parole e nelle cose. Disordini però tutti già tanto inoltrati in Italia, e bisognosi di sì lunga opera, e di tanto ingegno e  799 giudizio, e di tanta difficoltà a ripararli, che io con dolore predico che non se ne verrà certo a capo in questa generazione, e chi sa quando. (Giacchè per rimetter davvero in piedi la lingua italiana, bisognerebbe prima in somma rimettere in piedi l'italia, e gl'italiani, e rifare le teste {e gl'ingegni} loro, come lo stesso bisognerebbe per la letteratura, e per tutti gli altri pregi e parti di una buona e brava e valorosa nazione; che con questi ingegni, con queste razze di giudizi e di critica, faremo altro che ristaurare la lingua.) Perchè se si presume di averlo conseguito collo sbandire e interdire e precludere affatto la novità delle cose e del pensiero, lasciando stare che in fatti non si è conseguito un fico, perchè eccetto pochissimissimi i più puri {e vuoti} scrivono barbarissimamente, dico, non ostante l'amore ch'io porto a questa purità, e lo stimarla necessarissima, che il rimedio è peggio del male. Vero è che da gran tempo gli scrittori italiani puri ed impuri si sono egualmente dispensati dal pensare, e anche dal  800 dire, talmente che se alcuno de' nostri scritti ci fosse pericolo che potesse passare di là da' monti o dal mare, gli stranieri si maraviglierebbero sodamente come, in questo secolo, in una nazione posta nel mezzo d'europa si possa scrivere in modo, che l'aver letto, si può dire, qualunque de' libri italiani che ora vengono in luce, sia lo stesso nè più nè meno che non aver letto nulla. Del resto il punto sta che la novità ch'io dico (e parlo in particolare della straniera) si sappia convenevolmente introdurre. Perchè tutte le lingue antiche e moderne sono composte di elementi stranieri, e pur tutte hanno avuto il tempo della loro purità e naturalezza; e potrà riaverlo anche l'italiana, non ostante {l'aggiunta de'} molti nuovi e necessari elementi stranieri, purchè si sappia fare, e non si trascuri, anzi si coltivi profondamente, e sempre più il proprio terreno. (16. Marzo 1821.).