Greci antichi e moderni. Loro tenacità dei propri costumi, lingua, religione ec.
Ancient and modern Greeks. Their tenacity in keeping their own customs, language, religion, etc.
1590,1 2589,1 2694,1 2731,12 2793,2 2829,1 3371-2 3580,segg. 4237,2[1590,1] Non si sa che i costumi de' romani passassero ai
greci neppur dopo Costantino. Dico, non
questo o quel costume, ma la specie e la forma generale de' costumi, come quella
che da' greci passò realmente a' romani, e da' francesi agl'italiani
principalmente, e agli altri popoli civili proporzionatamente. Da che i costumi
de' greci furono formati, essi li comunicarono agli altri, ma non li ricevettero
mai più da nessuno. Quindi la sì lunga incorruttibilità della loro lingua, e la
1591 sua durata fino al presente. La tenacità che i
greci ebbero sempre per le cose loro, e l'amore esclusivo che portarono e
portano alla loro nazione, e a' loro nazionali, è maravigliosa. Ho udito di
alcune colonie greche ancora sussistenti in Corsica e in
Sicilia, dove i coloni parlano ancora il greco,
conservano i costumi greci, e non hanno stretta società se non fra loro, benchè
abitino in mezzo a un paese di nazione diversa, e sieno soggetti a un governo
forestiero. Le relazioni de' viaggiatori intorno alla
grecia, ed agli altri paesi abitati da greci,
confermano questa invincibile tenacità. Dove si trovano greci cattolici e
scismatici, insieme con altri cattolici, i greci cattolici, malgrado il divieto
della loro religione, de' loro vescovi (per lo più forestieri), e l'impero che
queste cose hanno sulla loro opinione, vogliono piuttosto congiungersi in
matrimonio ec. co' loro nazionali scismatici, che co' cattolici forestieri,
fanno stretta alleanza fra loro, e spesso declinano dall'una all'altra
religione. Si potrebbe riferire a questa osservazione il cattivo esito de' tanti
negoziati fatti al tempo del Concilio di Firenze, per
sottomettere la Chiesa greca alla latina, e indurla a riconoscere un'autorità
1592 forestiera. È noto che mentre il rito latino
si stabiliva in quasi tutto il resto del Cristianesimo, il rito greco, e in esso
la lingua greca conservavasi e conservasi in tutta la Chiesa greca comunicante,
in qualunque paese ella sia. E son pur noti i privilegi della Chiesa {greca} Cattolica, e la specie d'indipendenza che gli è
accordata, e la renitenza ch'ella suole opporre a quella stessa parte di dominio
che la Chiesa latina conserva su di lei.
[2589,1] La letteratura greca fu per lungo tempo (anzi
lunghissimo) l'unica del mondo (allora ben noto): e la latina (quand'ella sorse)
naturalissimamente non fu degnata dai greci, essendo ella derivata in tutto
dalla greca; e molto meno fu da essi imitata. Come appunto in[i] francesi poco degnano di conoscere e neppur pensano
d'imitare la letteratura russa o svedese, o l'inglese del tempo d'Anna, tutte nate
dalla loro. Così anche, la lingua greca fu l'unica formata e colta nel mondo
allora ben conosciuto (giacchè p. e. l'india non era ben
conosciuta). Queste ragioni fecero naturalmente che la letteratura e lingua
greca si conservassero tanto tempo incorrotte, che d'altrettanta durata non si
conosce altro esempio. Quanto alla lingua n'ho già detto altrove p.
996,1
pp.
1093-94
pp.
2408-10. Quanto alla letteratura, lasciando stare Omero, è prodigiosa la durata della letteratura greca
non solo incorrotta, ma nello stato di
creatrice. Da Pindaro, Erodoto, Anacreonte, Saffo, Mimnermo, gli altri
lirici ec. ella dura senza interruzione fino a Demostene; se non che, dal tempo di Tucidide a Demostene, ella si restringe alla sola
Atene per
2590 circostanze
ch'ora non accade esporre. V. Velleio lib. 1. fine. Nati,
anzi propagati e adulti i sofisti e cominciata la letteratura greca {(non la lingua)} a degenerare, (massime per la perdita
della libertà, da Alessandro, cioè da
Demostene in poi), ella con
pochissimo intervallo risorge in Sicilia e in
Egitto, e ancora quasi in istato di creatrice. Teocrito, Callimaco, Apollonio Rodio ec. Finito il suo stato di creatrice, e dichiaratasi
la letteratura greca imitatrice e figlia di se stessa, cioè ridotta (come sempre
a lungo andare interviene) allo studio e imitazione de' suoi propri classici
antichi, l'esser questi classici, suoi, e questa imitazione, di se stessa, la
preserva dalla corruzione, e purissimi di stile e di lingua riescono Dionigi Alicarnasseo, Polibio, e tutta la ϕορά di scrittori greci
contemporanei al buon tempo della letteratura latina; i quali appartengono alla
classe, e sono in tutto e per tutto una ϕορά d'imitatori dell'antica letteratura
greca, e di quella ϕορά durevolissima di scrittori greci classici, ch'io chiamo
ϕορά creatrice. Corrotta già
2591 la letteratura
latina, e sfruttata e indebolita, la greca sopravvive alla sua figlia ed alunna,
e s'ella produce degli Aristidi, degli
Erodi attici, e altri tali retori
di niun conto nello stile (non barbari però, e nella lingua purissimi), ella pur
s'arricchisce d'un Arriano, d'un Plutarco, d'un Luciano, {ec.} che
quantunque imitatori, pur sanno così bene scrivere, e maneggiar lo stile e la
lingua antica o moderna, che quasi in parte le rendono la facoltà creatrice.
Aggiungi che in tal tempo la grecia, colla sua
letteratura e lingua incorrotta, era serva, e l'Italia
signora colla sua letteratura e lingua imbastardita e impoverita. (30.
Luglio 1822.).
[2694,1]
2694 Formata una volta una lingua illustre, cioè una
lingua ordinata, regolare, stabilita e grammaticale, ella non si perde più
finchè la nazione a cui ella appartiene non ricade nella barbarie. La durata
della civiltà di una nazione è la misura della durata della sua lingua illustre
e viceversa. E siccome una medesima nazione può avere più civiltà, cioè dopo
fatta civile, ricadere nella barbarie, e poi risorgere a civiltà nuova, ciascuna
sua civiltà ha la sua lingua illustre nata, cresciuta, perfezionata, corrotta,
decaduta e morta insieme con lei. Il qual rinnuovamento e di civiltà e di lingua
illustre, ha, nella storia delle nazioni conosciute, o vogliamo piuttosto dire,
nella storia conosciuta, un solo esempio, cioè quello della nazione italiana.
Perchè niuna delle altre nazioni state civili in antico, sono risorte a civiltà
moderna e presente, e niuna delle nazioni presentemente civili, fu mai civile
(che si sappia) in antico, se non l'italiana. Così niun'altra nazione può
mostrare due lingue illustri da
2695 lei usate e
coltivate generalmente, (come può far l'italiana) se non in quanto la nostra
antica lingua, cioè la latina, si diffuse insieme coi nostri costumi per
l'europa a noi soggetta, e fece per qualche tempo
italiane di costumi e di lingua e letteratura le Gallie,
le Spagne, la Numidia (che non
è più risorta a civiltà) ec.
[2731,2] In proposito della prontissima decadenza della
letteratura latina, e della lunghissima conservazione della greca, è cosa molto
notabile, come dopo Tacito, cioè dall'imperio di Vespasiano in poi (fino al quale si stendono le
2732 sue storie) la storia latina restò in mano dei greci, e le azioni
nostre furono narrate da Appiano, Dione, Erodiano, anche prima della traslocazione
dell'imperio a Constantinopoli, e dopo questa da Procopio, Agazia, Zosimo ec. Senza i quali la storia del nostro
impero da Vespasiano in poi, sarebbe quasi cieca, non avendo altri scrittori
latini che quei miserabili delle Vite degli Augusti, piene di
errori di fatto, di negligenza, di barbarie, e Ammiano non meno barbaro, per non dir di Orosio e d'altri tali più miserabili
ancora. Così quella nazione che ne' tempi suoi più floridi aveva narrato le sue
proprie cose, e i suoi splendidissimi gesti, e le sue altissime fortune, e forse
prima d'ogni altra, aveva dato in Erodoto l'esempio e l'ammaestramento di questo genere di scrittura;
dopo tanti secoli, quando già non restava se non la lontana memoria della sua
grandezza, estinto il suo imperio e la sua potenza, fatta
2733 suddita di un popolo che quando ella scriveva le sue proprie
storie, ancora non conosceva, seguiva pure ad essere l'istrumento della memoria
dei secoli, e i casi del genere umano e di quello stesso popolo dominante che
l'aveva ingoiata, ed annullato da gran tempo la sua esistenza politica, erano
confidati unicamente alle sue penne. Tanto può la civilizzazione, e tanto è vero
che la civilizzazione della grecia ebbe una prodigiosa
durata, e vide nascere e morire quella degli altri popoli (anche grandissimi), i
quali erano infanti, anzi ignoti, quand'ella era matura e parlava e scriveva; e
giunsero alla vecchiezza e alla morte, durando ancora la sua maturità, e
parlando essa tuttavia e scrivendo. Veramente la grecia
si trovò sola civile nel mondo ai più antichi tempi, e senza mai perdere la sua
civiltà, dopo immense vicissitudini di casi, così universali
2734 come proprie, dopo aver veduto passare l'intera favola del più grande impero, che nella
di lei giovanezza non era ancor nato; dopo aver communicata la sua civiltà a
cento altri popoli, e vedutala in questi fiorire e cadere, tornò un'altra volta,
in tempi che si possono chiamar moderni, a trovarsi sola civile nel mondo, e
nuovamente da lei uscirono i lumi e gli aiuti che incominciarono la nuova e
moderna civiltà nelle altre nazioni.
[2793,2] Gli scrittori greci de' secoli medii e bassi, cioè
dal terzo inclusive in poi, sono pieni d'improprietà di lingua (com'è quella di
Coricio sofista del sesto secolo nell'Orazione εἰς Σοῦμμον στρατηλάτην in Summum ducem, §. 11. ap. Fabric.
B. G. edit. vet. vol. 8. p. 869. lib. 5. cap. 31. di
usare la voce δικαστής in vece di κριτής o di μάρτυς), pieni di frasi strane
quanto alla lingua, pieni di solecismi, e di mille contravvenzioni alle antiche
regole della sintassi e grammatica greca, ma non hanno barbarismi. La loro
lingua per tutto ciò che appartiene all'eleganza, è diversissima da quella degli
antichi scrittori: ma per tutto il resto è la stessa. Si può dir ch'essi
ignorino il buon uso della lingua che scrivono, che non la sappiano adoperare;
ma la lingua che scrivono è quella degli antichi: quella che gli antichi
scrissero
2794 bene, essi la scrivono male. Molte {loro} parole che non si trovano negli antichi, sono però
cavate dal fondo della lingua greca o per derivazione o per composizione ec.;
rade volte ripugnano all'indole d'essa lingua, e per esser chiamate buone,
greche, pure e di buona lega, non manca loro se non la sanzione dell'antichità.
In somma il grecismo di questi scrittori è per lo più cattivo o pessimo, ma la
loro lingua è pura. Le voci e frasi poetiche versate a due mani nelle prose, le
voci o frasi antiquate, le metafore o strane affatto e barbare, o poetiche, non
offendono la purità della lingua, ed appartengono piuttosto al conto dello
stile. Il periodo di questi scrittori, il giro della dicitura, per lo più rotto,
slegato, saltellante, ineguale, ovvero intralciato, duro, aspro, monotono, e
lontanissimo dalla semplicità e dalla maestà dell'antica elocuzione greca,
appartiene certo in gran parte alla lingua, al cui genio è contrarissima la
struttura dell'orazione di quei bassi scrittori, ma non nuoce alla purità. Il
numero e l'armonia è diversissimo
2795 in questi
scrittori da quel ch'egli è negli antichi, ma ciò non solo per la negligenza di
quelli, bensì ancora per la diversa pronunzia introdotta appoco appoco nella
lingua greca, massimamente estendendosi ella a tanti e sì diversi e tra se
lontani paesi, e subentrando a sì diverse favelle, o prendendo luogo accanto ad
esse e in compagnia di esse, o in mezzo ad esse: giacchè bisogna considerare che
la più parte degli scrittori greci dal 3. secolo in poi, non furono greci di
nazione, o certo non furono greci di paese, ma Asiatici ec., e greci solamente
di lingua, e questo ancora non sempre dalla nascita, ma per istudio, come p. e.
Porfirio, della cui lingua patria,
vedi la Vita di
Plotino, capo 17. e l'Holstenio
de Vita et scriptis Porphyrii cap.
2.
(17. Giugno. 1823.). {V. p. 2827.}
[2829,1] Ho detto altrove p. 999 che il greco
moderno è senza paragone più simile al greco antico che non l'italiano al
latino. Fra le altre moltissime particolarità basti osservare che una delle cose
che massimamente distinguono le lingue moderne dalle antiche, e fra queste
l'italiana, spagnuola ec. dalla latina, si è che le moderne mancano dei casi de'
nomi; il che
2830 basterebbe quasi per se solo a
diversificare il genio e lo spirito delle nostre lingue, da quel delle antiche.
Ora il greco moderno conserva gli {stessi} casi
dell'antico. Conserva ancora l'uso della composizione fatta coi vocaboli
semplici e colle preposizioni e particelle. Ma già non v'è bisogno d'altra prova
che di gittar l'occhio sopra una pagina di greco vernacolo correttamente
scritto, per conoscere la visibilissima e, direi quasi, totale somiglianza
ch'esso ha coll'antico, e quanto ella sia maggiore, anzi di tutt'altro genere
che non è quella che passa tra l'italiano e il latino, giacchè questa consiste
principalmente nel materiale de' vocaboli e delle radici, e quella, oltre di
ciò, in grandissima parte dell'indole e dello spirito. Ho detto, correttamente
scritto, perchè certo fra il greco {moderno} scritto o
parlato da un ignorante e quello scritto da un uomo colto, ci corre tanto
divario quanto fra questo e il greco antico. Vedi il contratto in greco moderno
barbaro pubblicato da Chateaubriand nell'Itinerario. Ma ciò è naturale, e succede in tutte le
lingue e nazioni, e certo il greco antico parlato, anche dai non plebei, e
scritto
2831 dagl'ignoranti era ben diverso da quello
che scrivevano i dotti, come il latino rustico, dall'illustre. Vedi la pag. 2811. Il greco moderno colto,
giacchè {ed} ogni lingua può esser colta, e niuna
lingua non colta può valer nulla, potrebbe certo divenire una lingua bella,
efficace, ricca, potente, e forse, per la gran parte che conserva sì delle
ricchezze come delle qualità e della natura dell'antico, una lingua superiore o
a tutte o a molte delle moderne colte e formate. (27. Giugno.
1823.).
[3366,1] La lingua latina s'introdusse, si piantò e rimase in
quelle parti d'europa nelle quali entrò anticamente e si
stabilì la civilizzazione. Ciò non fu che nella Spagna e
nelle Gallie. Quella fino dagli antichi tempi produsse i
Seneca, Quintiliano, Columella, Marziale ec. poi
Merobaude, S. Isidoro ec. e altri moltissimi di mano in mano, i
quali divennero letterati e scrittori latini, senza neppure uscire, come quei
primi, dal loro paese, o quantunque in esso educati, e non, come quei primi, in
Roma. Le Gallie produssero
Petronio Arbitro, {Favorino ec.}
poi Sidonio, S. Ireneo ec. La civiltà v'era già innanzi i romani
stata introdotta da coloni greci. Di più la corte latina v'ebbe sede per alcun
tempo. La Germania benchè soggiogata anch'essa da'
Romani, e parte dell'impero latino, non diede mai adito a
civiltà nè a lettere, nè a' buoni nè a' mediocri nè a' cattivi tempi di
quell'impero. Ella fu sempre barbara. Non si conta fra gli scrittori latini di
veruna latinità
3367 (se non dell'infimissima) niuno
che avesse origine germanica o fosse nato in Germania,
come si conta pur quasi di tutte l'altre provincie e parti
dell'impero romano. Quindi è che la
Germania benchè suddita latina, benchè vicina
all'italia, anzi confinante, come la
Francia, e più vicina assai che la
Spagna, non ammise l'uso della lingua latina, e non
parla latino {(cioè una lingua dal latino derivata),}
ma conserva il suo antico idioma. (Forse anche fu cagione di ciò e delle cose
sopraddette, che la Germania non fu mai intieramente
soggiogata, nè suddita pacifica, come la Spagna e
le Gallie, sì per la naturale ferocia della nazione,
sì per esser ella sui confini delle romane conquiste, e prossima ai popoli
d'europa non conquistati, e nemici de' romani, e
sempre inquieti e ribellanti, onde ad essa ancora nasceva e la facilità, e lo
stimolo, e l'occasione, e l'aiuto e il comodo di ribellare). Senza ciò la lingua
latina avrebbe indubitatamente spento la teutonica, nè di essa resterebbe
maggior notizia o vestigio che della celtica e dell'altre che la lingua latina
spense affatto in Ispagna e in
3368
Francia. Delle quali la teutonica non doveva mica esser
più dura nè più difficile a spegnere. Anzi la celtica doveva anticamente essere
molto più colta e perfetta o formata che la teutonica, il che si rileva sì dalle
notizie che s'hanno de' popoli che la parlarono, e delle loro istituzioni (come
de' Druidi, de' Bardi, cioè poeti ec.), e della loro religione, costumi,
cognizioni ec. sì da quello che avanza pur d'essa lingua celtica, e de' canti
bardici in essa composti ec. L'inghilterra par che
ricevesse fino a un certo segno l'uso della lingua latina, certo, se non altro,
come lingua letterata e da scrivere. {Il latino si stabilì in
Inghilterra a un di presso come il greco
nell'alta Asia, e l'italiano in Dalmazia, nell'isole
greche e siffatti dominii de' Veneziani: cioè come lingua di qualunque
persona colta e della scrittura, ma non parlata dal popolo, benchè forse
intesa. Così il turco in grecia ec.}
Ella ha pure scrittori non solo dell'infima, ma anche della media latinità, come
Beda ec. Ma era già troppo tardi,
sì perchè la lingua latina era già corrotta e moribonda per tutto, anche in
italia sua prima sede, sì perchè l'impero
latino era nel caso stesso. Quindi i Sassoni facilmente
distrussero la lingua latina in inghilterra, ancora
inferma e mal piantata, propria solo dei dotti (com'io credo), e le sostituirono
la
3369 teutonica, trionfando allo stesso tempo (almeno
in molta parte dell'isola) anche dell'idioma nazionale, indigeno, ἐπιχώριος e
volgare, cioè del celtico ec., al qual trionfo doveva pure aver già contribuito
la lingua latina, soggiogata poi anch'essa, e più presto ed interamente
dell'indigena, da quella de' conquistatori. Laddove nelle
Gallie i Franchi non poterono mica introdurre la
lingua loro, benchè conquistatori, nè estirpar la latina, ben radicata, e per
lunghezza di tempo, e perchè insieme con essa erano penetrati e stabiliti nelle
Gallie, i costumi, la civiltà, le lettere, la
religione latina, e perchè {quivi} detta lingua non era
già propria ai soli dotti, ma comune al volgo, ond'essi conquistatori
l'appresero, e parlata ec. Così dicasi de' Goti, Longobardi ec. in
italia; de' Vandali {ec.} in
Ispagna. Che se la lingua latina in
italia, in Francia, in
ispagna, trionfò delle lingue germaniche benchè
parlate da' conquistatori, può esser segno ch'ella ne avrebbe pur trionfato
nella Germania ov'elle parlavansi da' conquistati, se non
l'avessero impedito le cagioni dette di sopra. Perocchè si vede che la lingua
latina trionfava
3370 dell'altre, non tanto come lingua
di conquistatori e padroni, superante quella de' conquistati e de' servi, nè
come lingua indigena o naturalizzata, superante le forestiere, avventizie e
nuove; quanto come lingua colta e formata, superante le barbare, incolte,
informi, incerte, imperfette, povere, insufficienti, indeterminate. Altrimenti
non sarebbe stato, come fu, impossibile ai successivi conquistatori
d'Italia, Francia,
Spagna, il far quello che i latini ne' medesimi
paesi, conquistandoli, avevano fatto; cioè l'introdurre le proprie lingue in
luogo di quelle de' vinti. Nel mentre che i Sassoni in
inghilterra, certo nè più civili nè più potenti de'
Franchi, de' Goti, {de' mori,} ec., i Sassoni, dico, in
inghilterra, e poscia i Normanni, trionfavano pur
senza pena delle lingue indigene di quell'isola, perchè mal formate ancor esse,
benchè non affatto barbare, ed {anzi} (p. e. la
celtica) più colte ec. delle loro. Ma queste vittorie della lingua latina sì
nell'introdursi fra' conquistati, e forestiera scacciare le lingue indigene; sì
nel mantenersi malgrado i conquistatori, e in luogo di cedere, divenir propria
anche di questi, si dovettero, come ho detto, in grandissima parte, alla civiltà
dei
3371 costumi latini e alle lettere latine con essa
lingue[lingua] introdotte o conservate: di
modo che detta lingua non riportò tali vittorie, solamente come colta e perfetta
per se, ma come congiunta ed appartenente ai colti e civili costumi, opinioni e
lettere latine. Perocchè, come ho detto, sempre ch'ella ne fu disgiunta, cioè
dovunque la civiltà e letteratura latina, e l'uso del viver latino, o non
s'introdusse, o non si mantenne, o scarsamente s'introdusse o si conservò; nè
anche s'introdusse la lingua latina, come in Germania, o
non si mantenne, come accadde in Inghilterra. E ciò si
vede non solo in queste parti d'europa, che non ammisero
la civiltà latina per eccesso di barbarie, o che non ammettendola, restarono
barbare; ma eziandio in quelle dove una civiltà ed una letteratura indigena
escluse la forestiera, in quelle che non ammettendo i costumi nè le lettere
latine, restarono però, quali erano, civili e letterate, cioè nelle nazioni
greche. Le quali non ricevendo l'uso del viver latino, non ricevettero neppur la
lingua, benchè la sede dell'
3372
impero romano, e Roma e il
Lazio, per così dire, fossero trasportate e
lunghissimi secoli dimorassero nel loro seno. Ma la
Grecia contuttociò non parlò mai nè scrisse latino,
ed ora non parla nè scrive che greco. Ed essa era pur la parte più civile
d'europa, non esclusa la stessa
Roma, al contrario appunto della
Germania. Sicchè da opposte, ma analoghe e
corrispondenti e ragguagliate e proporzionate, cagioni, nacque lo stesso
effetto.
[3579,1] Nella generale inondazione di barbari che infestò le
contrade culte di europa, la
Spagna non ebbe (credo) che i Vandali, (o gli
Ostrogoti) ec. i quali anche poco vi si mantennero; certo assai meno che in
italia non fecero i Goti, i Longobardi e i tanti
{e sì varii} popoli che la travagliarono e vi
fondarono e tennero regni ec.
3580 La
Spagna ebbe lunghissimo tempo i mori, e questi,
potenti e regnanti. Ma che, non le religioni, non le lingue, non i costumi,
{+non il sangue} di questi
conquistatori stranieri e degl'indigeni e in gran parte sudditi, si mescolarono
insieme mai. Due {+sangui, due}
religioni, due lingue, due maniere di vita, {in somma due
nazioni} diversissime, contrarie, nemiche, perseverarono sempre in
ispagna, e sempre divise e ben distinte l'una
dall'altra, benchè sempre l'una accanto all'altra, e materialmente confuse
insieme, e sugli occhi l'una dell'altra. Nè il maomettano riconobbe mai Cristo, nè il Cristiano Maometto, nè l'arabo lasciò la sua lingua per la
spagnuola, nè lo spagnuolo succhiò mai col latte altra lingua che l'indigena.
Cosa mirabile e che non ha, credo, altro esempio {oltre di
questo,} se non quello de' greci e de' turchi, il quale ancor dura, e
che altrove ho considerato pp.
1590-93 parlando della singolare tenacità de' greci rispetto ai loro
costumi, pratiche ec. come alla lingua. Tenacità in cui i greci non hanno forse
pari altra nazione che la {spagnuola,} nè la spagnuola
forse altra che la greca. E ben corrisponde la parità o somiglianza
3581 dei climi e delle qualità del cielo e del suolo in
ambo i paesi. E corrisponde eziandio la qualità degli stranieri, ambo arabi, non
di origine, ma di lingua (se non m'inganno), {+ed ambo maomettani di religione;} i mori di
spagna e i turchi. Con questa differenza però a favor
della spagna, che laddove i turchi barbari {e ignorantissimi} vennero in un paese civile {e dotto,} e barbari regnano sopra una gente per lor
cagione imbarbarita, {+e non più
coltivata;} i mori non barbari vennero in un paese già rozzo, e quasi
civili regnarono in un paese {molto} men civile di
loro. Ebbero i mori in ispagna un'estesissima
letteratura, e piene sono le biblioteche spagnuole e straniere delle loro opere
(alcune, come quelle di Averroe, note
per traduzioni e celebri in tutta europa). Nè per tanto
poterono essi introdurre {nè lasciare} la loro
letteratura (ch'era pur l'unica a que' tempi in europa)
tra gli spagnuoli che niuna ne avevano; nè la loro civiltà (altresì unica); nè
col mezzo {ed aiuto} di questa e della letteratura, la
loro lingua; nè poteron fare che nella spagna mezza
coperta e dominata da stranieri di diversissimo linguaggio e costume,
3582 e questi civili e letterati, e ciò per lunghissimo
tempo, non si conservasse la lingua indigena, quanto è al popolo, assai meglio
che nelle altre nazioni partecipi della stessa lingua, le quali non ebbero mai
stranieri nè civili nè letterati, e quei barbari che ebbero, o gli ebbero per
molto minore spazio di tempo, o ben tosto naturalizzati di costumi, di religione
ec.
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