30. Maggio. 1823.
[2731,2] In proposito della prontissima decadenza della
letteratura latina, e della lunghissima conservazione della greca, è cosa molto
notabile, come dopo Tacito, cioè dall'imperio di Vespasiano in poi (fino al quale si stendono le
2732 sue storie) la storia latina restò in mano dei greci, e le azioni
nostre furono narrate da Appiano, Dione, Erodiano, anche prima della traslocazione
dell'imperio a Constantinopoli, e dopo questa da Procopio, Agazia, Zosimo ec. Senza i quali la storia del
nostro impero da Vespasiano in poi,
sarebbe quasi cieca, non avendo altri scrittori latini che quei miserabili delle
Vite degli Augusti, piene di errori di
fatto, di negligenza, di barbarie, e Ammiano non meno barbaro, per non dir di Orosio e d'altri tali più miserabili ancora. Così
quella nazione che ne' tempi suoi più floridi aveva narrato le sue proprie cose,
e i suoi splendidissimi gesti, e le sue altissime fortune, e forse prima d'ogni
altra, aveva dato in Erodoto l'esempio
e l'ammaestramento di questo genere di scrittura; dopo tanti secoli, quando già
non restava se non la lontana memoria della sua grandezza, estinto il suo
imperio e la sua potenza, fatta
2733 suddita di un
popolo che quando ella scriveva le sue proprie storie, ancora non conosceva,
seguiva pure ad essere l'istrumento della memoria dei secoli, e i casi del
genere umano e di quello stesso popolo dominante che l'aveva ingoiata, ed
annullato da gran tempo la sua esistenza politica, erano confidati unicamente
alle sue penne. Tanto può la civilizzazione, e tanto è vero che la
civilizzazione della grecia ebbe una
prodigiosa durata, e vide nascere e morire quella degli altri popoli (anche
grandissimi), i quali erano infanti, anzi ignoti, quand'ella era matura e
parlava e scriveva; e giunsero alla vecchiezza e alla morte, durando ancora la
sua maturità, e parlando essa tuttavia e scrivendo. Veramente la grecia si
trovò sola civile nel mondo ai più antichi tempi, e senza mai perdere la sua
civiltà, dopo immense vicissitudini di casi, così universali
2734 come proprie, dopo aver veduto passare l'intera favola del più grande impero, che nella
di lei giovanezza non era ancor nato; dopo aver communicata la sua civiltà a
cento altri popoli, e vedutala in questi fiorire e cadere, tornò un'altra volta,
in tempi che si possono chiamar moderni, a trovarsi sola civile nel mondo, e
nuovamente da lei uscirono i lumi e gli aiuti che incominciarono la nuova e
moderna civiltà nelle altre nazioni.
[2734,1] Lascio la Storia Ecclesiastica, della quale i greci
hanno tanti scrittori, e i latini, si può dir, niuno {se non S. Ilario, della cui storia restano
alcuni}
{+frammenti,
che non so però quanto abbiano dello storico, nè se quella fosse
veramente storia. V. i Bibliografi, e le opp. di S. Ilario, e una
Dissert. del Maffei appiè dell'opp. di
S. Atanas. edizione di Pad.
1777.} Lascio le Croniche d'Africano e d'Eusebio, opere che niuno avrebbe pur saputo immaginare a
quei tempi nell'Europa latina, che
furono il modello di tutte le miserabili Cronografie latine uscite dipoi (di
Prospero, Isidoro ec.), che furono recate allora nella lingua
d'Italia,
come nell'infanzia della letteratura latina furono tradotte le opere di Omero, di Menandro,
2735 ec. che
furono anche recate nelle lingue d'Oriente (armena,
siriaca ec.), di quell'Oriente che di nuovo
riceveva la civiltà e letteratura dalla grecia, e quivi ancora
servirono di modello, come alla Cronica di
Samuele Aniese ec. (30.
Maggio. 1823.).