Solitudine.
Solitude.
633,1 636,1 653,12 678,3 717,3 2471,1 2684,1 3410,1 3676,1 4259,5Solitudine. Necessaria al metafisico. L'uomo riflessivo, vivendo solitario, si dà naturalmente alla filosofia astratta, e della natura universale ec.
Solitude. Necessary for the metaphysician. The reflective man, living a solitary life, naturally turns to abstract philosophy and to that of universal nature.
4138,3[633,1]
Quand on est jeune, on ne songe qu'à vivre dans
l'idée d'autrui: il faut établir sa réputation, et se donner une
place honorable dans l'imagination des autres, et être heureux même
dans leur idée: notre bonheur n'est point réel; ce n'est pas nous
que nous consultons, ce sont les autres. Dans un autre âge, nous
revenons à nous; et ce retour a ses douceurs, nous commençons à nous
consulter et à nous croire.
*
M.me la Marquise de Lambert,
Traité de la
Vieillesse, verso la fine: dans ses Oeuvres complètes,
Paris 1808. 1.re édit. complète. p. 150. Il vient un temps dans la vie qui est
consacré à la vérité, qui est destiné à connoître les choses selon
leur juste valeur. La jeunesse et les passions fardent tout. Alors
nous revenons aux plaisirs simples; nous commençons à nous consulter
634 et à nous croire sur notre
bonheur.
*
Ib. p. 153. Queste riflessioni sono osservabili. Non
solo nella vecchiezza, ma nelle sventure, ogni volta che l'uomo si trova senza
speranza, o almeno disgraziato nelle cose che dipendono dagli uomini, comincia a
contentarsi di se stesso, e la sua felicità, e soddisfazione, o almeno
consolazione a dipender da lui. Questo ci accade anche in mezzo alla società, o
agli affari del mondo. Quando l'uomo vi si trova male accolto, o annoiato, o
disgraziato, o in somma trova quello che non vorrebbe, ricorre a se stesso, e
cerca il bene e il piacere nell'anima sua. L'uomo sociale, finch'egli può, cerca
la sua felicità e la ripone nelle cose al di fuori e appartenenti alla società,
e però dipendenti dagli altri. Questo è inevitabile. Solamente o principalmente
l'uomo sventurato, e massime quegli che lo è senza speranza, si compiace della
sua compagnia, e di riporre la sua felicità nelle cose sue proprie, e
indipendenti dagli altri; e insomma segregare la sua felicità, dall'opinione e
dai vantaggi che ci risultano dalla società, e ch'egli non può conseguire, o
sperare. Forse per questo, o anche
635 per questo, si è
detto che l'uomo che non è stato mai sventurato non sa nulla. L'anima, i
desideri, i pensieri, i trattenimenti dell'uomo felice, sono tutti al di fuori,
e la solitudine non è fatta per lui: dico la solitudine o fisica, o morale e del
pensiero. Vale a dire che se anche egli si compiace nella solitudine, questo
piacere, e i suoi pensieri e trattenimenti in quello stato, sono tutti in
relazioni colle cose esteriori, e dipendenti dagli altri, non mai con quelle
riposte in lui solo. Non è però che la felicità o consolazione dell'uomo
sventurato o vecchio, sieno riposte nella verità, e nella meditazione e
cognizione di lei. Che piacere o felicità o conforto ci può somministrare il
vero, cioè il nulla? (se escludiamo la sola Religione). Ma altre illusioni,
forse più savie perchè meno dipendenti, e perciò anche più durevoli, sottentrano
a quelle relative alla società. E questo è in somma quello che si chiama
contentarsi di se stesso, e omnia tua in te posita
ducere,
*
con che Cicerone (Lael. sive de Amicit.
c. 2.) definisce la sapienza. Un sistema, un complesso, un ordine, una
vita d'illusioni indipendenti, e perciò stabili: non altro. (9. Feb.
1821.).
[636,1]
636
"La solitude" dit un grand homme, "est l'infirmerie
des ames".
*
Mme. Lambert, lieu cité ci-dessus, p. 153.
fine.
[653,2]
Plus
il y a de monde
*
, (cioè, più gente ci sta d'intorno, più ci
troviamo in mezzo al mondo attualmente) et plus les
passions acquièrent d'autorité.
*
Ib. p. 81. Un philosophe
654 assuroit: ".... que plus il avoit vu de
monde, plus les passions acquéroient d'autorité...."
*
Mme Lambert, Lettre à madame de
***, ou Lettre XV. dans ses oeuvres
complètes
citées ci-dessus, p. 395.
Così è generalmente: ma all'uomo veramente sventurato accade tutto il contrario.
Ogni volta ch'egli si presenta nel mondo, vedendosi respinto, il suo amor
proprio mortificato, i suoi desideri frustrati, o contrariati, le sue speranze
deluse, non solamente non concepisce veruna passione fuorchè quella della
disperazione, ma per lo contrario, le sue passioni si spengono. E nella
solitudine, essendo lontane le cose e la realtà, le passioni, i desiderii, le
speranze se gli ridestano. (13. Feb. 1821.).
[678,3]
Nous n'avons qu'une portion d'attention et de
sentiment; dès que nous nous livrons aux objets extérieurs, le
sentiment dominant s'affoiblit: nos desirs ne sont-ils pas plus vifs
et plus forts dans la retraite?
*
Mme. de Lambert, lieu cité
ci-derrière (p. 677. fine) p.
188.
679 La solitudine è lo stato naturale di gran parte, o
piuttosto del più degli animali, e probabilmente dell'uomo ancora. Quindi non è
maraviglia se nello stato naturale, egli ritrovava la sua maggior felicità nella
solitudine, e neanche se ora ci trova un conforto, giacchè il maggior bene degli
uomini deriva dall'ubbidire alla natura, e secondare quanto oggi si possa, il
nostro primo destino. Ma anche per altra cagione la solitudine è oggi un
conforto all'uomo nello stato sociale al quale è ridotto. Non mai per la
cognizione del vero in quanto vero. Questa non sarà mai sorgente di felicità, nè
oggi; nè era allora quando l'uomo primitivo se la passava in solitudine, ben
lontano certamente dalle meditazioni filosofiche; nè agli animali la felicità
della solitudine deriva dalla cognizione del vero. Ma anzi per lo contrario
questa consolazione della solitudine deriva all'uomo oggidì, e derivava
primitivamente dalle illusioni. Come ciò fosse primitivamente, in quella vita
occupata o da continua
680 sebben solitaria azione, o da
continua attività {interna} e successione d'immagini
{disegni ec.} ec. e come questo accada parimente
ne' fanciulli, l'ho già spiegato più volte. Come poi accada negli uomini oggidì,
eccolo. La società manca affatto di cose che realizzino le illusioni per quanto
sono realizzabili. Non così anticamente, e anticamente la vita solitaria fra le
nazioni civili, o non esisteva, o era ben rara. Ed osservate che quanto si
racconta de' famosi solitari cristiani, cade appunto in quell'epoca, dove la
vita, l'energia, la forza, la varietà originata dalle antiche forme di
reggimento e di stato pubblico, e in somma di società, erano svanite o
sommamente illanguidite, col cadere del mondo sotto il despotismo. Così dunque
torna per altra cagione ad esser proprio degli stati e popoli corrotti, quello
ch'era proprio dell'uomo primitivo, dico la tendenza dell'uomo alla solitudine:
tendenza stata interrotta dalla prima energia della vita sociale. Perchè oggidì
è così la cosa. La presenza e l'atto della società spegne le illusioni,
681 laddove anticamente le fomentava e accendeva, e la
solitudine le fomenta o le risveglia, laddove non primitivamente, ma anticamente
le sopiva. Il giovanetto ancora chiuso fra le mura domestiche, o in casa di
educazione, o soggetto all'altrui comando, è felice nella solitudine per le
illusioni, i disegni, le speranze di quelle cose che poi troverà vane o acerbe:
e questo ancorchè egli sia d'ingegno penetrante, e istruito, ed anche, quanto
alla ragione, persuaso della nullità del mondo. L'uomo disingannato, stanco,
esperto, esaurito di tutti i desideri, nella solitudine appoco appoco si rifa,
ricupera se stesso, ripiglia quasi carne e lena, e più o meno vivamente, a ogni
modo risorge, ancorchè penetrantissimo d'ingegno, e sventuratissimo. Come
questo? forse per la cognizione del vero? Anzi per la dimenticanza del vero, pel
diverso e più vago aspetto che prendono per lui, quelle cose già sperimentate e
vedute, ma che ora essendo lontane dai sensi e dall'intelletto, tornano a
passare per la immaginazione sua, e quindi abbellirsi. Ed egli torna a sperare
682 e desiderare, e vivere, per poi tutto riperdere,
e morire di nuovo, ma più presto assai di prima, se rientra nel mondo.
[717,3]
Nunquam minus solus quam cum solus.
*
Ottimamente
vero: ma (contro quello che si usa
718 credere e dire)
perchè oggidì colui che si trova in compagnia degli uomini, si trova in
compagnia del vero (cioè del nulla, e quindi non c'è maggior solitudine); chi
lontano dagli uomini, in compagnia del falso. Laonde questo detto sebbene antico
e riferito al sapiente, conviene molto più a' nostri secoli, e non al sapiente
solo, ma alla universalità degli uomini, {e massime agli
sventurati.}
(4. Marzo 1821.).
[2471,1] Alla inclinazione da me più volte notata e spiegata
pp. 85-86
p. 230
pp. 339-40
pp. 486-88
pp. 1535-37, che gli uomini hanno a partecipare con altri i loro
godimenti o dispiaceri, e qualunque sensazione alquanto straordinaria, si dee
riferire in parte la difficoltà di conservare il secreto che s'attribuisce
ragionevolmente alle donne e a' fanciulli, e ch'è propria altresì di qualunque
altro è meno capace o per natura o per assuefazione di contrastare e vincere e
reprimere le sue inclinazioni. Ed è anche proprio pur troppe volte degli uomini
prudenti ed esercitati a stare sopra se stessi, i quali ancora provano, se non
altro, qualche difficoltà a tenere il segreto, e qualche voglia interna di
manifestarlo (anche con danno loro), quando sono sull'andare del confidarsi con
altrui, o semplicemente del conversare, o discorrere,
2472 o chiaccherare. {+Dico lo
stesso anche di quando il segreto non è d'altrui ma nostro proprio, e quando
noi vediamo che il rivelarlo fa danno solamente o principalmente a noi, e
come tale, ci eravamo proposto di tacerlo, e poi lo confidiamo per
isboccataggine.}
[2684,1]
2684 L'uomo sarebbe felice se le sue illusioni
giovanili {(e
fanciullesche)} fossero realtà. Queste sarebbero realtà, se
tutti gli uomini le avessero, e durassero sempre ad averle: perciocchè il
giovane d'immaginazione e di sentimento, entrando nel mondo, non si troverebbe
ingannato della sua aspettativa, nè del concetto che aveva fatto degli uomini,
ma li troverebbe e sperimenterebbe quali gli aveva immaginati. Tutti gli uomini
più o meno (secondo la differenza de' caratteri), e massime in gioventù, provano
queste tali illusioni felicitanti: è la sola società, e la conversazione
scambievole, che civilizzando e istruendo l'uomo, e assuefacendolo a riflettere
sopra se stesso, a comparare, a ragionare, disperde immancabilmente queste
illusioni, come negl'individui, così ne' popoli, e come ne' popoli, così nel
genere umano ridotto allo stato sociale. L'uomo isolato non {le} avrebbe mai perdute; ed elle son proprie del giovane in
particolare non tanto a causa del calore immaginativo, naturale a quell'età,
quanto della inesperienza, e del vivere isolato che fanno i giovani. Dunque se
l'uomo avesse continuato a vivere isolato, non avrebbe mai perdute le sue
illusioni giovanili, e tutti gli uomini le
2685
avrebbero e le conserverebbero per tutta la vita loro. Dunque esse sarebbero
realtà. Dunque l'uomo sarebbe felice. Dunque la causa originaria e continua
della infelicità umana è la società. L'uomo, secondo la natura sarebbe vissuto
isolato e fuor della società. Dunque se l'uomo vivesse secondo natura, sarebbe
felice. (Roma 1. Aprile. Martedì di Pasqua.
1823.).
[3410,1] Gli uomini che vivono in solitudine sono
inclinatissimi al metodo. Ma non tanto quelli che nella solitudine sono
occupati, o che perciò appunto vivono in solitudine, (ne' quali, {+siccome in tutti quelli che sono molto
occupati,} il metodo e l'ordine dell'azioni sarebbe ragionevolissimo,
perchè l'ordine così di luogo come di tempo è sempre risparmio dell'uno o
dell'altro, e il disordine al contrario) quanto in quelli che nulla hanno da
fare, come malati cronici, carcerati, vecchi ritirati per cagionevolezza
dell'età, per debolezza, o per abito di pigrizia. Questi sogliono esser metodici
fino all'ultimo eccesso. Pare che l'uomo sia tanto più
3411 geloso di ordinare la sua vita quanto meno ha da occuparla, o
quanto meno la occupa. {Intendo per occupazioni anche le distrazioni gli spassi
ec.} Non potendo o non volendo impiegare il tempo, si occupa a
regolarlo e partirlo e distinguerlo. L'ordinare le sue operazioni diviene
l'unica sua operazione e occupazione. (11. Sett. 1823.). Io {ho} conosciuto uno di questi che dal capo al piè della
giornata non aveva una sola cosa da fare, e lagnavasi della brevità del tempo, e
che il giorno non bastava alle sue occupazioni quotidiane; e perciò sopportava
di mala voglia qualunque straordinaria distrazione o altro, che gli occupasse
alcun poco di tempo. (11. Sett. 1823.)
[3676,1]
3676
Alla p. 3349.
Non è da trascurare una differenza che si trova fra il carattere, {il costume ec.} degli antichi settentrionali e abitatori
de' paesi freddi, e quel de' moderni; differenza maggior di quella che suol
trovarsi generalmente dagli antichi ai moderni. Perocchè gli antichi
settentrionali ci sono dipinti dagli storici per ferocissimi, inquietissimi,
attivissimi non solo di carattere, ma di fatto, {+per impazienti del giogo, sempre vaghi di novità, sempre
macchinanti, sempre ricalcitranti e insorgenti,} e per quasi
assolutamente indomabili e indomiti. Germani, Sciti ec. I moderni al contrario
sono così domabili, che certo niun popolo meridionale lo è altrettanto. E tanto
son lungi dalla ferocia, che non v'ha gente più buona, più mansueta, più
ubbidiente, più tollerante di loro. E se v'ha parte
d'europa dove meno si macchini, e si ricalcitri al
comando, e si desideri novità e si odi la soggezione, ciò è per l'appunto fra i
popoli settentrionali. In questa tanta diversità di effetti hanno certamente
gran parte da un lato la diversità de' governi antico e moderno, dall'altro la
poca coltura del popolo nelle regioni settentrionali. Ma grandissima parte v'ha
certamente ancora la differenza materiale della vita. Gli antichi
3677 settentrionali, mal difesi contra le inclemenze
dell'aria dalle spelonche, proccurantisi il vitto colla caccia (Georg. 3. 370. sqq.
etc.), alcuni anche erranti e senza tetto, come gli Sciti ec., erano
anche più ὑπαίθριοι di vita, che non sono i meridionali oggidì. Introdotti gli
usi e i comodi sociali, i popoli {civilizzati} del Nord
divennero naturalmente i più casalinghi della terra. Niuna cosa rende
maggiormente quiete e pacifiche sì le nazioni che gl'individui, niuna men
cupidi, anzi più nemici di novità, che la vita casalinga e le abitudini
domestiche, le quali affezionano al metodo, rendono contenti del presente ec.
come ho detto ne' pensieri citati in quello a cui questo si riferisce pp. 2752-55
pp. 2926-28. Quindi è
seguíto che non per sole circostanze passeggere e accidentali, come la maggiore
o più divulgata e comune coltura di spirito ec. ma naturalmente e costantemente,
nel sistema di vita sociale, e dopo resa la civiltà comune al nord come al sud,
i popoli del mezzogiorno, come meno casalinghi, sieno
stati, sieno, ed abbiano a essere più inquieti e più attivi di quelli del settentrione, sì d'animo, sì di fatti,
3678 al contrario di quello che porterebbe la pura
natura degli uni e degli altri comparativamente considerata. Ond'è che i
settentrionali moderni e civili sieno in verità molto più diversi e mutati da'
loro antichi, che non sono i meridionali dagli antichi loro, sì di carattere, sì
di usi, di azioni ec.
[4259,5] Pel manuale di
filosofia pratica. A voler vivere tranquillo, bisogna essere occupato
esteriormente. Error mio nel voler fare una vita, tutta e solamente interna, a
fine e con isperanza di esser quieto. Quanto più io era libero da fatiche e da
occupazioni estrinseche, da ogni cura di fuori, fino dalla necessità di parlare
per chiedere il mio bisognevole (tanto che io passava i giorni senza profferire
una sillaba) tanto meno io era quieto nell'animo. Ogni menomo accidente che
turbasse il mio modo e metodo ordinario (e n'accadevano ogni giorno, perchè tali
minuzie sono inevitabili) mi toglieva la quiete. Continui timori e
sollecitudini, per queste ed altre simili baie. Continuo poi il travaglio della
immaginazione, le previdenze spiacevoli, le fantasticherie disgustose, i mali
immaginarii, i timori panici. Gran differenza è dalla fatica e dalla
occupazione, e dalle cure e sollecitudini stesse, alla inquietudine. Gran
differenza dalla tranquillità all'ozio. Le persone massimamente di una certa
immaginazione, le quali essendo per essa molto travagliati negli affari, nella
vita attiva o semplicemente sociale, e molto irresoluti (come nota la Staël nella Corinna a proposito
Lord Nelvil); e le
quali perciò appunto tendono all'amor del metodo, e alla fuga dell'azione e
della società, e alla solitudine;
4260 s'ingannano in
ciò grandemente. Esse hanno più che gli altri, per viver quiete, necessità di
fuggir se stesse, e quindi bisogno sommo di distrazione e di occupazione
esterna. Sia pur con noia. Si annoieranno per esser tranquille. Sia ancora con
afflizioni e con angustie. Maggiori sarebbero quelle che senza alcun fondamento
reale, fabbricherebbe loro inevitabilmente la propria immaginazione nella vita
solitaria, interiore, metodica. Chi tende per natura all'amor del metodo, della
solitudine, della quiete, fugga queste cose più che gli altri, o attenda più a
temperarle co' lor contrarii; se vuol potere veramente esser quieto. Al che lo
aiuterà poi il giudicare e pensar filosoficamente delle cose e dei casi umani.
Ma certo un uom d'affari {{(senz'ombra di filosofia)}}
ha l'animo più tranquillo nella continua folla e nell'affanno delle cure e delle
faccende; e un uom di mondo nel vortice e nel mar tempestoso della società; di
quello che l'abbia un filosofo nella solitudine, nella vita uniforme, e
nell'ozio estrinseco. (Recanati. 24. Marzo.
1827.)
[4138,3] Ad ogni filosofo, ma più di tutto al metafisico è
bisogno la solitudine. L'uomo speculativo e riflessivo, vivendo attualmente, o
anche solendo vivere nel mondo, si gitta naturalmente a considerare e speculare
sopra gli uomini nei loro rapporti scambievoli, e sopra se stesso nei suoi
rapporti cogli uomini. Questo è il soggetto che lo interessa sopra ogni altro, e
dal quale non sa staccare le sue riflessioni. Così egli viene naturalmente ad
avere un campo molto ristretto, e viste in sostanza molto limitate, perchè alla
fine che cosa è tutto il genere umano (considerato solo nei suoi rapporti con se
stesso) appetto alla natura, e nella università delle cose? Quegli al contrario
che ha l'abito della solitudine, pochissimo s'interessa, pochissimo è mosso a
curiosità dai rapporti degli uomini tra loro, e di se cogli uomini; ciò gli pare
naturalmente un soggetto e piccolo e frivolo. Al contrario moltissimo
l'interessano i suoi rapporti col resto della natura, i quali tengono per lui il
primo luogo, come per chi vive nel mondo i più interessanti e quasi soli
interessanti rapporti sono quelli cogli uomini; l'interessa la speculazione e
cognizion di se stesso come se stesso; degli uomini come parte dell'universo;
della
4139 natura, del mondo, dell'esistenza, cose per
lui (ed effettivamente) ben più gravi che i più profondi soggetti relativi alla
società. E in somma si può dire che il filosofo e l'uomo riflessivo coll'abito
della vità[vita] sociale non può quasi a meno di
non essere un filosofo di società (o psicologo, o politico ec.) coll'abito della
solitudine riesce necessariamente un metafisico. E se da prima egli era filosofo
di società, da poi, contratto l'abito della solitudine, a lungo andare egli si
volge insensibilmente alla metafisica e {finalmente} ne
fa il principale oggetto dei suoi pensieri e il più favorito e grato. (12.
Maggio. Festa dell'Ascensione. 1825.).
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