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12. Maggio. Festa dell'Ascensione. 1825.

[4138,3]  Ad ogni filosofo, ma più di tutto al metafisico è bisogno la solitudine. L'uomo speculativo e riflessivo, vivendo attualmente, o anche solendo vivere nel mondo, si gitta naturalmente a considerare e speculare sopra gli uomini nei loro rapporti scambievoli, e sopra se stesso nei suoi rapporti cogli uomini. Questo è il soggetto che lo interessa sopra ogni altro, e dal quale non sa staccare le sue riflessioni. Così egli viene naturalmente ad avere un campo molto ristretto, e viste in sostanza molto limitate, perchè alla fine che cosa è tutto il genere umano (considerato solo nei suoi rapporti con se stesso) appetto alla natura, e nella università delle cose? Quegli al contrario che ha l'abito della solitudine, pochissimo s'interessa, pochissimo è mosso a curiosità dai rapporti degli uomini tra loro, e di se cogli uomini; ciò gli pare naturalmente un soggetto e piccolo e frivolo. Al contrario moltissimo l'interessano i suoi rapporti col resto della natura, i quali tengono per lui il primo luogo, come per chi vive nel mondo i più interessanti e quasi soli interessanti rapporti sono quelli cogli uomini; l'interessa la speculazione e cognizion di se stesso come se stesso; degli uomini come parte dell'universo; della  4139 natura, del mondo, dell'esistenza, cose per lui (ed effettivamente) ben più gravi che i più profondi soggetti relativi alla società. E in somma si può dire che il filosofo e l'uomo riflessivo coll'abito della vità[vita] sociale non può quasi a meno di non essere un filosofo di società (o psicologo, o politico ec.) coll'abito della solitudine riesce necessariamente un metafisico. E se da prima egli era filosofo di società, da poi, contratto l'abito della solitudine, a lungo andare egli si volge insensibilmente alla metafisica e {finalmente} ne fa il principale oggetto dei suoi pensieri e il più favorito e grato. (12. Maggio. Festa dell'Ascensione. 1825.).