Vocabolario universale, proposto all'Europa.
Universal lexicon, suggested to Europe.
Vedi Tecniche o scientifiche (voci). See Technical or scientific (terms). 1213,1 1233,1 1237,1 1238,2 1316,1 1317,1 1422,2 1424,1 1465,1 1467,1.2 1468,1 1520,2 1533,1 1843,1 1977-8 2400,2 2594,1 2611,2 2721,1-4 3192,1 3235,2 3764,1 4102,5[1213,1] Da qualche tempo tutte le lingue colte di
europa hanno un buon numero di voci comuni, massime
in politica e in filosofia, ed intendo anche quella filosofia che entra
tuttogiorno nella conversazone, fino nella conversazione o nel discorso meno
colto, meno studiato, meno artifiziato. Non parlo poi delle voci pertinenti alle
scienze, dove quasi tutta l'europa conviene. Ma una
grandissima parte di quelle parole che esprimono cose più sottili, e dirò così,
più spirituali di quelle che potevano arrivare ad esprimere le lingue antiche e
le nostre medesime ne' passati secoli; ovvero esprimono le stesse cose espresse
in dette lingue, ma più sottilmente e finamente, secondo il progresso e la
raffinatezza delle cognizioni e della metafisica e della scienza dell'uomo in
questi ultimi tempi; {+e in somma tutte o
quasi tutte quelle parole ch'esprimono precisamente un'idea al
tempo stesso sottile, e chiara o almeno perfetta ed intera;}
grandissima parte, dico, di queste voci, sono le stesse in tutte le lingue colte
d'europa, eccetto piccole modificazioni particolari,
per lo più nella desinenza. Così che vengono a formare una specie di piccola
lingua, o un vocabolario, strettamente universale. E dico strettamente
universale, cioè non come è universale la lingua francese, ch'è lingua
secondaria
1214 di tutto il mondo civile. Ma questo
vocabolario ch'io dico, è parte della lingua primaria e propria di tutte le
nazioni, e serve all'uso quotidiano di tutte le lingue, e degli scrittori e
parlatori di tutta l'europa colta. Ora la massima parte
di questo vocabolario {universale} manca affatto alla
lingua italiana accettata e riconosciuta per classica e pura; e quello ch'è puro
in tutta l'europa, è impuro in
italia. Questo è voler veramente e consigliatamente
{metter} l'italia fuori di
questo mondo e fuori di questo secolo. Tutto il mondo civile facendo oggi quasi
una sola nazione, è naturale che le voci più importanti, ed esprimenti le cose
che appartengono all'intima natura universale, sieno comuni, ed uniformi da per
tutto, come è comune ed uniforme una lingua che tutta
l'europa adopera oggi più universalmente e
frequentemente che mai in altro tempo, appunto per la detta ragione, cioè la
lingua francese. E siccome le scienze sono state sempre uguali dappertutto (a
differenza della letteratura), perciò la repubblica scientifica diffusa per
tutta l'europa ha sempre avuto una nomenclatura
universale ed uniforme nelle lingue le più difformi, ed intesa da per tutto
egualmente. Così sono oggi uguali (per necessità e per natura del tempo) le
cognizioni metafisiche, filosofiche, politiche ec. la cui massa e il cui sistema
semplicizzato e uniformato, è comune oggi
1215 più o
meno a tutto il mondo civile; naturale conseguenza dell'andamento del secolo.
Quindi è ben congruente, e conforme alla natura delle cose, che almeno la
massima parte del vocabolario che serve a trattarle ed esprimerle, sia uniforme
generalmente, tendendo oggi tutto il mondo a uniformarsi. E le lingue sono
sempre il termometro de' costumi, delle opinioni ec. delle nazioni e de' tempi,
e seguono per natura l'andamento di questi.
[1233,1] Quello che ho detto pp. 1213.
sgg.
pp. 1221-22 de' termini
filosofici comuni oggi a tutta europa, bisogna anche
estenderlo ai nomi appartenenti al commercio, alle arti, alle manifatture, agli
oggetti di lusso ec. ec. che da qualunque lingua e nazione abbiano ricevuto il
nome, lo conservano in gran parte per tutte le lingue e nazioni, e così è sempre
accaduto. Quanto però al Vocabolario ch'io propongo, il comprendervi questi
nomi, sarebbe anche meno necessario di quelli appartenenti alle scienze esatte o
materiali. (28. Giugno 1821.).
[1237,1]
1237 Nè solamente col progresso dello spirito umano si
sono distinte e denominate le diverse parti componenti un'idea che gli antichi
linguaggi denominavano con una voce complessiva di tutte esse parti, o idee
contenute; ma anche si sono distinte e denominate con diverse voci non poche
idee che per essere in qualche modo somiglianti, o analoghe ad altre idee, non
si sapevano per l'addietro distinguer da queste, e si denotavano con una stessa
voce, benchè fossero essenzialmente diverse e d'altra specie o genere. V. p. e.
quello che ho detto p. 1199-200.
circa il bello, e quello ch'essendo piacevole alla vista, non è però bello, nè
appartiene alla sfera della bellezza, benchè ne' linguaggi comuni, si chiami
bello, e l'intelletto volgare non lo distingua dal vero bello.
[1238,2] Già non accade avvertire che tali parole universali
in europa, non riuscirebbero nè nuove, nè per verun conto
più difficili, oscure, incerte ai lettori italiani, di quello riescono agli
stranieri, non ostante che in italia non sieno
riconosciute per proprie della lingua, cioè per voci pure, nè ammesse ne'
Vocabolari. E di questo è cagione 1. l'uso giornaliero
1239 del parlare italiano, il quale vorrei che non avesse altro di
forestiero e di barbaro, che l'uso di siffatte parole. 2. l'uso di molti
scrittori italiani moderni, i quali parimente vorrei che non meritassero altro
rimprovero fuorchè di avere adoperato tali voci. 3. l'intelligenza e l'uso del
francese, familiare agl'italiani come agli altri, dal qual francese son
derivate, o nel quale son ricevute e comuni, e per via e mezzo del quale ci sono
ordinariamente pervenute o tutte o quasi tutte simili parole. Circostanza
notabile e favorevolissima all'introduzione di tali voci in nostra lingua,
mentre quasi tutte le moderne cognizioni, colle voci loro appartenenti, ci
vengono pel canale di una lingua sorella, e già ridotte in forma facilmente
adattabile al nostro idioma, massime dopo averci familiarizzato l'orecchio
mediante l'uso fattone da essa lingua 1o. sì comune in
italia
{e per tutto,} 2o. sì affine alla nostra (29.
Giugno, dì di S.
Pietro. 1821.).
[1316,1] La nostra lingua ha, si può dire, esempi di tutti
gli stili, e del modo nel quale può essere applicata a tutti i generi di
scrittura: fuorchè al genere filosofico moderno e preciso. Perchè vogliamo noi
ch'ella manchi e debba mancare di questo, contro la sua natura, ch'è di essere
adattata anche a questo, perchè è adatta a tutti gli stili? Ma nel vero,
quantunque l'esito sia certo, non s'è fatta mai la prova di applicare la buona
lingua italiana al detto genere, eccetto ad alcuni generi scientifici
1317 negli scritti del Galilei del Redi, e pochi
altri; ed alla politica, negli scritti del Machiavelli, e di qualche altro antico, riusciti perfettamente quanto
alla lingua, ed in ordine alla materia, quanto comportavano i tempi e le
cognizioni d'allora. Ma a {quel} genere filosofico che
possiamo generalmente chiamare metafisico, e che abbraccia la morale,
l'ideologia, la psicologia (scienza de' sentimenti, {delle
passioni} e del cuore umano) {+la logica, la politica più sottile,} ec. non è stata mai applicata la
buona lingua italiana. Ora questo genere è la parte principalissima e quasi il
tutto degli studi e della vita d'oggidì. (13. Luglio 1821.).
[1317,1] I termini della filosofia scolastica possono in gran
parte servire assaissimo alla moderna, o presi nel medesimo loro significato
(quantunque la moderna avesse altri equivalenti), il che non farebbe danno alla
precisione, essendo termini conosciuti nel loro preciso valore; o torcendolo un
poco senz'alcun danno della chiarezza ec. E questi termini si confarebbero
benissimo all'indole della lingua italiana, la quale ne ha già tanti, {e} i cui scrittori antichi, cominciando da Dante, hanno tanto adoperato detta
filosofia, ed introdottala nelle scritture più colte ec. oltre che derivano
tutti o quasi tutti dal latino,
1318 o dal greco
mediante il latino ec. Anche per questa parte ci può essere utilissimo lo studio
del latino-barbaro, ed io so per istudio postoci, quanti di detti termini,
andati in disuso, rispondano precisamente ad altri termini della filosofia
moderna, che a noi suonano forestieri e barbari; e possano essere precisamente
intesi da tutti nel senso de' detti termini recenti: e così quanti altri ve ne
sarebbero adattatissimi, {e utilissimi,} ancorchè non
abbiano oggi gli equivalenti ec. ec. {anzi tanto più.}
Aggiungete che benchè andati in disuso negli scrittori filosofi moderni, gran
parte di detti termini è ancora in uso nelle scuole, o in parte di esse, e per
questa e per altre ragioni, sono di universale e precisa e chiara intelligenza.
(13. Luglio 1821.)
{{v. p.
1402.}}
[1422,2] Figuriamoci la parola commercio in quel senso preciso, e al tempo stesso vastissimo, nel
quale tutto il mondo l'adopra oggidì, nel quale tanto se ne scrive, nel quale
tutti i filosofi considerano e trattano questo soggetto. La
Crusca non porta esempio di questa parola in questo senso,
{e veramente ella in tal senso non è classica.} Noi
abbiamo la voce {{classica,}}
mercatura che secondo l'etimologia ec. vale a presso a
poco lo stesso. Or dunque sarebb'egli ben detto, le forze,
gli effetti, la scienza della mercatura, in vece del commercio? Produrremmo noi quell'idea precisa ec. che produce
questa seconda voce? l'idea di quella cosa che (si può dire) nel
1423 passato secolo, si è ridotta a scienza, e fa tanta
parte delle considerazioni del filosofo, e ha tanta influenza sullo stato delle
nazioni, e del genere umano? Signor no: e s'io dirò, Principalissima sorgente di civiltà si è la mercatura, in
cambio di dire il commercio, non solamente non sarò
bene inteso nè dagli stranieri nè dagl'italiani, ma sarò deriso dagli uni e
dagli altri, e massime da questi. E se le {sue}
Lezioni di
commercio il nostro Genovesi le avesse intitolate Lezioni
di mercatura, avremmo noi medesimi potuto ben rilevare dal titolo il
soggetto dell'opera? {Così dico del Saggio sopra il
Commercio dell'Algarotti.} Ecco quanto importi l'attenersi
precisamente alle parole ricevute, e dalla convenzione precisamente applicate,
massime in fatto di scienze ec. quando anche s'abbiano parole più eleganti, più
classiche, e che in altri casi si possano benissimo adoperare in luogo delle più
comuni, come accade di mercatura, che si può bene
adoperare in molti casi, come si adopera traffico ec.
ma non dove il soggetto domanda quella precisione di significato ch'è propria
della voce Europea, commercio. (31.
1424 Luglio. 1821.). {{V. p.
1427.}}
[1424,1]
Ogni scienza, e ogni arte ha li suoi termini, e
vocaboli,
*
dice il Davanzati nella Notizia de' Cambj,
(Bassano 1782. p. 92.) il quale però chiama
Mercatura quello che noi Commercio. Molto più saranno importanti e da rispettarsi quei vocaboli
che servono di nome alla scienza o all'arte, come qui. (31. Luglio
1821.).
[1465,1] Le pazze filosofie degli antichi, la stessa
scolastica, lasciando tutto il resto, hanno sommamente, e forse principalmente
giovato al progresso dello spirito umano, in che? riguardo ai nomi. Le profonde
meditazioni, le acutissime sofisticherie, il lambiccarsi il cervello, circa le
astrazioni, le qualità occulte, ed altri sogni, ci hanno dato la denominazione e
quindi la fissazione d'idee prime, elementari, secretissime, difficilissime
1466 a concepire, a definire, ad esprimere, ma tanto
necessarie, usuali ec. che senza tali nomi la filosofia non sarebbe ancor nulla.
Astratto, {e}
concreto, essenza, sostanza e accidente, e tali altri termini
d'ontologia, logica ec. Che sarebbe il pensiero dell'uomo s'egli non avesse idea
chiara di tali ripostissime, ma universalissime cose? e come l'avrebbe senza i
nomi? i quali dopo sì piene rivoluzioni della filosofia ec. sono e saranno pur
sempre in bocca de' filosofi. Ma certo la difficoltà d'inventarli è stata somma,
e tale che la filosofia moderna forse non ne sarebbe stata capace. E mentre le
{idee} più difficili a concepirsi chiaramente,
definirsi col pensiero, e nominarsi, sono le più elementari, certo è che la
filosofia qualunque, non potrà mai concepire nè significare idee più elementari
di queste. Utilissima per questo lato, è stata la stessa teologia, che ha
maggiormente diffuse e popolarizzate
tali parole, ed altre ne ha trovate, assuefacendo, ed affezionando, ed eccitando
lo spirito umano alle astrazioni, con tali stimoli,
1467 che nessun'altra disciplina avrebbe potuto altrettanto, nè verun'altra
circostanza come quella delle dispute teologiche, dove prendevano parte i
principi e le nazioni, e degli studi teologici che interessarono per sì lungo
tempo tutta la vita umana, e tutto lo stato del mondo civile. E quanto ho detto
altrove [pp. 641-43]
[pp. 1317-18] circa
l'utilità che si può cavare dal linguaggio scolastico de' filosofi ec. intendo
pur dirlo del teologico, d'ogni specie, dommatico, morale, scolastico, ec.
(7. Agos. 1821.).
[1468,1] La detta applicazione non credo che sia stata mai
fatta, almeno sufficientemente. Quando il Cartesio imprese la riforma della vecchia filosofia, dovette, secondo
la qualità di que' tempi (e pur troppo di tutti i tempi) entrare in guerra
aperta colle scuole d'allora: e il mondo avrebbe stimato ch'egli prevaricasse, o
desse indizio di povertà o fiacchezza, se avesse voluto servirsi più che tanto
del linguaggio de' suoi nemici. Così appoco appoco, prevalendo la nuova
dottrina, non più a causa della ragione, che della novità, e dismessa la vecchia
filosofia, nessuno ebbe cura bastante di cernere il buono dal cattivo, e
gittando questo, conservare o richiamar quello, massime circa il linguaggio. In
ordine alla teologia molto peggio. La teologia s'è abbandonata {+da chiunque ora influisce cogli studi
sullo spirito d'europa ec.} non per migliorarla
o rinnovarla, ma del tutto, come scienza vecchia, e
1469 quasi come l'alchimia. Ora quanto sia il numero degli scrittori e pensatori
teologici diversissimi di tempo, di paese, di lingua, di opinioni ancora e di
sistemi e di sette, e conseguentemente quanta debba esser la ricchezza del
linguaggio di questa scienza, linguaggio tutto astratto perchè la scienza è
tale, linguaggio che s'è tutto abbandonato e dimenticato insieme con lei,
facilmente si comprende. (8. Agos. 1821.).
[1520,2] E quindi ancora si conferma quello che altrove ho
sostenuto pp. 1422-23
pp.
1427-29, che trattandosi di parole il cui pregio consiste nella
precisione del significato, e che denno suscitare universalmente quella tal
precisa idea (come in fatto di parole filosofiche, scientifiche ec.); è
perniciosissimo il mutarle, e sostituir loro una parola che in altra lingua paia
sinonima ad essa
1521 quanto si voglia. Non lo sarà mai
perfettamente, e la precisione e l'universalità di quell'idea si perderà, se
vorrassi staccarla dalla parola, che le appropriò la nazione che ritrovò o
determinò e rese chiara la detta idea. (18. Agos. 1821.)
[1533,1] Chi non crederebbe che il significato francese della
parola genio non fosse al tutto
1534 moderno? Eppure nel seg. passo di Sidonio
(Panegyr. ad Anthem. v. 190. seqq.)
io non so in qual altro senso, che in questo o simile, si possa intendere.
Qua Crispus brevitate placet, quo pondere Varro,
Quo genio Plautus, quo fulmine * {#(a) altri meglio, flumine} Quintilianus,
Qua pompa Tacitus numquam sine laude loquendus. *
Se pur non volesse dire piacevolezza, e una cosa simile a quella che esprime talvolta l'italiano genio, e in questo senso pure non si troverebbe presso gli antichi scrittori. V. però il Forcell. e il Ducange. (20. Agos. 1821.).
Qua Crispus brevitate placet, quo pondere Varro,
Quo genio Plautus, quo fulmine * {#(a) altri meglio, flumine} Quintilianus,
Qua pompa Tacitus numquam sine laude loquendus. *
Se pur non volesse dire piacevolezza, e una cosa simile a quella che esprime talvolta l'italiano genio, e in questo senso pure non si troverebbe presso gli antichi scrittori. V. però il Forcell. e il Ducange. (20. Agos. 1821.).
[1843,1] Tutta l'europa e tutte le
colte lingue hanno riconosciuto la lingua greca per fonte comune alla quale
attingere le parole necessarie per significare esattamente le nuove cose, per
istabilire, formare,
1844 ed uniformare le nuove
nomenclature d'ogni genere, o perfezionarle e completarle ec. Sola
l'italia ricusa di conformarsi a questo costume; dico
l'italia che non si sa in che consista, perchè i suoi
figli vi si uniformano come gli altri; ma ciò ch'essi fanno in questo
particolare, non si vuol riconoscere dall'universalità della nazione (o da'
pedanti) come bene e convenientemente fatto in punto di lingua, {+all'opposto di ciò che accade nelle altre
nazioni.} Convengo che quando in luogo di una parola greca ch'è sempre
straniera per noi, si possa far uso di una parola italiana o nuova o nuovamente
applicata, che perfettamente esprima la nuova cosa, questa si debba preferire a
quella; (purchè la greca o altra qualunque non sia universalmente prevalsa in
modo che sia immedesimata coll'idea, e non si possa toglier quella senza
distruggere o confondere o alterar questa; giacchè in tal caso una diversa
parola, per nazionale, espressiva, propria, esatta, precisa ch'ella fosse, non
esprimerebbe mai la stessa idea, se non dopo un lungo uso ec. e
fratanto[frattanto] non saremmo intesi.) Ma
fuori di
1845 questo caso che di rarissimo si verifica,
perchè l'italia sola vorrà rinunziare primo al costume
generale di questo e d'altri secoli e dell'europa, che
avrebbe diritto di farsi adottare quando anche non fosse necessario nè buono;
secondo al benefizio universale di quella maravigliosa lingua, che benchè morta
da tanti secoli, somministra perpetuamente il bisognevole a denominare e
significare appuntino tutto ciò che vive, e tutto ciò che nasce o si scuopre o
nuovamente si osserva nel mondo? (5. Ott. 1821.).
[1975,1] Un uomo di forte e viva immaginazione, avvezzo a
pensare ed approfondare, in un punto di straordinario e passeggero vigore
corporale, di entusiasmo, {+di
disperazione, di vivissimo dolore o passione qualunque, di pianto, insomma di
quasi ubbriachezza, e furore,} ec. scopre delle verità che molti
secoli non bastano alla pura e fredda e geometrica ragione per iscoprire; e che
annunziate da lui non sono ascoltate, ma considerate come sogni, perchè lo
spirito umano manca tuttavia delle condizioni necessarie per sentirle, e
comprenderle come verità, e perch'esso non può universalmente fare in un punto
tutta la strada che ha fatto quel pensatore, ma segue necessariamente la sua
marcia, e il suo progresso gradato, senza sconcertarsi. Ma l'uomo in quello
stato vede tali rapporti, passa da una proposizione all'altra così rapidamente,
ne comprende così vivamente e facilmente il legame, accumula in un momento
1976 tanti sillogismi, e così ben legati e ordinati, e
così chiaramente concepiti, che fa d'un salto la strada di più secoli. E forse
esso stesso dopo quel punto, non crede più alle verità che allora avea concepite
e trovate, cioè o non si ricorda, o non vede più con egual chiarezza, i
rapporti, le proposizioni, i sillogismi, e le loro concatenazioni che l'avevano
portato a quelle conseguenze. Il mondo alla fine è sempre in istato di freddo, e
le verità scoperte nel calore, per grandi che siano non mettono radici nella
mente umana, finchè non sono sanzionate dal placido progresso della fredda
ragione, arrivata che sia dopo lungo tempo a quel segno. Grandi verità
scoprivano certamente gli antichi colla lor grande immaginazione, grandi salti
facevano nel cammino della ragione, ridendosi della lentezza, e degl'infiniti
mezzi che abbisognano al puro raziocinio ed esperienza per avanzarsi
altrettanto, grandi spazi occupati poi da' loro posteri, preoccupavano essi e
1977 conquistavano in un baleno, ma questi
progressi restavano necessariamente individuali, perchè molto tempo abbisognava
a renderli generali; queste conquiste non si conservavano, anzi erano piuttosto
viaggi che conquiste, perchè l'individuo penetrava solamente in quei nuovi
paesi, e li riconosceva, senza esser seguito dalla moltitudine che vi stabilisse
il suo dominio; i progressi de' grandi individui non giovavano gli uni agli
altri, perchè mancanti di una disposizione generale e comune nel mondo, che li
rendesse intelligibili gli uni agli altri, mancanti anche di una lingua atta a
stabilire, dar corpo, determinare e render a tutti egualmente chiaro quello che
ciascun individuo scopriva. Così che gli antichi grandi spiriti penetravano
nelle terre della verità, ciascuno isolatamente, e senza aiutarsi l'un l'altro,
e quando anche si scontrassero nel cammino, o giungessero ad un medesimo
1978 punto, e quivi casualmente si riunissero, non si
riconoscevano; e tornati dalla loro corsa, e narrandola altrui, non
s'accorgevano di dir le stesse cose, nè il pubblico se n'avvedeva, perchè non le
dicevano allo stesso modo, mancando di un linguaggio filosofico, uniforme; oltre
che le stesse ragioni che impedivano all'universale di riconoscere quelle
proposizioni per pienamente vere, gl'impediva altresì di scoprire l'uniformità
che esisteva tra le proposizioni e i sentimenti di questo e di quel grand'uomo.
E così le grandi scoperte de' grandi antichi, appassivano, e non producevano
frutto, e non erano applicate, mancando i mezzi e di coltivarle, e di aiutare e
legare una verità coll'altra mediante il commercio de' pensieri, e della società
pensante. (23. Ott. 1821.).
[2400,2] Rinunziare o sbandire una nuova parola o una sua
nuova significazione (per forestiera o barbara ch'ella sia), quando la nostra
lingua non abbia l'equivalente, o non l'abbia così precisa, e ricevuta in quel
proprio e determinato senso; non è altro e non può esser meno che rinunziare o
sbandire, e trattar da barbara o illecita una nuova idea, e un nuovo concetto
dello spirito umano. (18. Aprile, Giovedì in Albis, 1822.).
[2594,1] Ho detto altrove p. 111
pp. 950-52
pp. 1704 che le voci greche nelle lingue nostre non sono altro che
termini (in proporzione però del tempo da ch'elle vi sono introdotte: p. e. filosofia e tali altre voci greche venuteci mediante
il latino, sono alquanto più che termini), cioè ch'elle non esprimono se non se
una pura idea, senz'alcun'altra concomitante. Per questa ragione appunto, oltre
le altre notate altrove, le voci greche sono infinitamente a proposito nelle
nostre scuole e scienze, perocch'elle rappresentano costantemente e
schiettamente quella nuda, secca e semplicissima idea alla quale sono state
appropriate; e perciò servono alla precisione
2595
molto meglio di quello che possano mai fare le voci tolte dalle proprie lingue,
le quali voci benchè fossero formate, composte ec. di nuovo, sempre porterebbero
seco qualche idea concomitante. Ma per questa medesima ragione le voci greche
sono intollerabili nella bella letteratura (barbare poi nella poesia, benchè i
francesi si facciano un pregio, un vezzo e una galanteria d'introdurcele), dove
intollerabili sono le idee secche e nude, o la secca e nuda espressione delle
idee. (6. Agosto 1822.).
[2611,2] Non basta che lo scrittore sia padrone del proprio
stile. Bisogna che il suo stile sia padrone delle cose: e in ciò consiste la
perfezion dell'arte, e la somma qualità dell'artefice. Alcuni de' pochissimi che
meritano nell'italia moderna il nome di scrittori (anzi
tutti questi pochissimi), danno a vedere di essere padroni dello stile: vale a
dir che il loro stile è fermo, uguale, non traballante, non sempre sull'orlo di
precipizi, {+non incerto, non legato e
retreci, come quello di tutti gli altri nostri
moderni, francesisti o no, ma libero e sciolto e facile, e che si sa
spandere e distendere e dispiegare e scorrere,} sicuro di non dir
quello che lo scrittore non vuole intendere, sicuro di non dir nulla in quel
modo che lo scrittore non lo vuol dire, sicuro di non dare in un altro stile, di
non cadere in una qualità che lo scrittore voglia evitare; procede a piè saldo
senza inciampare nè dubitare di se stesso, {non va a
trabalzoni, ora in cielo ora in terra, or qua or là,} ec. Tutte queste
qualità nel loro stile si trovano, e si dimostrano, cioè si fanno sentire al
lettore. Questi tali son padroni del loro stile. Ma il loro stile non è padrone
delle cose, vale
2612 a dir che lo scrittore non è
padrone di dir nel suo stile tutto ciò che vuole, o che gli bisogna dire, {o di dirlo pienamente e perfettamente:} e anche questo
si fa sentire al lettore. Perciocchè spessissimo occorrendo loro molte cose che
farebbero all'argomento, al tempo, {ec.} che sarebbero
utili o necessarie in proposito, e ch'essi desidererebbero dire, e concepiscono
perfettamente, e forse anche originalmente, e che darebbero luogo a pensieri
notabili e belli; essi scrittori, ben conoscendo questo, tuttavia le fuggono, o
le toccano di fianco, e di traverso, e se ne spacciano pel generale, o ne dicono
sola una parte, sapendo ben che tralasciano l'altra, e che sarebbe bene il
dirla, o in somma non confidano o disperano di poterle dire o dirle pienamente
nel loro stile. La qual cosa non è mai accaduta ai veri grandi scrittori, ed è
mortifera alla letteratura. E per ispecificare; i detti scrittori sono e si
mostrano sicuri di non dare nel francese (cioè in quel cattivo italiano che è
proprio del nostro tempo, e quindi naturale anche a loro, anzi solo naturale),
ma non sono nè si mostrano sicuri di
2613 poter dire
nel buono italiano tutto quello che loro occorra; {come lo
erano i nostri antichi.} Anzi lasciano ottimamente sentire, che molte
cose quasi necessarie, e delle quali si compiacerebbero se le {avessero potuto e saputo} dire nel buono italiano, e la
cui mancanza si sente, e che molte volte sono anche notissime a tutti in questo
secolo, essi le tralasciano avvertitamente, e le dissimulano, almeno da qualche
necessaria parte, e se ne mostrano o ignoranti, o poco istruiti, o di non averle
concepite, quando pur l'hanno fatto anche più degli altri, e che in somma non
ardiscono dirle per timore di offendere il buono italiano e il proprio stile. Il
qual timore e la quale impotenza assicurerebbe alla letteratura {e filosofia} italiana di non dar mai più un passo
avanti, e di non dir mai più cosa nuova, come pur troppo si verifica nel fatto.
(27. Agosto. 1822.).
[3192,1] Per li nostri pedanti il prender noi dal francese o
dallo spagnuolo voci o frasi utili o necessarie, non è giustificato dall'esempio
de' latini classici che altrettanto
faceano dal greco, come Cicerone
massimamente e Lucrezio, nè
dall'autorità di questi due e di Orazio nella Poetica, che espressamente difendono e lodano il farlo.
Perocchè i nostri pedanti coll'universale dei dotti e degl'indotti tengono la
lingua greca per madre della latina. Ma hanno a sapere ch'ella non fu madre
della latina, ma sorella, nè più nè meno che la francese e la spagnuola sieno
sorelle dell'italiana. Ben è vero che la greca letteratura e
3193 filosofia fu, non sorella, ma propria madre della {+letteratura e filosofia} latina.
Altrettanto però deve accadere alla filosofia italiana, e a quelle parti
dell'italiana letteratura che dalla filosofia debbono dipendere o da essa
attingere, per rispetto {alla} letteratura e filosofia
francese. La quale dev'esser madre della nostra, perocchè noi non l'abbiamo del
proprio, stante la singolare inerzia d'italia nel secolo
in che le {altre} nazioni
d'europa sono state e sono più attive che in
alcun'altra. E voler creare di nuovo e di pianta la filosofia, e quella parte di
letteratura che affatto ci manca (ch'è la letteratura propriamente moderna);
oltre che dove sono gl'ingegni da questa creazione? ma quando anche vi fossero,
volerla creare dopo ch'ella è creata, e ritrovare dopo trovata ch'ell'è da più
che un secolo, e dopo cresciuta e matura, e dopo diffusa e abbracciata e
trattata continuamente da tutto il resto d'europa del
pari; sarebbe cosa, non sola[solo] inutile, ma
stolta e dannosa, mettersi a bella posta lunghissimo tratto addietro degli
3194 altri in una medesima carriera, volersi collocare
sul luogo delle mosse quando gli altri sono già corsi tanto spazio verso la
meta, ricominciare quello che gli altri stanno perfezionando; e sarebbe anche
impossibile, perchè nè i nazionali nè i forestieri c'intenderebbono se volessimo
trattare in modo affatto nuovo le cose a tutti già note e familiari, e noi non
ci cureremmo di noi stessi, e lasceremmo l'opera, vedendo nelle nostre mani
bambina e schizzata, quella che nelle altrui è universalmente matura e colorita;
e questo vano rinnovamento piuttosto ritarderebbe e impaccerebbe di quel che
accelerasse e favorisse gli avanzamenti della filosofia, e letteratura moderna e
filosofica. Erano ben altri ingegni tra' latini al tempo che s'introdussero e
crebbero gli studi nel Lazio; ben altri ingegni, dico,
che oggi in italia non sono. Nè però essi vollero
rinnovare nè la filosofia nè la letteratura (la quale essendo allora poco
filosofica, si potea pur variare passando a nuova nazione), ma trovando l'una e
l'altra in alto stato, e grandissimamente avanzate e mature appresso i
3195 greci, da questi le tolsero, e gli altrui
ritrovamenti abbracciarono e coltivarono; e ricevuti e coltivati che gli ebbero,
allora, secondo l'ingegno di ciascheduno e l'indole della nazione, de' costumi,
del governo, del clima, della lingua, delle opinioni romane, modificarono ed
ampliarono le cose da' greci trovate, e diedero loro abito e viso e attitudini
domestiche e nuove. Se vuol dunque l'italia avere una
filosofia ed una letteratura moderna e filosofica, le quali finora non ebbe mai,
le conviene di fuori pigliarle, non crearle da se; e di fuori pigliandole, le
verranno principalmente dalla Francia (ond'elle si sono
sparse anche nelle altre nazioni, a lei molto meno vicine e di luogo e di clima
{e di carattere} e di genio e di lingua ec. che
l'italiana), e vestite di modi, forme, frasi e parole francesi (da tutta
l'europa universalmente accettate, e da buon tempo
usate): dalla Francia, dico, le verrà la filosofia e la
moderna letteratura, come altrove ho ragionato pp. 1029-30, e
volendole ricevere, nol potrà altrimenti che ricevendo {altresì} assai parole e frasi {di là,} ad
esse intimamente e indivisibilmente spettanti e fatte proprie;
3196 siccome appunto convenne fare ai latini {delle voci e frasi greche} ricevendo la greca
letteratura e filosofia; e il fecero senza esitare. E noi colla stessa
giustificazione, ed anche col vantaggio della stessa facilità il faremo, essendo
la lingua lingua francese sorella dell'italiana siccome della latina il fu la
greca, e producendo la filosofia e la filosofica letteratura francese una
letteratura moderna ed una filosofia italiana, siccome già la greca nel
Lazio. E tanto più saremo fortunati degli altri
stranieri che dal francese attinsero voci e modi per la filosofia e letteratura,
quanto che noi nel francese avremo una lingua sorella, e non, com'essi, aliena e
di diversissima origine. (18. Agos. 1823.). {Noi sappiamo bene qual {e che
cosa} sia questa lingua latina madre dell'italiana, e possiamo
definitamente additarla, e mostrarla tutta intera. Ma dir che la teutonica o
la slava o simili è madre della tedesca o della russa ec., è quasi un dire
in aria, benchè sia vera, nè quelli possono definitamente additarci quale
individualmente sia questa lor lingua madre, nè, se non confusamente e per
laceri avanzi, mostrarcela.}
[3235,2]
Platone nel Sofista
verso il fine, edizione dell'Astio, opp. di Plat.
Lips. 1819. sgg. t. 2. p. 362. v. 3. sgg. A. penult.
pagina del Dialogo. {+Πόϑεν οὖν ὄνομα ἑκατέρῳ τις ἂν λήψεται πρέπον; ἢ
δῆλον δὴ χαλεπὸν ὄν, διότι τῆς} τῶν γενῶν κατ᾽ εἴδη διαιρέσεως
παλαιά τις, ὡς ἔοικεν, αἰτία
*
(ἴσ. ἀηδία. Ast.) τοῖς
ἔμπροσϑεν καὶ ἀξύννους παρῆν, ὥστε μηδ᾽ ἐπιχειρεῖν μηδένα διαιρεῖσϑαι∙
καϑὸ δὴ τῶν ὀνομάτων ἀνάγκη μὴ σϕόδρα εὐπορεῖν
*
;
3236
Unde iam nomen utrique eorum
quisquam arripiet conveniens? an dubium non est quin difficile sit,
propterea quod ad generum in species distributionem vetustam
quandam, ut videtur, et inconsideratam superiores habebant
offensionem atque fastidium, ita ut ne conaretur quidem ullus
dividere; quocirca etiam nomina non satis nobis possunt in promptu
esse?
*
Astius. Vuol
dir Platone e si lagna, che gli antichi
greci (e così tutti gli antichi d'ogni nazione) ebbero poche idee elementari,
onde la loro lingua (e così tutte le lingue fino a una perfetta maturità e
coltura, e fino che la nazione non filosofa) mancava di termini esatti, e
sufficienti ai bisogni del dialettico {massimamente} e
del metafisico. Ond'è che Platone il
quale volle sottilmente filosofare, ed esercitare l'esatto raziocinio, e
considerare profondamente la natura delle cose, fu arditissimo nel formare de'
termini di questa fatta, ed abbonda sommamente di voci nuove e sue proprie,
esatte e logiche ovvero ontologiche, {#1.
Vedi la pref. di Timeo al suo Lessico Platonico
appo il Fabric.
B. G. edit. vet. 9. 419.} che da niuno altro
si trovano adoperate, o che da' suoi scritti furono tolte. E notisi che Platone faceva questa lagnanza della sua
3237 lingua, la più ricca, la più feconda, la più
facile a produrre, la più libera, la più avvezza e meno intollerante di novità,
ed oltre a questo, nel più florido, perfetto ed aureo secolo d'essa lingua, e
quasi ancora nel più libero e creatore. Nondimeno a Platone parve scarsa a' bisogni dell'esatto filosofare
la stessa lingua greca nel suo miglior tempo, e trattando materie sottili egli
ebbe bisogno di parere ardito agli stessi greci in quel secolo, e di fare scusa
e addur la ragione del suo coniar nuove voci. Nè certo {si
dirà che}
Platone le coniasse o per trascuratezza
{e poco amore} della purità ed eleganza della
lingua, di ch'egli è fra gli Attici il precipuo modello, nè per ignoranza d'essa
lingua, e povertà di voci derivante da questa ignoranza. (22. Agos.
1823.).
[3764,1]
3764 Necessità di nuove o forestiere voci, volendo
trattar nuove o forestiere discipline. Impossibilità e danno del mutare i
termini ricevuti in una disciplina che da' forestieri sia stata trovata, o
principalmente coltivata, o trasmessaci ec. di sostituire cioè altri termini a
quelli con che i forestieri che ce la tramettono, sono usi di trattare quella
disciplina, quando bene fosse facile alla nostra lingua il trovar termini suoi,
novi o vecchi, da sostituir loro, anzi quando ella già ne avesse degli altri
(sian termini sian vocaboli) con quel medesimo significato ec. V. Speroni
Dial. della Retorica, ne' suoi
Diall.
Venez. 1596. p. 139. a dieci pagg. dal principio, e
23. dal fine. (23. Ott. 1823.).
[4102,5] Al detto altrove pp. 735-40 della somma facoltà e
fecondità della lingua greca, non ancora esaurita nè spenta, aggiungi che oggidì
chi vuol sostituire al suo proprio qualche nome finto espressivo di qualche
cosa, o dar nome significativo a qualche personaggio immaginario, {+come Moliere nel Malato immaginario, nei nomi
de' medici.} o nominar qualche nuovo essere allegorico, o nuovamente
nominare i già consueti ec. ec. non ricorre ordinariamente ad altra lingua
(qualunque sia la sua propria, in tutta l'europa e
america civile) che alla greca. (15. Giugno.
Festa di S. Vito
Protettore di Recanati. 1824.).
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