8. Agos. 1821.
[1468,1] La detta applicazione non credo che sia stata mai
fatta, almeno sufficientemente. Quando il Cartesio imprese la riforma della vecchia filosofia, dovette, secondo
la qualità di que' tempi (e pur troppo di tutti i tempi) entrare in guerra
aperta colle scuole d'allora: e il mondo avrebbe stimato ch'egli prevaricasse, o
desse indizio di povertà o fiacchezza, se avesse voluto servirsi più che tanto
del linguaggio de' suoi nemici. Così appoco appoco, prevalendo la nuova
dottrina, non più a causa della ragione, che della novità, e dismessa la vecchia
filosofia, nessuno ebbe cura bastante di cernere il buono dal cattivo, e
gittando questo, conservare o richiamar quello, massime circa il linguaggio. In
ordine alla teologia molto peggio. La teologia s'è abbandonata {+da chiunque ora influisce cogli studi
sullo spirito d'europa ec.} non per migliorarla o rinnovarla, ma del tutto,
come scienza vecchia, e
1469 quasi come l'alchimia. Ora
quanto sia il numero degli scrittori e pensatori teologici diversissimi di
tempo, di paese, di lingua, di opinioni ancora e di sistemi e di sette, e
conseguentemente quanta debba esser la ricchezza del linguaggio di questa
scienza, linguaggio tutto astratto perchè la scienza è tale, linguaggio che s'è
tutto abbandonato e dimenticato insieme con lei, facilmente si comprende.
(8. Agos. 1821.).