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Tecniche o scientifiche (voci).

Technical or scientific terms.

Vedi Vocabolario universale. See Universal Lexicon. 1213,1 1233,1 1237,1 1238,2 1329,1 1338,2 1422,2 1424,1 1465,1 1467,1.2 1468,1 1520,2 1701,1 1843,1 2594,1 2635,1 2721,1-4 3192,1 3235,2 3764,1 4102,5

[1213,1]  Da qualche tempo tutte le lingue colte di europa hanno un buon numero di voci comuni, massime in politica e in filosofia, ed intendo anche quella filosofia che entra tuttogiorno nella conversazone, fino nella conversazione o nel discorso meno colto, meno studiato, meno artifiziato. Non parlo poi delle voci pertinenti alle scienze, dove quasi tutta l'europa conviene. Ma una grandissima parte di quelle parole che esprimono cose più sottili, e dirò così, più spirituali di quelle che potevano arrivare ad esprimere le lingue antiche e le nostre medesime ne' passati secoli; ovvero esprimono le stesse cose espresse in dette lingue, ma più sottilmente e finamente, secondo il progresso e la raffinatezza delle cognizioni e della metafisica e della scienza dell'uomo in questi ultimi tempi; {+e in somma tutte o quasi tutte quelle parole ch'esprimono precisamente un'idea al tempo stesso sottile, e chiara o almeno perfetta ed intera;} grandissima parte, dico, di queste voci, sono le stesse in tutte le lingue colte d'europa, eccetto piccole modificazioni particolari, per lo più nella desinenza. Così che vengono a formare una specie di piccola lingua, o un vocabolario, strettamente universale. E dico strettamente universale, cioè non come è universale la lingua francese, ch'è lingua secondaria  1214 di tutto il mondo civile. Ma questo vocabolario ch'io dico, è parte della lingua primaria e propria di tutte le nazioni, e serve all'uso quotidiano di tutte le lingue, e degli scrittori e parlatori di tutta l'europa colta. Ora la massima parte di questo vocabolario {universale} manca affatto alla lingua italiana accettata e riconosciuta per classica e pura; e quello ch'è puro in tutta l'europa, è impuro in italia. Questo è voler veramente e consigliatamente {metter} l'italia fuori di questo mondo e fuori di questo secolo. Tutto il mondo civile facendo oggi quasi una sola nazione, è naturale che le voci più importanti, ed esprimenti le cose che appartengono all'intima natura universale, sieno comuni, ed uniformi da per tutto, come è comune ed uniforme una lingua che tutta l'europa adopera oggi più universalmente e frequentemente che mai in altro tempo, appunto per la detta ragione, cioè la lingua francese. E siccome le scienze sono state sempre uguali dappertutto (a differenza della letteratura), perciò la repubblica scientifica diffusa per tutta l'europa ha sempre avuto una nomenclatura universale ed uniforme nelle lingue le più difformi, ed intesa da per tutto egualmente. Così sono oggi uguali (per necessità e per natura del tempo) le cognizioni metafisiche, filosofiche, politiche ec. la cui massa e il cui sistema semplicizzato e uniformato, è comune oggi  1215 più o meno a tutto il mondo civile; naturale conseguenza dell'andamento del secolo. Quindi è ben congruente, e conforme alla natura delle cose, che almeno la massima parte del vocabolario che serve a trattarle ed esprimerle, sia uniforme generalmente, tendendo oggi tutto il mondo a uniformarsi. E le lingue sono sempre il termometro de' costumi, delle opinioni ec. delle nazioni e de' tempi, e seguono per natura l'andamento di questi.

[1233,1]  Quello che ho detto pp. 1213. sgg. pp. 1221-22 de' termini filosofici comuni oggi a tutta europa, bisogna anche estenderlo ai nomi appartenenti al commercio, alle arti, alle manifatture, agli oggetti di lusso ec. ec. che da qualunque lingua e nazione abbiano ricevuto il nome, lo conservano in gran parte per tutte le lingue e nazioni, e così è sempre accaduto. Quanto però al Vocabolario ch'io propongo, il comprendervi questi nomi, sarebbe anche meno necessario di quelli appartenenti alle scienze esatte o materiali. (28. Giugno 1821.).

[1237,1]   1237 Nè solamente col progresso dello spirito umano si sono distinte e denominate le diverse parti componenti un'idea che gli antichi linguaggi denominavano con una voce complessiva di tutte esse parti, o idee contenute; ma anche si sono distinte e denominate con diverse voci non poche idee che per essere in qualche modo somiglianti, o analoghe ad altre idee, non si sapevano per l'addietro distinguer da queste, e si denotavano con una stessa voce, benchè fossero essenzialmente diverse e d'altra specie o genere. V. p. e. quello che ho detto p. 1199-200. circa il bello, e quello ch'essendo piacevole alla vista, non è però bello, nè appartiene alla sfera della bellezza, benchè ne' linguaggi comuni, si chiami bello, e l'intelletto volgare non lo distingua dal vero bello.

[1238,2]  Già non accade avvertire che tali parole universali in europa, non riuscirebbero nè nuove, nè per verun conto più difficili, oscure, incerte ai lettori italiani, di quello riescono agli stranieri, non ostante che in italia non sieno riconosciute per proprie della lingua, cioè per voci pure, nè ammesse ne' Vocabolari. E di questo è cagione 1. l'uso giornaliero  1239 del parlare italiano, il quale vorrei che non avesse altro di forestiero e di barbaro, che l'uso di siffatte parole. 2. l'uso di molti scrittori italiani moderni, i quali parimente vorrei che non meritassero altro rimprovero fuorchè di avere adoperato tali voci. 3. l'intelligenza e l'uso del francese, familiare agl'italiani come agli altri, dal qual francese son derivate, o nel quale son ricevute e comuni, e per via e mezzo del quale ci sono ordinariamente pervenute o tutte o quasi tutte simili parole. Circostanza notabile e favorevolissima all'introduzione di tali voci in nostra lingua, mentre quasi tutte le moderne cognizioni, colle voci loro appartenenti, ci vengono pel canale di una lingua sorella, e già ridotte in forma facilmente adattabile al nostro idioma, massime dopo averci familiarizzato l'orecchio mediante l'uso fattone da essa lingua 1o. sì comune in italia {e per tutto,} 2o. sì affine alla nostra (29. Giugno, dì di S. Pietro. 1821.).

[1329,1]   1329 Perocchè l'arte militare fu coltivata in italia prima che altrove, o più che altrove nel principio (come quasi tutte le discipline), perciò quest'arte conserva presso i forestieri e nelle lingue loro, molte parole o termini italiani, cioè venuti dall'italiano, e applicati a quell'arte o scienza in italia, e da' nostri scrittori. V. la lettera del Lancetti al Monti nella Proposta ec. Vol. 2. par. 1. nell'appendice. (15. Luglio 1821.).

[1338,2]  Perchè la medicina ha fatto da Ippocrate in qua meno progressi, e sofferto meno cangiamenti essenziali che, possiamo dire, qualunque altra scienza, in pari spazio di tempo; e quindi conservasi forse più vicina di ogni altra alla condizione e misura ec. in cui venne dalla Grecia; perciò quella parte della sua nomenclatura che si compone di vocaboli greci, è forse maggiore che in qualsivoglia altra scienza o disciplina, ragguagliatamente e proporzionatamente parlando. Non dico niente della Rettorica ec. (17. Luglio 1821.). {{V. p. 1403.}}

[1422,2]  Figuriamoci la parola commercio in quel senso preciso, e al tempo stesso vastissimo, nel quale tutto il mondo l'adopra oggidì, nel quale tanto se ne scrive, nel quale tutti i filosofi considerano e trattano questo soggetto. La Crusca non porta esempio di questa parola in questo senso, {e veramente ella in tal senso non è classica.} Noi abbiamo la voce {{classica,}} mercatura che secondo l'etimologia ec. vale a presso a poco lo stesso. Or dunque sarebb'egli ben detto, le forze, gli effetti, la scienza della mercatura, in vece del commercio? Produrremmo noi quell'idea precisa ec. che produce questa seconda voce? l'idea di quella cosa che (si può dire) nel  1423 passato secolo, si è ridotta a scienza, e fa tanta parte delle considerazioni del filosofo, e ha tanta influenza sullo stato delle nazioni, e del genere umano? Signor no: e s'io dirò, Principalissima sorgente di civiltà si è la mercatura, in cambio di dire il commercio, non solamente non sarò bene inteso nè dagli stranieri nè dagl'italiani, ma sarò deriso dagli uni e dagli altri, e massime da questi. E se le {sue} Lezioni di commercio il nostro Genovesi le avesse intitolate Lezioni di mercatura, avremmo noi medesimi potuto ben rilevare dal titolo il soggetto dell'opera? {Così dico del Saggio sopra il Commercio dell'Algarotti.} Ecco quanto importi l'attenersi precisamente alle parole ricevute, e dalla convenzione precisamente applicate, massime in fatto di scienze ec. quando anche s'abbiano parole più eleganti, più classiche, e che in altri casi si possano benissimo adoperare in luogo delle più comuni, come accade di mercatura, che si può bene adoperare in molti casi, come si adopera traffico ec. ma non dove il soggetto domanda quella precisione di significato ch'è propria della voce Europea, commercio. (31.  1424 Luglio. 1821.). {{V. p. 1427.}}

[1424,1]  Ogni scienza, e ogni arte ha li suoi termini, e vocaboli, * dice il Davanzati nella Notizia de' Cambj, (Bassano 1782. p. 92.) il quale però chiama Mercatura quello che noi Commercio. Molto più saranno importanti e da rispettarsi quei vocaboli che servono di nome alla scienza o all'arte, come qui. (31. Luglio 1821.).

[1465,1]  Le pazze filosofie degli antichi, la stessa scolastica, lasciando tutto il resto, hanno sommamente, e forse principalmente giovato al progresso dello spirito umano, in che? riguardo ai nomi. Le profonde meditazioni, le acutissime sofisticherie, il lambiccarsi il cervello, circa le astrazioni, le qualità occulte, ed altri sogni, ci hanno dato la denominazione e quindi la fissazione d'idee prime, elementari, secretissime, difficilissime  1466 a concepire, a definire, ad esprimere, ma tanto necessarie, usuali ec. che senza tali nomi la filosofia non sarebbe ancor nulla. Astratto, {e} concreto, essenza, sostanza e accidente, e tali altri termini d'ontologia, logica ec. Che sarebbe il pensiero dell'uomo s'egli non avesse idea chiara di tali ripostissime, ma universalissime cose? e come l'avrebbe senza i nomi? i quali dopo sì piene rivoluzioni della filosofia ec. sono e saranno pur sempre in bocca de' filosofi. Ma certo la difficoltà d'inventarli è stata somma, e tale che la filosofia moderna forse non ne sarebbe stata capace. E mentre le {idee} più difficili a concepirsi chiaramente, definirsi col pensiero, e nominarsi, sono le più elementari, certo è che la filosofia qualunque, non potrà mai concepire nè significare idee più elementari di queste. Utilissima per questo lato, è stata la stessa teologia, che ha maggiormente diffuse e popolarizzate tali parole, ed altre ne ha trovate, assuefacendo, ed affezionando, ed eccitando lo spirito umano alle astrazioni, con tali stimoli,  1467 che nessun'altra disciplina avrebbe potuto altrettanto, nè verun'altra circostanza come quella delle dispute teologiche, dove prendevano parte i principi e le nazioni, e degli studi teologici che interessarono per sì lungo tempo tutta la vita umana, e tutto lo stato del mondo civile. E quanto ho detto altrove [pp. 641-43] [pp. 1317-18] circa l'utilità che si può cavare dal linguaggio scolastico de' filosofi ec. intendo pur dirlo del teologico, d'ogni specie, dommatico, morale, scolastico, ec. (7. Agos. 1821.).

[1468,1]  La detta applicazione non credo che sia stata mai fatta, almeno sufficientemente. Quando il Cartesio imprese la riforma della vecchia filosofia, dovette, secondo la qualità di que' tempi (e pur troppo di tutti i tempi) entrare in guerra aperta colle scuole d'allora: e il mondo avrebbe stimato ch'egli prevaricasse, o desse indizio di povertà o fiacchezza, se avesse voluto servirsi più che tanto del linguaggio de' suoi nemici. Così appoco appoco, prevalendo la nuova dottrina, non più a causa della ragione, che della novità, e dismessa la vecchia filosofia, nessuno ebbe cura bastante di cernere il buono dal cattivo, e gittando questo, conservare o richiamar quello, massime circa il linguaggio. In ordine alla teologia molto peggio. La teologia s'è abbandonata {+da chiunque ora influisce cogli studi sullo spirito d'europa ec.} non per migliorarla o rinnovarla, ma del tutto, come scienza vecchia, e  1469 quasi come l'alchimia. Ora quanto sia il numero degli scrittori e pensatori teologici diversissimi di tempo, di paese, di lingua, di opinioni ancora e di sistemi e di sette, e conseguentemente quanta debba esser la ricchezza del linguaggio di questa scienza, linguaggio tutto astratto perchè la scienza è tale, linguaggio che s'è tutto abbandonato e dimenticato insieme con lei, facilmente si comprende. (8. Agos. 1821.).

[1520,2]  E quindi ancora si conferma quello che altrove ho sostenuto pp. 1422-23 pp. 1427-29, che trattandosi di parole il cui pregio consiste nella precisione del significato, e che denno suscitare universalmente quella tal precisa idea (come in fatto di parole filosofiche, scientifiche ec.); è perniciosissimo il mutarle, e sostituir loro una parola che in altra lingua paia sinonima ad essa  1521 quanto si voglia. Non lo sarà mai perfettamente, e la precisione e l'universalità di quell'idea si perderà, se vorrassi staccarla dalla parola, che le appropriò la nazione che ritrovò o determinò e rese chiara la detta idea. (18. Agos. 1821.)

[1701,1]  Le idee concomitanti che ho detto pp. 109-111 esser destate dalle parole {anche} le più proprie, a differenza dei termini, sono 1. le infinite idee {ricordanze ec.} annesse a dette parole, derivanti dal loro uso giornaliero, e indipendenti affatto dalla loro particolare natura, ma legate all'assuefazione, e alle diversissime circostanze in cui quella parola si è udita o usata. S'io nomino una pianta o un animale col nome Linneano, invece del nome usuale, io non desto nessuna di queste idee, benchè dia chiaramente a conoscer la cosa. Queste idee sono spessissimo legate alla parola (che nella mente umana è inseparabile dalla cosa, è la sua immagine, il suo corpo, ancorchè la cosa sia materiale, anzi è un tutto con lei, e si può dir che la lingua riguardo alla mente di chi l'adopra, contenga non solo i segni delle cose, ma quasi le cose stesse)  1702 sono dico legate alla parola più che alla cosa, o legate a tutte due in modo che divisa la cosa dalla parola (giacchè la parola non si può staccar dalla cosa), la cosa non produce più le stesse idee. {+Divisa dalla parola, o dalle parole usuali ec. essa divien quasi straniera alla nostra vita. Una cosa espressa con un vocabolo tecnico non ha alcuna domestichezza con noi, {+non ci destano[desta] alcuna delle infinite ricordanze della vita, ec. ec.} nel modo che le cose ci riescono quasi nuove, {e nude} quando le vediamo espresse in una lingua straniera e nuova per noi: nè si arriva a gustare perfettamente una tal lingua, finchè non si penetra in tutte le minuzie e le piccole parti e idee contenute nelle parole del senso il più semplice.} 2. Le idee contenute nelle metafore. La massima parte di qualunque linguaggio umano è composto di metafore, perchè le radici sono pochissime, e il linguaggio si dilatò massimamente a forza di similitudini e di rapporti. Ma la massima parte di queste metafore, perduto il primitivo senso, son divenute così proprie, che la cosa ch'esprimono non può esprimersi, o meglio esprimersi diversamente. Infinite ancora di queste metafore non ebbero mai altro senso che il presente, eppur sono metafore, cioè con una piccola modificazione, si fece che una parola significante una cosa, modificata così ne significasse un'altra di qualche rapporto colla prima. Questo è il principal modo in cui son cresciute tutte le lingue. Ora sin tanto che l'etimologie di queste originariamente metafore, ma oggi, o anche da principio, parole effettivamente proprie, si ravvisano e sentono, il  1703 accade almeno nella maggior parte delle parole proprie di una lingua, l'idea ch'elle destano, è quasi doppia, benchè la parola sia proprissima, e di più esse producono nella mente, non la sola concezione ma l'immagine della cosa, ancorchè la più astratta, essendo anche queste in qualsivoglia lingua, sempre in ultima analisi espresse con metafore prese dal materiale e sensibile (più o men vivo, ed esprimente e adattato, secondo i caratteri delle lingue e delle nazioni ec.). Per esempio il nostro costringere che significa sforzare, serba ancora ben chiara la sua etimologia, e quindi l'immagine materiale da cui questa che in origine è metafora, derivò. ec. ec. Il complesso di tali immagini nella scrittura o nel parlare, massime nella poesia, dove più si attende all'intero valore di ciascuna parola, e con maggior disposizione a concepire {e notare} le immagini ch'elle contengono, ec. questo complesso, dico, forma la bellezza di una lingua, e la differente forza ec. sì delle lingue rispettivamente a loro, sì dei diversi stili ec. in una stessa lingua. Ma se p. e. la cosa espressa da costringere, l'esprimessimo  1704 con una parola presa da lingua straniera, e la cui origine ed etimologia non si sapesse generalmente, o certo non si sentisse, ella, quando fosse ben intesa, desterebbe bensì l'idea della cosa, ma nessuna immagine, neppur {quasi} della stessa cosa, benchè materiale. Così accade in tutte le parole derivate dal greco, delle quali abbondano le nostre lingue, e massime le nostre nomenclature. Esse, quando siano usuali, e quotidiane, come filosofo ec. possono appartenere alla classe che ho notate[notata] nel primo luogo, ma non mai a questa seconda. Esse e le altre simili prese da qualsivoglia lingua, e non proprie della nostra rispettiva, saranno sempre, come altrove ho detto pp. 109-111 pp. 951-52, parole tecniche, e di significato nudo ec. Similmente le parole moderne, che o si derivano da parole già stanziate nella nostra lingua, ma d'etimologia pellegrina, o si derivano da parole anche proprie della lingua; essendo per lo più, stante la natura del tempo, assai più lontane dal materiale e sensibile che non sono le antiche, e di un carattere più spirituale, sono quindi ordinariamente termini e non parole, non destando verun'  1705 immagine concomitante, nè avendo nulla di vivo. ec. Tali sono i termini de' quali altrove ho detto pp. 109-110 p. 1226,1 che abbonda la lingua francese, massime la moderna, e ciò non solo per natura del tempo, ma anche per la natura di essa lingua, e del suo carattere e forma.

[1843,1]  Tutta l'europa e tutte le colte lingue hanno riconosciuto la lingua greca per fonte comune alla quale attingere le parole necessarie per significare esattamente le nuove cose, per istabilire, formare,  1844 ed uniformare le nuove nomenclature d'ogni genere, o perfezionarle e completarle ec. Sola l'italia ricusa di conformarsi a questo costume; dico l'italia che non si sa in che consista, perchè i suoi figli vi si uniformano come gli altri; ma ciò ch'essi fanno in questo particolare, non si vuol riconoscere dall'universalità della nazione (o da' pedanti) come bene e convenientemente fatto in punto di lingua, {+all'opposto di ciò che accade nelle altre nazioni.} Convengo che quando in luogo di una parola greca ch'è sempre straniera per noi, si possa far uso di una parola italiana o nuova o nuovamente applicata, che perfettamente esprima la nuova cosa, questa si debba preferire a quella; (purchè la greca o altra qualunque non sia universalmente prevalsa in modo che sia immedesimata coll'idea, e non si possa toglier quella senza distruggere o confondere o alterar questa; giacchè in tal caso una diversa parola, per nazionale, espressiva, propria, esatta, precisa ch'ella fosse, non esprimerebbe mai la stessa idea, se non dopo un lungo uso ec. e fratanto[frattanto] non saremmo intesi.) Ma fuori di  1845 questo caso che di rarissimo si verifica, perchè l'italia sola vorrà rinunziare primo al costume generale di questo e d'altri secoli e dell'europa, che avrebbe diritto di farsi adottare quando anche non fosse necessario nè buono; secondo al benefizio universale di quella maravigliosa lingua, che benchè morta da tanti secoli, somministra perpetuamente il bisognevole a denominare e significare appuntino tutto ciò che vive, e tutto ciò che nasce o si scuopre o nuovamente si osserva nel mondo? (5. Ott. 1821.).

[2594,1]  Ho detto altrove p. 111 pp. 950-52 pp. 1704 che le voci greche nelle lingue nostre non sono altro che termini (in proporzione però del tempo da ch'elle vi sono introdotte: p. e. filosofia e tali altre voci greche venuteci mediante il latino, sono alquanto più che termini), cioè ch'elle non esprimono se non se una pura idea, senz'alcun'altra concomitante. Per questa ragione appunto, oltre le altre notate altrove, le voci greche sono infinitamente a proposito nelle nostre scuole e scienze, perocch'elle rappresentano costantemente e schiettamente quella nuda, secca e semplicissima idea alla quale sono state appropriate; e perciò servono alla precisione  2595 molto meglio di quello che possano mai fare le voci tolte dalle proprie lingue, le quali voci benchè fossero formate, composte ec. di nuovo, sempre porterebbero seco qualche idea concomitante. Ma per questa medesima ragione le voci greche sono intollerabili nella bella letteratura (barbare poi nella poesia, benchè i francesi si facciano un pregio, un vezzo e una galanteria d'introdurcele), dove intollerabili sono le idee secche e nude, o la secca e nuda espressione delle idee. (6. Agosto 1822.).

[2635,1]  La lingua greca ch'è la più antica delle colte ben conosciute, è anche fra tutte le lingue colte la più capace di significar l'idee e gli oggetti più propriamente moderni cioè i più difficili a significarsi e di supplire ai bisogni d'espressioni, prodotti dall'ampiezza, varietà e profondità delle nozioni moderne. E il fatto stesso lo dimostra, ricorrendosi tutto dì alla lingua greca ec. come ho detto altrove pp. 735-38 pp. 1843-45. (10. Ottobre. 1822.)

[3192,1]  Per li nostri pedanti il prender noi dal francese o dallo spagnuolo voci o frasi utili o necessarie, non è giustificato dall'esempio de' latini classici che altrettanto faceano dal greco, come Cicerone massimamente e Lucrezio, nè dall'autorità di questi due e di Orazio nella Poetica, che espressamente difendono e lodano il farlo. Perocchè i nostri pedanti coll'universale dei dotti e degl'indotti tengono la lingua greca per madre della latina. Ma hanno a sapere ch'ella non fu madre della latina, ma sorella, nè più nè meno che la francese e la spagnuola sieno sorelle dell'italiana. Ben è vero che la greca letteratura e  3193 filosofia fu, non sorella, ma propria madre della {+letteratura e filosofia} latina. Altrettanto però deve accadere alla filosofia italiana, e a quelle parti dell'italiana letteratura che dalla filosofia debbono dipendere o da essa attingere, per rispetto {alla} letteratura e filosofia francese. La quale dev'esser madre della nostra, perocchè noi non l'abbiamo del proprio, stante la singolare inerzia d'italia nel secolo in che le {altre} nazioni d'europa sono state e sono più attive che in alcun'altra. E voler creare di nuovo e di pianta la filosofia, e quella parte di letteratura che affatto ci manca (ch'è la letteratura propriamente moderna); oltre che dove sono gl'ingegni da questa creazione? ma quando anche vi fossero, volerla creare dopo ch'ella è creata, e ritrovare dopo trovata ch'ell'è da più che un secolo, e dopo cresciuta e matura, e dopo diffusa e abbracciata e trattata continuamente da tutto il resto d'europa del pari; sarebbe cosa, non sola[solo] inutile, ma stolta e dannosa, mettersi a bella posta lunghissimo tratto addietro degli  3194 altri in una medesima carriera, volersi collocare sul luogo delle mosse quando gli altri sono già corsi tanto spazio verso la meta, ricominciare quello che gli altri stanno perfezionando; e sarebbe anche impossibile, perchè nè i nazionali nè i forestieri c'intenderebbono se volessimo trattare in modo affatto nuovo le cose a tutti già note e familiari, e noi non ci cureremmo di noi stessi, e lasceremmo l'opera, vedendo nelle nostre mani bambina e schizzata, quella che nelle altrui è universalmente matura e colorita; e questo vano rinnovamento piuttosto ritarderebbe e impaccerebbe di quel che accelerasse e favorisse gli avanzamenti della filosofia, e letteratura moderna e filosofica. Erano ben altri ingegni tra' latini al tempo che s'introdussero e crebbero gli studi nel Lazio; ben altri ingegni, dico, che oggi in italia non sono. Nè però essi vollero rinnovare nè la filosofia nè la letteratura (la quale essendo allora poco filosofica, si potea pur variare passando a nuova nazione), ma trovando l'una e l'altra in alto stato, e grandissimamente avanzate e mature appresso i  3195 greci, da questi le tolsero, e gli altrui ritrovamenti abbracciarono e coltivarono; e ricevuti e coltivati che gli ebbero, allora, secondo l'ingegno di ciascheduno e l'indole della nazione, de' costumi, del governo, del clima, della lingua, delle opinioni romane, modificarono ed ampliarono le cose da' greci trovate, e diedero loro abito e viso e attitudini domestiche e nuove. Se vuol dunque l'italia avere una filosofia ed una letteratura moderna e filosofica, le quali finora non ebbe mai, le conviene di fuori pigliarle, non crearle da se; e di fuori pigliandole, le verranno principalmente dalla Francia (ond'elle si sono sparse anche nelle altre nazioni, a lei molto meno vicine e di luogo e di clima {e di carattere} e di genio e di lingua ec. che l'italiana), e vestite di modi, forme, frasi e parole francesi (da tutta l'europa universalmente accettate, e da buon tempo usate): dalla Francia, dico, le verrà la filosofia e la moderna letteratura, come altrove ho ragionato pp. 1029-30, e volendole ricevere, nol potrà altrimenti che ricevendo {altresì} assai parole e frasi {di là,} ad esse intimamente e indivisibilmente spettanti e fatte proprie;  3196 siccome appunto convenne fare ai latini {delle voci e frasi greche} ricevendo la greca letteratura e filosofia; e il fecero senza esitare. E noi colla stessa giustificazione, ed anche col vantaggio della stessa facilità il faremo, essendo la lingua lingua francese sorella dell'italiana siccome della latina il fu la greca, e producendo la filosofia e la filosofica letteratura francese una letteratura moderna ed una filosofia italiana, siccome già la greca nel Lazio. E tanto più saremo fortunati degli altri stranieri che dal francese attinsero voci e modi per la filosofia e letteratura, quanto che noi nel francese avremo una lingua sorella, e non, com'essi, aliena e di diversissima origine. (18. Agos. 1823.). {Noi sappiamo bene qual {e che cosa} sia questa lingua latina madre dell'italiana, e possiamo definitamente additarla, e mostrarla tutta intera. Ma dir che la teutonica o la slava o simili è madre della tedesca o della russa ec., è quasi un dire in aria, benchè sia vera, nè quelli possono definitamente additarci quale individualmente sia questa lor lingua madre, nè, se non confusamente e per laceri avanzi, mostrarcela.}

[3235,2]  Platone nel Sofista verso il fine, edizione dell'Astio, opp. di Plat. Lips. 1819. sgg. t. 2. p. 362. v. 3. sgg. A. penult. pagina del Dialogo. {+Πόϑεν οὖν ὄνομα ἑκατέρῳ τις ἂν λήψεται πρέπον; ἢ δῆλον δὴ χαλεπὸν ὄν, διότι τῆς} τῶν γενῶν κατ᾽ εἴδη διαιρέσεως παλαιά τις, ὡς ἔοικεν, αἰτία * (ἴσ. ἀηδία. Ast.) τοῖς ἔμπροσϑεν καὶ ἀξύννους παρῆν, ὥστε μηδ᾽ ἐπιχειρεῖν μηδένα διαιρεῖσϑαι∙ καϑὸ δὴ τῶν ὀνομάτων ἀνάγκη μὴ σϕόδρα εὐπορεῖν * ;  3236 Unde iam nomen utrique eorum quisquam arripiet conveniens? an dubium non est quin difficile sit, propterea quod ad generum in species distributionem vetustam quandam, ut videtur, et inconsideratam superiores habebant offensionem atque fastidium, ita ut ne conaretur quidem ullus dividere; quocirca etiam nomina non satis nobis possunt in promptu esse? * Astius. Vuol dir Platone e si lagna, che gli antichi greci (e così tutti gli antichi d'ogni nazione) ebbero poche idee elementari, onde la loro lingua (e così tutte le lingue fino a una perfetta maturità e coltura, e fino che la nazione non filosofa) mancava di termini esatti, e sufficienti ai bisogni del dialettico {massimamente} e del metafisico. Ond'è che Platone il quale volle sottilmente filosofare, ed esercitare l'esatto raziocinio, e considerare profondamente la natura delle cose, fu arditissimo nel formare de' termini di questa fatta, ed abbonda sommamente di voci nuove e sue proprie, esatte e logiche ovvero ontologiche, {#1. Vedi la pref. di Timeo al suo Lessico Platonico appo il Fabric. B. G. edit. vet. 9. 419.} che da niuno altro si trovano adoperate, o che da' suoi scritti furono tolte. E notisi che Platone faceva questa lagnanza della sua  3237 lingua, la più ricca, la più feconda, la più facile a produrre, la più libera, la più avvezza e meno intollerante di novità, ed oltre a questo, nel più florido, perfetto ed aureo secolo d'essa lingua, e quasi ancora nel più libero e creatore. Nondimeno a Platone parve scarsa a' bisogni dell'esatto filosofare la stessa lingua greca nel suo miglior tempo, e trattando materie sottili egli ebbe bisogno di parere ardito agli stessi greci in quel secolo, e di fare scusa e addur la ragione del suo coniar nuove voci. Nè certo {si dirà che} Platone le coniasse o per trascuratezza {e poco amore} della purità ed eleganza della lingua, di ch'egli è fra gli Attici il precipuo modello, nè per ignoranza d'essa lingua, e povertà di voci derivante da questa ignoranza. (22. Agos. 1823.).

[3764,1]   3764 Necessità di nuove o forestiere voci, volendo trattar nuove o forestiere discipline. Impossibilità e danno del mutare i termini ricevuti in una disciplina che da' forestieri sia stata trovata, o principalmente coltivata, o trasmessaci ec. di sostituire cioè altri termini a quelli con che i forestieri che ce la tramettono, sono usi di trattare quella disciplina, quando bene fosse facile alla nostra lingua il trovar termini suoi, novi o vecchi, da sostituir loro, anzi quando ella già ne avesse degli altri (sian termini sian vocaboli) con quel medesimo significato ec. V. Speroni Dial. della Retorica, ne' suoi Diall. Venez. 1596. p. 139. a dieci pagg. dal principio, e 23. dal fine. (23. Ott. 1823.).

[4102,5]  Al detto altrove pp. 735-40 della somma facoltà e fecondità della lingua greca, non ancora esaurita nè spenta, aggiungi che oggidì chi vuol sostituire al suo proprio qualche nome finto espressivo di qualche cosa, o dar nome significativo a qualche personaggio immaginario, {+come Moliere nel Malato immaginario, nei nomi de' medici.} o nominar qualche nuovo essere allegorico, o nuovamente nominare i già consueti ec. ec. non ricorre ordinariamente ad altra lingua (qualunque sia la sua propria, in tutta l'europa e america civile) che alla greca. (15. Giugno. Festa di S. Vito Protettore di Recanati. 1824.).