Greci. Loro lingua, letteratura, carattere ec. ec.
Greeks. Their language, literature, character, etc.
Vedi polizzine a parte, intitolate Greci. See separate slips entitled Greeks. 735,1 838,1 863,1 915,1 926,12 956,1 981,1 988,1 999,2 1001,1 1015,1 1023,2 1024,1.2 1029,1 1030-1 1038,1 1039,2 1046,2 1067,2 1086,2 1093,1 1134,1 1295,1 1350,1 1363,12 1366,1 1403,1 1494,1 1513,1 1518,1 1608,2 1715,2 1848,1 1862,1 1898,seg. 1926,1 1962,1 2014 2025,1 2057,1 2083 2085 2085,2 2091 2093,12 2094 2103,1 2112,1 2122 2126,1 2127,1 2130,2 2135,1 2150,1 2166,1 2172,1 2173,3 2176,2 2180,1.2 2181,1 2239,2 2266 2284,2 2288,1 2312,3 2131,12331,1 2370,1 2398-9 2402,1 2408,1 2420,1 2448-50 2451,3 2455,2 2475,1 2486,1 2513,1 2572,1 2578,1 2589,1 2594,1 2595,1 2609,1 2619,1 2622,1 2630,2 2633,1 2635,1 2655,2.3 2694,1 2705,1 2715,2 2716-7 2717,1 2728-9 2731,2 2735,1 2756 2771,23 2779,2 2793,2 2829,1 2846,1 2849,1 2852,1 2866,1 3009,1 3021,1 3041,1 3192,1 3216 3224,1 3235,2 3251-3 3371-2 3626,segg. 3638,3 3749,2 3946,2 3964,3 3973 3988,1 3991,2 4001,2 4026,7 4050,8 4052,1 4088,5 4102,5 4173,8 4202,1 4203,1 4211,7 4214,3 4223,1 4237,3 4251 4263,2 4284,2 4291,2[735,1] La lingua greca da' suoi principii fino alla fine, non
lasciò mai di arricchirsi, e acquistar sempre, massimamente nuovi vocaboli. Non
è quasi scrittor greco {di qualsivoglia secolo,} che
venga nuovamente in luce, il quale non possa servire ad impinguare il
vocabolario greco di qualche novità.
736 Non è secolo
della buona lingua greca (la quale si stende molto innanzi, cioè almeno a Costantino, giacchè credo che S. Basilio e S. Crisostomo si citino nel Glossario sebbene anche nel Vocabolario) ne' cui scrittori la
lingua non si trovi arricchita di nuove voci e anche modi, che non si osservano
ne' più antichi. E questi incrementi erano tutti della propria sostanza e del
proprio fondo, giacchè la lingua greca fu oltremodo schiva d'ogni cosa
forestiera, ma trovava nelle sue radici e nella immensa facilità e copia de'
suoi composti, la facoltà di dir tutto quello che bisognava, e di conformare la
novità delle parole alla novità delle cose, senza ricorrere ad aiuti stranieri.
Insomma il tesoro e la natura, e non solamente ricchezza, ma fertilità naturale
e propria della lingua greca, era tale da bastare da per se sola, a tutte le
novità che occorresse di esprimere, come un paese così fertile che fosse
sufficiente ad alimentare
737 qualunque numero di nuovi
abitatori o di forestieri. E questo si può vedere manifestamente anche per
quello che interviene oggidì. Giacchè in tanta diversità di tempi e di costumi e
di opinioni, in tanta novità di conoscenze e di ritrovati, e fino d'intere
scienze e dottrine, qualunque novità massimamente scientifica occorra di
significare e denominare, si ha ricorso alla lingua greca. Nessuna lingua viva,
ancorchè pure le lingue vive sieno contemporanee alle nostre cognizioni e
scoperte, si stima in grado di bastare a questo effetto, e s'invoca una lingua
morta e antichissima per servire alla significazione ed enunziazione di quelle
cose a cui le lingue viventi e fiorenti non arrivano. La rivoluzione francese,
richiedendosi alla novità delle cose, la novità delle parole, ha popolato il
vocabolario francese ed anche europeo, di nuove voci greche. La fisica, la
Chimica, la storia naturale, le matematiche,
738 l'arte
militare, la nautica, {la medicina, la metafisica} la
politica ogni sorta di scienze o discipline, ancorchè rinnovellate e
diversissime da quelle che si usavano o conoscevano dagli antichi greci,
ancorchè nuove di pianta, hanno trovato in quella lingua il capitale sufficiente
ai bisogni delle loro nomenclature. Ogni scienza o disciplina nuova, comincia
subito dal trarre il suo nome dal greco. E questa lingua ancorchè da tanti
secoli spenta, resta sempre inesauribile, e provvede a tutto, e si può dire che
prima mancherà all'uomo la facoltà di sapere di conoscere e di scoprire, prima
saranno esaurite tutte le fonti dello scibile, di quello che manchi alla lingua
greca la facoltà di esprimerlo, e sia inaridita la fonte delle sue denominazioni
e parole. Il qual uso, ancorchè io lo biasimi e condanni per le ragioni che ho
dette altrove p. 48
p.
50, non è però che non renda evidente e palpabile l'onnipotenza
immortale di quella lingua.
[838,1] Quanto più l'indole, la struttura, l'andamento di una
lingua, è conforme alle regole naturali, semplice, diritto ec. tanto più quella
lingua è adattata alla universalità. E per lo contrario tanto meno, quanto più
ella e[è] figurata, composta, contorta, quanto
più v'ha nella sua forma di arbitrario, di particolare e proprio suo, o de' suoi
scrittori ec. non della natura comune delle cose. Le prime qualità spettano per
eccellenza alla lingua francese, quantunque la lingua italiana le possieda molto
più della latina, anzi senza confronto; tuttavia in esse (e felicemente) cede
alla francese, come tutte le lingue moderne {Europee,}
quantunque nessuna di queste ceda in esse qualità alla latina, anzi la vinca di
gran lunga, e neppure alla greca.
[863,1] Come la proprietà delle parole è ben altro che la
secchezza e nudità di ciascuna, così anche la semplicità e naturalezza e
facilità della struttura di una lingua e di un discorso, è ben altro che
l'aridità e geometrica esattezza di esso. Così distinguete il carattere
dell'ottima e antica scrittura greca da quello della moderna e riformata
francese. Così quello dell'ottima e antica e propria lingua e scrittura
italiana, sì da quello della
864 francese, sì da quello
dell'odierna italiana. La quale quando anche non fosse barbara per le parole,
modi ec. è barbara pel geometrico, sterile, secco, esatto dell'andamento e del
carattere. Barbara per questo, tanto assolutamente, quanto relativamente
all'essere del tutto straniera e francese, e diversa dall'indole della nostra
lingua; ben altra cosa che lo straniero de' vocaboli o frasi, le quali ancorchè
straniere non sono essenzialmente inammissibili, nè cagione assoluta di
barbarie; bensì l'indole straniera in qualunque lingua è sostanzialmente
barbara, e la vera cagione della barbarie di una lingua, che non può non esser
barbara, quando si allontana, non dalle frasi o parole, ma dal carattere e
dall'indole sua. E tanto più barbaro è l'odierno italiano scritto, quanto il
sapore italiano di certi vocaboli e modi per lo più ricercati ed antichi, e la
cui italianità risalta e dà negli occhi; contrasta colla innazionalità ed anche
coll'assoluta differenza del carattere totale della scrittura. (24. Marzo
1821.).
[915,1] Tale infatti era la schiavitù nelle antiche
repubbliche. Tale in grecia, tale quella degl'Iloti,
stirpe tutta schiava presso i Lacedemoni, oriunda di Elos
(῞Ελος) terra (oppidum) o città (così Strabone
presso il Cellar. 1. 967.)
del Peloponneso, presa a forza da' Lacedemoni nelle
guerre, credo, Messeniache, e ridottane tutta la popolazione in ischiavitù,
{sì essa come i suoi} discendenti in perpetuo. V. l'Encicloped. Antiquités, art. Ilotes, e il Cellario 1. 973. Tale la schiavitù presso i
Romani, della quale v. fra gli altri il Montesquieu,
916
Grandeur etc.
ch. 17. innanzi alla metà. Floro 3. 19. Terra frugum ferax,
*
(Sicilia) et quodammodo suburbana provincia, latifundiis
civium Romanorum tenebatur. Hic
ad cultum agri
frequentia ergastula,
catenatique cultores, materiam bello praebuere.
*
E quanta fosse la
moltitudine degli schiavi presso ai Romani si può congetturare dalla guerra
servile, e dal pericolo che ne risultò. Ne avevano i Romani, cred'io, d'ogni
genere di nazioni; e Floro l. c. nomina un servo
Siro cagione e capo della guerra servile; Frontone
nell'ultima epist. greca,
una serva Sira ec. ec. cose che si possono vedere in tutti gli
scrittori delle antichità Romane. {+V. il Pignorio
de Servis, e, se vuoi,
l'articolo originale del Cav. Hager nello
Spettatore di Milano 1. Aprile
1818. Quaderno 97. p. 244. fine - 245. principio, dove si tocca
questo argomento della gran moltitudine de' servi romani, e se ne adducono
alcuni esempi e prove, e si cita il detto Pignorio che dovrebbe trovarsi nel Grevio ec. Cibale schiava Affricana è
nominata nel Moretum.}
[926,2] In qualunque nazione o antica o moderna s'incontrano
grandi errori contrari alla natura, come dovunque grandi cognizioni contrarie
alla natura; quivi non s'incontra niente o ben poco di grande di bello di buono.
E questo è l'uno de' principali motivi per cui le nazioni orientali, ancorchè
grandi, ancorchè la loro storia rimonti a tempi antichissimi, tempi
ordinariamente compagni del grande e del bello; ancorchè ignorantissime in
ultima analisi, e quindi prive dei grandi ostacoli della ragione e del vero, e
questo anche oggidì; tuttavia non offrano quasi niente di {vero} grande nè di {vero} bello, e ciò tanto
927 riguardo alle azioni, ai costumi, all'entusiasmo
e virtù della vita, quanto alle produzioni dell'ingegno e della immaginazione. E
la causa per la quale i Greci e i Romani soprastanno a tutti i popoli antichi, è
in gran parte questa, che i loro errori e illusioni furono nella massima parte
conformissime alla natura, sicchè si trovarono egualmente lontani dalla
corruzione dell'ignoranza, e dal difetto di questa. Al contrario de' popoli
orientali le cui superstizioni ed errori, che sebbene moderni e presenti, si
trovano per lo più di antichissima data, furono e sono in gran parte contrarie
alla natura, e quindi con verità si possono chiamar barbare. E si può dire che
nessun popolo antico, nell'ordine del grande e del bello, può venire in paragone
de' greci e de' Romani. Il che può derivare anche da questo, che forse i secoli
d'oro degli altri popoli, come degli Egiziani, degl'Indiani, de' Cinesi, de'
Persiani ec. ec. essendo venuti più per tempo, giacchè questi popoli sono molto
più antichi, la memoria loro non è passata fino a noi, ma rimasta nel buio
dell'antichità, col quale viene a coincidere la epoca dei detti secoli; e per lo
contrario ci è pervenuta la memoria sola della loro corruzione e barbarie,
succeduta naturalmente alla civiltà, e abbattutasi ad esser contemporanea della
grandezza e del fiore dei popoli greco e Romano, la qual grandezza occupa
928 e signoreggia le storie nostre, alle quali per la
maggior vicinanza de' tempi ha potuto pervenire, e perch'ella signoreggiò
effettivamente in tempi più vicini a noi. Anzi si può dire che quanto ci ha di
grande {e di bello} rispetto all'antichità nelle
storie, e generalmente in qualunque memoria nostra, tutto appartiene all'ultima
epoca dell'antichità, della quale i greci e i Romani furono effettivamente gli
ultimi popoli. Ὦ Ἕλληνες
ἀεὶ παῖδες ἐοτὲ
*
ec. Platone in persona di quel sacerdote Egiziano. (10.
Aprile. 1821). {{V. p. 2331.}}
[956,1] La lingua greca va considerata rispetto all'italiana
nell'ordine di lingua madre, (o nonna) quanto ai modi, ma non quanto alle
parole. Dico quanto ai modi, massimamente per la sua conformità naturale o
somiglianza in questa parte colla lingua latina sua sorella, e madre della
nostra, e di più perchè gli scrittori latini, dal nascimento della loro
letteratura, modellarono sulla greca le forme della loro lingua, e così hanno
tramandata a noi una lingua formata in grandissima parte sui modi della greca.
Del che vedi un bell'articolo del Barone Winspear (Bibliot. Ital. t. 8. p. 163.) nello
Spettatore di Milano, 1. Settembre
1817. Parte italiana, Quaderno 83. p. 442. dal mezzo al fine della
pagina. E così pure, parte per lo studio immediato de' greci
esemplari, (del che vedi ivi p. 443. dal principio al mezzo) parte per lo studio
de' latini, e la derivazione della lingua italiana dalla latina, parte e
massimamente per una naturale conformità, che forse per accidente, ha la
struttura e costruzione della lingua nostra colla greca (come dice espressamente
la Staël nella B. Italiana
957 Vol. 1. p. 15. la costruzione gramaticale di quella lingua è
capace di una perfetta imitazione de' concetti
greci,
*
a differenza della tedesca della quale ha detto il
contrario), per tutte queste ragioni si trova una evidentissima e somma affinità
fra l'andamento greco e l'italiano, massime nel più puro italiano, e più nativo
e vero, cioè in quello del trecento. Da tutto ciò segue che la lingua greca,
come madre della nostra rispetto ai modi, sia e per ragione e per fatto
adattatissima ad arricchire e rifiorire la lingua italiana d'infinite e
variatissime forme e frasi e costrutti {(Cesari)} e idiotismi ec. Non così quanto
alle parole, che non possiamo derivare dalla lingua greca che non è madre della
nostra rispetto ad esse; fuorchè in ordine a quelle che gli scrittori o l'uso
latino ne derivarono, e divenute precisamente latine, passarono all'idioma
nostro come latine e con sapore latino, non come greche. Le quali però ancora,
sebbene incontrastabili all'uso dell'italiano, tuttavia soggiacciono in parte,
malgrado la lunga assuefazione che ci abbiamo, ai difetti notati da me p. 951-952. Che p. e. chi dice filosofia eccita un'idea meno sensibile di chi dice sapienza, non vedendosi in quella
parola e non sentendosi come in questa seconda, l'etimologia, cioè la
derivazione della parola dalla cosa, il qual sentimento è quello che produce la
vivezza ed efficacia,
958 e limpida evidenza dell'idea,
quando si ascolta una parola. (19. Aprile 1821.).
[981,1]
Alla p. 740.
La lingua greca si era conservata sempre pura, in gran parte per la grande
ignoranza in cui erano i greci del latino. La quale si fa chiara sì da altri
esempi che ho allegati in altro pensiero p. 44 (cioè quelli
di Longino nel giudizio timidissimo
che dà di Cicerone, e di Plutarco nella prefazione alla Vita di
Demostene, della quale v. il Toup ad Longin. p. 134.) sì ancora da questo, che
laddove i latini citavano ad ogni momento parole e passi greci, {colle lettere greche,} gli scrittori greci non mai {citavano {o usavano} parole latine se
non con elementi greci,} e con maraviglia, e come cosa unica notò il
Mingarelli in un'opera di Didimo Alessandrino, Teologo del quarto
secolo, da lui per la prima volta pubblicata, due o tre parole latine
barbaramente scritte in caratteri latini. (Didym.
Alexandr.
De Trinitate Lib. 1. cap. 15. Bonon.
typis Laelii a Vulpe 1769. {fol.} p. 18. gr. et
lat. cura Johannis Aloysii
Mingarellii. Vide ib. eius not. 3. e la Lettera a Mons.
Giovanni Archinto
Sopra un'opera inedita di un antico teologo
stampata già in Venezia nella Nuova Raccolta
del Calogerà 1763. tomo XI.
e ristampata nell'Appendice alla detta opera: Capo 3. pag. 465. fine
- 466. principio. del che non si troverà
982 così facilmente altro esempio in altro
scrittore greco.
*
) {+Il che
dimostra sì che gli stessi scrittori sì che i lettori greci erano
ignorantissimi del latino, da che gli scrittori non giudicavano di poter
citare parole latine, com'elle erano scritte; e di rado anche le usavano
in lettere greche, al contrario de' latini rispetto alle voci greche e
passi greci in caratteri latini ec.} Quanto poi i greci
dovessero lottare colle circostanze per mantenersi in questa verginità anche prima di Costantino, e dopo la conquista della
Grecia fatta dai Romani si può raccogliere da queste
parole del Cav. Hager, nel luogo cit.
qui dietro (p. 980.)
p. 245. Basta consultare la celebre opera di
S.
Agostino, De civitate Dei,
onde vedere quanto i Romani al medesimo tempo
erano solleciti d'imporre non solo il loro giogo, ma anche la loro
lingua a' popoli da loro sottomessi: Opera data est, ut imperiosa
civitas, non solum iugum, verum etiam linguam suam, domitis
gentibus per pacem societatis, imponeret
*
(Lib. XIX, cap.
7.)
Ai Greci medesimi, dice Valerio Massimo, non davano giammai
risposta che in lingua latina: illud quoque magna
perseverantia custodiebant, ne Graecis unquam nisi latine
responsa darent
*
, (Lib. II., c. 2. n. 2.)
e ciò quantunque la lingua greca fosse tanto
famigliare a' Romani; nulla dimeno per diffondere la lingua latina
obbligavano perfino que' Greci, che non la sapevano, a spiegarsi per
mezzo di un interprete in latino: Quin etiam... per interpretem loqui
cogebant... quo scilicet latinae vocis honos per omnes gentes
venerabilior diffunderetur.
*
*
(ibid.).
[988,1] I latini erano veramente δίγλωττοι rispetto alla
lingua loro e alla greca 1. perchè parlavano l'una come l'altra, ma non così i
greci generalmente, anzi ordinariamente: 2. perchè scrivendo citavano del
continuo parole e passi greci, in lingua e caratteri greci, ovvero usavano
parole o frasi greche nella stessa maniera; ma non i greci viceversa, del che
vedi p. 981.
{{e p. 1052. capoverso
3.}}
{{e p.
2165.}}
[999,2] In prova di quanto la lingua greca, fosse universale,
e giudicata per tale, ancor dopo il pieno stabilimento, e durante la maggiore
estensione del dominio romano e de' romani pel mondo; si potrebbe addurre il
Nuovo Testamento, Codice della nuova religione sotto i primi
imperatori, scritto tutto in greco, quantunque da scrittori {Giudei (così tutti chiamano gli Ebrei di que' tempi),} quantunque
l'Evangelio di S. Marco si creda scritto in
Roma e ad uso degl'italiani, {+giacchè è rigettata da' {tutti i} buoni critici l'opinione che
quell'Evangelio fosse scritto originariamente in
latino;}
(Fabric.
B. G. 3. 131.) quantunque v'abbia
un'Epistola
di S. Paolo cittadino Romano,
diretta a' Romani, un'altra agli
Ebrei; quantunque v'abbiano le
Epistole dette Cattoliche, cioè universali, di S. Giacomo, e di S. Giuda Taddeo. Ma senza entrare nelle
quistioni intorno alla lingua originale del nuovo testamento, o delle diverse
sue parti, osserverò quello che dice il Fabric.
B. G. edit. vet. t. 3. p. 153. lib. 4. c.
5. §. 9 parlando dell'Epistola di S.
Paolo a' Romani: graece scripta est, non latine, etsi Scholiastes
Syrus notat scriptam esse Romane ומאבח, quo vocabulo Graecam
1000 linguam significari,
Romę tunc et in omni fere Romano imperio
vulgatissimam, Seldenus ad
Eutychium
observavit.
*
E p. 131. nota (d.) §. 3. parlando delle testimonianze Orientalium recentiorum
*
che
dicono essere stato scritto il Vangelo di S. Marco in lingua romana,
dice che furono o ingannati, o male intesi dagli altri, nam per Romanam linguam etiam ab illis Graecam
quandoque intelligi observavit Seldenus.
*
Intendi l'Opera di Giovanni Selden intitolata: Eutychii
Aegyptii Patriarchae Orthodoxorum Alexandrini Ecclesię suae Origines
ex eiusdem Arabico nunc primum edidit ac Versione et Commentario
auxit Joannes Seldenus. {+Per lo contrario Giuseppe Ebreo nel proem. dell'Archeol. §.
2. principio e fine, chiama Greci tutti coloro che non erano
Giudei, o sia gli Etnici, compresi per cons. anche i romani. E così nella Scrittura Ἕλληνες passim opponuntur
Iudaeis, et vocantur ethnici, a Christo
alieni
*
(Scapula). Così ne' Padri antichi. Il che pure
ridonda a provare la mia proposizione. E Gioseffo avendo detto di scrivere per tutti i Greci (cioè i non ebrei), scrive in
greco. V. anche il Forcell.
v. Graecus in
fine.}
[1001,1] La lingua greca, benchè a noi sembri a prima vista
il contrario, e ciò in gran parte a cagione delle circostanze in cui siamo tutti
noi Europei ec. rispetto alla latina, è più facile della latina; dico quella
lingua greca antica quale si trova ne' classici ottimi, e quella lingua latina
quale si trova ne' classici del miglior tempo; e l'una e l'altra
comparativamente, qual'è presso gli scrittori dell'ottima età dell'una e
dell'altra lingua. E ciò malgrado la maggiore ricchezza grammaticale ed elementare della lingua greca. Questa
dunque è la cagione perch'ella fosse più atta della latina ad essere universale:
{+e n'è la
cagione sì per se stessa e immediatamente, sì per la somiglianza che
produce fra la lingua volgare e quella della letteratura, fra la parlata
e la scritta.}
(1. Maggio 1821.).
[1015,1]
1015 Mediante le quali colonie ec. la lingua e
letteratura greca si stabilì, com'è noto, in varie parti delle
Gallie. V. il
Cellar. dove parla di
Marsiglia. E le
Gallie ebbero scrittori greci, come Favorino Arelatense, S. Ireneo (sebben forse nato greco) ec. ec. V. anche il Fabric. dove parla di Luciano, B.
Gr. lib. 4. c. 16. §. 1. t. 3. p. 486. edit. vet.
[1023,2] Alcuni scrittori greci degli ultimissimi tempi
dell'impero greco, furono anche superiori in eleganza
a molti de' tempi più antichi ma corrotti, come gli scrittori latini del
cinquecento in italia superarono bene spesso gli antichi
latini posteriori a Cic.
{e} a Virgilio.
Dopo il secolo d'Augusto non è stato mai tempo in cui sì
generalmente
*
(come nel 500.) si scrivesse con coltura e con pulitezza la lingua
de' romani.
*
Andrès, l.
cit. qui sopra, p. 96.
(8. Maggio 1821.).
[1029,1]
1029 La lingua latina superò per esempio la lingua
antica Spagnuola, la Celtica ec. mediante la semplice introduzione nella
Spagna, nelle Gallie ec. del
governo, leggi, costumi Romani. Ma a superar la greca non le bastò neppure il
trasportar nella Grecia la stessa
Roma, e quasi la stessa
Italia. (11. Maggio 1821.).
[1029,3]
{Alla p. 245.} La lingua
francese si mantiene e si manterrà lungo tempo universale, a cagione della sua
struttura ed indole. È certo però che l'introduzione di questa lingua nell'uso
comune, e il principio materiale della sua universalità, si deve ripetere e
dalla somma influenza politica della francia nel tempo
passato; e dalla sua influenza morale come la più civilizzata nazione del mondo,
e per conseguenza dalle sue mode, ec. o vogliamo dire dalla moda di esser
francese,
1030 dal regno e dittatura della moda, che la
francia ha tenuto e tiene ec.; e principalissimamente
ancora dalla sua letteratura, dalla estensione di lei, e dalla superiorità ed
influenza che ella ha acquistata sopra le altre letterature, non per altro, se
per essere esclusivamente e propriamente moderna, e perchè la letteratura
precisamente moderna è nata (a causa delle circostanze politiche, morali, civili
ec.) prima che in qualunque altra nazione, in Francia, e
quivi è stata coltivata più che in qualunque altro luogo, e più modernamente o
alla moderna che in qualunque altro paese. Ma la durata di questa universalità,
quando anche cessino le dette ragioni, (come in parte sono cessate) essa la
dovrà alla sua propria indole; laddove quella tal quale universalità acquistata
{già} dalle lingue spagnuola, italiana ec. sono
finite insieme colle ragioni estrinseche che la producevano, non avendo esse lingue disposizione
intrinseca alla universalità. Con
queste osservazioni rettifica quello che ho detto p. 240 - 245. E in quanto alla letteratura, ed alla
influenza morale ec. ec. è certo che queste furono le ragioni estrinseche della universalità della
lingua greca, la quale però ne aveva anche le sue ragioni intrinseche, mancanti affatto alla latina, che perciò
non fu mai veramente universale,
1031 nè durò, come la
greca ancor dura, non ostante che abbondasse delle ragioni estrinseche di universalità. (11. Maggio
1821.). {{V. p. 1039.
fine.}}
[1038,1] Nei tempi bassi furono veramente δίγλωττοι i
tedeschi e gl'inglesi, ossia la parte colta di queste nazioni, che scrivevano il
latino, se ne servivano per le corrispondenze, lettere ec. e parlavano le lingue
nazionali. E così pure gl'italiani, i francesi, gli spagnuoli, che parlavano già
un volgare assai diverso dal latino scritto. Ma questa:
[1039,2]
Alla p. 1031
principio. Come la letteratura, così la lingua francese è precisamente
moderna, sì per l'influenza somma nella lingua della letteratura che la forma (e
nel nostro caso l'ha singolarmente formata e determinata, mutandola assai da
quella ch'era da principio, e dalla sua stessa indole primitiva); sì per
l'influenza immediata {sulla lingua francese} delle
stesse cagioni che hanno influito sulla letteratura francese, e formatala.
1040 Or come la lingua francese è strettamente moderna,
e quindi strettamente propria all'odierna universalità, per esser modellata
sulla ragione, e oggi (secondo il vero andamento del secolo) quasi sulla
matematica; così la lingua greca era propria alla universalità de' tempi suoi,
massime fra' popoli del meriggio orientali e occidentali, che sono {e furono sempre} più immaginosi; e ciò per essere
strettamente antica, e questo per essere strettamente modellata (nel perfetto)
sulla natura. A differenza della latina modellata piuttosto sull'arte. E si può
dire che la perfezione della lingua greca era conforme, ed aveva il suo
fondamento nella natura, non essendo perciò meno perfetta, nè artificiata; e la
perfezione della latina era conforme, ed aveva il suo modello, il suo tipo, il
suo fondamento, la sua norma nell'arte. (12. Maggio 1821.).
[1046,2] Principalissime cagioni dell'essersi la lingua greca
per sì lungo tempo mantenuta incorrotta (v. Giordani nel fine della Lettera sul Dionigi) furono indubitatamente la sua
ricchezza, e la sua libertà d'indole e di fatto. La qual libertà produce in
buona parte la ricchezza; la qual libertà è la più
1047
certa, anzi necessaria, anzi unica salvaguardia della purità di qualunque
lingua. La quale se non è libera primitivamente e per indole, stante
l'inevitabile mutazione e novità delle cose, deve infallibilmente declinare
dalla sua indole primitiva, e per conseguenza alterarsi, perdere la sua
naturalezza e corrompersi: laddove ella conserva l'indole sua primitiva, se fra
le proprietà di questa è compresa la libertà. E quindi si veda quanto bene
provveggano alla conservazione della purità del nostro idioma, coloro che
vogliono togliergli la libertà, che per buona fortuna, non solo è nella sua
indole, ma ne costituisce una delle principali parti, e uno de' caratteri
distintivi. E ciò è naturale ad una lingua che ricevè buona parte di formazione
nel trecento, tempo liberissimo, perchè antichissimo, e quindi naturale, e
l'antichità e la natura non furono mai soggette alle regole minuziose e
scrupolose della ragione, e molto meno della matematica. Dico antichissimo,
rispetto alle lingue moderne, nessuna delle quali data da sì lontano tempo il
principio vero di una formazione molto inoltrata, e di una notabilissima
coltura, ed applicazione alla scrittura: nè può {di gran
lunga} mostrare in un secolo così remoto sì grande universalità e
numero di scrittori e di parlatori ec. che le servano anche oggi di modello. E
questa antichità
1048 di formazione e di coltura,
antichità unica fra le lingue moderne, è forse la cagione per cui l'indole
primitiva della lingua italiana formata, è più libera forse di quella d'ogni
altra lingua moderna colta (siccome pure dell'esser più naturale, più
immaginosa, più varia, più lontana dal geometrico ec.).
[1067,2] Le cause per cui la lingua greca formata fu liberissima d'indole e di
fatto, a differenza della latina, sono
[1086,2]
Siccome la perfezione gramaticale di una lingua
dipende dalla ragione e dal genio
*
(la lingua francese è perfetta dalla parte
della ragione, ma non da quella del genio), così ella può servire di scala per misurare il
grado della ragione e del genio ne' vari
popoli.
*
(Con questa scala il genio francese sarà
trovato così scarso e in così basso grado, come in alto grado la ragione di
quel popolo.) Se per esempio non
avessimo altri monumenti che attestassero il genio felice de' Greci, la loro lingua pur
basterebbe.
*
(Lo stesso potremo dire degl'italiani avuto
riguardo alla proporzione de' tempi moderni, che
1087 non sono quelli del genio, coi tempi antichi.) Quando una lingua, generalmente
parlando,
*
{+(cioè non di una o più frasi, di
questa o quella finezza in particolare, ma di tutte in grosso)}
è insufficiente a rendere in una
traduzione le finezze di un'altra lingua, egli è una prova sicura
che il popolo per cui si traduce ha lo spirito men coltivato che
l'altro.
*
(Che diremo dunque dello spirito de'
francesi dalla parte del genio? La cui lingua è insufficiente a rendere le
finezze non di una sola, ma di tutte le altre lingue? Che la
Francia non abbia avuto mai, {+v. p. 1091.} nè sia disposta per
sua natura ad avere geni veri ed onnipotenti, e grandemente sovrastanti al resto
degli uomini, non è cosa dubbia per me, e lo viene a confessare implicitamente
il Raynal. Dico geni sviluppati,
perchè nascerne potrà certo anche in
Francia, ma svilupparsi non già, stante le
circostanze sociali di quella nazione.) Sulzer ec. l. cit. qui
dietro. p. 97.
(25. Maggio 1821.).
[1093,1] La letteratura di una nazione, la quale ne forma la
lingua, e le dà la sua impronta, e le comunica il suo genio, corrompendosi,
corrompe conseguentemente anche la lingua, che le va sempre a fianco e a
seconda. E la corruzione della letteratura non è mai scompagnata dalla
corruzione della lingua, influendo vicendevolmente anche questa sulla corruzione
di quella, come senza fallo, anche lo spirito della lingua contribuisce a
determinare e formare lo spirito della letteratura. Così è accaduto alla lingua
latina, così all'italiana nel 400, nel 600, e negli ultimi tempi, così pure nel
600, e negli ultimi tempi alla spagnuola: tutte corrotte al corrompersi della
rispettiva letteratura. Eppure la lingua greca, con esempio forse unico,
corrotta, anzi, dirò, imputridita la letteratura, si mantenne incorrotta
1094 più secoli, e molto altro spazio poco alterata,
come si può vedere in Libanio, in Imerio, in S. Gregorio Nazianzeno, e altri tali sofisti più antichi o più moderni di
questi, che sono corrottissimi nel gusto, e non corrotti {o
leggermente corrotti} nella lingua. Tanta era per una parte la
libertà, la pieghevolezza, e dirò così la capacità della lingua greca formata, che poteva anche essere applicata a pessimi
stili, senza allontanarsi dall'indole della sua formazione, e senza perdere le
sue forme proprie, e il suo naturale; ed essere adoperata da una letteratura
guasta senza guastarsi essa stessa, adattandosi tanto al buono come al cattivo,
e ricevendo nella immensa capacità delle sue forme, e nella sua {varietà,} copia e ricchezza, sì l'uno come l'altro.
Simile in ciò all'italiana, dove si può scrivere purissimamente cose di pessimo
gusto, ed usare un pessimo stile, in ottima o non corrotta lingua, come ho detto
altrove pp. 243-45
p.
321
pp.
686. sgg.
pp.
766-67. Dal che nasce la difficoltà di scriver bene in italiano, a
differenza del francese, che avendo una sola
lingua, ha anche un solo
stile, e chiunque scrive in francese, non può non iscrivere in istile appresso a poco, buono. E
però non dobbiamo farci maraviglia di quello che dicono, che tutti i francesi
più o meno scrivono bene.
[1134,1] Osservo che la lingua latina è più atta a queste
speculazioni che la greca {, contro quello che può parere a
prima giunta, per causa della sua minore antichità vera o
supposta.}
[1295,1]
Alla p. 1138.
fine, aggiungi - 4. La lingua latina ha prodotto tre figlie, che ancor
vivono, che noi stessi parliamo, e le di cui antichità, origini, progressi ec.
dal principio loro fino al dì d'oggi, si conoscono o si possono ottimamente o
sempre meglio conoscere. Che in somma è quanto dire che la lingua latina ancor
vive. E la considerazione di queste lingue fatta coi debiti lumi, ci può portare
e ci porta a scoprire moltissime proprietà della lingua latina antichissima, che
non si potrebbero, o non così bene dedurre dagli scrittori latini; e ciò stante
l'infinita tenacità del
1296 volgo che mediante il
parlar quotidiano, ha conservato dai primordi della lingua latina fino al dì
d'oggi, e conserva tuttavia nell'uso quotidiano (e le ha pure introdotte nelle
scritture) molte antichissime particolarità della lingua latina; come dimostrerò
discorrendo dell'antico latino volgare. Sicchè lo studio comparativo delle tre
lingue latino-moderne, fatto con maggior cura, di quello che finora sia stato, e
con maggiore intenzione all'effetto di scoprire le antichità della favella
materna, ci può condurre a conoscer cose latine antichissime, e primitive, o
quasi primitive. La quale facoltà di uno studio comparativo sulla lingua greca
parlata, non si ha, benchè la lingua greca viva ancora al modo che vive la
latina. Oltre che non si hanno tante comodità di conoscere così bene il greco
moderno, e le sue origini, e progressi, e generalmente la storia della lingua
greca da un certo tempo in qua; come si hanno di conoscere quello che noi
possiamo chiamare il latino moderno, e la storia della lingua latina dalla sua
formazione e letteratura fino al dì d'oggi, come dirò poi.
[1350,1] 1. La differenza delle lingue, e la maggiore o minor
copia de' termini, maggiore o minor
precisione e universalità loro, e certezza di significato e stabilità. V. Sulzer, negli Opuscoli
interessanti di Milano, vol. 4. p. 65 - 70.
79 - 80. La maggiore o minor copia di parole esprimenti idee chiare ec. v.
ib. p. 53 - 54. Una delle grandi ragioni per
cui i greci negli studi astratti e profondi, (sì filosofici che gramatici ec.
ec. ec.) come in ogni altro genere di cognizioni andarono avanti a tutti gli
antichi, ai latini ec. io credo certo che sia la gran facilità che aveva la loro
lingua ad esprimere, ed esprimere precisamente le nuove cose, le nuove e
particolari idee di ciascuno. Facilità che si sperimenta anche oggi
nell'attingere da quella lingua a preferenza di ogni altra i nomi delle nuove o
più precise e sottili cose ed idee, e le intere nomenclature ec.
[1363,2] I greci ponevano nella stessa
roma iscrizioni greche, quali sono le famose Triopee
fatte porre da Erode Attico, benchè
trattino di oggetti, si
1364 può dir, tutti e del tutto
romani. (21. Luglio 1821.).
[1366,1] Non basta che Dante, Petr.
Bocc. siano stati tre sommi scrittori.
Nè la letteratura nè la lingua è perfetta e perfettamente formata in essi, nè
quando pur
1367 fosse ciò basterebbe a porre nel 300 il
secol d'oro della lingua. Qual poeta, anzi quale scrittore, anzi quale ingegno
maggiore di Omero ebbe {mai, non dirò} la Grecia,
ancorchè sì feconda per sì gran tempo, {ma il mondo?} E
tuttavia nessuno può riporre la perfetta formazione e il secol d'oro della
lingua greca, nel tempo, e neppur nella lingua d'Omero: {+(v. se vuoi, la lettera al Monti
sulla Grecità del Frullone, in fine.
Proposta ec. vol. 2. par. 1. appendice.)}
quantunque la lingua greca sia molto più formata in Omero, che non è l'italiana massime in Dante; perchè Dante fu quasi il primo scrittore italiano, Omero non fu nè il primo scrittore nè il
primo poeta greco. E la lingua greca architettata (siccome lingua veramente
antica) sopra un piano assai più naturale ec. del nostro, era capace di arrivare
alla perfezione sua propria in molto meno tempo dell'italiana, ch'è pur lingua
moderna, e spetta (necessariamente) al genere moderno. (22. Luglio
1821.). {{V. p. 1384. fine.}}
[1403,1]
Alla p. 1338.
Notate in questo proposito, per dimostrare l'influenza della lingua o dei nomi
sulle cognizioni, che una sufficiente notizia della lingua e delle proprietà
delle voci greche, non solo giova sommamente allo {studioso
di medicina} per {ben} conoscere l'indole ec.
delle malattie ec. ec. non solo abbrevia d'assai il detto studio ec. e lo
facilita ec; ma forse senza detta {notizia,} molte
volte, non
1404 dico lo studioso, ma lo stesso medico
non arriverà ad avere di qualche cosa denominata in medicina con termine greco,
un'idea così chiara e precisa, come la concepisce subito il grecista, ancorchè
ignorante di medicina, appena ode quel tal nome. Avendo questa bellissima
proprietà gran parte delle parole greche applicate alle scienze ec. ch'elle son
quasi perfette definizioni delle cose che significano; e questo a causa della
precisione che riceve quella lingua dai composti ec. qualità che nello stesso
grado non si può, generalmente parlando, trovare in verun'altra lingua.
(29. Luglio 1821.).
[1494,1] Qual lingua è più varia della latina? (se non forse
la greca). E quale è più propria? neppur forse la greca. E dalla proprietà
deriva naturalmente la varietà, come ho detto p. 1479. Ella era {strettamente} propria per legge, e non avrebbe scritto latino ma
barbaro, chi non avesse scritto con proprietà: laddove la greca potendo essere
altrettanto e più propria, era più libera, ed ho già osservato altrove p.
244 come ciascuno scrittor greco, abbia un vocabolarietto particolare,
cioè faccia uso continuo delle stesse voci, e si restringa ad una sola parte
della sua lingua, con che la proprietà non può esser perfetta. Ai latini
bisognava una perfetta cognizione ed uso della loro lingua, non solo in grosso
ma in particolare, e quindi il vocabolario che si può formare a ciascun {buono} scrittore latino è
1495
generalmente molto più ampio che a qualunque greco classico. E pur la lingua
greca era più ricca della latina. Ma la lingua di ciascun latino era più ricca
che di ciascuno scrittor greco. Eccetto gli scrittori greci più bassi, come Luciano, Longino ec. i quali sono ricchissimi, e tanto più
quanto il loro stile è meno antico, perchè i contemporanei, come Arriano, Dionigi Alicarnasseo, sono più antichi di stile, e
meno ricchi di lingua. La stessa {immensa} ricchezza
della lingua greca impoveriva gli scrittori, finch'ella non fu studiata con
un'arte perfetta ch'è sempre propria de' tempi imperfetti e scaduti.
[1513,1] I costumi delle nazioni cambiano bene spesso
d'indole, massime coll'influenza del commercio, de' gusti, delle usanze ec.
straniere. E siccome l'indole della favella è sempre il fedelissimo ritratto
dell'indole della nazione,
1514 e questa è determinata
principalmente dal costume, ch'è la seconda natura, e la forma della natura;
perciò mutata l'indole de' costumi, inevitabilmente si muta, non solo le parole
e modi particolari che servono ad esprimerli individualmente, ma l'indole, il
carattere, il genio della favella. Pur troppo è certissimo che l'indole de'
costumi italiani essendo affatto cambiata, massime dalla rivoluzione in poi, ed
essendo al tutto francese, è perduta quasi effettivamente la stessa indole della
lingua italiana. Si ha un bel dire. Una conversazione del gusto,
dell'atteggiamento, della maniera, della raffinatezza, {della
leggerezza, dell'eleganza} francese, non si può assolutamente fare in
lingua italiana. Dico italiana di carattere; e piuttosto la si potrebbe tenere
con parole purissime italiane, che conservando il carattere essenziale di questa
favella. Così dico dell'indole dello scrivere che oggi piace universalmente. È
troppo vero che non si può maneggiare in lingua italiana, e meno quanto
all'indole che quanto alle parole. È {{troppo}} vero che
l'influenza generale del
1515 costume francese in
europa, deve ed ha realmente mutata l'indole di tutte
le lingue colte, e le ha tutte francesizzate, ancor più nel carattere, che nelle
voci. E in tutta europa si travaglia a richiamar le
lingue e letterature alla loro proprietà nazionale. Ma invano. Nelle parole ch'è
il meno importante si potrà forse riuscire: ma nell'indole, ch'è il tutto, è
impossibile, se ciascheduna nazione non ripiglia il suo proprio costume e
carattere; e se noi italiani massimamente (che siamo più soggetti all'influenza,
e a pigliar l'impronta straniera, perchè non siamo nazione, e non possiamo più
dar forma altrui) non torniamo italiani. Il che dovremmo pur fare: e coloro che
ci gridano, parlate italiano, ci gridano in
somma siate italiani, che se tali non saremo,
parleremo sempre forestiero e barbaro. Ma non essendo nazione, e perdendo il
carattere nazionale, quali svantaggi derivino alla società tutta intera, l'ho
spiegato diffusamente altre volte pp. 865-66.
[1518,1] Da queste osservazioni si deduce che dopo che i
costumi greci furono radicati in Roma; dopo che i romani
andavano ad imparar le maniere del bel vivere in grecia,
come si va ora a Parigi; dopo che la moda, la bizzarria,
l'ozio derivato dalla monarchia, l'influenza della letteratura greca ec. ebbe
grecizzati i costumi e la conversazione di Roma; dopo che
le case de' nobili eran piene di filosofi, di medici, di precettori, di
domestici e uffiziali greci d'ogni sorta;
1519 dopo che
la letteratura Romana fu definitivamente modellata sulla greca, come la russa,
la svedese, la inglese del secolo d'Anna sulla francese; dopo tutto ciò la lingua romana
doveva necessariamente (quando anche non si sapesse di fatto) imbarbarire a
forza di grecismo, sì quanto ai particolari, sì quanto all'indole. E bisogna
attentamente osservare che il grecismo di que' tempi, non era già quello d'Erodoto o di Senofonte, e perciò la lingua e stile romano non fu
mai semplice nè inartifiziato; ma quello di Luciano, di Polibio ec.
cioè contorto, lavorato, elegante artifiziosamente, e similissimo all'andamento
del latino. (v. p.
1494-6. ) Il quale andamento molto si sbaglierebbe chi lo credesse
passato dal latino nel greco. Fu tutto l'opposto, e derivò dall'influenza del
greco di allora, il quale nè allora nè mai fu soggetto all'influenza del latino.
E se {+la lingua} e lo stile latino
classico fu sommamente più artifiziato per indole, che il greco classico, ciò si
deve attribuire all'indole della grecità contemporanea al classico latino.
(18. Agos. 1821.)
[1608,2] Tanta è la facoltà produttrice della lingua greca, e
tale la sua mirabile disposizione, e capacità di qualsivoglia novità,
1609 che in essa, può dirsi che concepita appena
un'idea per nuova ch'ella sia, è già fatta la nuova parola che l'esprima. Tanto
costava l'arricchir quella lingua quanto il concepire un'idea, o menoma parte o
modificazione d'idea in qualunque modo nuova. Laddove nelle altre lingue,
concepita un'idea nuova, ci vuole bene spesso del bello e del buono per
esprimerla. E questo nuoce e ritarda sommamente la chiarezza e determinatezza
della stessa concezione, perchè si può dire che un'idea non si concepisce mai
chiaramente, nè è mai ben determinata e ferma nell'intelletto del suo stesso
ritrovatore, finch'egli non ha trovato una parola {o
modo} perfettamente corrispondente, e non l'ha saputa ben esprimere e
fissare con questo mezzo a se stesso, e quasi rinchiuderla e incassarla in detta
parola. Questo è ciò che i greci faceano immediatamente, e quindi si conferma
quello che altrove ho detto pp. 1350, cioè che la loro
superiorità nella filosofia ec. fra gli antichi, possa venire in gran parte
1610 dalla natura di loro lingua.
(1.[2.] Sett. 1821.).
[1715,2] L'individuo, ordinariamente, è tanto grande o
piccolo quanto la società, il corpo {ec. la patria,} a
cui egli specialmente appartiene, {o s'immagina, prefigge,
cerca di appartenere.} In una piccola patria, gli uomini son piccoli,
se istituzioni e opinioni straordinariamente felici, non lo ingrandiscono, come
nelle città greche, ciascuna
1716 delle quali era
patria. Ma il principal mezzo è di allargare al possibile, se non altro, l'idea
della propria società, come ciascuna città greca {e loro
individui} riguardavano (anche col fatto) per loro patria tutta la
grecia e sue appartenenze, e per compatriota chiunque
non era βάρβαρος. Senza ciò la grecia non sarebbe stata
quello che fu, neppure in quei tempi tutti propri della grandezza. (16.
Sett. 1821.).
[1848,1]
Alla p. 1840.
principio. Eccovi infatti, contro quello che a prima vista parrebbe,
che le nazioni le più distinte nell'immaginazione, i popoli meridionali insomma,
dalle
1849 prime tracce che abbiamo della storia umana
fino a' dì nostri, si trovano aver sempre primeggiato nella filosofia, e massime
nelle grandi scoperte che le appartengono. Grecia,
Egitto, India, poi Arabi, poi
Italiani nel risorgimento. La profonda filosofia di Salomone e del figlio di Sirac, non era ella meridionale?
L'Oriente non ha primeggiato in tutta l'antichità in
ordine al pensiero, alla profondità, alle cognizioni le più metafisiche, alla
morale ec.? Confucio non fu meridionale?
Donde venne la filosofia tra' latini? dalla grecia. Chi
si distinse in essa fra tutti gli scrittori latini {+per ciò che spetta alla profondità}? gli spagnuoli
Seneca, Lucano, possiamo anche dir Quintiliano, ec. E nella teologia? gli Affricani Tertulliano, S. Agostino, ec. nella teologia e filosofia insieme?
Arnobio Affricano, e Lattanzio (credo) parimente. Fra i
greci quante sottigliezze, quante astrazioni, quante sette, quante dispute,
quanti scritti acutissimi in materie teologiche dal principio della Chiesa fino
agli ultimi secoli della
1850
Grecia. Si può dir che la teologia Cristiana sia tutta
greca. E quell'opera profondissima del Cristianesimo donde venne? dalla
Palestina. Mostratemi della filosofia antica in
qualsivoglia parte settentrionale {+o
antartica} dell'Asia,
dell'Affrica, dell'europa.
Quanto alle due prime mostratemi ancora, se potete, della filosofia moderna,
ch'io ve ne mostrerò non poca nelle loro parti meridionali. Quello che dico
della filosofia dico pur della teologia (inseparabile dalla metafisica), a
qualunque credenza ella appartenga.
[1862,1] Ho detto pp. 1350. sgg.
p. 1609 che i greci furono i più filosofi e profondi tra gli antichi,
perchè la loro lingua si presentava mirabilmente (sì come si presta ancora forse
meglio di ogni altra) alla filosofia ed alla precisione, come ad ogni altra cosa
e qualità. Bisogna osservare che questo pregio non l'ebbe ella dalla filosofia,
così che questo si debba attribuire alla filosofia de' greci, piuttosto che
questa al detto pregio. Poichè la lingua greca fu formata, e resa onnipotente
assai prima che i greci avessero filosofia, e prima ancora che si fosse
intrapresa l'analisi delle lingue, e creata la gramatica, nelle quali cose i
greci furono poi sottilissimi specialmente intorno alla lingua loro. Ma la
lingua greca era tal quale noi la vediamo, e l'ammiriamo, assai prima della
gramatica, inventata, si può dire, dagli stessi greci, ne' tempi in cui la loro
lingua o aveva già perduto, o stava per perdere (forse anche in forza delle
regole ritrovate o osservate) il suo nativo
1863 colore
ec. Anzi la lingua greca, dopo che fu analizzata, e ridotta a regole, dopo le
circoscrizioni, le dispute, gli scrupoli de' gramatici, divenne forse meno atta
alla filosofia, come ad ogni altra cosa, perchè meno libera, e meno capace
(secondo il parere e il desiderio de' pedanti) di novità. Altrettanto nè più nè
meno si può dire della lingua italiana. La libertà è la prima condizione di una
lingua sì filosofica, che qualunque. I francesi l'hanno quanto alle parole. Ma
ridotta ad arte, ogni lingua perde la sua libertà e fecondità. Allora ella varia
quanto alle forme che riceve, secondo che alla sua formazione presiede la
ragione o la natura ec. Primitivamente l'indole di tutte le lingue è appresso a
poco la stessa, almeno dentro una stessa categoria di climi e caratteri
nazionali. (7. Ott. 1821.).
[1896,2] Quello che bisogna osservare si è gli elementi e la
natura di ciò che forma
1897 la perfezione e l'indole
di una lingua. Ora la lingua francese formata ne' tempi che per noi sono
moderni, contiene in se stessa i principii di corruzione ed alterazione che ho
notati di sopra; perocch'ella, secondo la natura di tali tempi, è sottoposta
nella sua forma alla servitù della ragione. Laddove la lingua italiana formata
in tempi che per noi sono antichi, e secondo l'indole di detti tempi, dotata
essenzialmente della libertà della natura, capace d'indeterminata moltiplicità
di forme, di stili, e quasi di lingue, non può mai corrompersi, purchè s'abbia
l'occhio a conservarle appunto queste qualità, senza le quali non può stare la
sua vera indole primitiva; onde sebbene d'indole antica, ella, anzi perciò
appunto ch'è d'indole antica, è e sarà sempre capace di tutto ciò che è o sarà
per esser moderno; temperando sempre i suoi diversissimi stili secondo la natura
degli argomenti.
1898 Ond'ella è e potrà sempre essere
adattata così all'antico come al moderno, cioè al bello come al vero, e alla
natura come alla ragione, perocchè questa è compresa nella natura, ma non già
viceversa. E potrà anche unire insieme le due qualità del bello e del vero, in
un medesimo stile. Come appunto la lingua greca, vera figlia della natura e del
bello, fu tanto atta alla filosofia, quanto forse nessuna delle moderne, le
quali a lei tuttora ricorrono ne' loro bisogni filosofici ec.; la lingua greca
si conservò per tanti secoli e tante vicissitudini di cose incorrotta; la lingua
greca si può con certezza presumere che se oggi vivesse, oggi conservando il suo
stesso primitivo carattere, sarebbe capacissima e forse più d'ogni altra anche
moderna, di tutte le cose moderne, siccome ne può far fede il vedere quante di
queste non si sappiano denominare se non ricorrendo a essa lingua; la lingua
greca si adatterebbe
1899 all'analisi, a ogni
sottigliezza della nostra moderna ragione, senza però perder nulla della sua
bellezza, della sua antica indole, e della sua adattabilità alla antica natura,
perocchè la natura può considerarsi come antica.
[1926,1] La lingua italiana è certo più atta alle traduzioni
che non sarebbe stata la sua madre latina. Fra le lingue ch'io conosco non v'è
che la greca alla quale io non ardisca di anteporre la nostra in questo
particolare, nel quale però poca esperienza fecero i greci della lor lingua.
(16. Ott. 1821.).
[1962,1]
Un des grands avantages
des dialectes germaniques en
poésie, c'est la variété et la beauté de leurs épithètes. L'allemand
sous ce rapport aussi, peut se comparer au grec; l'on sent dans un seul
1963
mot plusieurs images, comme, dans la note fondamentale d'un
accord, on entend les autres sons dont il est composé, ou comme de
certains couleurs réveillent en nous la sensations de celles qui en
dépendent. L'on ne dit en français
que ce qu'on veut dire, et l'on ne voit point errer autour des
paroles ces nuages à mille formes, qui entourent la poésie des langues
du nord, et réveillent une foule de souvenirs. A la liberté de former une seule épithète de deux
ou trois, se joint celle d'animer le langage en faisant avec
les verbes des noms:
*
(proprietà egualmente del greco, dell'italiano, e dello spagnuolo) le vivre, le vouloir, le sentir, sont des expressions
moins abstraites que la vie, la volonté, le sentiment; et tout ce qui
tend à changer la pensée en action donne toujour plus de mouvement au
style. La facilité de renverser à son gré la construction
1964 de la phrase
*
(ho detto altrove
pp. 109-11
pp.
950-52
pp. 1226-28 che come le parole, così le frasi e costruzioni ec.
possono esser termini, e che quella
lingua che più abbonda di termini,
{in pregiudizio delle parole,} suole per
analogia esser matematica nella frase ec., e che la francese è tutta un gran
termine) est aussi très-favorable à la poésie, et permet d'exciter, par les
moyens variés de la versification, des impressions analogues à celles de la peinture et de la
musique
*
. (impressioni vaghe.) Enfin l'esprit général des dialectes teutoniques, c'est l'indépendance:
les écrivains cherchent avant tout à
transmettre ce qu'il sentent; ils diroient volontiers à la
poésie comme Héloïse à son amant: S'il
y a un mot plus vrai, plus tendre, plus profond encore pour exprimer
ce que j'éprouve, c'est celui-là que je veux choisir. Le
souvenir des convenances de société poursuit en
France le talent
*
1965
jusques dans ses émotions les plus intimes; et la
crainte du ridicule est l'épée de Damoclès, qu'aucune fête
de l'imagination ne peut faire oublier.
*
De l'Allemagne, tome 1. 2.de part. ch. 9.
vers la fin.
(21. Ott. 1821.).
[2012,2] Non bisogna confondere la purità {della lingua} la quale è di debito in tutte le scritture di qualunque
nazione, coll'eleganza, la quale non è di debito se non in alcune
2013 scritture, ed in altre non solo non necessaria ma
impossibile; nè perchè la lingua italiana è capacissima di eleganza, e perchè ne
sentiamo un grandissimo sapore nella più parte de' nostri buoni scrittori,
credere che gli scritti didascalici ec. se e dove non ci riescono eleganti, non
sieno italiani. Torno a dire che la precisione moderna ch'è estrema, e che in tali scritti e generi è
di prima necessità, e che oggi si ricerca sopra tutte le qualità ec. è
assolutamente di sua natura incompatibile colla eleganza: ed infatti il nostro
secolo che è quello della precisione, non è certo quello della eleganza in
nessun genere. Bensì ell'è compatibilissima colla purità, come si può vedere in
Galileo, che dovunque è preciso e
matematico quivi non è mai elegante, ma sempre purissimo italiano. Perocchè la
nostra lingua, come qualunque altra è incapace di uno stile
2014 che abbia due qualità ripugnanti e contrarie essenzialmente, ma è
capacissima dello stile preciso, non meno che dell'elegante, a somiglianza della
greca, e al contrario della francese, ch'essendo capacissima di precisione è
incapace di eleganza (quella che noi, i latini i greci intendevano per
eleganza), e della latina, capacissima di eleganza e incapace di precisione, e
però corrotta appena fu applicata alle sottigliezze teologiche, scolastiche ec.
(fra le quali fu allevata per lo contrario la nostra, e crebbe la greca) ed
anche a quelle della filosofia greca, dopo Cicerone; e quindi affatto inadattabile alle cose moderne, ed alle
traduzioni di cose moderne. (30. Ott. 1821.)
[2025,1] Gli antichi poeti e proporzionatamente gli scrittori
in prosa, non parlavano mai delle cose umane e della natura, se non per
esaltarle, ingrandirle, quando anche parlassero delle miserie {+e di argomenti, e in istile
malinconico.} ec. Così che la grandezza costituiva il loro modo di
veder le cose, e lo spirito della loro poesia. Tutto al contrario accade ne'
poeti, e negli
2026 scrittori moderni, i quali non
parlano nè possono parlare delle cose umane e del mondo, che per deprimerne,
impiccolirne, avvilirne l'idea. Quindi è che i linguaggi antichi sempre
innalzano e ingrandiscono, massime quelli de' poeti, i moderni sempre
impiccoliscono e abbassano {e annullano} anche quando
sono poetici. {+Anzi appunto in ciò
consiste lo spirito poetico d'oggidì (che ha sempre, e massime oggi, grandi
rapporti col filosofico di ciascun tempo). Gli antichi si distinguevano dal
volgo coll'inalzare le cose al di sopra dell'opinione comune; i moderni
poeti col deprimerle al di sotto di essa. In ciò pure v'è grandezza, ma del
contrario genere.} Onde avviene che gli scritti moderni tradotti p. e.
in latino, o le cose moderne trattate in latino, suonano tutt'altro da quello
che intendono, e ne segue un effetto discordante tra la grandezza e l'altezza
del linguaggio, e la strettezza e bassezza delle idee, ancorchè fra noi
poeticissime. (Come accaderebbe trasportando le nostre letterature in
Oriente). E viceversa traducendo gli antichi
negl'idiomi moderni, o trattando in questi le cose antiche.
[2057,1] La poca libertà {+e la somma determinazione e precisazione del carattere e
della forma} della lingua latina che può parere strana 1. in una
lingua antica, 2. in una lingua parlata {e scritta} da
tanta moltitudine e diversità di gente e di nazioni, 3. in una lingua d'un
popolo liberissimo, e formata e ridotta a letteratura, nel tempo che la sua
libertà era anzi sì eccessiva da degenerare in anarchia, oltre le cagioni dette
altrove pp. 2014-15, ebbe certo fra le principali la
seguente.
[2080,1] A queste considerazioni appartiene ciò che l'autrice
ha detto immediatamente prima. Les dialectes germaniques ont pour origine une langue
mère, dans laquelle ils puisent tous. Cette source commune renouvelle et
multiplie
2081 les expressions d'une façon
toujours conforme au génie des peuples. Les nations d'origine latine ne
s'enrichissent pour ainsi dire que par l'extérieur; elles doivent avoir
recours aux langues mortes, aux richesses pétrifiées pour étendre leur
empire. Il est donc naturel que les innovations en fait de mots leur
plaisent moins qu'aux nations qui font sortir les rejetons d'une tige
toujours vivante.
*
- La lingua madre delle teutoniche
moderne, non è più viva della latina. Ma la differenza è che la latina fu
formata e determinata, l'antica teutonica no. Quella visse ed è morta, questa
non è morta, perchè non è, si può dire, vissuta. La forma certa della lingua
latina influisce sempre più o meno sulle sue figlie. Quando queste nacquero,
benchè nuove, {e non formate} contenevano in se stesse
un non so che di vecchio {e di formato,} e questo
vecchio {e questo formato} era morto. {+Quindi sempre un non so che di gêne nelle
nostre lingue, se si paragonano all'infinita libertà e potenza della tedesca
e della greca.} La madre
2082 delle moderne
teutoniche non essendo mai stata formata, si può dire che appena sia madre; si
può dire che le sue figlie non sieno figlie, ma una continuazione di lei, una
formazione e determinazione di essa, che non avea mai ricevuto forma ec. Ella
dunque ancor vive; e le lingue moderne teutoniche derivano dall'antico senza
interruzione, senza una intermedia rinnovazione totale di forme, che pone quasi
un muro di separazione fra le lingue meridionali e le loro antiche sorgenti. La
lingua antica teutonica si presta dunque al moderno come si vuole; e la radice
delle sue figlie ancor vive, perch'ella non ebbe mai una tal forma che la
determinasse e circoscrivesse e attaccasse inseparabilmente al tempo suo, ad un
carattere di una tal età, all'indole antica ec. {+e la diversificasse dalla lingua di un altro tempo, per
derivata ch'ella fosse da lei, e simile a lei, e debitrice a lei ec.}
L'ebbe bensì la latina, ed ella è morta col carattere e le circostanze di quei
tempi a' quali fu attaccata, ne' quali ricevè piena forma, e determinazione.
2083 Non l'ebbe la greca, ed ella perciò si rassomiglia sommamente
alla tedesca, ma solo per queste circostanze e qualità esteriori, non già per le
qualità intrinseche, le quali sono tanto diverse, quanto il carattere
meridionale dal settentrionale. {+E
perciò sarebbe sciocco il credere che il carattere della lingua tedesca
somigliasse a quello della greca sostanzialmente. Bisognerebbe veder tutte
due queste lingue ben formate, e allora la discrepanza dell'indole, sarebbe
somma.} Bensì, stante la detta conformità esteriore, la lingua tedesca
è adattabile a tutte le qualità intrinseche e proprie della lingua greca; ma non
senza perdere la sua natura, il suo spirito e gusto nativo, la sua originalità.
Lo sarebbe nè più nè meno anche la greca rispetto alla tedesca.
[2083,1] L'antico teutonico dunque non si può diversificare
dal moderno tedesco, nè considerar questo e quello come due individui, ma come
un solo, anticamente fanciullo, oggi adulto. Dove che l'italiano p. e. e il
latino sono due individui parimente maturi, e diversi l'uno dall'altro. Tutto
ciò non prova l'adattabilità e conformabilità particolare della lingua tedesca,
ma la conformabilità comune a tutte le
2084 lingue non
mai state formate, e la fecondità comune a tutte le lingue la cui origine non si
può fissare a cinque o sei secoli addietro, come dell'italiana, ma si perde
nella caligine dei tempi. Perciò la lingua tedesca ha ancora e potrà avere,
finchè non riceverà perfetta forma, indole tanto moderna quanto antica, o
piuttosto nè l'una nè l'altra; a differenza dell'inglese che è pur sua sorella
carnale, ma che per diverse circostanze, ha ricevuto maggior forma e
determinazione, e proprietà. La lingua
ebraica se oggi si continuasse a scrivere, sarebbe nel caso della tedesca, e ci
fu veramente negli scritti de' rabbini, i quali sono veramente ebraici, sebbene
tanto abbiano affare coll'antico ebraico, quanto il tedesco coll'antico
teutonico, il quale appena si conosce. Laddove nè gli scritti latini de' bassi
tempi, nè gl'italiani, sono o furono latini perchè il latino ricevè una forma
certa e determinata,
2085 fuor della quale non v'è
latinità. Ma v'è sempre teutonicità ed ebraicità fuor dell'antico teutonico ed
ebraico, che non furono mai formati nè circoscritti, in modo che si potesse
dire, questa frase ec. non è teutonica. Così proporzionatamente discorrete del
greco, la cui libertà a differenza del latino, nacque indubitatamente dalla
differenza delle circostanze sociali e politiche, e dalla molta maggior quantità
di tempo in cui la lingua greca fiorì per iscrittori ottimi e sommi, non come
linguisti, ma come scrittori. (13. Nov. 1821.).
[2085,2]
L'Allemand est en
lui-même une langue aussi primitive et d'une construction presque aussi
savante que le grec.
2086 Ceux qui ont fait des
recherches sur les grandes familles des peuples, ont cru trouver les
raisons historiques de cette ressemblance: toujours est-il vrai qu'on
remarque dans l'allemand un rapport grammatical avec le grec; il en a la
difficulté sans en avoir le charme; car la multitude des consonnes dont
les mots sont composés les rendent plus bruyants que sonores. On diroit
que ces mots sont par eux-mêmes plus forts que ce qu'ils expriment, et
cela donne souvent une monotonie d'énergie au style. ...J.
J. Rousseau a dit que les langues du midi étoient filles de la
joie, et les langues du nord, du besoin... L'allemand est plus
philosophique de beaucoup que l'italien, plus poétique par sa hardiesse
que le français, plus favorable au rhythme des vers que l'anglais: mais
il lui reste encore ec.
*
v. la pag. qui dietro. [p.
2085,1]
[2090,1] Ciò non accade se non perchè il tedesco non è ben
formato, non ha indole nè costruzione ec. decisa, e decisamente propria. (E come
altrimenti se en allemagne, il n'y a de
goût fixe sur rien, tout est indépendant, tout est individuel. L'on
juge d'un ouvrage par l'impression qu'on en reçoit, et jamais par
les règles, puisque il n'y en a point de généralement admises:
chaque auteur est libre de se créer une sphère
nouvelle.
*
2.de part. ch. 1. p. 186. Qual è la nazione
e la letteratura, tale la lingua, e viceversa. Non formata quella, non formata,
non ben regolata, non determinata, non
2091
circoscritta questa.) Il greco infatti sarebbe stato capacissimo del periodo
latino, e d'ogni qualità latina (come si vide cogli effetti, secondo che dico
altrove pp. 735. sgg.
pp.
1093-94): non così viceversa, perchè il latino era pienamente formato,
e così la letteratura latina, stante le circostanze sociali e politiche della
nazione. L'italiano è così facilmente e pienamente adattabile al periodo ec.
francese, come pur troppo vediamo, ma non senza perdere la sua originalità, e il
gusto proprio e naturale della nazione
che lo parla. E questo appunto è il caso del tedesco, quando si adatta al
francese, {+(e se non lo è, ciò appunto
vuol dire che il tedesco non è ancora formato)} questo il caso del
greco quando in certo modo si adattò al latino, ec. Quest'adattabilità insomma
non è diversa dalla corruttibilità, e l'atto di essa, non è diverso dalla
corruzione. {+(Ma la corruzione vien dopo
il perfezionamento, e se un tal atto non par corruzione nel tedesco, ciò
vuol dire ch'egli non è ancora perfetto, nè in grado di manifestare una
corruzione ec.)}
[2093,2] Che la lingua tedesca abbia più che qualunque altra
moderna conservato lo spirito, l'andamento ec. della teutonica, cioè si
rassomigli alla sua madre più di ogni altra lingua colta europea, non deriva da
altro se non da questo che nè la madre fu mai nè la figlia è peranche
interamente formata.
2094 Questo fa che la lingua
tedesca, essendo moderna, possa ancora decisamente rassomigliarsi ad una lingua
antica, e servendo alle cose moderne possa avere ed abbia un'indole antica,
qualità antiche, proprietà non proprie di que' tempi ne' quali è adoperata. E
questo pur fa vicendevolmente che la lingua teutonica essendo antica possa pur
contenere tanta disposizione che basti alle cose moderne, perciocch'ella non fu
mai circoscritta nè determinata da nessuna forma completa datale da un uso
stretto o di società o di letteratura ch'ella non ebbe mai. (Bensì si può
credere che la lingua tedesca, quando sarà finita di formare conserverà tanto
della sua indole antica che la rassomigli alla greca, {e} all'italiana in queste qualità esteriori, e ciò per la conformità
delle circostanze sociali e politiche ch'ella ha con queste due lingue, e la
differenza
2095 ch'ella ha con la latina e colla
francese rispetto alle dette circostanze ec.)
[2093,2] Che la lingua tedesca abbia più che qualunque altra
moderna conservato lo spirito, l'andamento ec. della teutonica, cioè si
rassomigli alla sua madre più di ogni altra lingua colta europea, non deriva da
altro se non da questo che nè la madre fu mai nè la figlia è peranche
interamente formata.
2094 Questo fa che la lingua
tedesca, essendo moderna, possa ancora decisamente rassomigliarsi ad una lingua
antica, e servendo alle cose moderne possa avere ed abbia un'indole antica,
qualità antiche, proprietà non proprie di que' tempi ne' quali è adoperata. E
questo pur fa vicendevolmente che la lingua teutonica essendo antica possa pur
contenere tanta disposizione che basti alle cose moderne, perciocch'ella non fu
mai circoscritta nè determinata da nessuna forma completa datale da un uso
stretto o di società o di letteratura ch'ella non ebbe mai. (Bensì si può
credere che la lingua tedesca, quando sarà finita di formare conserverà tanto
della sua indole antica che la rassomigli alla greca, {e} all'italiana in queste qualità esteriori, e ciò per la conformità
delle circostanze sociali e politiche ch'ella ha con queste due lingue, e la
differenza
2095 ch'ella ha con la latina e colla
francese rispetto alle dette circostanze ec.)
[2103,1] Le stesse circostanze sociali e politiche e
cronologiche che renderono la lingua latina tanto più determinata, e meno libera
della greca, e tanto più legata rispetto a questa, quanto più perfetta rispetto
alla medesima, resero ancora la letteratura latina assai più determinata,
perfetta, formata e raffinata della greca, e forse di qualunque altra siasi mai
vista, anche (senza dubbio) fra le moderne. Ma queste medesime circostanze, e
queste medesime perfezioni la resero (siccome la lingua) assai meno originale e
varia della greca. I latini scrittori furono grandi per arte, i greci per
natura, parlando di ambedue generalmente. {+I latini ebbero un gusto certo, formato, ragionato, i
greci più naturale che acquisito, e però vario, e originale ec. Qual è la
lingua tale è sempre insomma la letteratura, e viceversa.}
[2112,1] Come anche le costruzioni, l'andamento, la struttura
ch'io chiamo naturale in una lingua, distinguendola dalla ragionevole, logica,
geometrica, abbia una proprietà universale, e sia da tutti più o meno facilmente
appresa (almeno dentro una stessa categoria di nazioni e di tempi), e come per
conseguenza la semplicissima e naturalissima (sebbene perciò appunto
figuratissima) struttura della lingua greca, dovesse facilitare la di lei
universalità; si può vedere in questo, che le scritture le più facili in
qualunque lingua per noi nuova o poco nota, sono quasi sempre e generalmente
2113 le più antiche e primitive, e quelle al cui tempo,
la lingua o si veniva formando, e non era ancor pienamente formata, o non
peranche era incominciata a formare. Così accade nello spagnuolo, così ne'
trecentisti italiani (i più facili scrittori nostri), così nella stessa
oscurissima lingua tedesca, i cui antichi romanzi (come di un certo Romanzo del 13.zo sec. intitolato Nibelung, dice espressamente la Staël) sono anche oggi assai più facili e
chiari ad intendersi, che i libri moderni. Accade insomma il contrario di quello
che a prima vista parrebbe, cioè che una lingua non formata, o non ben formata e
regolata, {e poco logica,} sia più facile della
perfettamente formata {, e logica.} (Eccetto le minuzie
degli arcaismi, che abbisognano di Dizionario per intenderli ec. difficoltà che
per lo straniero apprentif è nulla, e
non è sensibile se non al nazionale ec. ec. {+Eccetto ancora certi ardiri propri della natura, e
diversi secondo l'indole delle nazioni delle lingue, e degl'individui in
que' tempi, i quali ardiri piuttosto affaticano, di quello che impediscano
di capire. v. p. 2153.})
Parimente infatti
2114 i più antichi scrittori greci
sono i più facili e chiari, perchè i più semplici, e di costrutti e frasi le più
naturali, e lo studioso che intende benissimo Senofonte, Demostene, Isocrate ec. si
maraviglia di non intendere i sofisti, e Luciano, e Dion Cassio, e i
padri greci, e altri tali; e molto sbaglierebbe quel maestro che facesse
incominciare i suoi scolari dagli scrittori greci più moderni, credendo, come
può parere a prima giunta, che i più antichi, e più perfettamente greci, debbano
esser più difficili. Così pure accade nel latino, che i più antichi sono i più
facili, e di dizione più somigliante di gran lunga alla greca, che tale fu
infatti la letteratura latina ne' suoi principii, e la lingua latina, anche
prima della letteratura, e l'una e l'altra indipendentemente ancora
dall'imitazione e dallo studio degli esemplari e letteratura greca. Son più
facili gli antichi poeti latini, che i prosatori del secol d'oro. (18.
Nov. 1821.).
[2122,2] Quando il centro della lingua non è la capitale,
{+il che non può essere se non quando
capitale non v'è,} esso non può nè pretendere nè esercitare di fatto
una più che tanta influenza (quando anche le capitali n'esercitano poca, se poca
influenza hanno politica e sociale). Così accadde in
Grecia. Atene non esercitò nè
pretese più che tanto impero sulla lingua. In Germania
nessun paese l'esercita o lo pretende.
[2126,1] La gran libertà, varietà, ricchezza della lingua
greca, ed italiana, (siccome oggi della tedesca) qualità proprie del loro
carattere, oltre le altre cagioni assegnatene altrove pp. 2060-65 , riconosce come una delle
principali cause la circostanza contraria a quella che produsse le qualità
contrarie nella lingua latina e francese; cioè la mancanza di capitale, di
società nazionale, di unità politica, e di un centro di costumi, opinioni,
2127 spirito, letteratura e lingua nazionale. Omero e Dante (massime Dante) fecero
espressa professione di non volere restringere la lingua a veruna o città o
provincia d'italia, e per lingua cortigiana l'Alighieri, dichiarandosi di adottarla,
intese una lingua altrettanto varia, quante erano le corti e le repubbliche e
governi d'italia in que' tempi. Simile fu il caso d'Omero e della
Grecia a' suoi tempi e poi. Simile è quello
dell'italia anche oggi, e simile è stato da Dante in qua. Simile pertanto dev'essere
assolutamente la massima fondamentale d'ogni vero filosofo linguista italiano,
come lo è fra' tedeschi. (19. Nov. 1821.).
[2127,1] Vien pure accagionato il Sig. Botta di alcuni termini familiari, che parvero
non comportabili dalla dignità storica ..... Si mise in campo a sua discolpa
l'osservazione, esser pregio particolare della lingua italiana, l'adattarsi a
tutti i tuoni, anche ne'
2128 più gravi argomenti. Di
fatti, chi ben guardi addentro la materia, non è forse vero, che questo idioma
non si formò già nelle corti, bensì in una repubblica tempestosa, nella quale
esprimere l'energia de' sentimenti popolari, non già fornire occorreva locuzioni
temperate a gente placida, o simulata. Da questa impronta originaria ricevette
la lingua mentovata il privilegio d'essere per l'appunto in modo singolare sì
acconcia a descrivere rivoluzioni politiche. Pref. del Sig. L. di Sevelinges alla sua traduzione della
Storia ec. di C. Botta, in francese, volgarizzata
dal Cav. L. Rossi.
Milano, Botta
Storia ec. 1819. 3.za edizione t. 1. p. LXI.-II.
[2130,2] Pare sproposito, e pure è certo che una lingua è
tanto più atta alla più squisita eleganza e nobiltà del parlare il più elevato,
e dello stile più sublime, quanto la sua indole è più popolare, quanto ella è
più modellata sulla favella domestica e familiare
2131
e volgare. Lo prova l'esempio della lingua greca e italiana e il contrario
esempio della Francese. La ragione è, che sola una tal lingua è suscettibile di
eleganza, la quale non deriva se non dall'uso peregrino e ardito e figurato e
non logico, delle parole e locuzioni. Ora quest'uso è tutto proprio della
favella popolare, proprio per natura, proprio in tutti i climi e tempi, ma
soprattutto ne' tempi antichi, o in quelle nazioni che più tengono dell'antico,
e ne' climi meridionali. Quindi è che lo stesso esser popolare per indole, dà ad
una lingua la facoltà e la facilità di dividersi totalmente dal volgo e dalla
favella parlata, e di non esser popolare, e di variar tuono a piacer suo, e di
essere energica, nobile, sublime, ricca, bella, tenera ogni
volte[volta] che le piace. Insomma l'indole
popolare di una lingua rinchiude tutte le qualità delle quali una lingua umana
possa esser capace (siccome la natura rinchiude tutte le qualità e facoltà di
cui l'
2132 uomo o il vivente è suscettibile, ossia le
disposizioni a tutte le facoltà possibili); rinchiude il poetico come il logico
e il matematico ec. (siccome la natura rinchiude la ragione): laddove una lingua
d'indole modellata sulla conversazione civile, o sopra qualunque gusto,
andamento ec. linguaggio ec. di convenzione, non rinchiude se non quel tale
linguaggio e non più (siccome la ragione non rinchiude la natura, nè vi dispone
l'uomo, anzi la esclude precisamente), secondo che vediamo infatti nella lingua
latina, e molto più nella francese, proporzionatamente alle circostanze che asservissent e legano quest'ultima al suo modello ec.
molto più che la latina ec. (20. Nov. 1821.).
[2135,1] Questa è la facoltà appunto della lingua italiana, e
lo sarebbe stata della greca. Per questo io preferisco l'italiana a tutte
2136 le viventi in fatto di traduzioni.
[2150,1]
2150 Lo stile, e la lingua di Cic. non è mai tanto semplice quanto nel Timeo,
perocch'egli è tradotto dal greco di Platone. E pure Platone fra i
greci del secol d'oro è (se non vogliamo escludere Isocrate) senza controversia il più elegante e
lavorato di stile e di lingua, e il Timeo è delle sue opere più astruse, e forse anche più lavorate,
perch'esso principalmente contiene il suo sistema filosofico. Platone il principe della raffinatezza nella lingua e
stile greco {prosaico,} riesce maravigliosamente
semplice in latino, e nelle mani di Cicerone, a fronte della lingua e stile originale degli altri latini,
e di esso Cicerone principe della
raffinatezza nella prosa latina. {+La
maggiore raffinatezza ed eleganza dell'aureo tempo della letteratura greca,
riesce semplicità trasportata non già ne' tempi corrotti ma nell'aureo della
letteratura latina, e per opera del suo maggiore scrittore.}
(23. Nov. 1821.).
[2166,1] Può far meraviglia molto ragionevole che Marcaurelio scrivesse i suoi libri τῶν εἰς
2167 ἑαυτόν, delle considerazioni di se
stesso
come lo chiama il Menagio, piuttosto in greco che in latino,
essendo romano, non allevato in grecia (nè credo che mai
ci fosse), ed avendo posto molto e felice studio nelle lettere e nella lingua
nativa, come apparisce sì da altre notizie che danno di lui gli Storici, sì
massimamente da ciò ch'egli scrive a Frontone e Frontone a
lui. Non poteva aver egli di mira, cred'io, la maggior diffusione del
suo lavoro, scrivendolo in una lingua più divulgata. Ma io credo certissimo che
egli non fosse indotto a preferir la lingua greca alla latina se non per la
maggiore libertà di quella. Della quale libertà egli aveva bisogno in un'opera
profondamente ed intimamente filosofica, e attenente alla scienza della vita e
del cuore umano, ed alle sottili speculazioni psicologiche. Non dubito ch'egli
non disperasse di potere riuscire
2168 a trattare un
tale argomento in latino, a parlare a se stesso, e di se stesso, cioè del cuor
suo ec. (non delle sue cose pubbliche come fa Cic.) in latino. Questa lingua aveva già avuto un Cic. e un Seneca, e un Tacito, eppure ancor non bastava a una certa filosofia veramente
intima. La lingua greca aveva avuto scrittori filosofici profondi, ma senza ciò,
la sua pieghevolissima e liberissima indole, si prestava a qualsivoglia genere
di argomento, grado di filosofia, {ec.} ancorchè nuovo.
La lingua latina per lo contrario: ed oltracciò quello era un tempo, dove, come
accade dopo una decisa corruzione e licenza, che richiamandosi gl'istituti umani
alla buona strada, essi cadono nell'eccesso contrario; la lingua latina e il
gusto di quel tempo (come oggi in italia) peccava di
servilità, timidità (in
vitium ducit culpę fuga
*
), come si può vedere nelle opere
di Frontone, e come dicevano i maestri
di devozione,
2169 che le anime recentemente
convertite, sogliono patire di scrupoli, e sarebbe anzi mal segno se non ne
patissero. Questo durò poco, perchè la lingua e letteratura colle cose latine
tornò a precipitare indietro ben presto. Ma in quel tempo lo stile di Seneca, e altri tali stili filosofici si
condannavano altamente dai letteratori latini, come oggi dagli italiani quello
di Cesarotti ec. e ciò serviva
d'impaccio e di spauracchio a chi volesse scrivere filosoficamente in latino,
come oggi volendo scriver buon italiano, nessuno s'impaccia più di pensare. Marcaurelio pertanto dovè sentire questo
pericolo, disperare di poter essere profondo filosofo nella lingua nativa voluta
dal suo tempo, e senza violare il gusto corrente, e dar nel naso ai critici, i
quali già lo riprendevano di cattiva {e negligente}
lingua, e di licenza dopo ch'egli s'era dato alla filosofia, e dallo studio
delle parole a quello delle cose,
2170 come apertamente
lo riprende Frontone
de
Orationibus. Trovossi adunque obbligato per esprimere
i suoi più intimi sentimenti, a sceglier la lingua greca, a creder più facile di
esprimere le cose sue più proprie, in una lingua forestiera ed altrui, che nella
propria e nativa. (Il qual bisogno pur troppo si farebbe molte volte sentire
agl'italiani rispetto al francese, se gl'italiani pensassero, ed avessero cose
proprie da dire.)
[2172,1] Sono tanto più {ardite}
poetiche le lingue e gli stili antichi, che i moderni, che {+(per quanto qualunque di esse antiche sia affine a
qualunque delle moderne, per quanto questa sia fra le moderne arditissima,
poeticissima liberissima e ciò per clima, carattere nazionale ec.)}
anche nella lingua italiana la più poetica e ardita delle perfettamente formate
fra le moderne, {e figlia germana della latina,} un
ardire della prosa latina non riesce comportabile se non in verso, un ardire
proprio dell'epica latina, non si può tollerare se non nella nostra lirica. Anzi
la più ardita delle nostre poesie (o per genere, o per istile particolare
dell'autore ec.) quando va più avanti in ardire, non va più là di quello che
andassero i greci o i latini nella loro poesia più rimessa; anzi spessissimo una
frase, metafora ec. prosaica ed usitata (forse anche familiare) in latino o in
greco, non può esser che lirica in italiano.
[2173,3] Lo spirito della lingua {e dello
stile} latino è più ardito e poetico che quello della greca (non solo
in verso ma anche in prosa), e nondimeno egli è meno libero assai. Queste due
qualità si accordano benissimo. La lingua greca aveva la facoltà di non essere
ardita, la lingua latina non l'aveva. La lingua greca poteva non solo essere
ardita
2174 e poetica quanto la latina (come lo fu bene
spesso), non solo più della latina (come pur lo fu), ma in tutti i possibili
modi, laddove la latina non poteva esserlo se non dentro un determinato modo,
genere, gusto, indole di ardiri. La libertà di una lingua si misura dalla sua
maggiore o minore adattabilità a' diversi stili, dalla maggiore o minore quasi
quantità di caratteri ch'essa contiene in se stessa, o a' quali dà luogo. {ec.} Ma ch'ella sia di un tal carattere ardito, ch'ella
[abbia] per proprietà un certo tal genere
di ardire, ciò non prova ch'ella sia libera. Ci può dunque essere una lingua
serva ed ardita, come una lingua timida e serva, (tale è la francese) una lingua
libera e non ardita, come una lingua ardita e libera. Bensì da che una lingua è
libera, non dipende che dallo scrittore ec. il renderla ardita. L'ardire dello
spirito proprio della lingua latina formata e letterata, venne dalla
2175 natura {poetica} dei
popoli meridionali, da quella degli scrittori che la formarono, dall'energia e
vivacità degl'istituti politici e dei costumi e dei tempi romani. La poca
libertà della medesima lingua venne dall'uso sociale che la strinse, l'uniformò,
le prescrisse e determinò quella tale strada, quel tal carattere e non altro. La
lingua greca sebbene in mano di popoli vivacissimi per clima, carattere,
politica, costumi, opinioni ec. nondimeno inclinò più a far uso dello stile
semplice che dell'ardito, e ciò per la natura dei tempi candidi ne' quali essa
principalmente fiorì, e fu applicata alla letteratura. Ma dai soli scrittori
dipendeva il farla ardita più della latina, e in qualunque genere, come fecero
infatti ogni volta che vollero. Laddove non dipendeva dagli scrittori latini
dopo che la lingua fu formata, il ridurla al semplice, al candido, al piano, al
riposato della
2176 lingua greca, se non fino a un
certo segno. Onde accade alle frasi latine trasportate in greco, o viceversa,
quello appresso appoco che ho detto p.
2172. ma più nel caso di trasportare le frasi greche in latino, le
quali vi riescono troppo semplici, di quello che nel caso contrario, perchè la
lingua greca si presta a tutto.
[2176,2] La somiglianza del tedesco col greco, attribuita,
come abbiamo veduto pp. 2081.
sgg. , a cagioni storiche, apparisce dalle mie osservazioni, che non
ha bisogno d'altre ragioni se non delle naturali e universali, per cui qualunque
lingua meno affine alla greca, in circostanze ed epoche simili a quelle della
tedesca, si rassomiglierebbe egualmente
2177 alla
greca, come fa l'italiana le cui circostanze politiche, le cui epoche ec.
somigliano a quelle della tedesca. E queste circostanze hanno avuto tanta forza
che sebbene la lingua italiana è figlia di una lingua perfettamente formata (a
differenza della teutonica), e fu da' suoi primi scrittori (che non sapevano
sillaba di greco, o non {lo} credevano applicabile)
cercata di modellare sulla sola lingua e letteratura madre, soli modelli ch'essi
avessero in vista, nondimeno ella nelle stesse mani di questi scrittori è
divenuta assai più simile alla greca, che alla propria madre. (27. Nov.
1821.).
[2181,1] La lingua greca rassomiglia certo alla latina
(generalmente però e complessivamente parlando) più che all'italiana, com'è
naturale di due sorelle. Ma sebbene
2182 di queste due
sorelle la sola latina ci è madre, nondimeno l'italiana e la spagnola somigliano
più alla greca che alla latina. Siccome la lingua francese benchè figlia della
latina e sorella delle due sopraddette, somiglia più all'inglese, che a queste
altre ec. ec. (28. Nov. 1821.).
[2239,2] Osservando bene, potrete vedere che la prosa (ed
anche la poesia) latina, nelle metafore,
2240 eleganze,
ardimenti abituali e solenni, giro della frase, costruzione ec. è molto più
poetica della greca, la quale (parlo della classica ed antica) ha un andamento
assai più rimesso, posato, piano, semplice, meno ardito, anzi non soffrirebbe in
nessun caso quelle metafore ardite e poetiche che a' prosatori latini sono
familiari, e poco meno che volgari. E se non le soffrirebbe, ciò non è
perch'ella ne abbia ed usi delle altre equivalenti, ma intendo dire ch'ella non
soffrirebbe un'egual misura e grado di ardimento ne' traslati e in tutta
l'elocuzione della prosa la più alta, come è quella di Demostene, a petto a cui Cicerone è un poeta per lo stile è[e] la lingua, laddove egli è quasi un prosatore ne'
concetti, passioni ec. rispetto a Demostene poeta, o certo più poeta di Cicerone. Quindi una frase prosaica latina sarebbe
poetica in greco, una frase epica
2241 o elegiaca in
latino sarebbe lirica in greco ec. Quasi gl'istessi rispetti ha la lingua latina
coll'italiana, similissima in queste parti alla greca, e però non è maraviglia
se il latinismo dello stile diede qualche durezza ai cinquecentisti, e sforzò e
snaturò alquanto il loro scrivere. (10. Dic. dì della Venuta della S.
Casa. 1821.).
[2264,1] Suole la lingua italiana de' nomi sostantivi retti
dalla preposizione con, servirsi in modo di avverbi,
come con verità per veramente, con gentilezza per gentilmente, {+con effetto per effettivamente, con facilità per facilmente
(Casa, let. 43. di
esortazione..} Molto più questa facoltà è adoperata
dalla lingua spagnuola (dalla quale, almeno in parte, ell'è forse derivata
nell'italiana). Tale usanza
2265 è poco o niente
familiare ai latini, anzi si può giudicar quasi barbara in quella lingua. E
nondimeno io son persuaso ch'ella fosse solenne al volgare latino. Eccovi Orazio,
3. 29. carm. v. 33. seqq.
cetera fluminis
Ritu feruntur, nunc medio alveo
cum pace * (cioè pacificamente) delabentis Etruscum
In mare: nunc lapides adesos ec. *
Il qual esempio non portato dal Forcell. credo che difficilmente troverà il simile negli scrittori latini. Nel Forcell. non trovo alla voce Cum cosa che faccia al proposito, se non forse il §. Aliquando redundare videtur. * Vedilo, e l'Append. se ha nulla, e il Glossar. e i comentatori di Orazio. {+Solamente trovo nel Forcell. in Pax alquanto sopra la fine, un esempio di Livio citato, e un altro accennato, dove si legge cum bona pace * , e potrebbe riferirsi al mio proposito, ma propriamente non vale pacificamente, ma senza far guerra, senza molestare, in pace in somma, come noi diciamo.} Osservo ancora che questo costume proprio dell'italiano e dello spagnolo è anche proprio del greco, certo assai più di questo che del latino scritto. E siccome è certo che le dette lingue {moderne} non possono averlo derivato dal greco, così è ben verisimile 2266 che l'abbiano dal volgare latino, tanto più simile al greco che non è il latino scritto (per la qual cosa anche l'ĩdole[l'indole] dello spagnolo e dell'italiano somiglia più al greco che al latino scritto). E più simile per due cagioni 1. che egli è più antico, serba meglio i caratteri della sua origine, di quel tempo cioè in cui esso insieme col greco derivò da una stessa fonte, 2. che il greco scritto, cioè quel solo che noi {ben} conosciamo, fu senza paragone più simile al greco parlato, di quello che il latino parlato allo scritto. (21. Dic. 1821.).
cetera fluminis
Ritu feruntur, nunc medio alveo
cum pace * (cioè pacificamente) delabentis Etruscum
In mare: nunc lapides adesos ec. *
Il qual esempio non portato dal Forcell. credo che difficilmente troverà il simile negli scrittori latini. Nel Forcell. non trovo alla voce Cum cosa che faccia al proposito, se non forse il §. Aliquando redundare videtur. * Vedilo, e l'Append. se ha nulla, e il Glossar. e i comentatori di Orazio. {+Solamente trovo nel Forcell. in Pax alquanto sopra la fine, un esempio di Livio citato, e un altro accennato, dove si legge cum bona pace * , e potrebbe riferirsi al mio proposito, ma propriamente non vale pacificamente, ma senza far guerra, senza molestare, in pace in somma, come noi diciamo.} Osservo ancora che questo costume proprio dell'italiano e dello spagnolo è anche proprio del greco, certo assai più di questo che del latino scritto. E siccome è certo che le dette lingue {moderne} non possono averlo derivato dal greco, così è ben verisimile 2266 che l'abbiano dal volgare latino, tanto più simile al greco che non è il latino scritto (per la qual cosa anche l'ĩdole[l'indole] dello spagnolo e dell'italiano somiglia più al greco che al latino scritto). E più simile per due cagioni 1. che egli è più antico, serba meglio i caratteri della sua origine, di quel tempo cioè in cui esso insieme col greco derivò da una stessa fonte, 2. che il greco scritto, cioè quel solo che noi {ben} conosciamo, fu senza paragone più simile al greco parlato, di quello che il latino parlato allo scritto. (21. Dic. 1821.).
[2284,2] Qual autor greco più facile di Senofonte? anzi qual autor latino? e forse anche qual
autore in qualunque lingua, massime antica, può essere, o avrebbe potuto esser
più facile, figurandoci anche una lingua a nostro talento? E pure egli è
pienissimo di locuzioni, modi, forme figuratissime, irregolarissime. Ma esse
sono naturali, e ciascuno le comprende, e qualunque principiante di greco,
proverà gran facilità ad intender Senofonte (forse sopra qualunque altro autore, massime della stessa
antichità), di qualunque nazione egli sia, e quantunque quelle frequentissime e
stranissime figure di Senofonte, non
sieno meno contrarie alle regole della sintassi greca, che all'ordine
2285 logico universale del discorso. Tanto è vero che
la natura non è meno universale della ragione, e che adoperando naturalmente le
facoltà proprie di una lingua, per
molto ch'elle si allontanino dalla logica, non si corre rischio di oscurità, e
che una lingua di andamento naturale; se non è così facile come quella di
andamento logico, certo non è oscura, e fra le antiche poteva (e può) esser
giudicata facilissima, e servire anche alla universalità. (25. Dic. dì di
Natale. 1821.).
[2288,1] La lingua latina così esatta, così regolata, e
definita, ha nondimeno moltissime frasi ec. che per la stessa natura loro, e del
linguaggio latino, sono di significato così vago, che a determinarlo, e renderlo
preciso non basta qualsivoglia scienza di latino, e non avrebbe bastato l'esser
nato latino, perocch'elle son vaghe per se medesime, e quella tal frase e la
vaghezza della significazione sono per essenza loro inseparabili, nè quella può
sussistere senza questa. Come Georg. 1. 44. et Zephyro putris se gleba
resolvit.
*
Quest'è una frase regolarissima, e
nondimeno regolarmente e gramaticalmente indefinita di significazione, perocchè
nessuno potrà dire se quel Zephyro significhi al zefiro, per lo zefiro,
2289
col zefiro ec. Così quell'altra: Sunt lacrimę
rerum
*
ec. della quale altrove ho parlato p.
1337. E cento mila di questa e simili nature, regolarissime,
latinissime, conformissime alla gramatica, e alla costruzione latina, prive o
affatto, o quasi affatto d'ogni figura di dizione, e tuttavolta vaghissime e
indefinibili di significato, non solo a noi, ma agli stessi latini. Di tali
frasi abbonda assai più la lingua greca. Vedete come dovevano esser poetiche le
lingue antiche: anche le più colte, raffinate, adoperate, regolate. Qual è la
lingua moderna, che abbia o possa ricevere non dico molte, ma qualche frasi ec.
di significato indefinibile, e per la sua propria natura vago, senz'alcuna
offesa ec. della gramatica? La italiana forse alcun poco, ma molto al di sotto
della latina. La tedesca credo che in questa facoltà vinca la nostra, e tutte le
altre moderne. Ma ciò solo perch'ella non
2290 è ancora
bastantemente o pienamente formata; perch'ella stessa non è definita, è capace
di locuzioni indefinite, anzi, volendo, non potrebbe mancarne. Così accade in
qualunque lingua, nè solo nelle locuzioni, ma nelle parole. La vaghezza di
queste va in ragion diretta della poca formazione, {+uniformità, unità ec.} della lingua, e questa,
della letteratura e conversazione, e queste, della nazione. Ho notato altrove
pp. 1953-57
pp. 2080. sgg.
pp. 2087-89
pp. 2177-78 come la letteratura tedesca non avendo alcuna unità, non
abbia forma, giacchè per confessione dei conoscitori, il di lei carattere è
appunto il non aver carattere. Non si può dunque dir nulla circa le facoltà del
tedesco, che non può esser formato nè definito, non essendo tale la letteratura,
(per vastissima ch'ella sia, e fosse anche il decuplo di quel che è) e mancando
affatto la conversazione. Quindi anche le loro parole e frasi denno per
necessità avere (come hanno) moltissimo d'indefinito.
2291
(26. Dic. 1821.).
[2312,3] I greci conoscevano la letteratura latina appresso a
poco come i francesi conoscono oggidì le letterature straniere (specialmente
l'italiana), e com'essi le hanno conosciute da poi che la lingua letteratura e
costumi loro sono stati
2313 pienamente formati.
Eccetto quella differenza che è prodotta dalla diversità de' tempi e del
commercio fra le nazioni, per cui la Francia conosce
certo più le letterature forestiere, di quel che la
Grecia conoscesse la latina. Ma parlo
proporzionatamente. E non è questa la sola somiglianza (estrinseca però) che
passa fra lo spirito, il costume, la letteratura francese, e la greca. (31
Dic. 1821.).
[2331,1]
Alla p. 928.
L'Asia fu la prima a brillare nel mondo per la
potenza: essa ebbe le prime nazioni le
prime patrie, e perciò ella regnò o
colle colonie, o colle leggi medesime e col governo le altre parti del mondo che
da lei furono popolate. Dopo l'Asia, o
contemporaneamente, l'Egitto divenne nazione e patria, e
l'Egitto divenne conquistatore e quasi centro del
mondo sotto Sesostri ec. La
Grecia chiamata bambina presso Platone, perchè recentissima rispetto alle dette nazioni; la
grecia, quel piccol tratto
d'europa, divenne à son tour il centro del mondo, e
la più potente parte di esso, perchè? Perch'ella in quel tempo era divenuta
nazione e patria, mentre l'Asia e
l'Egitto aveano cessato di esserlo, e conservava il
costume naturale, perduto dagli Asiatici ec. E dopo
2332 che la grecia a causa di questa preponderanza,
essendosi resa formidabile ai più grandi regni, pervenne poi anche a
conquistarli, distrusse l'immenso impero Persiano,
compreso l'Egitto, e mediante le conquiste di Alessandro, l'Asia
l'Affrica, l'europa divennero
effettivamente greche, e provincie greche, dopo tutto ciò per qual motivo
quell'italia fin allora sconosciuta nel mondo, ignota
nel numero delle nazioni e delle potenze, crescendo a poco, ingoiò la
grecia e il suo impero, e stabilì il propro regno
sulle ruine di quello di Semiramide,
di Ciro, di Alessandro ec. ec.? Perchè
l'italia più tardi delle altre parti del mondo era
divenuta nazione: la natura già fuggita anche dalla
grecia, restava in questo fondo
d'europa: vi sorgeva la mediocre civiltà (più vicina
all'eccesso della barbarie, che all'eccesso della civilizzazione a cui dopo gli
Assiri, gli Egizi, i Persiani, erano arrivati anche i greci); e questa li fece
padroni del mondo: e sempre che la mezzana civiltà troverassi in mezzo o a
popoli non tocchi affatto da incivilimento, o a popoli
2333 pienamente inciviliti (quale fu poi il caso de' settentrionali
sull'impero romano, e lo è oggi di nuovo, massime
riguardo alla Russia, sul resto
d'europa); sempre che una nazione una patria esisterà
in mezzo a popoli che non abbiano mai avuta, o per l'estremo incivilimento
abbiano perduta la nazione e la patria; la mezzana civiltà trionferà di tutto il
mondo, e quella nazione che resta, o che nasce, per piccola che sia, diverrà
conquistatrice, e segnerà il suo nome nel catalogo delle nazioni che hanno
dominato universalmente; finchè questo medesimo dominio non la ridurrà allo
stato delle potenze da lei vinte, e distruggerà il suo potere. Il che oggi,
stante la marcia accelerata delle cose umane, avverrà più presto che non soleva
anticamente.
[2370,1] Non basta. Questa radice, non solo è delle
antichissime nella lingua greca, ma di quelle che s'avevano per antiquate negli
stessi antichi tempi della greca letteratura. V. il simposio di Senofonte, c. 8. §. 30, dove ricerca
l'etimologia del nome di Ganimede e
per provare che Γανυ, viene da una radice che significa godimento, diletto, ec. ricorre ad Omero. Dunque al tempo di Senofonte, ell'era già disusata, e
certo non era volgare, quantunque ella si trovi anche in alcuni pochi autori o
contemporanei o posteriori a lui: il che non dee far maraviglia perchè
l'imitazione di Omero durò sempre nella
poesia greca; le sue parole e la sua lingua furono sempre tenute proprie d'essa
poesia; oltre che il poeta usa senza biasimo molte parole antiquate per più
ragioni che ve l'autorizzano, ed anche glielo prescrivono. Ora questa voce {(e suoi derivati)} non si trova quasi che ne' poeti, e
si può dir poetica. Così durano fra
2371 nostri
scrittori, e massime poeti, molte parole ec. di Dante, disusate nel resto ec. E dal luogo di Senofonte si vede che quella voce era
sin d'allora in grecia, quel che sarebbe fra noi una voce
detta dantesca.
[2397,2] Il Vocab. della
Crusca non ha interi due terzi delle voci, {o significati e vari usi loro,} e nè pure un decimo dei
modi di quegli stessi autori e libri che registra nell'indice. E questi non sono
appena una terza o quarta parte di quegli autori e libri italiani de' buoni
secoli che secondo ogni ragione vanno considerati e sono autentici nella lingua,
anche nella pura lingua antica. Aggiungeteci ora i libri moderni bene scritti, e
le voci e modi che usati o non usati ancora da buoni scrittori, sono
necessarissimi a chi vuole scriver
2398 (com'è dovere)
delle cose presenti, e a' presenti o futuri, massime le spettanti alle scienze
immateriali o materiali, e che tutti mancano al Vocabolario; si
può far ragione che questo non contenga più d'una quarantesima parte della
lingua italiana in genere (a dir molto); e non più d'una trentesima dell'antica
in particolare, ossia di quella che s'ha per classica. Del che non si può far
carico ai compilatori, se non quanto alle mancanze relative agli autori de'
quali professano d'aver fatto spoglio e formatone il vocabolario. Perchè del
resto nessuna lingua viva ha, nè può avere un vocabolario che la contenga tutta,
massime quanto ai modi, che son sempre (finch'ella vive) all'arbitrio dello
scrittore. E ciò tanto più nell'italiana (per indole sua). La quale molto meno
può esser compresa in un vocabolario, quanto {ch'}ella
è più vasta di tutte le viventi: mentre veggiamo che nè pur la greca ch'è morta,
s'è potuta mai comprendere in un Vocabolario nè men quanto alle voci, che ogni
nuovo scrittore, ne porta delle nuove.
2399
{+Molto meno quanto ai modi ne' quali
ell'è infinita e a disposizione degli scrittori, come appunto la nostra, e
ciascuno scrittor greco ne forma de' nuovi a suo piacere, e in gran
numero.} Or non è cosa ridicolissima che mentre nessun'altra nazione
stima che la sua lingua sia determinata e prescritta dal suo vocabolario, non
ostante che questo sia molto meglio fatto, molto più esteso (relativamente) del
nostro, e che la lingua loro possa più facilmente o meglio esser compresa in un
vocabolario; noi la cui lingua è impossibile (sopra qualunque altra) che vi si
possa comprendere, che di più, abbiamo un vocabolario inesattissimo nelle cose
stesse che porta, molto più inferiore alla ricchezza della nostra lingua di
quello che le convenga o se le debba perdonare di essere, fatto sopra un piano
sopra cui nessun altro è fatto, cioè sopra il piano dell'antico, mentre noi
siamo moderni, e della pura autorità quando la lingua è viva; noi dico vogliamo
che un vocabolario così ridondante d'imperfezioni, e poco proprio della lingua
nostra {(e d'ogni lingua viva),} abbia su di questa una
virtù, {un'autorità} e un dominio, che i più perfetti
vocabolari delle altre nazioni (anche nazioni unite come la francese e
l'inglese) nè si arrogano, nè sognano, nè pensano che
2400 sia menomamente proprio dell'essenza loro, nè compatibile colla
natura delle lingue vive, e che nessuno s'immagina mai di riconoscere in essi.
(29. Marzo. Venerdì dell'Addolorata. 1822.).
[2402,1] Intorno alla gelosia che avevano i romani della
preminenza della loro lingua sulla greca, vedi Dione p. 946. nota 86.
(23. Aprile 1822.).
[2408,1] Che la lingua greca si conservasse incorrotta, o
quasi incorrotta, tanto più tempo della latina, e anche dopo scaduta già la
latina ch'era venuta in fiore tanto più tardi, si potrà spiegare anche
osservando, che la letteratura (consorte indivisibile della lingua) sebbene era
scaduta appresso i greci, pur aveva ancor tanto di buono, ed era eziandio capace
di tal perfezione, che talvolta non aveva che invidiare all'antica. Esempio ne
può essere la Spedizione di Alessandro, e l'Indica d'Arriano, opere di stile e di lingua così purgate, così
uguali in ogni parte e continuamente a se stesse, senza sbalzi, risalti, slanci,
voli o cadute di sorte alcuna (che sono le proprietà dello scriver sofistico e
guasto, in qualsivoglia genere, lingua, e secolo corrotto), di semplicità e
naturalezza e facilità {chiarezza, nettezza ec.} così
spontanea ed inaffettata, così ricche, così
2409
proprie, così greche insomma nella lingua, e nella maniera, e nel gusto, che
quantunque Arriano fosse imitatore,
cioè quello stile e quella lingua non fossero cose naturali in lui ma
procacciate collo studio de' Classici (come è necessario in ogni secolo dove la
letteratura non sia primitiva) e principalmente di Senofonte, non per questo si può dire ch'egli non le
avesse acquistate in modo che paiano e si debbano anzi chiamar sue, nè se gli
può negare un posto se non uguale, certo vicinissimo a quello degl'imitati da
lui. Ora il tempo d'Arriano fu quello
d'Adriano e degli Antonini, nel qual tempo la
letteratura latina, con tutto che fosse tanto meno lontana della greca dal suo
secol d'oro, non ha opera nessuna che si possa di gran lunga paragonare a queste
d'Arriano ne' suddetti pregi, come
anche in quelli d'una ordinata e ben architettata narrazione, e altre tali virtù
dello scriver di storie. Tacito fu alquanto anteriore, e nella perfezion della lingua non si
potrebbe ragguagliar troppo bene ad Arriano: forse neanche nelle doti di storico appartenenti
2410 al bello letterario, sebben egli l'avanza di molto
in quelle che spettano alla filosofia, politica ec. Ma quel che mantiene la
lingua, è la bella letteratura, non la filosofia nè le altre scienze, che
piuttosto contribuiscono a corromperla, come fece lo stile di Seneca. E però Plutarco contemporaneo di Tacito, e com'esso, alquanto più vecchio d'Arriano, non si può recar per modello nè
di lingua nè di stile, essendo però stato forse più filosofo di tutti i filosofi
greci, molti de' quali sono esempi di perfettissimo scrivere. Ma non erano così
sottili come Plutarco, siccome Cicerone non lo era quanto Seneca, questi corrottissimo nello
scrivere, e {{quegli}} perfettissimo. (1. Maggio
1822.).
[2420,1] Il punto d'onore (come dicono gli spagnuoli) fu
conosciuto egualmente dagli antichi e dai moderni, e quasi da tutte le società,
benchè poco o
2421 niente civili, in qualunque tempo,
come anche da' Messicani, anche da' selvaggi. Ed è naturale all'uomo posto in
relazione cogli uomini. Tuttavia in questo punto gli antichi differiscono dai
moderni, e i selvaggi dai civili, infinitamente, e l'utilità del punto d'onore
che fra gli antichi e i selvaggi era somma, fra i moderni e civili è nulla o
quasi nulla, o anche il contrario dell'utilità. Le ragioni eccole.
[2451,3] Quanto sia più naturale e semplice l'andamento della
lingua greca (tuttochè poeticissima), che non è quello della latina; e quindi
quanto men proprio suo, e quanto la
lingua greca dovesse esser meglio disposta all'universalità che non era la
lingua latina, si può vedere anche da questo.
2452
Sebben l'italiana e la spagnuola son figlie vere e immediate della latina, pure
è molto ma molto più facile di tradurre naturalmente e spontaneamente in
italiano o in ispagnuolo gli ottimi autori greci, che gli ottimi latini. E tanto
è più facile quanto i detti autori greci son più buoni, cioè più veramente e
puramente greci. Siccome per lo contrario, quanto ai latini, è tanto meno
difficile, quanto meno son buoni, cioè meno latini, come p. e. Boezio tradotto
con molta naturalezza dal Varchi, e le Vite de' SS. Padri (che non hanno
quasi più nulla del latino) tradotte egregiamente dal Cavalca, e gli Ammaestram. degli antichi
da F. Bartolomeo da S. Concordio ec. ec. Cicerone, Sallustio, Tito
Livio, difficilissimamente pigliano un sapore italiano, se non
lasciano affatto l'indole e l'andamento proprio. Al contrario di Erodoto, Senofonte, Demostene, Isocrate ec. Ora
essendo l'andamento delle lingue moderne generalmente assai più piano e meno
figurato ec. delle antiche, questo è un segno che la lingua greca, adattandosi
alle moderne molto più della latina, doveva esser molto più semplice e naturale
nella sua costruzione e forma. (30. Maggio 1822.).
[2455,2]
{Alla p. 2451.} L'Alfieri fu arditissimo e frequentissimo
formatore di parole derivate o composte nuovamente dalle nostrali, e sebbene io
non credo ch'egli, facendo questo avesse l'occhio alla lingua greca, nondimeno
questo suo costume dava alla lingua italiana una facoltà e una forma similissima
(materialmente) all'una delle principalissime e più utili facoltà e potenze
della lingua greca. Io non cercherò s'egli si servisse di questo mezzo
d'espressione colla misura e moderatezza e discrezione che si richiede, nè se
guardasse sempre alla necessità o alla molta utilità, nè anche se tutti i suoi
derivati e composti, o se la maggior parte di loro sieno ben fatti. Ma li porto
per esempio acciocchè, considerandoli, si veda più distintamente e per prova,
{+quante idee sottili o rare o non
mai ancora precisamente significate,} quante cose difficilissime e
quasi impossibili ad esprimersi in altro modo (anche con voci forestiere), si
esprimano chiarissimamente e precisamente e facilmente con questo mezzo, senza
punto uscire della lingua nostra, e senza quindi nuocere alla purità. Certo
2456 è che
quando l'Alfieri chiama il Voltaire
Disinventore od inventor del
nulla,
*
{+(vere {principali} e proprie qualità ed attributi della sapienza
moderna)} quel disinventore dice tanto e tal
cosa, quanto e quale appena si potrebbe dire per via d'una lunga
circollocuzione, o spiegare e sminuzzare pazientemente, {stemperatamente} e languidamente in un periodo. (3. Giugno.
1822.).
[2475,1] Dell'antica fratellanza della lingua greca colla
latina, ossia della comune origine d'ambedue, e come in principio l'una non
differisse dall'altra, ma fossero in Italia e in
Grecia una lingua sola, vedi un bel luogo di Festo portato dal Forcellini v. Graecus in
fine. (14. Giugno. 1822.)
[2486,1] Ho detto altrove del καλὸς κἀγαθὸς de' greci pp.
64-65
p.
112, come dimostri il sentimento e la forza ch'aveva in quella nazione
la bellezza, e la sublimità che le attribuivano, pigliandola per parte e nome di
virtù. Aggiungi l'uso della loro lingua di chiamar καλά tutte le cose buone,
oneste, virtuose, utili. V. fra gli altri, Senof.
Ἀπομν. β. γ'. κεφ. η'. Alla
immaginazione degl'italiani (come le sopraddette cose a quella de' greci) si
deve sotto lo stesso aspetto attribuire l'uso che fanno
2487 delle parole significanti la grazia esterna per dinotare la probità, onestà, bontà ec. de' costumi:
uomo
di garbo, galantuomo. (21. Giugno.
1822.).
[2513,1] Queste verità sono confermate dalla storia di
qualunque letteratura e lingua. La purità dell'Atticismo non divenne un pregio
nell'idea de' greci, nè fu sinonimo d'eleganza presso loro, se non dopo che i
greci ebbero a udire ed usare familiarmente voci e frasi forestiere. Omero, Erodoto, Senofonte medesimo
(specchio d'Atticismo) erano
2514 stati elegantissimi
con voci e frasi forestiere, poco usate da' greci de' loro tempi; anzi per mezzo
appunto d'esse voci e frasi, fra l'altre cose. Non si pregia la purità, nè anche
si nomina, se non dopo la corruzione, cioè quand'essa e[è] pellegrina. E prima della corruzione si pregia il
forestiero perchè pellegrino. Ennio,
Plauto, Terenzio, Lucrezio ec. specchi della eleganza latina, son pieni di grecismi,
cioè di barbarismi. Al tempo di Cicerone, di Orazio, e molto più
di Seneca, di Frontone ec. che l'italia
parlava già mezzo greco, erano sorti i zelanti della purità, e il grecismo
lodato in Plauto e in Cecilio
Oraz.
ad
Pison.) era impugnato ne' moderni, e proibito affatto da'
pedanti, e usato con moderazione dai savi, e Cicerone se ne scusa spesso, e loda ed ama e deplora la purità
dell'antico sermone, e la favella di sua nonna, ch'al tempo di sua nonna tutti i
buoni scrittori posponevano al grecismo, quanto potevano
2515 farlo senza riuscire oscuri presso un popolo allora ignorante del
forestiero, e del greco, e delle voci e frasi che non fossero nazionali. Dal
che, e non da altro, e forse dalla stessa poca loro perizia del greco, nacque
che gli antichi scrittori latini, benchè abbondanti di grecismi e barbarismi,
pur si riputassero e fossero modelli del puro sermone Romano, rispetto agli
scrittori più moderni. E lo stesso dico degli antichi italiani.
[2572,1] Dire che la lingua latina è figlia della greca,
perchè vi si trovano molte parole e modi greci introdottivi parte dalla letteratura, parte dal commercio e
vicinanza delle colonie greco-italiane, parte dall'antico commercio avuto colla
nazione greca sempre mercatrice, parte derivanti dalla stessa comune origine
d'ambe le lingue, è lo stesso appunto che vedendo la nostra presente
2573 lingua italiana piena di francesismi, e modellata
sulla francese, conchiudere che la lingua italiana è figlia della francese. Anzi
v'ha più di francese nella presente lingua italiana (che è quasi una traduzione,
e una scimia della francese) di quel che v'abbia di greco nella lingua latina,
massime poi dell'antica. Del resto la parità va molto bene a proposito, perchè
infatti le lingue italiana e francese sono appunto sorelle, come la greca e la
latina. (20. Luglio 1822.).
[2578,1] La lingua latina ebbe un modello d'altra lingua
regolata, ordinata, e stabilita, su cui formarsi. Ciò fu la greca, la quale non
n'ebbe alcuno. Tutte le cose umane si perfezionano grado per grado. L'aver avuto
un modello, al contrario della lingua greca, fu cagione che la lingua latina
fosse più perfetta della greca, e altresì che fosse meno libera. (Nè più nè meno
dico delle letterature greca e latina rispettivamente; questa più perfetta,
quella più originale e indipendente e varia.) I primi scrittori greci, anche
sommi, ed aurei, come Erodoto, Senofonte ec. erano i primi ad applicar
la dialettica, e l'ordine ragionato all'orazione. Non
2579 avevano alcun esempio di ciò sotto gli occhi. Quindi, com'è
naturale a chiunque incomincia, infinite sono le aberrazioni loro dalla
dialettica e dall'ordine ragionato. Le quali aberrazioni passate poi e
confermate nell'uso dello scrivere, sanzionate dall'autorità, e dallo stesso
errore di tali scrittori, sottoposte a regola esse pure, o divenute regola esse
medesime, si chiamarono, e si chiamano, e sono eleganze, e proprietà {della} lingua {greca.} Così è
accaduto alla lingua italiana. La ragione è ch'ella fu molto e da molti scritta
nel 300, secolo d'ignoranza, e che anche allora fu applicata alla letteratura in
modo sufficiente per far considerare quel secolo come classico, dare autorità a
quegli scrittori, {+presi in corpo e in
massa,} e farli seguire da' posteri. I greci o non avevano affatto
alcuna lingua coltivata a cui guardare, o se ve n'era, era molto lontana da
loro, come forse la sascrita, l'egiziana, ec. e poco o niente nota, neanche ai
loro più dotti. Gl'italiani n'avevano, cioè la
2580
latina e la greca. Ma quel secolo ignorante non conosceva la greca, pochissimo
la latina, massime la latina buona e regolata. {+(Fors'anche molti conoscendo passabilmente il latino, e
fors'anche scrivendolo con passabile regolatezza, erano sregolatissimi in
italiano, per incapacità di applicar quelle regole a questa lingua, che
tutto dì favellavano sregolatamente; di conoscere o scoprire i rapporti
delle cose ec.)} Quei pochi che conobbero un poco di latino, scrissero
con ordine più ragionato, come fecero principalmente i frati, Passavanti, F.
Bartolommeo, Cavalca ec.
Dante, e più ancora il Petrarca e il Boccaccio che meglio di tutti conoscevano il buono e
vero latino, meno di tutti aberrarono dall'ordine dialettico dell'orazione.
Questi principalmente diedero autorità presso i posteri a' loro scrittori
contemporanei, la massima parte ignoranti, non solo di fatto, ma anche di
professione laici e illetterati, e che
non pretendevano di scrivere se non per bisogno, come i nostri castaldi. I quali
abbondarono di sragionamenti, e disordini gramaticali d'ogni sorta.
[2589,1] La letteratura greca fu per lungo tempo (anzi
lunghissimo) l'unica del mondo (allora ben noto): e la latina (quand'ella sorse)
naturalissimamente non fu degnata dai greci, essendo ella derivata in tutto
dalla greca; e molto meno fu da essi imitata. Come appunto in[i] francesi poco degnano di conoscere e neppur pensano
d'imitare la letteratura russa o svedese, o l'inglese del tempo d'Anna, tutte nate
dalla loro. Così anche, la lingua greca fu l'unica formata e colta nel mondo
allora ben conosciuto (giacchè p. e. l'india non era ben
conosciuta). Queste ragioni fecero naturalmente che la letteratura e lingua
greca si conservassero tanto tempo incorrotte, che d'altrettanta durata non si
conosce altro esempio. Quanto alla lingua n'ho già detto altrove p.
996,1
pp.
1093-94
pp.
2408-10. Quanto alla letteratura, lasciando stare Omero, è prodigiosa la durata della letteratura greca
non solo incorrotta, ma nello stato di
creatrice. Da Pindaro, Erodoto, Anacreonte, Saffo, Mimnermo, gli altri
lirici ec. ella dura senza interruzione fino a Demostene; se non che, dal tempo di Tucidide a Demostene, ella si restringe alla sola
Atene per
2590 circostanze
ch'ora non accade esporre. V. Velleio lib. 1. fine. Nati,
anzi propagati e adulti i sofisti e cominciata la letteratura greca {(non la lingua)} a degenerare, (massime per la perdita
della libertà, da Alessandro, cioè da
Demostene in poi), ella con
pochissimo intervallo risorge in Sicilia e in
Egitto, e ancora quasi in istato di creatrice. Teocrito, Callimaco, Apollonio Rodio ec. Finito il suo stato di creatrice, e dichiaratasi
la letteratura greca imitatrice e figlia di se stessa, cioè ridotta (come sempre
a lungo andare interviene) allo studio e imitazione de' suoi propri classici
antichi, l'esser questi classici, suoi, e questa imitazione, di se stessa, la
preserva dalla corruzione, e purissimi di stile e di lingua riescono Dionigi Alicarnasseo, Polibio, e tutta la ϕορά di scrittori greci
contemporanei al buon tempo della letteratura latina; i quali appartengono alla
classe, e sono in tutto e per tutto una ϕορά d'imitatori dell'antica letteratura
greca, e di quella ϕορά durevolissima di scrittori greci classici, ch'io chiamo
ϕορά creatrice. Corrotta già
2591 la letteratura
latina, e sfruttata e indebolita, la greca sopravvive alla sua figlia ed alunna,
e s'ella produce degli Aristidi, degli
Erodi attici, e altri tali retori
di niun conto nello stile (non barbari però, e nella lingua purissimi), ella pur
s'arricchisce d'un Arriano, d'un Plutarco, d'un Luciano, {ec.} che
quantunque imitatori, pur sanno così bene scrivere, e maneggiar lo stile e la
lingua antica o moderna, che quasi in parte le rendono la facoltà creatrice.
Aggiungi che in tal tempo la grecia, colla sua
letteratura e lingua incorrotta, era serva, e l'Italia
signora colla sua letteratura e lingua imbastardita e impoverita. (30.
Luglio 1822.).
[2594,1] Ho detto altrove p. 111
pp. 950-52
pp. 1704 che le voci greche nelle lingue nostre non sono altro che
termini (in proporzione però del tempo da ch'elle vi sono introdotte: p. e. filosofia e tali altre voci greche venuteci mediante
il latino, sono alquanto più che termini), cioè ch'elle non esprimono se non se
una pura idea, senz'alcun'altra concomitante. Per questa ragione appunto, oltre
le altre notate altrove, le voci greche sono infinitamente a proposito nelle
nostre scuole e scienze, perocch'elle rappresentano costantemente e
schiettamente quella nuda, secca e semplicissima idea alla quale sono state
appropriate; e perciò servono alla precisione
2595
molto meglio di quello che possano mai fare le voci tolte dalle proprie lingue,
le quali voci benchè fossero formate, composte ec. di nuovo, sempre porterebbero
seco qualche idea concomitante. Ma per questa medesima ragione le voci greche
sono intollerabili nella bella letteratura (barbare poi nella poesia, benchè i
francesi si facciano un pregio, un vezzo e una galanteria d'introdurcele), dove
intollerabili sono le idee secche e nude, o la secca e nuda espressione delle
idee. (6. Agosto 1822.).
[2595,1] A ciò che ho detto altrove pp. 2455-56
di quel verso dell'Alfieri, Disinventore od inventor del nulla, soggiungi.
Quest'appunto è la mirabile facoltà della lingua greca, ch'ella esprime
facilmente, senza sforzo, senza affettazione, pienamente e chiarissimamente, in
una sola parola, idee che l'altre lingue talvolta non possono propriamente e
interamente esprimere in nessun modo, non solo in una parola, ma nè anche in più
d'una. E questo non lo conseguisce la detta {lingua}
per altro mezzo che della immensa facoltà de' composti.
[2609,1] L'immenso francesismo che inonda i costumi e la
{letteratura e la} lingua degl'italiani e degli
altri europei, non è bevuto se non dai libri francesi, e dall'influenza delle
loro mode, e coll'andarli a trovare in casa loro, il che per quanto sia
frequente, non può mai esser gran cosa. Laddove Roma e
l'italia da' tempi del secondo Scipione in poi, e massime sotto i primi
imperatori, era piena di greci (greci proprii, o nativi d'altri paesi
grecizzati); n'eran piene le case de' nobili, dove i greci erano chiamati e
ricevuti e collocati stabilmente in ogni genere di uffici, da quei della cucina,
fino a quello di maestro di filosofia ec. ec. (V. Luciano
περὶ τῶν ἐπὶ μισϑῷ συνόντων,
2610 e l'epig. di
Marziale del graeculus esuriens ec. ec.); n'eran pieni i
palazzi e gli offici pubblici: oltre che tutti i ricchi mandavano i figli a
studiare in grecia, e questi poi divenivano i principali
in Roma e in italia, nelle
cariche, nel foro ec. Quindi si può stimar quale e quanto dovesse
necessariamente essere il grecismo de' costumi, e letteratura, e quindi della
lingua in italia a quei tempi. Aggiunto che anche le
donne avevano a sapere il greco, lo studio che tutti più o meno facevano de'
loro libri, e il piacere che ne prendevano, e le biblioteche che ne componevano
ec. ec. (18. Agosto. Domenica. 1822.).
[2619,1]
2619 È curioso l'osservare come l'universalità sia
passata dalla lingua greca ch'è la più ricca, vasta, varia, libera, ardita,
espressiva, potente, naturale di tutte le lingue colte, alla francese ch'è la
più povera, limitata, uniforme, schiava, timida, languida, inefficace,
artifiziale delle medesime. E più curioso che l'una e l'altra lingua abbiano
servito all'universalità appunto perchè possedevano in sommo grado le predette
qualità, che sono contrarie direttamente fra loro. E pur tant'è, ed anche oggidì
dalla lingua francese in fuori, non v'è, e mancando la lingua francese, non vi
sarebbe lingua meglio adattata all'universalità della greca, ancorchè morta,
(2. Settem. 1822.)
{{ed ancorch'ella sia precisamente l'estremo opposto alla
lingua francese. (2. Sett. 1822.).}}
[2622,1] Le nazioni civili dell'Asia,
dopo la conquista d'Alessandro erano
veramente δίγλωττοι cioè parlavano e scrivevano la lingua greca, non come
propria, ma come lingua colta, e nota universalmente,
2623 e letta da per tutto (e così deve intendersi il luogo di Cic.
pro
Archia), e come noi o gli svedesi o i russi o gli olandesi
scrivono il francese: noi (più di rado) per cagione della sua universalità;
quegli altri, come anche i polacchi, e al tempo di Federico i prussiani, per non aver lingua che sia
{o fosse} ancora abbastanza capace ec. Nè si dee
credere che le lingue patrie di quelle nazioni, fossero spente, neanche diradate
dall'uso, e sostituita loro la greca nella conversazione quotidiana, come
accadde della latina, nelle nazioni latinizzate. Restano anche oggi le lingue
asiatiche antiche, o dialetti derivati da quelle, o composti di quelle e d'altre
forestiere, come dell'arabica ec. E v. ciò che s'è detto altrove pp.
1000-1001 di Giuseppe Ebreo,
e Porfirio
Vit.
Plotini c. 17. nel Fabric.
B. G. t. 4. p. 119.-20. (e quivi la nota)
κατὰ μὲν πάτριον
διάλεκτον
*
. Di questi δίγλωττοι che scrivevano in lingua
non loro, e pure scrivevano anche egregiamente, fu Luciano da Samosata, {+v. le sue opp., dove fa cenno della sua
lingua patria,} e tali altri di que' tempi; anzi tutti gli Asiatici
2624 che scrissero in greco (eccetto quelli delle
Colonie, come Arriano, Dionigi Alicarnasseo ec.), alcuni Galli
non Marsigliesi nè d'altra colonia greco-gallica (come Favorino), alcuni Africani, massime Egiziani (perchè
nel resto dell'Affrica, {esclusa la Cirenaica,} trionfò la lingua latina, ma
come lingua de' letterati e del governo ec. non come popolare, per quanto
sembra), alcuni italiani (come M.
Aurelio) ec. ec. (9. Sett. 1822.). {+Questo appunto fu quello che la lingua latina non
ottenne mai, o quasi mai, cioè d'esser bene intesa, parlata, letta, scritta
da quelli che non la usavano quotidianamente come propria, e così si deve
intendere il citato luogo di Cic.
latina suis finibus, exiguis
sane, continentur.
*
Pur non erano tanto
ristretti neppur allora, quanto all'uso quotidiano, essendo già stabilito il
latino in Affrica ec.}
[2630,2] Ho detto p. 244 che gli scrittori greci
hanno ciascuno un vocabolarietto a parte, dal quale
2631 non escono mai o quasi mai, e nella totalità del quale ciascun d'essi si
distingue benissimo da ciascun altro, e ch'esso vocabolario, massime ne' più
antichi è molto ristretto, e che la lingua greca ricchissima in genere, non è
più che tanto ricca in veruno scrittore individuo; e tanto meno è ricca quanto
lo scrittore è più antico e classico, e quindi i più antichi e classici si
distinguono fra loro nelle parole e frasi più di quel che facciano parimente fra
loro i più moderni, che son più ricchi assai, ed abbracciano ciascuno una
maggior parte della lingua, onde debbono aver fra loro più di comune che gli
antichi non hanno fra loro medesimi, come che le parole e frasi di ciascuno
generalmente prese, sieno tutte ugualmente proprie della lingua.
[2633,1]
2633 Dalle suddette cose si può conoscere che l'immensa
ricchezza della lingua greca, non pregiudicava alla facilità di scriverla, e
quindi non s'opponeva alla sua universalità, non essendo necessaria più che
tanta ricchezza (o usata o conosciuta e posseduta) non solo per iscrivere e
parlar greco, ma eziandio per iscriverlo e parlarlo egregiamente; e bastando
poche radici per questo; poichè restavano liberi i composti all'arbitrio dello
scrittore, o quando anche non restassero liberi, infiniti composti e derivati
portava seco ciascuna radice, onde lo scrittore pratico di poche radici veniva
subito ad avere una lingua molto sufficiente a tutti i suoi bisogni. Il che
scemava infinitamente la difficoltà che si prova nelle lingue, perchè un
vocabolario sufficientissimo
2634 allo scrittore o
parlatore si riduceva sotto pochi elementi, e procedeva da pochi principii ossia
radici, e quindi era molto più facile ad impararlo ed impratichirsene, che se
esso senza essere niente maggiore, avesse contenuto tutta la lingua, ma fosse
proceduto da più numerose e diverse radici. Tutte queste circostanze siccome
quelle notate nel pensiero precedente non si trovavano nella lingua latina, che
meno ricca della greca, era però per la sua ricchezza più difficile a scrivere e
a parlare che la greca non fu, perchè la ricchezza (ancorchè minore) della
latina, bisognava averla tutta in contanti, a volere scrivere e parlar latino, e
massimamente a farlo bene. E l'orecchie latine erano delicatissime come le
francesi, circa il vero e
2635 proprio andamento {(e la purità)} della loro lingua, che rispetto alla
greca era liberissimo, cioè sommamente vario, ed in gran parte ad arbitrio.
(8. Ottobre. 1822.).
[2635,1] La lingua greca ch'è la più antica delle colte ben
conosciute, è anche fra tutte le lingue colte la più capace di significar l'idee
e gli oggetti più propriamente moderni cioè i più difficili a significarsi e di
supplire ai bisogni d'espressioni, prodotti dall'ampiezza, varietà e profondità
delle nozioni moderne. E il fatto stesso lo dimostra, ricorrendosi tutto dì alla
lingua greca ec. come ho detto altrove pp. 735-38
pp.
1843-45. (10. Ottobre. 1822.)
[2694,1]
2694 Formata una volta una lingua illustre, cioè una
lingua ordinata, regolare, stabilita e grammaticale, ella non si perde più
finchè la nazione a cui ella appartiene non ricade nella barbarie. La durata
della civiltà di una nazione è la misura della durata della sua lingua illustre
e viceversa. E siccome una medesima nazione può avere più civiltà, cioè dopo
fatta civile, ricadere nella barbarie, e poi risorgere a civiltà nuova, ciascuna
sua civiltà ha la sua lingua illustre nata, cresciuta, perfezionata, corrotta,
decaduta e morta insieme con lei. Il qual rinnuovamento e di civiltà e di lingua
illustre, ha, nella storia delle nazioni conosciute, o vogliamo piuttosto dire,
nella storia conosciuta, un solo esempio, cioè quello della nazione italiana.
Perchè niuna delle altre nazioni state civili in antico, sono risorte a civiltà
moderna e presente, e niuna delle nazioni presentemente civili, fu mai civile
(che si sappia) in antico, se non l'italiana. Così niun'altra nazione può
mostrare due lingue illustri da
2695 lei usate e
coltivate generalmente, (come può far l'italiana) se non in quanto la nostra
antica lingua, cioè la latina, si diffuse insieme coi nostri costumi per
l'europa a noi soggetta, e fece per qualche tempo
italiane di costumi e di lingua e letteratura le Gallie,
le Spagne, la Numidia (che non
è più risorta a civiltà) ec.
[2705,1] Di alcune cagioni che anche ne' bassi tempi poterono
introdurre vocaboli e modi greci nel volgare o ne' volgari
d'Italia, vedi Perticari
Apologia di Dante, capo 39.
p. 386. (21. Maggio 1823.).
[2715,2] Di quelli che nel 500. volevano restringere la
lingua italiana della poesia a quella del Petrarca, e della prosa a quella del solo Boccaccio, vedi
Perticari
Degli Scritt. del 300. l. 2. c. 12. p.
178. colle similitudini che ivi pone de' greci e de' latini, e Apologia di Dante c. 41. p.
407-{10.}
(23. Maggio 1823.).
[2715,3] Ho detto altrove pp. 787. sgg. che
la lingua francese, povera di forme, è tuttavia ricchissima e sempre più si
arricchisce di voci. Distinguo. La lingua francese è povera di sinonimi, ma
ricchissima di voci denotanti ogni sorta di cose e di idee, e ogni menoma parte
di ciascuna cosa e di ciascuna idea. Non può molto variare nella espressione
d'una cosa medesima, ma può variamente esprimere le più varie e diverse cose. Il
che non possiamo noi, benchè possiamo ridire
2716 in
cento modi le cose dette. Ma certo è sempre varia quella scrittura che può esser
sempre propria, perchè ad ogni nuova cosa che le occorre di significare, ha la
sua parola diversa dalle altre per significarla. Anzi questa è la più vera, la
più sostanziale, la più intima, la più importante, ed anche la più dilettevole
varietà di lingua nelle scritture. E quelle scritte in una lingua soprabbondante
di sinonimi, per lo più sono poco varie, perchè la troppa moltitudine delle voci
fa che ciascheduno scrittore per significare ciaschedun oggetto, scelga fra le
tante una sola o due parole al più, e questa si faccia familiare e l'adoperi
ogni volta che le occorre di significare il medesimo oggetto; e così ciascheduno
scrittore in quella lingua abbia il suo vocabolarietto diverso da quel degli
altri, e limitato: come altrove ho detto pp. 244-45
pp.
2386-87
pp.
2397-400
pp. 2630-32 accadere
agli scrittori greci ed italiani. E osservo che sebbene
2717 la lingua greca è molto più varia della latina, nondimeno per la
detta ragione le scritture greche, massime quelle degli ottimi e originali, sono
meno varie delle latine per ciò che spetta ai vocaboli e ai modi. (23.
Maggio 1823.). {{V. p. 2755.}}
[2717,1] Chi vuol vedere un piccolo esempio della infinita
varietà della lingua greca, e come ella sia innanzi un aggregato di più lingue
che una lingua sola, secondo che ho detto altrove pp. 2060-62
e vuol vederlo in uno stesso scrittore e in uno stesso libro; legga il Fedro di
Platone. Nel quale troverà, non dico
tre stili, ma tre vere lingue, l'una nelle parole che compongono il Dialogo
tra Socrate e Fedro, la quale è la solita e propria di Platone, l'altra nelle due orazioni contro
l'amore, in persona di Lisia e di Socrate; la terza nell'orazione di questo in lode dell'amore.
Perciocchè Platone in queste orazioni
adopra e vocaboli e frasi e costrutti
2718
notabilissimamente e visibilmente diversi da quelli che compongono la lingua
ordinaria de' suoi Dialoghi, sebbene in questi egli tratta bene
spesso le medesime o simili materie a quelle delle tre suddette orazioni,
massime dell'ultima. E i vocaboli, le frasi i costrutti dell'ultima orazione (di
stile tutta poetica, ma non perciò tumida o esagerata o eccessiva o tale che non
sia vera prosa) sono pure diversissimi da quelli delle altre due. Nè in veruna
di queste {tre} lo scrittore fa forza alla lingua, o
dimostra affettazione, come fecero poi quei greci più recenti che si scostarono
dalla maniera propria per seguire e imitare l'altrui. Ma certo chi non
conoscesse altra lingua greca che la consueta di Platone, non senza una certa difficoltà potrebbe
intendere quelle tre orazioni. (23. Maggio. 1823.).
[2728,1] Ma io escludo dal bene scrivere i professori di
scienze matematiche o fisiche, e {di quelle} che
tengono dell'uno e dell'altro genere insieme, o che all'uno o all'altro
s'avvicinano. E di questa sorta di scienze in verità non abbiamo buoni {ed eleganti} scrittori nè antichi nè moderni, se non
pochissimi. I greci trattavano queste scienze in modo mezzo poetico, perchè poco
sperimentavano e molto immaginavano. Quindi erano in esse meno lontani
dall'eleganza. Ma certo essi ne furono tanto più lontani, quanto più furono
esatti. {+Platone è fuori di questa classe.} Gli antichi
lodano assai lo stile d'Aristotele e di
Teofrasto. Può essere ch'abbiano
riguardo ai loro scritti politici, morali, metafisici, piuttosto che ai
naturali. Io dico il vero che nè in questi
2729 nè in
quelli non sento grand'eleganza. {+(Quel ch'io ci trovo è
purità di lingua e un sufficiente e moderato atticismo: l'uno e l'altro,
effetto del secolo e della {dimora} anzi che
dello scrittore {, e insomma natura e non
arte}. Niuna eleganza però nè di stile nè di parole. Anzi sovente grandissima
negligenza sì nella scelta sì nell'ordine e congiuntura de' vocaboli; poca
proprietà, e non di rado niuna sintassi.)} Ben la sento e moltissima
in Celso, vero e forse unico modello
fra gli antichi e i moderni del bello stile scientifico-esatto. Col quale si
potrà forse mettere Ippocrate. I latini
ebbero pochi scrittori scientifici-esatti. E di questi, fuori di Celso, qual è che si possa chiamare
elegante? Non certamente Plinio, il
quale se si vorrà chiamar puro, si chiamera così, perchè anch'egli per noi fa
testo di latinità. Lascio Mela, Solino, Varrone, Vegezio, Columella ec. Il
nostro Galileo lo chiami elegante chi non
conosce la nostra lingua, e non ha senso dell'eleganza. (V. Giordani, Vita del Cardinale
Pallavicino). Il Buffon sarebbe unico fra' moderni per il modo elegante di trattare le
scienze esatte: ma oltre che la storia naturale si presta all'eleganza più
d'ogni altra di queste scienze; tutto ciò che è elegante in lui, è estrinseco
alla scienza propriamente detta,
2730 ed appartiene a
quella che io chiamo qui filosofia propria, la quale si può applicare ad ogni
sorta di soggetti. Così
fece il Bailly nell'Astronomia. Sempre
che usciamo dei termini dottrinali e insegnativi d'una scienza esatta, siamo
fuori del nostro caso. La scienza non è più la materia {ma
l'occasione} di tali scritture; {+non s'impara la scienza da esse, nè questa fa progressi
diretti, per mezzo loro, nè riceve aumento diretto dalle proposizioni
ch'esse contengono:} elle sono considerazioni sopra la scienza.
(28. Maggio. Vigilia del Corpus Domini. 1823.). {{I pensieri di Buffon non compongono e non espongono la scienza, non sono e non
contengono i dogmi della medesima, o nuovi dogmi ch'esso {le} aggiunga, ma la considerano, e versano sopra di lei e sopra i
suoi dogmi. Si può ornare una materia coi pensieri e colle parole. Tutte le
materie sono capaci dell'ornamento de' pensieri, perchè sopra ogni cosa si
può pensare, e stendersi col pensiero quanto si voglia, più o meno lontano
dalla materia strettamente presa. Ma non tutte si possono ornare colle
parole. Il Buffon adornò la
scienza con pensieri
2731 filosofici, e a questi
pensieri non somministrati ma occasionati dalla storia naturale, applicò
l'eleganza delle parole, perch'essi n'erano materia capace. Ma i fisici, i
matematici ordinariamente non possono e non vogliono andar dietro a tali
pensieri, ma si ristringono alla sola scienza.}}
[2731,2] In proposito della prontissima decadenza della
letteratura latina, e della lunghissima conservazione della greca, è cosa molto
notabile, come dopo Tacito, cioè dall'imperio di Vespasiano in poi (fino al quale si stendono le
2732 sue storie) la storia latina restò in mano dei greci, e le azioni
nostre furono narrate da Appiano, Dione, Erodiano, anche prima della traslocazione
dell'imperio a Constantinopoli, e dopo questa da Procopio, Agazia, Zosimo ec. Senza i quali la storia del nostro
impero da Vespasiano in poi, sarebbe quasi cieca, non avendo altri scrittori
latini che quei miserabili delle Vite degli Augusti, piene di
errori di fatto, di negligenza, di barbarie, e Ammiano non meno barbaro, per non dir di Orosio e d'altri tali più miserabili
ancora. Così quella nazione che ne' tempi suoi più floridi aveva narrato le sue
proprie cose, e i suoi splendidissimi gesti, e le sue altissime fortune, e forse
prima d'ogni altra, aveva dato in Erodoto l'esempio e l'ammaestramento di questo genere di scrittura;
dopo tanti secoli, quando già non restava se non la lontana memoria della sua
grandezza, estinto il suo imperio e la sua potenza, fatta
2733 suddita di un popolo che quando ella scriveva le sue proprie
storie, ancora non conosceva, seguiva pure ad essere l'istrumento della memoria
dei secoli, e i casi del genere umano e di quello stesso popolo dominante che
l'aveva ingoiata, ed annullato da gran tempo la sua esistenza politica, erano
confidati unicamente alle sue penne. Tanto può la civilizzazione, e tanto è vero
che la civilizzazione della grecia ebbe una prodigiosa
durata, e vide nascere e morire quella degli altri popoli (anche grandissimi), i
quali erano infanti, anzi ignoti, quand'ella era matura e parlava e scriveva; e
giunsero alla vecchiezza e alla morte, durando ancora la sua maturità, e
parlando essa tuttavia e scrivendo. Veramente la grecia
si trovò sola civile nel mondo ai più antichi tempi, e senza mai perdere la sua
civiltà, dopo immense vicissitudini di casi, così universali
2734 come proprie, dopo aver veduto passare l'intera favola del più grande impero, che nella
di lei giovanezza non era ancor nato; dopo aver communicata la sua civiltà a
cento altri popoli, e vedutala in questi fiorire e cadere, tornò un'altra volta,
in tempi che si possono chiamar moderni, a trovarsi sola civile nel mondo, e
nuovamente da lei uscirono i lumi e gli aiuti che incominciarono la nuova e
moderna civiltà nelle altre nazioni.
[2735,1]
Nam si quis minorem
gloriae fructum putat ex graecis versibus percipi, quam ex latinis,
vehementer errat; propterea, quod graeca leguntur in omnibus fere
gentibus, latina suis finibus, exiguis sane, continentur. Quare si res
hae, quas gessimus, orbis terrae regionibus definiuntur; cupere debemus,
quo manuum nostrarum tela pervenerint, eodem gloriam, famamque
penetrare.
*
Cic., Orat. pro Archia poeta cap. 10. Dunque se le cose latine
continebantur suis finibus, le cose greche legebantur anche extra suos
fines, dunque anche da quelli che non parlavano naturalmente il greco,
dunque s'elle legebantur in omnibus fere gentibus,
quasi tutte le nazioni intendevano il greco benchè non
2736 fossero greche, dunque il mondo era δίγλωσσος, dunque la lingua
greca era universale di quella universalità ch'oggi ha la francese. Nè per suis finibus si possono intendere i termini
dell'impero latino, i quali certamente non erano
angusti ai tempi di Cicerone, e lo
dimostra anche quello che segue nel medesimo passo addotto. (31. Maggio.
1823.).
[2755,1]
Alla p. 2717.
Dico che la lingua francese è più ricca dell'italiana quanto alle parole non
sinonime. Intendo de' nomi e de' verbi. Nelle altre parti dell'orazione la
ricchezza nostra è incomparabile non solo colla lingua francese, ma pur colla
latina, e forse con ogni lingua viva. Questa ricchezza è utile, e reca alla
nostra lingua un'immensa ed inesauribile fecondità di frasi
2756 e di forme, e allo scrittore italiano la facoltà di poterne
sempre foggiar delle nuove, non solo conformi all'indole e proprietà della
lingua, ma che non paiano neppur nuove (forse neanche allo stesso scrittore),
perchè nascono come da se, dal fondo della lingua, chi ben lo conosce, e lo sa
coltivare e scaturiscono dalla natura di essa. Da ciò deriva una incredibile
varietà. Ma la sostanziale e necessaria ricchezza di una lingua non può
consistere nelle particelle ec.: bensì ne potrebbe nascere, se queste si
applicassero alla composizione delle parole, come fa la lingua greca, la quale è
ricchissima di nomi e di verbi (che sono la sostanza e la principal ricchezza di
una favella) non per altra cagione principalmente, se non per la estrema
abbondanza di preposizioni e particelle d'ogni sorta, e per l'uso larghissimo
ch'ella ne fa nella composizione d'ogni maniera di vocaboli. (5. Giugno.
ottava del Corpus Domini. 1823.).
[2771,3] Come la lingua latina abbia conservato l'antichità
più della greca, si dimostra ancora con queste considerazioni. 1. La lingua
latina conserva nell'uso comune de' suoi buoni tempi e de' seguenti (non solo
degli anteriori) i temi, o altre voci regolari di verbi che tra' greci, avendo
le stesse radici che in latino, ma essendo però difettivi o anomali, non
conservano i loro primi temi o quelle tali voci regolari, o non le usano se non
di rarissimo,
2772 o talmente ch'essi temi ed esse voci
non si trovano se non presso gli antichissimi autori, o presso i poeti soli, i
quali in ciascuna lingua che ha favella poetica distinta, conservano sempre gran
parte d'antichità per le ragioni che ho detto altrove pp. 2639. sgg. Dovechè la lingua latina
usa essi temi ed esse voci universalmente sì nella prosa come nel verso, ed
usale ne' secoli in ch'ella era già formata e piena, ed usale eziandio non come
rare, nè come quasi licenze o arcaismi, ma tutto dì e regolarmente e come temi e
voci proprie e debite di quei verbi a' quali appartengono. Per esempio il verbo
do, si è il tema di δίδωμι (e nota che questo
verbo in greco non è neppure anomalo nè difettivo, {+ma l'uso l'ha cangiato interamente dal suo primo stato,
a differenza del verbo latino do.).} Il qual
tema conservasi nel latino in tutti i composti d'esso verbo, come {credo, edo, trado,}
addo, {subdo,
prodo, vendo, perdo,}
indo, condo, reddo, dedo, {ec.}
{+(ne' quali per istraordinaria anomalia è mutata la
coniugazione di do dalla prima nella terza:
non così in circumdo as, venundo as, pessundo as
ec.).} Ma in nessun composto del verbo δίδωμι comparisce nel
greco il suo vero tema. ῎Eδω voce e tema di verbo anomalo o difettivo, non si
troverà,
2773 credo, in greco se non presso i poeti, ma
tra' latini edo e il suo composto comedo sono voci e verbi di tutti i secoli e di tutte le scritture.
Eo ἔω tema da cui nascono in greco tanti verbi,
non si trova nè fra' poeti greci nè fra' prosatori ma egli è comune e proprio ai
latini, e ne nasce un verbo usitatissimo, co' suoi composti, che tutti
conservano il tema intatto {e conservano altresì tutta la sua
coniugazione perfettamente,}
redeo, abeo, exeo, ineo, subeo, coeo,
{adeo, circumeo, pereo, intereo, obeo, prodeo,
introeo, veneo, prętereo, transeo,} ec. Nessun
composto greco conserva il tema ἔω. Lateo è il
medesimo che λήϑω, voce, {e} tempo ben raro negli
scrittori greci, e verbo difettivo in greco, ma {tema}
comune e usitatissimo, e verbo quasi perfetto e regolare in latino. {Il tema λήϑω trovasi espressamente in Senofon.
Simpos. c. 4. §. 48.} I Dori e gli
Eoli dicevano probabilmente λάϑω. Patior che sta in
luogo dell'attivo patio (il quale pur si trova
nell'antica latinità) è più vicino al πήϑω, (Dor. ed Eol. πάϑω) inusitato in
greco, che non è l'usitato πάσχω. {Composti, per-petior ec.} Il verbo fero, s'io non m'inganno, ha più voci in latino che in
greco. Del tema sto equivalente all'inusitato στάω, altrove pp. 2142. sgg.
{+Il tema στάω non si trova, ch'io sappia in greco. Il
verbo si trova, cioè ἔστην ἕστηκα στήσας, στάς ec. ma è difettivo. Il
verbo sto è intero.}
[2779,2] Che il proprio tema de' verbi ἱστάω, ἵστημι ἵσταμαι
fosse στάω, come forse ho detto nella mia teoria de' continuativi
pp. 2142-45 parlando di
sisto, e che l'iota sia una giunta fatta al tema
per proprietà di lingua, si conosce sì dalle molte voci di questi verbi che
mancano di quell'ι paragogico, e da tutti i loro derivati che parimente
2780 ne mancano, sì dal verbo ἵπταμαι il quale colla
medesima paragoge (ch'esso perde in molte voci) è fatto dall'inusitato πτάω (v. la
Gramm. di Pad. p. 210.)
{+o πετάω, onde πετάομαι, πέταμαι, πέτομαι che vagliono
altresì volare, e che in origine non debbon
esser altro che il verbo πετάω pando explico
che ancora esiste, trasportato alla significazione del volare per lo
spiegar delle ali ec. e vedi la pag. 2826.}
[2793,2] Gli scrittori greci de' secoli medii e bassi, cioè
dal terzo inclusive in poi, sono pieni d'improprietà di lingua (com'è quella di
Coricio sofista del sesto secolo nell'Orazione εἰς Σοῦμμον στρατηλάτην in Summum ducem, §. 11. ap. Fabric.
B. G. edit. vet. vol. 8. p. 869. lib. 5. cap. 31. di
usare la voce δικαστής in vece di κριτής o di μάρτυς), pieni di frasi strane
quanto alla lingua, pieni di solecismi, e di mille contravvenzioni alle antiche
regole della sintassi e grammatica greca, ma non hanno barbarismi. La loro
lingua per tutto ciò che appartiene all'eleganza, è diversissima da quella degli
antichi scrittori: ma per tutto il resto è la stessa. Si può dir ch'essi
ignorino il buon uso della lingua che scrivono, che non la sappiano adoperare;
ma la lingua che scrivono è quella degli antichi: quella che gli antichi
scrissero
2794 bene, essi la scrivono male. Molte {loro} parole che non si trovano negli antichi, sono però
cavate dal fondo della lingua greca o per derivazione o per composizione ec.;
rade volte ripugnano all'indole d'essa lingua, e per esser chiamate buone,
greche, pure e di buona lega, non manca loro se non la sanzione dell'antichità.
In somma il grecismo di questi scrittori è per lo più cattivo o pessimo, ma la
loro lingua è pura. Le voci e frasi poetiche versate a due mani nelle prose, le
voci o frasi antiquate, le metafore o strane affatto e barbare, o poetiche, non
offendono la purità della lingua, ed appartengono piuttosto al conto dello
stile. Il periodo di questi scrittori, il giro della dicitura, per lo più rotto,
slegato, saltellante, ineguale, ovvero intralciato, duro, aspro, monotono, e
lontanissimo dalla semplicità e dalla maestà dell'antica elocuzione greca,
appartiene certo in gran parte alla lingua, al cui genio è contrarissima la
struttura dell'orazione di quei bassi scrittori, ma non nuoce alla purità. Il
numero e l'armonia è diversissimo
2795 in questi
scrittori da quel ch'egli è negli antichi, ma ciò non solo per la negligenza di
quelli, bensì ancora per la diversa pronunzia introdotta appoco appoco nella
lingua greca, massimamente estendendosi ella a tanti e sì diversi e tra se
lontani paesi, e subentrando a sì diverse favelle, o prendendo luogo accanto ad
esse e in compagnia di esse, o in mezzo ad esse: giacchè bisogna considerare che
la più parte degli scrittori greci dal 3. secolo in poi, non furono greci di
nazione, o certo non furono greci di paese, ma Asiatici ec., e greci solamente
di lingua, e questo ancora non sempre dalla nascita, ma per istudio, come p. e.
Porfirio, della cui lingua patria,
vedi la Vita di
Plotino, capo 17. e l'Holstenio
de Vita et scriptis Porphyrii cap.
2.
(17. Giugno. 1823.). {V. p. 2827.}
[2829,1] Ho detto altrove p. 999 che il greco
moderno è senza paragone più simile al greco antico che non l'italiano al
latino. Fra le altre moltissime particolarità basti osservare che una delle cose
che massimamente distinguono le lingue moderne dalle antiche, e fra queste
l'italiana, spagnuola ec. dalla latina, si è che le moderne mancano dei casi de'
nomi; il che
2830 basterebbe quasi per se solo a
diversificare il genio e lo spirito delle nostre lingue, da quel delle antiche.
Ora il greco moderno conserva gli {stessi} casi
dell'antico. Conserva ancora l'uso della composizione fatta coi vocaboli
semplici e colle preposizioni e particelle. Ma già non v'è bisogno d'altra prova
che di gittar l'occhio sopra una pagina di greco vernacolo correttamente
scritto, per conoscere la visibilissima e, direi quasi, totale somiglianza
ch'esso ha coll'antico, e quanto ella sia maggiore, anzi di tutt'altro genere
che non è quella che passa tra l'italiano e il latino, giacchè questa consiste
principalmente nel materiale de' vocaboli e delle radici, e quella, oltre di
ciò, in grandissima parte dell'indole e dello spirito. Ho detto, correttamente
scritto, perchè certo fra il greco {moderno} scritto o
parlato da un ignorante e quello scritto da un uomo colto, ci corre tanto
divario quanto fra questo e il greco antico. Vedi il contratto in greco moderno
barbaro pubblicato da Chateaubriand nell'Itinerario. Ma ciò è naturale, e succede in tutte le
lingue e nazioni, e certo il greco antico parlato, anche dai non plebei, e
scritto
2831 dagl'ignoranti era ben diverso da quello
che scrivevano i dotti, come il latino rustico, dall'illustre. Vedi la pag. 2811. Il greco moderno colto,
giacchè {ed} ogni lingua può esser colta, e niuna
lingua non colta può valer nulla, potrebbe certo divenire una lingua bella,
efficace, ricca, potente, e forse, per la gran parte che conserva sì delle
ricchezze come delle qualità e della natura dell'antico, una lingua superiore o
a tutte o a molte delle moderne colte e formate. (27. Giugno.
1823.).
[2846,1] Se questo è, che certo non si può negare, resta
solamente che {si} spieghi con dire che la lingua
tedesca non ha carattere proprio, o che il suo proprio carattere si è di non
averne alcuno, oltre i cui limiti non possa passare, il che viene a dir lo
stesso. Che una lingua per ricca, {{varia,}} libera,
vasta, potente, pieghevole, {docile,} duttilissima
ch'ella sia, possa ricevere, non solo l'impronta di altre lingue, ma per così
dir, tutte intiere in se stessa tutte le altre lingue; ch'ella si rida della
libertà, della infinita moltiplicità, della immensità della lingua greca, e dopo
averla tutta abbracciata, ed ingoiatone tutte le innumerabili forme, ella si
trovi ancora tanta capacità come per lo innanzi, e possa ricevere e riceva,
sempre che vuole, tutte le forme
2847 delle lingue le
più inconciliabili colla stessa greca (che con tante si concilia) e fra loro;
delle lingue teutoniche, slave, orientali, americane, indiane; questo, dico, non
può umanamente accadere, se non in una lingua che non abbia carattere; non è
accaduto alla greca ch'è stata ed è la più libera, vasta e potente e la più
diversissimamente adattabile di tutte le lingue formate che si conoscono; non è
accaduto e non accade, che si sia mai saputo o si sappia a
nessun[nessun'] altra lingua perfetta di
questo mondo.
[2849,1] Parlando dell'adattabilità, {o
pieghevolezza, e della} varietà e libertà
2850 di una lingua, bisogna distinguere l'imitare dall'agguagliare, o rifare, le
cose dalle parole. Una lingua perfettamente pieghevole, varia, ricca e libera,
può imitare il genio e lo spirito di qualsivoglia altra lingua, e di qualunque
autore di essa, può emularne e rappresentarne tutte le varie proprietà
intrinseche, può adattarsi a qualunque genere di scrittura, e variar sempre di
modo, secondo la varietà d'essi generi, e delle lingue {e
degli} autori che imita. Questo fra tutte le lingue perfette antiche e
moderne potè sovranamente fare la lingua greca, e questo fra le lingue vive può,
secondo me, sovranamente la lingua italiana. Perciò io dico che questa e quella
sono piuttosto ciascuna un aggregato di più lingue che una lingua, non volendo
dire ch'elle non abbiano un carattere proprio, ma un carattere composto e capace
di tanti modi quanti lor piaccia. Questo è imitare, come chi ritrae dal naturale
nel marmo, non mutando la natura del marmo in quella dell'oggetto imitato; non è
copiare nè rifare, come chi da una figura di cera ne ritrae un'altra tutta
2851 compagna, pur di cera. Quella è operazione
pregevole, anche per la difficoltà d'assimulare un oggetto in una materia di
tutt'altra natura; questa è bassa e triviale per la molta facilità, che toglie
la maraviglia; e in punto di lingua è dannoso, perchè si oppone alla forma e
natura ed essenza propria ch'ella o ha o dovrebbe avere. Imitando in quel modo
s'imitano le cose, cioè lo spirito ec. delle lingue, degli autori, dei generi di
scrittura; imitando alla tedesca s'imitano le parole, cioè le forme materiali,
le costruzioni, l'ordine de' vocaboli di un'altra lingua (il che una lingua
perfetta, anzi pure formata, non dee mai poter fare, nè può per natura fare); e
probabilmente s'imitano queste, e non le cose; cioè non s'arriva ad esprimer
l'indole, la forza, la qualità, il genio della lingua e dell'autore originale
(benchè pretendano di sì), appunto perchè in un'altra e diversissima lingua se
ne imitano anzi copiano le parole: e mad.
di Staël ancora è di questo sentimento in un passo che ho recato
altrove della prima lettera alla Biblioteca Italiana, 1816. n.o 1.
p.
962
p.
94.
[2852,1]
2852 Una traduzione in lingua greca fatta alla maniera
tedesca, una traduzione dove non s'imita, ma si copia, o vogliamo dire s'imitano
le parole, dovendosi nelle traduzioni imitar solo le cose, si è quella de' libri sacri fatti da' Settanta. Ora la medesima lingua greca, quella così
immensamente pieghevole e libera, nondimeno, percioch'ella è pur lingua formata
e perfetta, riesce in quella traduzione (fatta certo in antico e buon tempo)
affatto barbara e ripugnante a se stessa, e non greca; e di più, quantunque noi
non possiamo per la lontananza de' tempi, e la scarsezza delle notizie
grammaticali ec. e la diversità de' costumi e dell'indole, neppur leggendo gli
originali ebraici, pienamente giudicare e sentir qual sia il {proprio} gusto de' medesimi, e il {vero}
genio di quella lingua, nondimeno possiamo ben esser certissimi che questo gusto
e questo genio non è per niente rappresentato dalla version de' Settanta, che
non è quello che noi vi sentiamo leggendola, che non ve lo sentirono i greci
contemporanei o posteriori, e ch'ella in somma fu ben lontana dal fare ne' greci
lo stesso effetto, nè di gran lunga simile, neppure analogo a
2853 quello che facevano ne' lettori ebrei gli originali. {#1. Seppure però la lingua ebraica ha genio,
o altra indole come quella di non averne veruna. E certo la lingua ebraica
per essere informe, può forse esser bene rappresentata e imitata con una
traduzione in qualsivoglia lingua, che per esser troppo esatta sia anch'essa
informe. Il che non accaderebbe in verun caso. Vedi la pag. 2909. 2910 fine - 2913. Vedi anche una giunta a questa pagina nella
p. 2913.} Ch'è
appunto il fine che dovrebbero avere le traduzioni, e che i tedeschi pretendono
di pienamente e squisitamente conseguire col loro metodo. Aggiungasi dopo tutto
ciò che la traduzione de' Settanta, barbara per troppa conformità
estrinseca coll'originale, non le è di gran lunga così scrupolosamente e
onninamente conforme, come le vantate traduzioni tedesche agli originali
loro.
[2866,1] Ho detto sovente che ciascuno autor greco ha, per
così dire, il suo Vocabolarietto proprio pp. 244-45
pp. 2630-32
pp. 2716-17. Ciò vale non solamente in ordine all'usare ciascun
d'essi sempre o quasi sempre quelle tali parole per esprimere quelle tali cose,
laddove gli altri altre n'usano, o in ordine ai loro modi e frasi familiari e
consuete, ma eziandio in ordine al significato delle stesse parole o frasi che
anche gli altri usano, o che tutti usano. Perocchè chi sottilmente attende e
guarda negli scrittori greci, vedrà che le stesse parole e frasi presso un
autore hanno un senso, e presso un altro un altro, e ciò non solamente
trattandosi di autori {vissuti in} diverse epoche, il
che non sarebbe strano, ma eziandio di autori contemporanei, e compatriotti
ancora, come p. e. di Senofonte e
2867
Platone, i quali furono di più
condiscepoli, e trattarono in parte le stesse materie, e la stessa Socratica filosofia.
Dico che il significato delle parole o frasi in ciascuno autore è diverso: ora
più ora meno, secondo i termini della comparazione, e secondo la qualità d'esse
parole; e per lo più la differenza è tale che i poco accorti ed esercitati non
la veggono, ma ella pur v'è, benchè picciolissima. Un autore adoprerà sempre una
parola nel significato proprio, e non mai ne' metaforici. Un altro in un
significato simile al proprio, o forse proprio ancor esso, e non mai negli altri
sensi. Un altro l'adoprerà in un senso traslato, ma con tanta costanza, che
occorrendo di esprimere quella tal cosa, non adoprerà mai altra voce che quella,
e adoprando questa voce, non la piglierà mai in altro senso, onde si può dire
che presso lui questo significato è il proprio di quella voce: {+(come accade che i sensi metaforici de'
vocaboli pigliano spesse volte assolutamente il luogo del proprio, che si
dimentica)} e questo caso è molto frequente. Un altro adoprerà quella
voce colla stessa costanza, o con poco manco, in
2868
un altro senso traslato, più o meno diverso, e talvolta vicinissimo {e similissimo} ma che pur non è quel medesimo. E tutta
questa varietà (con altre molte differenze simili a queste) si troverà nell'uso
di uno stesso verbo, di uno stesso nome, di uno stesso avverbio in autori
contemporanei e compatriotti. Alla qual varietà, come ben sanno i dotti in
queste materie, è da por mente assai, e da notar sempre in ciascuno autore,
massime ne' classici, qual è il preciso senso in cui egli suole o sempre o per
lo più adoperare ciascuna parola o frase. Trovato e notato il quale, si rende
facile la intelligenza dell'autore, e se ne penetra la proprietà e
l'intendimento vero delle espressioni, e si spiegano molti suoi passi che senza
la cognizione del significato da lui solito d'attribuirsi a certe parole, non
s'intenderebbero; com'è avvenuto a molti interpreti e grammatici ec. che
spiegando {{questi passi}} secondo l'uso ordinario di
quelle tali parole o frasi, e non considerandole in quello particolare ch'esse
sogliono aver presso quello scrittore, o non hanno saputo
2869 strigarsi o si sono ingannati. E così accade anche ai ben dotti,
che però non abbiano pratica di quel tale autore, e vi sieno principianti, o che
ne leggano qualche passo spezzato. Certo non prima si arriva a pienamente e
propriamente intendere qualunque autor greco che si abbia presa pratica del suo
particolar Vocabolario, e de' significati di questo: e tal pratica è necessario
di farla in ciascuno autore che si prende nuovamente o dopo lungo intervallo a
leggere: benchè in alcuni costa più in altri meno, e in certi costa tanto, che
solo i lungamente esercitati e familiarizzati colla lezione e studio di quel
tale autore sono capaci di bene intenderne e spiegarne la proprietà delle voci e
frasi, e della espressione {sì} generalmente, sì in
ciascun passo. Insomma questi solo conoscono la sua grecità, la quale, {si può
dire,} in ciascuno autor {greco,} più o meno
è diversa. (1. Luglio 1823.).
[3009,1]
{Alla p.
2841.} Lo stile e il linguaggio poetico in una
letteratura già formata, e che n'abbia uno, non si distingue solamente dal
prosaico nè si divide e allontana solamente dal volgo per l'uso di voci e frasi
che sebbene intese, non sono però adoperate nel discorso familiare nè nella
prosa, le quali voci e frasi non sono per lo più altro che dizioni e locuzioni
antiche, andate, fuor che ne' poemi, in disuso; ma esso linguaggio si distingue
eziandio grandemente dal prosaico e volgare per la diversa inflessione materiale
di quelle stesse voci e frasi che il volgo e la prosa adoprano ancora. Ond'è che
spessissimo una tal voce o frase è poetica pronunziata o scritta in un tal modo,
e prosaica, anzi talora affatto impoetica, anzi pure ignobilissima e
volgarissima in un altro modo. E in quello è tutta elegante, in questo affatto
triviale, eziandio talvolta per li prosatori. Questo mezzo di distinguere e
separare il linguaggio d'un poema da quello della prosa e del volgo inflettendo
o condizionando diversamente
3010 dall'uso la forma
estrinseca d'una voce o frase prosaica e familiare, è frequentissimamente
adoperato in ogni lingua che ha linguaggio poetico distinto, lo fu da' greci
sempre, lo è dagl'italiani: anzi parlando puramente del linguaggio, e non dello
stile, poetico, il detto mezzo è l'uno de' più frequenti che s'adoprino a
conseguire il detto fine, e più frequente forse di quello delle voci o frasi
inusitate.
[3021,1] Alle molte cose da me dette altrove pp. 244
pp.
2004-205
pp. 2631-35 per mostrare come la lingua greca non ha bisogno che di
poche radici per essere ricchissima, stante l'infinito uso ch'ella fa delle
derivazioni e composizioni ec., e com'ella moltiplichi in infinito i suoi
vocaboli primitivi, ec. aggiungi la voce media ch'ella ha, e il bellissimo uso
ch'ella fa delle
3022 voci passive de' suoi verbi.
Perocchè di moltissimi verbi {{greci}} si può dire che
ciascuno di essi non è uno, ma tre, e serve per tre; avendo l'attivo, il medio,
e il passivo de' medesimi, ciascuno un significato diverso proprio, oltre ai
metaforici che ha per ciascuno di loro, e questi anche diversi, cioè l'attivo
diversi dal medio ec. O vogliamo dire che ciascuno di tali verbi ha tre ben
distinti significati propri, oltre ai metaforici. Nè questi significati si
possono confondere insieme, perocchè ciascuno di loro corrisponde a una diversa
e distinta inflessione. Onde non si accumulano i significati in una stessa
parola, e non ne segue l'oscurità e ambiguità, nè la povertà e uniformità che da
tale accumulamento deriva nella lingua ebraica. E pur quei tre, non sono in
sostanza che un verbo, e non hanno che un tema. L'uso che i latini fanno del
passivo non è paragonabile a quello che ne fanno i greci (oltre che il passivo
latino è difettivo e scarso, avendo bisogno in gran parte dell'ausiliare sum). Appresso i quali il passivo
3023 ha sovente una significazione propria attiva o neutra, diversa
però da quella dell'attivo, e da quella del medio {ec.}
ec. (24. Luglio. 1823.)
[3041,1]
3041
Alla p. 3014.
Io credo per certo che in qualunque modo, quelle inflessioni, voci, frasi ec.
che in Omero si credono proprie di tale
o tal altro dialetto, fossero al suo tempo per qualsivoglia cagione conosciute
ed intese da tutte le nazioni greche, o se non altro, da una tal nazione (come
forse la ionica), alla qual sola, in questo caso, egli avrà avuto in animo di
cantare e di scrivere, e avrà probabilmente cantato e scritto. Quanto agli altri
poeti, se le ragioni che ho addotte per ispiegare come, malgrado l'uso de'
dialetti, essi fossero universalmente intesi, non paressero bastanti, si osservi
che effettivamente in grecia, siccome altrove, i poeti
cessarono ben presto di cantare al popolo, (e così pur gli altri scrittori), e
il linguaggio poetico greco divenne certo inintelligibile al volgo, dal cui
idioma esso era anche più separato che non è la lingua poetica italiana dalla
volgare e familiare. Scrissero dunque i poeti per le persone colte, le quali
intendendo e studiando tuttodì e sapendo a memoria i versi d'Omero, e citandoli, parodiandoli, alludendovi a ogni
tratto
3042 nella colta conversazione e nella
scrittura, intendevano anche facilmente gli altri poeti, e il linguaggio poetico
greco, benchè composto delle proprietà di vari dialetti. Perocchè esso era tutto
Omerico, come ho detto, sia in ispecie sia in genere; cioè le inflessioni, le
frasi, le voci che lo componevano, o erano le identiche Omeriche (e tali erano
in fatti forse la più gran parte), o erano di quel tenore, di quella origine,
derivate o formate da quelle di Omero, o
tolte dai fonti e dai luoghi ond'egli le trasse, e ciò secondo i modi e le leggi
da lui seguite. Quei poeti che scrissero dopo Omero al popolo, e per il popolo composero, come i drammatici, poco o
nulla mescolarono i dialetti, e ne segue effettivamente che se talvolta il loro
stile è Omerico, come quello di Sofocle,
il loro linguaggio però non è tale. Esso è attico veramente, {+siccome fatto per gli Ateniesi,} se
non forse nei pezzi lirici, i quali anche per la natura del soggetto e del
genere, sarebbero stati poco alla portata degl'ignoranti. In effetto Frinico appresso Fozio (cod.
158.) conta fra' modelli, regole
3043 norme del puro e schietto sermone attico i tragici Eschilo, Sofocle, Euripide, e i Comici in quanto sono attici, perocchè questi talora
per ischerzo o per contraffazione mescolarono qualche cosa d'altri dialetti, e
ciò non appartiene al nostro proposito, ed alcuni tragici, forse, avendo
rispetto al gran concorso de' forestieri che d'ogni parte della
grecia accorrevano alla rappresentazione dei drammi
in Atene, non avranno avuto riguardo di usare alcuna cosa
d'altri dialetti. Ma generalmente si vede che il dialetto de' drammatici greci è
un solo. E del resto, siccome tra noi e ne' teatri di tutte le colte nazioni,
benchè la più parte dell'uditorio sia popolo, nondimeno i drammi che
s'espongono, non sono scritti nè in istile nè in lingua popolare, ma sempre
colta, e bene spesso anzi poetichissima e diversissima dalla corrente e
familiare ed eziandio dalla prosaica colta; così si deve stimare che accadesse
appresso a poco più o meno anche in grecia e in
Atene, dove i giudici de' drammi che concorrevano al
premio,
3044 non era finalmente il popolo, ma uno
scelto {e piccol} numero d'intelligenti, e dove le
persone colte fra quelle che componevano l'uditorio, erano per lo meno in tanto
numero come fra noi. {V. il Viaggio
d'Anacar. cap. 70.}
[3192,1] Per li nostri pedanti il prender noi dal francese o
dallo spagnuolo voci o frasi utili o necessarie, non è giustificato dall'esempio
de' latini classici che altrettanto
faceano dal greco, come Cicerone
massimamente e Lucrezio, nè
dall'autorità di questi due e di Orazio nella Poetica, che espressamente difendono e lodano il farlo.
Perocchè i nostri pedanti coll'universale dei dotti e degl'indotti tengono la
lingua greca per madre della latina. Ma hanno a sapere ch'ella non fu madre
della latina, ma sorella, nè più nè meno che la francese e la spagnuola sieno
sorelle dell'italiana. Ben è vero che la greca letteratura e
3193 filosofia fu, non sorella, ma propria madre della {+letteratura e filosofia} latina.
Altrettanto però deve accadere alla filosofia italiana, e a quelle parti
dell'italiana letteratura che dalla filosofia debbono dipendere o da essa
attingere, per rispetto {alla} letteratura e filosofia
francese. La quale dev'esser madre della nostra, perocchè noi non l'abbiamo del
proprio, stante la singolare inerzia d'italia nel secolo
in che le {altre} nazioni
d'europa sono state e sono più attive che in
alcun'altra. E voler creare di nuovo e di pianta la filosofia, e quella parte di
letteratura che affatto ci manca (ch'è la letteratura propriamente moderna);
oltre che dove sono gl'ingegni da questa creazione? ma quando anche vi fossero,
volerla creare dopo ch'ella è creata, e ritrovare dopo trovata ch'ell'è da più
che un secolo, e dopo cresciuta e matura, e dopo diffusa e abbracciata e
trattata continuamente da tutto il resto d'europa del
pari; sarebbe cosa, non sola[solo] inutile, ma
stolta e dannosa, mettersi a bella posta lunghissimo tratto addietro degli
3194 altri in una medesima carriera, volersi collocare
sul luogo delle mosse quando gli altri sono già corsi tanto spazio verso la
meta, ricominciare quello che gli altri stanno perfezionando; e sarebbe anche
impossibile, perchè nè i nazionali nè i forestieri c'intenderebbono se volessimo
trattare in modo affatto nuovo le cose a tutti già note e familiari, e noi non
ci cureremmo di noi stessi, e lasceremmo l'opera, vedendo nelle nostre mani
bambina e schizzata, quella che nelle altrui è universalmente matura e colorita;
e questo vano rinnovamento piuttosto ritarderebbe e impaccerebbe di quel che
accelerasse e favorisse gli avanzamenti della filosofia, e letteratura moderna e
filosofica. Erano ben altri ingegni tra' latini al tempo che s'introdussero e
crebbero gli studi nel Lazio; ben altri ingegni, dico,
che oggi in italia non sono. Nè però essi vollero
rinnovare nè la filosofia nè la letteratura (la quale essendo allora poco
filosofica, si potea pur variare passando a nuova nazione), ma trovando l'una e
l'altra in alto stato, e grandissimamente avanzate e mature appresso i
3195 greci, da questi le tolsero, e gli altrui
ritrovamenti abbracciarono e coltivarono; e ricevuti e coltivati che gli ebbero,
allora, secondo l'ingegno di ciascheduno e l'indole della nazione, de' costumi,
del governo, del clima, della lingua, delle opinioni romane, modificarono ed
ampliarono le cose da' greci trovate, e diedero loro abito e viso e attitudini
domestiche e nuove. Se vuol dunque l'italia avere una
filosofia ed una letteratura moderna e filosofica, le quali finora non ebbe mai,
le conviene di fuori pigliarle, non crearle da se; e di fuori pigliandole, le
verranno principalmente dalla Francia (ond'elle si sono
sparse anche nelle altre nazioni, a lei molto meno vicine e di luogo e di clima
{e di carattere} e di genio e di lingua ec. che
l'italiana), e vestite di modi, forme, frasi e parole francesi (da tutta
l'europa universalmente accettate, e da buon tempo
usate): dalla Francia, dico, le verrà la filosofia e la
moderna letteratura, come altrove ho ragionato pp. 1029-30, e
volendole ricevere, nol potrà altrimenti che ricevendo {altresì} assai parole e frasi {di là,} ad
esse intimamente e indivisibilmente spettanti e fatte proprie;
3196 siccome appunto convenne fare ai latini {delle voci e frasi greche} ricevendo la greca
letteratura e filosofia; e il fecero senza esitare. E noi colla stessa
giustificazione, ed anche col vantaggio della stessa facilità il faremo, essendo
la lingua lingua francese sorella dell'italiana siccome della latina il fu la
greca, e producendo la filosofia e la filosofica letteratura francese una
letteratura moderna ed una filosofia italiana, siccome già la greca nel
Lazio. E tanto più saremo fortunati degli altri
stranieri che dal francese attinsero voci e modi per la filosofia e letteratura,
quanto che noi nel francese avremo una lingua sorella, e non, com'essi, aliena e
di diversissima origine. (18. Agos. 1823.). {Noi sappiamo bene qual {e che
cosa} sia questa lingua latina madre dell'italiana, e possiamo
definitamente additarla, e mostrarla tutta intera. Ma dir che la teutonica o
la slava o simili è madre della tedesca o della russa ec., è quasi un dire
in aria, benchè sia vera, nè quelli possono definitamente additarci quale
individualmente sia questa lor lingua madre, nè, se non confusamente e per
laceri avanzi, mostrarcela.}
[3214,1] Ho detto in principio che la melodia nella musica
non è determinata se non dall'assuefazione o da leggi arbitrarie. Delle melodie
determinate dall'assuefazione, e che per ciò sono melodie, perchè quelle tali
successioni di tuoni convengono con quelle che gli orecchi sono assuefatti a
udire, ho discorso fin qui. Le melodie determinate da leggi arbitrarie, sono
quelle che il popolo e i non intendenti non gustano, se non se nel modo
specificato di sopra, senza nè conoscere nè sentire ch'elle sieno melodie, cioè
che quei tuoni così succedendosi e intrecciandosi e alternandosi, armonizzino,
cioè convengano, tra loro; quelle che pel popolo e per li non intendenti, non
sono infatti melodie, ma solo per gl'intendenti; quelle che gl'intendenti soli
gustano in virtù del giudizio, quali sono infiniti altri diletti umani (V. Montesquieu, Essai sur le goût. De la
sensibilité. p. 392.), massime nelle arti; quelle che non
3215 sono melodie se non perchè ed in quanto
corrispondono alle regole circa la successiva combinazione de' tuoni, consegnate
in una scienza o arte, non dettata dalla natura ma dalla matematica, universale
e universalmente riconosciuta in europa, come lo sono
tutte le altre arti e scienze {in questa parte del
mondo} legata insieme dal commercio e da una medesima civiltà ch'ella
stessa si è fabbricata e comunicata di nazione a nazione, ma non riconosciuta
fuori d'europa nè dalle nazioni non civili, nè da quelle
che hanno un'altra civiltà da esse fabbricata o d'altronde venuta; qual è sopra
tutte la nazion Chinese, la quale ed ha una scienza musicale, e in essa non
conviene {punto} con noi. Ho detto che la nostra
scienza o arte musicale fu dettata dalla matematica. Doveva dire costruita. Essa
scienza non nacque dalla natura, nè in essa ha il suo fondamento, come le più
dell'altre; ma ebbe origine ed ha il suo fondamento in quello che alla natura
somiglia e supplisce e quasi equivale, in quello ch'è giustamente chiamato
seconda natura, ma che altrettanto a torto quanto
3216
facilmente e spesso è {confuso e} scambiato, come nel
caso nostro, colla natura medesima, voglio dire nell'assuefazione. Le antiche
assuefazioni de' greci {+(per non
rimontar più addietro, che nulla rileva al proposito)} furono
l'origine e il fondamento della scienza musicale da' greci determinata,
fabbricata, e a noi ne' libri e nell'uso tramandata, dalla qual greca scienza,
viene per comun consenso e confessione la nostra europea, che non è se non se
una continuazione, accrescimento e perfezione di quella, siccome tante altre e
scienze ed arti (anzi quasi tutte le nostre) che la moderna
europa ricevè dall'antica
grecia e perfezionò, e a molte cangiò faccia appoco
appoco del tutto. La greca musica popolare, le ragioni della quale non altrove
erano che nell'assuefazione (siccome quelle di qualsivoglia musica popolare), fu
l'origine, il fondamento, e per così dir l'anima e l'ossatura della musica greca
scientifica, e quindi altresì della nostra, che di là viene. Ma siccome accade a
tutte le arti ch'elle col crescere, col perfezionarsi, col maggiormente
determinarsi, si dilungano appoco appoco da ciò che fu loro origine, fondamento,
{subbietto primitivo} e ragione, o fosse la natura
3217 o l'assuefazione o altro, e talvolta giungono
fino a perderlo affatto di vista, ed esser fondamento e ragione a se stesse, il
che è intervenuto in buona parte alla poetica, intervenne ancora all'arte
musica. {#1. Maggiormente sconvenevole però
si è questo nella musica che nella poesia. Perocchè la scienza musicale, in
ordine alla musica è di più basso e ben più lontano rango, che non è la
poetica in ordine alla poesia. Il contrappunto è al musico quel che al poeta
è la grammatica. La musica non ha un'arte che risponda a quel ch'è la
poetica alla poesia, la rettorica all'oratoria. Ben potrebbe averla, ma
niuno ancora ha pensato a ridurre a principii e regole le cagioni degli
effetti morali della musica e del diletto che {da}
lei deriva, e i mezzi per produrli ec.} Quindi è che {spessissimo} sia giudicato buono {ed
ottimo} dagl'intendenti, e {perciò} piaccia
loro sommamente, e che sia melodia per essi, quello che dal popolo e da' non
intendenti è giudicato o mediocre o cattivo, che poco o niun effetto produce in
essi, che poco o nulla gli diletta, che per essi non è assolutamente melodia:
Sebbene ei lodano sovente ed ammirano cotali composizioni di tuoni, o in vista
delle qualità indipendenti dall'armonizzare della loro combinazione successiva,
che di sopra ho descritte, o mossi dalla fama del compositore, o dalla voce
degl'intendenti, o dal favore, o dal diletto altre volte ricevuto nelle
composizioni del medesimo, o dalla coscienza della propria ignoranza, o dalla
maraviglia delle difficoltà e stranezze che in tali composizioni ravvisano, o
dalla stessa novità, benchè per {essi} nulla
dilettevole {musicalmente,} o in fine da cento altre
cause estrinseche {e accidentali,} o diverse e
indipendenti dal diletto che nasce dal senso della melodia, cioè della
convenienza scambievole de' tuoni nel succedersi
3218
l'uno all'altro. E per lo contrario interviene spessissimo che quelle
successioni de' tuoni {le quali} per il popolo sono
squisitissime, carissime, bellissime, spiccatissime e dilettosissime melodie,
non ardisco dire non piacciano agli orecchi degl'intendenti, ma con tutto ciò
dispiacciano al loro giudizio, e ne sieno riprovate, tanto che per essi talora
non sieno neppur melodie quelle che per tutti gli orecchi e per li loro altresì,
sono melodie distintissime, evidentissime, notabilissime e giocondissime. Il che
si può vedere in fatto nel giudizio degl'intendenti circa il comporre di Rossini, e generalmente circa il modo
della moderna composizione, la quale da tutti è sentita esser piena di melodia
{+molto più che le antiche e
classiche,} e da chiunque sa è giudicata non reggere in grammatica ed
essere scorrettissima e irregolare. Tutto ciò non per altro accade se non perchè
gl'intendenti giudicano, e giudicando sentono (cioè col fattizio, ma reale
sensorio dell'intelletto e della memoria) secondo i principii e le norme della
loro scienza; e i non intendenti sentono e sentendo giudicano secondo le loro
assuefazioni relative al proposito. Le quali assuefazioni segue e si propone
3219 o loro si accosta il moderno modo di comporre,
assai più che l'antico, {ignorando o} trascurando più o
manco i canoni dell'arte, di che gli antichi furono {peritissimi e} religiosissimi osservatori.
[3224,1] Perocchè io non dubito che i mirabili effetti che si
leggono aver prodotto la musica e le melodie greche sì ne' popoli, ossia in
interi uditorii, sì negli eserciti, siccome quelle di Tirteo, sì ne' privati, come in
Alessandro;
effetti tanto superiori a quelli che l'odierna musica non solo produca, ma
sembri pure, assolutamente parlando, capace di mai poter produrre; effetti che
necessitavano i magistrati i governi i legislatori a pigliar provvidenze e fare
regolamenti e quando ordini, quando divieti, intorno alla musica, come a cosa di
Stato (v. il Viag.
d'Anacarsi, Cap. 27. trattenimento secondo); (e parlo qui
degli effetti della musica greca che si leggono nelle storie e
avvenute[avvenuti] fra' greci civili, non di
que' che s'hanno nelle favole, accaduti a' tempi salvatichi); non
3225 dubito, dico, che questi effetti, e la superiorità
della greca musica sulla moderna, che pur quanto a' principii ed alle regole,
dalla greca deriva, non venga da questo, ch'essendo fra' greci l'arte musicale,
sebbene adulta, pur tuttavia ancora scarsa, non offriva ancora abbastanza al
compositore da coniare o inventar di pianta nuove melodie che niun'altra ragione
avessero di esser tali se non le regole sole dell'arte; nè da {poter} gittarne sopra queste regole unicamente, o sopra
le forme e melodie musicali da altri inventate
di pianta, delle quali non poteva
ancora avervi così gran copia, come ve n'ha tra' moderni. Ma quel ch'è più,
l'arte, sebben cominciò anche tra' greci a corrompersi e declinare da' suoi
principii, e da' suoi propri obbietti o fini {e
instituti,} anzi molto avanzò nella corruzione (v. Viag. d'Anac. l.
c.), non giunse tuttavia di gran lunga ad allontanarsi tanto come tra
noi, e così decisamente e costantemente, dalla sua prima origine, dal primo
fondamento e ragione delle sue regole, dalla prima materia delle sue
composizioni, cioè le popolari melodie; nè a dimenticare,
3226 come oggi, impudentemente e totalmente il suo primo e proprio
fine, cioè di dilettare e muovere l'universale degli uditori ed il popolo; nè,
molto meno, giunse a rinunziar quasi interamente e formalmente a questo fine, e
scambiarlo apertamente in quello di dilettare, {o}
maravigliare, o costringere a lodare e applaudire una sola e sempre scarsissima
classe di persone, cioè quella degl'intendenti: il quale per verità è il fine
che realmente si propone la musica tedesca, inutile a tutti fuori che
agl'intendenti, e non già superficiali, ma ben profondi. Non fu così la Musica
greca. E in questo ravvicinamento della moderna musica al popolare,
ravvicinamento così biasimato dagl'intendenti, e che sarà forse cattivo per il
modo, ma in quanto ravvicinamento al popolare è non solo buono, ma necessario, e
primo debito della moderna musica; in questo ravvicinamento, dico, vediamo
quanto l'effetto della musica abbia guadagnato e in estensione, cioè nella
universalità, e in vivezza, cioè nel maggior diletto, ed anche talor maggior
commovimento degli animi.
3227 Che se in niuna parte, e
meno in quest'ultima, gli effetti della moderna musica sono per anche
paragonabili a quelli che si leggono della greca, è da considerarsi che l'uomo
oggidì è disposto in modo da non lasciarsi mai veementemente muovere a nessuna
parte; che analogamente a questa generale disposizione, neanche le melodie
assolutamente popolari d'oggidì, son tali {nè di tal
natura} che possano facilmente ricevere dal compositore una forma da
produrre in veruno animo un più che tanto effetto; e che in ultimo i compositori
non iscelgono nè quelle melodie popolari o parti di esse che meglio si
adatterebbero alla forza e profondità dell'effetto, nè in quelle che scelgono,
ci adoprano quei mezzi che si richieggono a produrre un effetto simile, nè così
le lavorano e {dispongono} come converrebbe per tal
uopo: e ciò non fanno perchè nol vogliono e perchè nol sanno. Nol sanno perchè
privi essi medesimi d'ispirazione veramente sublime e divina, e di sentimenti
forti e profondi nel comporre in qualsiasi genere, non possono nè scegliere nè
usar lo scelto in modo da
3228 produr negli uditori
queste siffatte sensazioni ch'essi mai non provarono nè proveranno. Nol
vogliono, perchè appunto non conoscendo tali sensazioni, nulla o ben poco le
stimano, nè altro fine si propongono che il diletto superficiale e il grattar
gli orecchi, al che di gran lunga pospongono le grandi e nobili e forti
emozioni, di cui mai non fecero esperimento. Ma che maraviglia? quando gli
antichi musici erano i poeti, quegli stessi che per la sublimità de' concetti,
per la eleganza e grandezza dello spirito brillano nelle carte che di loro ci
rimangono, o perdute queste coi ritmi da loro inventati e applicativi, vivono
immortali i loro nomi nella memoria degli uomini, e ciò talora eziandio per
egregi e magnanimi fatti? E quando all'incontro i moderni musici, stante le
circostanze della loro vita, e delle moderne costumanze a loro riguardo, sono
per corruzione, per delizie, per mollezza e bassezza d'animo il peggio del
peggior secolo che nelle storie si conti? la feccia della feccia delle
generazioni? Da vita, opinioni e costumi vili, adulatorii, dissipati,
3229 effeminati, infingardi, come può nascer concetto
alto, nobile, generoso, profondo, virile, energico? Ma questo discorso
porterebbe troppo innanzi, e condurrebbe necessariamente al parallelo della
musica e de' musici colle altre arti e loro professori, a quello della moderna
musica coll'antica, e delle moderne usanze colle antiche relative al proposito;
e finalmente a trattare della funesta separazione della musica dalla poesia e
della persona di musico da quello di poeta, attributi anticamente, e secondo la
primitiva natura di tali arti, indivise e indivisibili (v. il Viag. d'Anac. l.
c. {+particolarmente l'ult. nota al
c. 27.}). Il qual discorso da molti è stato fatto, e qui non
sarebbe che digressione. Però lo tralascio.
[3235,2]
Platone nel Sofista
verso il fine, edizione dell'Astio, opp. di Plat.
Lips. 1819. sgg. t. 2. p. 362. v. 3. sgg. A. penult.
pagina del Dialogo. {+Πόϑεν οὖν ὄνομα ἑκατέρῳ τις ἂν λήψεται πρέπον; ἢ
δῆλον δὴ χαλεπὸν ὄν, διότι τῆς} τῶν γενῶν κατ᾽ εἴδη διαιρέσεως
παλαιά τις, ὡς ἔοικεν, αἰτία
*
(ἴσ. ἀηδία. Ast.) τοῖς
ἔμπροσϑεν καὶ ἀξύννους παρῆν, ὥστε μηδ᾽ ἐπιχειρεῖν μηδένα διαιρεῖσϑαι∙
καϑὸ δὴ τῶν ὀνομάτων ἀνάγκη μὴ σϕόδρα εὐπορεῖν
*
;
3236
Unde iam nomen utrique eorum
quisquam arripiet conveniens? an dubium non est quin difficile sit,
propterea quod ad generum in species distributionem vetustam
quandam, ut videtur, et inconsideratam superiores habebant
offensionem atque fastidium, ita ut ne conaretur quidem ullus
dividere; quocirca etiam nomina non satis nobis possunt in promptu
esse?
*
Astius. Vuol
dir Platone e si lagna, che gli antichi
greci (e così tutti gli antichi d'ogni nazione) ebbero poche idee elementari,
onde la loro lingua (e così tutte le lingue fino a una perfetta maturità e
coltura, e fino che la nazione non filosofa) mancava di termini esatti, e
sufficienti ai bisogni del dialettico {massimamente} e
del metafisico. Ond'è che Platone il
quale volle sottilmente filosofare, ed esercitare l'esatto raziocinio, e
considerare profondamente la natura delle cose, fu arditissimo nel formare de'
termini di questa fatta, ed abbonda sommamente di voci nuove e sue proprie,
esatte e logiche ovvero ontologiche, {#1.
Vedi la pref. di Timeo al suo Lessico Platonico
appo il Fabric.
B. G. edit. vet. 9. 419.} che da niuno altro
si trovano adoperate, o che da' suoi scritti furono tolte. E notisi che Platone faceva questa lagnanza della sua
3237 lingua, la più ricca, la più feconda, la più
facile a produrre, la più libera, la più avvezza e meno intollerante di novità,
ed oltre a questo, nel più florido, perfetto ed aureo secolo d'essa lingua, e
quasi ancora nel più libero e creatore. Nondimeno a Platone parve scarsa a' bisogni dell'esatto filosofare
la stessa lingua greca nel suo miglior tempo, e trattando materie sottili egli
ebbe bisogno di parere ardito agli stessi greci in quel secolo, e di fare scusa
e addur la ragione del suo coniar nuove voci. Nè certo {si
dirà che}
Platone le coniasse o per trascuratezza
{e poco amore} della purità ed eleganza della
lingua, di ch'egli è fra gli Attici il precipuo modello, nè per ignoranza d'essa
lingua, e povertà di voci derivante da questa ignoranza. (22. Agos.
1823.).
[3251,1]
3251 Tornando al proposito {debbono} esser, come ho detto, cose osservate queste proporzioni che
passano tra le diverse nature dei climi e i diversi caratteri delle rispettive
pronunzie e geni delle rispettive lingue, ed altresì il modo di queste
proporzioni, cioè il modo in che il clima opera sulle favelle, e da quali
proprietà del clima quali proprietà derivino alle pronunzie e alle lingue. Ma
forse non sarà stato egualmente notato che {trovandosi}
in un medesimo clima {e paese} essere stati in diversi
tempi diversi caratteri di pronunzia e di lingua, queste diversità
corrispondettero sempre alle qualità fisiche degli uomini che ciascuna d'esse
pronunzie e lingue, l'una dopo l'altra usarono, le quali fisiche qualità
variarono secondo le diverse circostanze morali, politiche, religiose,
intellettuali {ec.} che in diverse generazioni in quel
medesimo clima e paese ebber luogo. Ond'è che sebbene il clima meridionale
naturalmente ispira dolcezza ne' caratteri delle pronunzie e de' suoni, tuttavia
suono della lingua greca, e quello della lingua romana, certo più molle che non
era a quel tempo, e che adesso non è, il suono delle
3252 lingue settentrionali, pur fu {molto} men delicato
{e più forte} di quello che oggi si sente nella
nuova lingua dello stesso Lazio e di
Roma e d'italia. E ciò non per
altra {cagione fisica immediata,} se non perchè, stante
le loro circostanze morali e politiche e il lor genere di vita e di costumi, gli
antichi Greci e Romani (il che anche per mille altri segni e notizie si prova)
furono di corpo molto più forti che i moderni italiani non sono. {La stessa pronunzia della
moderna lingua francese (e così delle altre) si è addolcita coi costumi
della nazione, come dice Voltaire ec. giacchè un dì si pronunziava come oggi si scrive
ec.} Ond'è che siccome la pronunzia francese per la
geografica posizione e natural qualità del suo clima, ch'è mezzo tra meridionale
e settentrionale, tiene quasi tanto delle pronunzie del sud quanto di quelle del
nord, {#1.
pendendo però più al sud.} ed è un temperamento dell'une e
dell'altre e un anello che queste a quelle congiunge, {#2. Puoi vedere la pp. 2989 -
91.,} così il carattere delle pronunzie greca e latina,
tiene, non dirò già il proprio mezzo tra il settentrionale e il meridionale, ma
tra il carattere dell'italiana, ch'è l'uno estremo delle moderne pronunzie
meridionali, e l'estremo assoluto della dolcezza; e quello della pronunzia
settentrionale meno aspra e che più
3253 s'accosti a
dolcezza, e sia per questa parte l'estremo delle pronunzie settentrionali, alle
meridionali più vicino. O volessimo piuttosto dire che le pronunzie greca e
latina sieno medie tra l'italiana {+ch'è
la più meridionale,} e la francese, che non è nè {ben} meridionale nè {per anco}
settentrionale. {+Le lingue orientali,
{la greca moderna, la turca,} quelle de'
selvaggi e indigeni d'America sotto la zona, parlate
e scritte in climi assai più meridionali che quel
d'italia o di Spagna, sono
tuttavia molto men dolci dell'italiana e della spagnuola, e taluna anche
delle settentrionali europee. Ciò per la rozzezza o per la acquisita
barbarie de' popoli che l'usano o che l'usarono, per li costumi aspri e
crudeli ec. antiche o moderne ch'esse lingue si considerino.}
(23. Agos. 1823.).
[3366,1] La lingua latina s'introdusse, si piantò e rimase in
quelle parti d'europa nelle quali entrò anticamente e si
stabilì la civilizzazione. Ciò non fu che nella Spagna e
nelle Gallie. Quella fino dagli antichi tempi produsse i
Seneca, Quintiliano, Columella, Marziale ec. poi
Merobaude, S. Isidoro ec. e altri moltissimi di mano in mano, i
quali divennero letterati e scrittori latini, senza neppure uscire, come quei
primi, dal loro paese, o quantunque in esso educati, e non, come quei primi, in
Roma. Le Gallie produssero
Petronio Arbitro, {Favorino ec.}
poi Sidonio, S. Ireneo ec. La civiltà v'era già innanzi i romani
stata introdotta da coloni greci. Di più la corte latina v'ebbe sede per alcun
tempo. La Germania benchè soggiogata anch'essa da'
Romani, e parte dell'impero latino, non diede mai adito a
civiltà nè a lettere, nè a' buoni nè a' mediocri nè a' cattivi tempi di
quell'impero. Ella fu sempre barbara. Non si conta fra gli scrittori latini di
veruna latinità
3367 (se non dell'infimissima) niuno
che avesse origine germanica o fosse nato in Germania,
come si conta pur quasi di tutte l'altre provincie e parti
dell'impero romano. Quindi è che la
Germania benchè suddita latina, benchè vicina
all'italia, anzi confinante, come la
Francia, e più vicina assai che la
Spagna, non ammise l'uso della lingua latina, e non
parla latino {(cioè una lingua dal latino derivata),}
ma conserva il suo antico idioma. (Forse anche fu cagione di ciò e delle cose
sopraddette, che la Germania non fu mai intieramente
soggiogata, nè suddita pacifica, come la Spagna e
le Gallie, sì per la naturale ferocia della nazione,
sì per esser ella sui confini delle romane conquiste, e prossima ai popoli
d'europa non conquistati, e nemici de' romani, e
sempre inquieti e ribellanti, onde ad essa ancora nasceva e la facilità, e lo
stimolo, e l'occasione, e l'aiuto e il comodo di ribellare). Senza ciò la lingua
latina avrebbe indubitatamente spento la teutonica, nè di essa resterebbe
maggior notizia o vestigio che della celtica e dell'altre che la lingua latina
spense affatto in Ispagna e in
3368
Francia. Delle quali la teutonica non doveva mica esser
più dura nè più difficile a spegnere. Anzi la celtica doveva anticamente essere
molto più colta e perfetta o formata che la teutonica, il che si rileva sì dalle
notizie che s'hanno de' popoli che la parlarono, e delle loro istituzioni (come
de' Druidi, de' Bardi, cioè poeti ec.), e della loro religione, costumi,
cognizioni ec. sì da quello che avanza pur d'essa lingua celtica, e de' canti
bardici in essa composti ec. L'inghilterra par che
ricevesse fino a un certo segno l'uso della lingua latina, certo, se non altro,
come lingua letterata e da scrivere. {Il latino si stabilì in
Inghilterra a un di presso come il greco
nell'alta Asia, e l'italiano in Dalmazia, nell'isole
greche e siffatti dominii de' Veneziani: cioè come lingua di qualunque
persona colta e della scrittura, ma non parlata dal popolo, benchè forse
intesa. Così il turco in grecia ec.}
Ella ha pure scrittori non solo dell'infima, ma anche della media latinità, come
Beda ec. Ma era già troppo tardi,
sì perchè la lingua latina era già corrotta e moribonda per tutto, anche in
italia sua prima sede, sì perchè l'impero
latino era nel caso stesso. Quindi i Sassoni facilmente
distrussero la lingua latina in inghilterra, ancora
inferma e mal piantata, propria solo dei dotti (com'io credo), e le sostituirono
la
3369 teutonica, trionfando allo stesso tempo (almeno
in molta parte dell'isola) anche dell'idioma nazionale, indigeno, ἐπιχώριος e
volgare, cioè del celtico ec., al qual trionfo doveva pure aver già contribuito
la lingua latina, soggiogata poi anch'essa, e più presto ed interamente
dell'indigena, da quella de' conquistatori. Laddove nelle
Gallie i Franchi non poterono mica introdurre la
lingua loro, benchè conquistatori, nè estirpar la latina, ben radicata, e per
lunghezza di tempo, e perchè insieme con essa erano penetrati e stabiliti nelle
Gallie, i costumi, la civiltà, le lettere, la
religione latina, e perchè {quivi} detta lingua non era
già propria ai soli dotti, ma comune al volgo, ond'essi conquistatori
l'appresero, e parlata ec. Così dicasi de' Goti, Longobardi ec. in
italia; de' Vandali {ec.} in
Ispagna. Che se la lingua latina in
italia, in Francia, in
ispagna, trionfò delle lingue germaniche benchè
parlate da' conquistatori, può esser segno ch'ella ne avrebbe pur trionfato
nella Germania ov'elle parlavansi da' conquistati, se non
l'avessero impedito le cagioni dette di sopra. Perocchè si vede che la lingua
latina trionfava
3370 dell'altre, non tanto come lingua
di conquistatori e padroni, superante quella de' conquistati e de' servi, nè
come lingua indigena o naturalizzata, superante le forestiere, avventizie e
nuove; quanto come lingua colta e formata, superante le barbare, incolte,
informi, incerte, imperfette, povere, insufficienti, indeterminate. Altrimenti
non sarebbe stato, come fu, impossibile ai successivi conquistatori
d'Italia, Francia,
Spagna, il far quello che i latini ne' medesimi
paesi, conquistandoli, avevano fatto; cioè l'introdurre le proprie lingue in
luogo di quelle de' vinti. Nel mentre che i Sassoni in
inghilterra, certo nè più civili nè più potenti de'
Franchi, de' Goti, {de' mori,} ec., i Sassoni, dico, in
inghilterra, e poscia i Normanni, trionfavano pur
senza pena delle lingue indigene di quell'isola, perchè mal formate ancor esse,
benchè non affatto barbare, ed {anzi} (p. e. la
celtica) più colte ec. delle loro. Ma queste vittorie della lingua latina sì
nell'introdursi fra' conquistati, e forestiera scacciare le lingue indigene; sì
nel mantenersi malgrado i conquistatori, e in luogo di cedere, divenir propria
anche di questi, si dovettero, come ho detto, in grandissima parte, alla civiltà
dei
3371 costumi latini e alle lettere latine con essa
lingue[lingua] introdotte o conservate: di
modo che detta lingua non riportò tali vittorie, solamente come colta e perfetta
per se, ma come congiunta ed appartenente ai colti e civili costumi, opinioni e
lettere latine. Perocchè, come ho detto, sempre ch'ella ne fu disgiunta, cioè
dovunque la civiltà e letteratura latina, e l'uso del viver latino, o non
s'introdusse, o non si mantenne, o scarsamente s'introdusse o si conservò; nè
anche s'introdusse la lingua latina, come in Germania, o
non si mantenne, come accadde in Inghilterra. E ciò si
vede non solo in queste parti d'europa, che non ammisero
la civiltà latina per eccesso di barbarie, o che non ammettendola, restarono
barbare; ma eziandio in quelle dove una civiltà ed una letteratura indigena
escluse la forestiera, in quelle che non ammettendo i costumi nè le lettere
latine, restarono però, quali erano, civili e letterate, cioè nelle nazioni
greche. Le quali non ricevendo l'uso del viver latino, non ricevettero neppur la
lingua, benchè la sede dell'
3372
impero romano, e Roma e il
Lazio, per così dire, fossero trasportate e
lunghissimi secoli dimorassero nel loro seno. Ma la
Grecia contuttociò non parlò mai nè scrisse latino,
ed ora non parla nè scrive che greco. Ed essa era pur la parte più civile
d'europa, non esclusa la stessa
Roma, al contrario appunto della
Germania. Sicchè da opposte, ma analoghe e
corrispondenti e ragguagliate e proporzionate, cagioni, nacque lo stesso
effetto.
[3625,1]
Alla p. 2821.
fine. Nótisi il significato continuativo di confuto nell'esempio di Titinnio appo il Forcell. dove questo verbo
sta nel senso proprio, e questo si è quello di confundo, ma continuato, come excepto in un
luogo di Virgilio da me altrove
esaminato p. 1107, per excipio. Nótisi
ancora che nell'improprio suo ma più comune significato, confuto è vero continuativo di confundo.
Anche noi diciamo (e così i francesi ec.) confondere uno
colle ragioni, confondere le ragioni di uno,
confondere l'avversario ec. e ciò vale confutare, ma questo esprime azione e quello è quasi
un atto, e quasi il termine e l'effetto del confutare
ec. Le quali osservazioni confermano la derivazione di confuto da noi e dagli etimologi stabilita. Così mi par di spiegare la
traslazione del suo significato da quel di mescere
insieme a quel di confutare, e così mi par di
doverlo intendere; non ispiegarlo per compescere e
derivar la metafora da questo lato, come fa il Vossio (ap. Forcell.) il quale anche
3626 par che derivi confuto da futum nome (dunque da questo anche futo?), per la solita ignoranza in materia de'
continuativi. E se tal derivazione egli dà (come è anche più naturale ch'ei
faccia) anche al confuto di Titinnio, e lo spiega pure per compesco, s'inganna assai. {V. p. 3635}
Significazioni analoghe a quella nostra metaforica di confondere gli avversari ec. vedile nel Forcell. in confundo, confusio, confusus, {#1. e nel
Gloss. in Confundere,} avvertendo che la lingua latina antichissima
aveva delle metafore e degli usi di parole molto più simili ai moderni che non
ebbe poi l'aurea latinità, o piuttosto il latino più illustre scritto; e n'ebbe
in grandissima copia; e che queste parole e questi usi, e generalmente le
proprietà del volgare o familiar latino, più si veggono negli scrittori de'
bassi tempi (or v. gli esempi di Sulpicio Severo nel Forc. in confundo e confusus), e ne'
volgari moderni che negli aurei scrittori, perchè questi seguivano più
l'illustre, e quelli il familiare, questi fuggivano il volgo, e quelli o per
ignoranza o
3627 per elezione, gli andavan dietro,
questi avevano una lingua illustre e una parlata, quelli non avevano già più una
lingua illustre che fosse per essere intesa quando anche l'avessero saputa
scrivere, ma lingua scritta e parlata era per loro una cosa sola, o tra se molto
meno diversa che non nell'aureo secolo e ne' prossimi a quello. Siccome eziandio
tra gli scrittori aurei, i più antichi e i più familiari, semplici e rimessi di
stile, più conservano dell'antico latino, più rappresentano della frase volgare
e parlata, {+più hanno delle voci e
locuzioni, e delle significazioni ed usi di voci, conformi ai volgari. Così
Cornelio, Fedro, Celso ec.} più somigliano quella degli scrittori bassi e
de' volgari moderni. I più antichi (coi quali vanno quelli che più si tennero
all'antico per loro instituto, come Varrone, Frontone ec.)
perchè il linguaggio illustre e scritto non era ancor ben formato e determinato,
nè molto nè ben distinto dal parlato e familiare. I più semplici e rimessi
perchè o per istituto o per un poco meno di abilità nello scrivere {e minore studio fatto della lingua, o minor diligenza posta
nel comporre,} non vollero o non seppero troppo scostarsi dal
linguaggio più noto e succhiato da loro col latte, cioè dal familiare e parlato.
Onde a noi
3628 paiono amabilissimi e pregevolissimi
per la loro semplicità ec. ma certo a' contemporanei dovettero riuscire poco
colti. Osservo infatti che fra gli scrittori dell'aureo secolo quelli che fra noi tengono le prime lodi per la
semplicità e dello stile e della lingua (la quale in loro è sempre notabilmente
affine alla frase italiana e moderna, ed anche a quella de' tempi bassi), o non
si trovano pur nominati dagli antichi, o appena, o in modo che la loro stima si
vede essere stata come di autori, al più, di second'ordine. Tali sono Corn. Nepote, Celso, Fedro, giudicato dal Le Fevre
il più vicino alla semplicità di Terenzio
(v. Desbillons
Disputat. II. de Phaedro, in fine), e
simili. De' quali gli stessi moderni, vedendo la diversità della loro frase da
quella degli altri aurei, e giudicandola non latina (perchè non molto illustre)
hanno disputato se appartenessero al secol d'oro, ed anche se fossero antichi,
ed hanno penato a riconoscerli per autori dell'aurea latinità; e le Vite di
Cornelio sono state
attribuite ad Emilio Probo
{+(autore assai basso)} per ben
lungo tempo e in molte edizioni ec., Celso è stato creduto più moderno di quello che è, ec. Fedro è stato attribuito al Perotti,
3629
e negato da molti che la sua latinità fosse latina ec. (v. la cit. Disput. del
Desbillons). Non così è
accaduto nè anticamente accadde agli scrittori greci più semplici. Effetto e
segno che il linguaggio illustre in Grecia era, come
altrove ho sostenuto pp. 844. sgg., assai men diviso dal volgare e parlato,
e che la lingua e lo stile greco per sua natura e per sua formazione e
circostanze è più semplice ec. Onde lo stile e la lingua p. e. di Senofonte fu subito acclamata, non men
che fosse quella di Platone ch'è
lavoratissima, ec. e gli scrittori greci più semplici e familiari non hanno
aspettato i tempi moderni a divenir famosi e lodati ec. Senofonte e Platone nel loro secolo sono i due estremi quello della semplicità e
bella sprezzatura, questo dell'eleganza, diligenza e artifizio. Pur l'uno e
l'altro furono sempre quanto allo stile quasi parimente stimati da' Greci e
contemporanei e posteri, e così da' latini e dagli altri in perpetuo ec.
(8. Ott. 1823.).
[3638,3]
Primos in orbe deos fecit timor.
*
Intorno a ciò
altrove p. 2208
pp. 2387-89. Or si aggiunga, che siccome quanto è maggior l'ignoranza
tanto è maggiore il timore, e quanta più la barbarie tanta {è} più l'ignoranza, però si vede che le idee de' più barbari e
selvaggi popoli circa la divinità, se non forse in alcuni climi tutti piacevoli,
sono per lo più spaventose ed odiose, come di esseri tanto di noi invidiosi e
vaghi del nostro male quanto più forti di noi. Onde le immagini ed idoli che
costoro si fabbricano de' loro Dei, sono mostruosi e di forme terribili, non
solo per lo poco artifizio di chi fabbricolle, ma eziandio perchè tale si fu la
intenzione e la idea dell'artefice. E vedesi questo medesimo anche in molte
nazioni che benchè lungi da civiltà pur non sono senza cognizione ed
3639 uso sufficiente di arte in tali ed altre opere di
mano ec. come fu quella de' Messicani, {#1.
i cui idoli più venerati eran pure bruttissimi e terribilissimi d'aspetto
{come} d'opinione. Molte nazioni selvagge, o
ne' lor principii, riconobbero per deità questi o quelli animali più forti
dell'uomo, e forse tanto più quanto maggiori danni ne riceveano, e maggior
timore ne aveano, e minori mezzi di liberarsene, combatterli, vincerli ec.
La forza superiore all'umana è il primo attributo riconosciuto dagli uomini
nella divinità. V. p.
3878.} E certo egli è segno di civiltà molto cresciuta e bene
istradata il ritrovare in una nazione e la idea e le immagini o simboli o
significazioni della divinità, piacevoli o non terribili. Come fu in
Grecia, sebben molto a ciò dovette contribuire la
piacevolezza e moderatezza di quel clima, che nulla o quasi nulla offre mai di
terribile. Perocchè le forze della natura vedute negli elementi ec.,
riconosciute per superiori di gran lunga a quelle degli uomini, e, a causa
dell'ignoranza, credute esser proprie di qualche cosa animata e capace, come
l'uomo, di volontà, poichè è capace di movimento, di muovere ec.; sono state le
cose che hanno suscitata l'idea della divinità (perchè gli uomini amano e son
soliti di spiegar con un mistero un altro mistero, e d'immaginar cause
indefinibili degli effetti che non intendono, e di rassomigliare l'ignoto al
noto; come le cause ignote de' movimenti naturali, alla volontà ed all'altre
forze note che producono i movimenti animali ec.), ond'è ben naturale che tale
3640 idea corrispondesse alla natura di tali
effetti, e fosse terribile se terribili, moderata se moderati, piacevole se
piacevoli ec. e più e meno secondo i gradi ec. Se non che nell'idea primitiva
dovette sempre prevalere o aver gran parte il {terribile,} perchè essendo l'uomo naturalmente inclinato più al
timore che alla speranza, {#1. come altrove
in più luoghi pp. 458-59
pp. 1303-304
pp. 2206-208
pp. 3433-35} una forza superiore
affatto all'umana, dovette agl'ignoranti naturalmente aver sempre del
formidabile. Oltre che in ogni paese v'ha tempeste, benchè più o meno terribili
ec. E tra le varie divinità di una nazione che ne riconosca più d'una, di una
mitologia ec., le più antiche son certamente le più formidabili e cattive, e le
più amabili e benefiche ec. son certamente le più moderne. {Le nazioni più civilizzate adoravano gli animali utili,
domestici, mansueti ec. come gli egizi il bue, il cane, o loro immagini. Le
più rozze, gli animali più feroci, o loro sembianze (v. la parte 1. della Cron. del
Peru di Cieça,
cap. 55. fine. car. 152. p. 2.). Quelle p. e. il sole o solo o principalmente, queste, o sola o principalmente la tempesta ovvero ec. ec.
{+E a proporzione della rozzezza
o civiltà, gli Dei ec. malefici e benefici erano stimati più o men
principali e potenti, ed acquistavano o perdevano nell'opinione e
religion del popolo, e nelle mitologie, e riti ec.}
V. p. 3833.} Come della
mitologia greca e latina ec. senza dubbio si dee dire. Infatti anche
indipendentemente da questa osservazione, s'hanno argomenti di fatto per
asserire che {p. e.}
Saturno, Dio
crudele e malefico, {#2. e rappresentato
per vecchio, brutto, e d'aspetto come d'indole e di opere, odioso,} fu
l'uno de' più antichi Dei della Grecia o della nazione
onde venne la greca e latina mitologia, e più antico di Giove ec. Effettivamente la
detta mitologia favoleggia che Saturno regnò prima di Giove,
3641 e da costui fu privato del regno. La qual favola o volle
espressamente significare la mutazione delle idee de' greci ec. circa la
divinità, e il loro passaggio dallo spaventoso all'amabile ec. cagionato dal
progresso della civiltà, e decremento dell'ignoranza; o (più verisimilmente)
ebbe origine e occasione da questo passaggio, di essere inventata
naturalmente.
[3749,2] La lingua latina illustre fu, non solo tra le
antiche, ma forse fra tutte, la più separata e diversa, e la meno influita e
dominata dalla volgare. Parlo della lingua latina illustre prosaica (ch'è poco
dissimile dalla poetica) {+rispetto
all'altre pur prosaiche} perchè p. e. la lingua poetica greca fu certo
(almen dopo Omero ec.) anche più divisa
ec. dalla greca volgare. Ma ciò come poetica, non come illustre, e qualunque
linguaggio {appo qualunque nazione} è veramente poetico
e proprio della poesia, di necessità e per natura sua è distintissimo dal
volgare; chè tanto è quasi a dir linguaggio proprio poetico, quanto linguaggio
diverso assai dal volgare. {+S'egli ha ad
esser {assai} diverso dal prosaico illustre, molto
più dal volgare.} Fra le lingue illustri moderne, la più separata e
meno dominata dall'uso, è, cred'io, l'italiana, massime oggi, perchè
l'italia ha men società d'ogni altra colta nazione, e
perchè la letteratura fra noi è molto più esclusivamente che altrove, propria
de' letterati, e perchè l'italia non ha lingua illustre
moderna ec. Per tutte queste ragioni la
3750 lingua
italiana illustre è forse di tutte le moderne quella che meglio e più
generalmente osserva e conserva la proprietà delle voci e modi. Ciò presso i
buoni scrittori, cioè quelli che ben posseggono e trattano la lingua illustre, i
quali {{oggi}} son men che pochissimi, e quelli che
scrivono la lingua illustre, i quali oggi sono in minor numero di quelli che non
la scrivano, o il fanno più di rado che non iscrivono la volgare. Perocchè oggi
la lingua più comunemente scritta e intesa in italia
nelle scritture, non è l'illustre ma la barbara e corrotta volgare; e però ella
non conserva punto la proprietà delle parole ec. ma sommamente se n'allontana,
come fa la volgare. E p. e. quel fisico e morale, fisicamente e moralmente
{ec.} nel senso francese, è oggi del volgare italiano,
e dello scritto non illustre, non men ch'e' sia dell'illustre e del volgare
francese ec. Ma presso i nostri buoni scrittori di qualunque secolo (non che gli
ottimi), si vedrà forse più che in niun'altra lingua illustre moderna,
3751 osservata e conservata la proprietà delle parole e
dei modi ec. Cioè l'uso loro esser totalmente e sempre, o quasi totalmente e
quasi sempre, o più e più spesso che nell'altre lingue illustri, e in {assai} maggior numero di parole e modi ec., conforme al
significato ch'essi ebbero da principio nella lingua e ne' primitivi scrittori
italiani, ed anche alla loro {nota} etimologia, ed al
senso ed uso ch'essi ebbero nella lingua onde alla nostra derivarono, cioè
massimamente nella latina, madre della nostra. Certo la proprietà latina
nell'uso e significato delle parole e dei modi, {+(siccome la forma, lo spirito ec. della latinità, della
dicitura latina, il modo dell'orazione in genere, del compor le parole,
dell'esporre e ordinar le sentenze, dello stile ec. ec. E quanto a queste
cose, anche in ordine alla lingua greca l'italiano illustre è la lingua più
simile ch'esista ec. ec.)} è molto meglio e in assai maggior parte
conservata nell'italiano veramente illustre, per insino al dì d'oggi, che in
alcun[alcun'] altra lingua; e forse più
nell'italiano illustre degli ultimi nostri buoni scrittori, che nel linguaggio
de' più antichi e migliori scrittori francesi, spagnuoli ec. (21. Ott.
1823.).
[3946,2] La lingua greca appartiene veramente e propriamente
alla nostra famiglia di lingue (latina, italiana, francese, spagnuola, e
portoghese), non solo perch'ella non può appartenere ad alcun'altra, e farebbe
famiglia da se o solo colla greca moderna; non solamente neppure per esser
sorella o, come gli altri dicono, madre della latina (nel primo de' quali casi
ella dovrebbe esser messa almeno colla latina, e nel secondo è chiaro ch'ella va
posta nella nostra famiglia), ma specialmente e principalmente perchè la sua
letteratura è veramente madre della latina, la qual è madre delle nostre, e
quindi la letteratura greca è veramente l'origine delle nostre, le quali in
grandissima parte non sarebbero onninamente quelle che sono e quali sono (se non
se per un incontro affatto fortuito) s'elle non fossero venute di là. E come la
letteratura è quella che dà forma e determina la maniera di essere delle lingue,
e lingua formata e letteratura sono quasi la stessa cosa, o certo
3947 cose non separabili, e di qualità compagne e
corrispondenti; e come per conseguenza la letteratura greca (oltre le tante voci
e modi particolari) fu quella che diede veramente e principalmente forma alla
lingua latina, e ne determinò la maniera di essere, il carattere e lo spirito,
di modo che la lingua e letteratura latina, quando anche fossero nate, formate e
cresciute senza la greca, non sarebbero certamente state quelle che furono, ma
altre veramente, e in grandissima parte diverse per natura e per indole e forma,
e per qualità generali e particolari, e sì nel tutto, sì nelle parti maggiori o
minori, da quelle che furono; stante, dico, tutto questo, la letteratura greca
(oltre lo studio immediato fattone da' formatori delle nostre lingue, come da
quelli della latina) viene a esser veramente la madre e l'origine prima delle
nostre lingue, come la latina n'è la madre immediata; le quali lingue (anche la
francese che insieme colla sua letteratura è la più allontanata dalla sua
origine, e dalla forma latina, e dall'indole della latina, e quindi eziandio
della greca) non sarebbero assolutamente tali quali sono, ma altre e in
grandissima parte diverse sì nello spirito, sì in cento e mille cose
particolari, se non traessero primitivamente origine in grandissima parte dal
greco per mezzo del latino. E veramente la lingua greca mediante la sua
letteratura è prima (quanto si stende la nostra memoria dell'antichità) e vera
ed efficacissima causa dell'esser sì la lingua e letteratura latina, sì le
nostre lingue e letterature, anche la francese, tali quali elle sono,
3948 e non altre; chè per natura elle ben potrebbero
essere diversissime in molte e molte cose, anche essenziali ed appartenenti allo
spirito ed all'indole ec. e alquanto diverse più o meno in altre molte cose più
o meno essenziali o non essenziali. E forse non mancano esempi di altre
letterature e lingue antiche o moderne, anche meridionali ec., che non essendo
venute dal greco, sono diversissime, anche per indole ec. e nel generale ec. non
meno o poco meno che ne' particolari, dalla latina e dalle nostrali. E ne può
esser prova il vedere quanto la francese si è allontanata, anche di spirito,
dalla latina e dalla greca alle quali era pur conformissima nel 500 ec. (vedi la
p. 3937.), senz'aver mutato
clima ec. Certo i tempi nostri son diversissimi da quelli de' greci {e de' latini,} quando anche il clima sia conforme,
diversissime sono state e sono le nostre nazioni, {#1. loro governi, opinioni, costumi, avvenimenti e
condizioni qualunque,} sì tra loro, {#2. sì ciascuna di esse da se medesima in diversi
tempi,} sì dalla greca, e dalla latina eziandio. Nondimeno le loro
lingue e letterature sono state conformi, massime fino agli ultimi secoli, e tra
loro, e tra' vari lor tempi, e colla greca e latina ec. Sicchè tal conformità
non si deve attribuire nè solamente nè principalmente al clima, nè ad altre
circostanze naturali o accidentali, ma all'accidente di esser derivate
effettivamente dal greco e latino, chè ben potevano non derivar da nessuno, o
derivare d'altronde ec. ec.
[3964,3] Parlo altrove p. 961
pp. 3012-14
pp. 3041-47 de' dialetti
d'Omero. Posto che il dialetto
Ionico non fosse il comune o il più comune, e perciò prescelto, l'avere Omero scritto in un dialetto piuttosto
che nella lingua comune, non prova altro se non che questa a' suoi tempi non
v'era; e il non esservi prova che non v'era ancora letteratura greca formata,
perchè nè questa poteva esservi senza quella, e la mancanza di lingua comune è
segno certo ed effetto non d'altro che della mancanza di letteratura nazionale o
della sua infanzia, poca diffusione ec. Similmente dico di {#2. Democrito
ec. Ctesia è più moderno, ma forse
anteriore al pieno della letteratura ateniese ec}
Erodoto
{#1. V. p. 3982.} e degli altri che ne' più antichi tempi
scrissero ne' dialetti loro nativi e non in lingua comune. Del resto se Omero usò {e
mescolò} anche gli altri dialetti più di quello che poi fosse fatto
dagli altri scrittori greci, anche poeti, prevalendo però in lui l'ionico; il
simile fece Dante, che
3965 usò e mescolò i dialetti
d'italia molto più che poi gli altri, anche poeti, e
a lui vicini, non fecero, e che oggi niuno farebbe, perchè v'è lingua comune, e
questa certa e formata e determinata, e tutto ciò principalmente a causa della
letteratura. Se poi alcuni, come Empedocle e Ippocrate, non
essendo ioni ec., scrissero nell'ionico, {V. p. 3982.} ciò fu
perchè Omero l'aveva usato e fatto
famoso e atto alla scrittura, e creduto solo o principalmente capace di essere
scritto, nel modo stesso che poi l'abbondanza degli scrittori ateniesi, maggiore
che quella degli altri, rese comune, e per sempre, il dialetto attico, o una
lingua partecipante massimamente dell'attico, e lo ridusse ad essere il greco
propriamente detto sì nell'uso dello scrivere, sì in quello del parlare, massime
delle persone colte; e nel modo stesso che in italia per
simil cagione è avvenuto rispetto al toscano, mentre prima, come in
grecia l'ionico invece dell'attico, così in
italia si era fatto comune ec. non il toscano, ma il
siculo ec. per la coltura di quella corte e poeti ec. e loro abbondanza
preponderante ec. {Del resto l'uso
dell'ionico fatto anticamente dagli non ionici prova con certezza che il
ionico o era il greco comune, o il più comune, o il solo o il più applicato
e quindi atto alla letteratura e al dir colto ec. o il più famoso ec. v. p. 3991.} Onde molto
s'ingannano, secondo me, quelli sì antichi (v. i luoghi citati alla pagina 3931.) sì moderni (che sono,
io credo, non pochi) i quali riconoscono l'uso o preponderanza del dialetto
ionico in Omero, in Ippocrate ec. e nelle scritture dell'antica
grecia da questo, che il dialetto ionico, secondo
loro, o almen quello di detti scrittori {+quale egli si è} ec. era l'antico dialetto attico, e usato dagli
ateniesi. Il che, se non hanno altri argomenti per provarlo, certamente non è
provato dall'uso di quegli scrittori, poichè che diritto e che mezzo aveva
allora il dialetto ateniese per esser preferito agli altri nelle scritture? Essi
cadono nel solito errore,
3966 sì comune per sì lungo
tempo (e fin oggi) in italia, anche fra' più dotti e
imparziali, circa il dialetto toscano, cioè di credere che l'attico prevalesse
agli altri dialetti per se (mentre niun dialetto prevale per se, giacchè quanto
all'ordine, forma ec. esso non l'ha prima della letteratura, quanto alla
bellezza del suono materiale ec. questo è un sogno, perchè a tutti i popoli
{+e parti di essi} è più bello
degli altri suoni quello che gli è dettato dalla natura, e quindi quello del
dialetto nativo, e imparato nella fanciullezza ec.), e non per causa della
preponderante letteratura e scrittori attici, la qual causa a' tempi d'Omero ec. non esisteva, anzi
Atene non aveva, che si sappia, scrittore alcuno, non
che n'abbondasse particolarmente ec. Neanche era potente, nè commerciante, nè
che si sappia, assai culta, o più culta degli altri, seppure aveva coltura
alcuna notabile. Bensì lo erano gl'ioni ec. e questo appunto produsse o fece
possibile un Omero ec. Se poi hanno
altre prove della detta proposizione, certo ragionano a rovescio pigliando per
effetto la causa, e per causa l'effetto. Poichè se quello fu allora il dialetto
attico, ciò venne appunto perch'esso aveva avuto scrittori e letteratura, e così
fattosi comune ec., ovvero a causa del commercio {+e potenza} e della coltura degl'ioni, alla qual
coltura non avrà poco contribuito la stessa letteratura che n'aveva avuto
origine ec. Del resto gli attici erano molto facili ad adottare le voci e modi
greci stranieri, e anche i barbari, almeno ne' tempi susseguenti; e lo dice Senofonte in un luogo da me citato e discusso altrove
p.
741
pp.
785-86
pp. 793. (9. Dec. 1823. Vigilia della Venuta della Santa Casa
di Loreto.)
[3972,1]
3972 Risulta da quello che in più luoghi si è detto
pp. 838. sgg.
pp.
1683-84
pp. 1946-51
pp. 1953-57
pp. 3253-62 circa la
natura di una lingua atta (massime ne' nostri tempi) veramente alla
universalità, che ella non solo non può esser più delle altre lingue capace di
traduzioni, di assumer l'abito dell'altre lingue, o tutte o in maggior numero o
meglio che ciascun'altra, di piegarvisi più d'ogni altra, di rappresentare in
qualunque modo le altre lingue; ma anzi ella dev'essere per sua natura l'estremo
contrario, cioè sommamente unica d'indole, di modo ec. e sommamente incapace
d'ogni altra che di se stessa, ed in se stessa minimamente varia, e da se
medesima in ogni caso il men che si possa diversa. E una lingua che tenga
l'estremo contrario è di sua natura, massime a' tempi nostri, estremamente
incapace dell'universalità. Non bisogna dunque figurarsi che una lingua
universale nè debba nè possa portare questa utilità di supplire alla cognizione
di tutte le altre lingue, di esser come lo specchio di tutte l'altre, di
raccoglierle, per così dir, tutte in se stessa, col poterne assumer l'indole
ec.; ma solo di servire in vece di
tutte le altre lingue, e di esser loro sostituita. Anzi ella non può veramente altro ch'esser sostituita
all'uso dell'altre e di ciascuna altra, e non supplire ad esse ec. Ben grande
sarebbe quella utilità, ma essa è contraria direttamente alla natura di una
lingua universale. Tale si è infatti la francese. Nè i francesi dunque nè gli
stranieri si lusinghino di avere in quella lingua tutto ciò che potrebbero avere
nell'altre, ma una lingua diversissima per sua natura dall'altre, il cui uso a
quello di tutte l'altre possono facilmente sostituire. Nè stimino che volendo
conoscer
3973 l'altre lingue, autori ec. il posseder la
francese, li dispensi più che alcun'altra lingua dallo studio di tutte l'altre,
anzi per questo effetto la francese non serve a nulla, ed i francesi per parlare
come nativa una lingua sommamente disposta alla universalità, si debbono
contentare di avere una lingua incapacissima di traduzioni, inettissima a servir
loro di specchio e di esempio, e fin anche di mezzo, per conoscere qualunque
altra lingua, autore ec. Il fatto della lingua francese dimostra queste
asserzioni. {+1. Sebbene i francesi
coll'estrema trascuranza che hanno dell'altre lingue mostrano essere
persuasi del contrario.} La natura della greca era appunto l'opposto.
Ella infatti perciò, anche nel tempo antico, non potè essere universale che
debolissimamente e incomparabilmente alla possibile universalità di una lingua,
ed anche all'effettiva presente universalità della francese, malgrado le molte
qualità, e massimamente le infinite circostanze estrinseche (potenza, commercio,
letteratura e civiltà unica della nazione che la parlava) che favorirono, (e per
lunghissimo tempo), e quasi necessitarono la sua universalità, molto più che le
circostanze estrinseche della francese ec. (11. Dec. 1823.).
[3988,1]
3988 Bello non assoluto. I greci e i romani (erano
nazioni di buon gusto?) pregiavano, almeno nelle donne, la fronte bassa, e
l'alta stimavano difettosa, per modo che le donne se la coprivano ec. V. le note
del De Rogati alla sua traduzione di
Anacr.
od. 29.
sopra Batillo. Sul coprire o mostrar
la fronte il che {+e la quale} ha tanta parte nel differenziare
le fisonomie, nè gli antichi nè i moderni, nè la moda oggidì è mai
d'accordo con se stessa. Non è dubbio che quella nazione di cui parla Ippocrate (v. la p. 3960.[3961]),
avvezza a non vedere che teste lunghe, benchè tali essi ed esse a dispetto della
natura, pur contuttociò naturalmente avrebbe e avrà sentita una mostruosità e bruttezza notabilissima e,
secondo lei, incontrastabile ogni volta che avrà veduto teste, non dico piatte,
ma discrete ec. Così dite degli altri barbari di cui p. 3962. E così di cento mila altri usi contro
natura, selvaggi o civili, antichi {(greci, romani ec.)} o moderni ec. spettanti alla conformazione o
reale o apparente (come quella de' guardinfanti ec.) del corpo umano. p. 1078
(16. Dec. 1823.).
[3991,2]
Alla p. 3965.
marg. È da notare che molto più antichi di Empedocle, Ippocrate ec. furono Saffo
ed altri, massime poeti, famosi, i quali scrissero ne' dialetti natii diversi
dall'ionico. Mostra dunque che non Omero, ma la preponderante civiltà, coltura (della quale ne dan chiaro
segno e le cose e lo stile e lingua delle odi di Anacreonte, molto, se non altro, più giovane di Saffo), commercio, {#(1.) ricchezza, lusso, mollezza ec.} e quindi
{#(2.) arti, mestieri, scienze, belle
arti, v. p. 3995.}
letteratura ec. degli Ioni rendesse comune il loro dialetto, e ciò molto dopo
Omero, ed essendo
3992 già sparsa la letteratura per la grecia, e
varia di dialetti, ed altri dialetti applicati propriamente e per se stessi (non
confusamente cogli altri, come in Omero)
alla letteratura, almeno alla poesia. Erodoto fu {circa} contemporaneo d'Ippocrate. (18. Dec. 1823.).
{Simonide contemporaneo all'incirca di Anacreonte, dice il Fabric. che
scrisse in dorico. Si veggano i suoi frammenti, e più vi si troverà
dell'ionico che del dorico; in particolare poi i suoi giambi ed alcuni altri
frammenti sono al tutto {o} ionici {+o comuni, cioè attici: parte l'uno,
parte l'altro.} Come però Simonide scrivea per mercede in lode di questo o di quello (v. il Fab.), è naturale che in tali casi
seguisse i dialetti di chi pagava. Quindi i suoi epigrammi, fatti pure per
mercede o per casi particolari e luoghi ec., erano forse e si trovano in
dorico, e così altri frammenti. V. p.
3997.}
[4001,2] Delle colonie greche in
italia, sicilia ec. e antico
commercio ec. greco in italia, avanti il dominio de'
romani, la diffusione o formazione di quella lingua latina, che noi conosciamo,
cioè romana ec. e del grecismo che per tali cagioni può esser rimasto nel
volgare latino {in} quelle parti, e quindi ne' volgari
moderni {+in quelle parti,} e
quindi nel comune italiano eziandio, massime che la formazione e letteratura di
questo ebbe principio in Sicilia e nel
4002 regno, come mostra il Perticari nell'Apologia, ec. ec., discorrasene proporzionatamente nel
modo che altrove s'è discorso pp. 1014-16
p. 2655 delle Colonie greco - galliche, di
Marsiglia ec. in rispetto ai grecismi della lingua
francese non comuni al latino noto ec. (24. Dec. 1823. Vigil. del S.
Natale.).
[4026,7] Dico altrove {+p.
2827.} che la mutata pronunzia della lingua greca, dovette di
necessità ne' secoli inferiori, alterandone l'armonia, alterarne la costruzione
l'ordine e l'indole ec. perchè da un medesimo periodo o costrutto diversamente
4027 pronunziato, non risultava più o niuna, o
certo non la stessa armonia di prima. Aggiungi che anche indipendentemente {da} questo, gli scrittori, ed anche i poeti greci de'
secoli inferiori (come pure i latini, gl'italiani, e tutti gli altri ne' tempi
di corrotto gusto e letteratura) amavano e volevano un'armonia diversa per se ed
assolutamente e in quanto armonia da quella degli antichi, cioè sonante, alta,
sfacciata, uniforme, cadenziosa ec. Questa dagli esperti si ravvisa a prima
vista in tutti o quasi tutti i prosatori e poeti greci di detti secoli, anche
de' migliori, ed anch'essi atticisti, formati sugli antichi, imitatori, ec.
Tanto che questo numero, diverso dall'antico e della qualità predetta, che quasi
in tutti, più o meno, e più o men frequente, vi si ravvisa, e[è] un certo e de' principali e più appariscenti segni,
almeno a un vero intendente, per discernere gl'imitatori e più recenti, che
spesso sono del resto curiosissimamente conformi agli antichi, da' classici
originali e de' buoni tempi della greca letteratura. Ora il diverso gusto
nell'armonia e numero di prosa e verso (nel quale aggiungi i nuovi metri,
occasionati da tal gusto e dalla mutata pronunzia della lingua) contribuì non
poco ad alterare, anche negli scrittori diligenti ed archeomani i costrutti e
l'ordine della lingua, come era necessario, e come si vede, guardandovi
sottilmente, per es. in Longino,
perchè vi trovi non di rado in parole antiche un costrutto non antico, e si
conosce ch'è fatto per il numero che ne risulta, e altrimenti non sarebbe
risultato, e il quale altresì non è antico. (Così dicasi dell'alterazione
cagionata ne' costrutti ec. dalla mutata pronunzia). Questa causa di corruzione
è da porsi fra quelle che produssero e producono universalmente l'alterazione e
corruttela di tutte le lingue, nelle quali tutte (o quasi tutte) i secoli di
gusto falso e declinato pigliarono un numero conforme al descritto di sopra e
diverso da quello de' loro antichi. Si
4028 conosce a
prima vista, {e indubbiamente, (almen da un intendente ed
esercitato)} per la differenza e per la detta qualità del numero, un
secentista da un cinquecentista, ancorchè quello sia de' migliori, ed anche
conforme in tutto il resto agli antichi. Il Pallavicini, ottimo per se in quasi tutto il restante, pecca
moltissimo nella sfacciataggine e uniformità (vera o apparente, come dico
altrove pp. 4026-28) del numero, alla quale subito si riconosce
il suo stile, diverso principalmente per questo (quanto all'estrinseco, cioè
astraendo dalle antitesi e concettuzzi che spettano piuttosto alle sentenze e ai
concetti, come appunto si chiamano) da' nostri antichi, da lui tanto studiati, e
tanto e così bene espressi e seguiti. Che dirò del numero di Apuleio, Petronio ec. rispetto a quello di Cic. e di Livio? non che di
Cesare, e de' più antichi e
semplici, che Cic. nell'Oratore dice mancar tutti del numero {+s'intende del colto, perchè senza un numero non possono
essere. V. p. seg. [p. 4029,1]..} Che dirò di Lucano, dell'autore del Moretum, Stazio ec. rispetto a Virgilio? Marziale a Catullo ec.? Or
questa mutazione e depravazione del numero dovette necessariamente essere una
delle maggiori cagioni dell'alterazione della lingua sì greca, sì latina e
italiana, sì ec., massime quanto ai costrutti e l'ordine, e quindi alla frase e
frasi, e quindi all'indole, insomma al principale. Anche si dovettero depravar
le {semplici} parole per servire al numero, {+e grattar l'orecchio avido di nuovi e
spiccati suoni,} o sformando le vecchie, o inducendone delle nuove e
strane, o componendone, come in greco, o troncandole come tra noi (l'uso de'
troncamenti è singolarmente proprio del Pallavicini, e de' secentisti e de' più moderni da loro in poi),
avendo riguardo sì al suono della parola in se, sì al suo effetto nella
composizione e nel periodo. (9. Feb. 1824.). Veggasi il detto
altrove pp. 848-49
{su d'alcuni} sforzati costrutti d'Isocrate per evitare il concorso {(conflitto)} delle vocali ec. ec. (9. Feb. 1824.).
(Riferiscasi ancora a questo proposito per quanto gli può toccare, il detto
altrove pp. 1157-60 sul
vario gusto de' greci, lat. e ital. in diversi tempi, circa il concorso,
l'abbondanza ec. delle vocali.) Ora se questo accadeva a Isocrate ottimo giudice, ed esposto
4029 migliaia d'altri tali, e scrivente per piacere a
essi, nel centro della lingua pel tempo e pel luogo, fiorente la lingua e la
letteratura, nel suo gran colmo ec. ec. che cosa doveva accadere ne' secoli
bassi ne' quali ec. fra gl'imitatori ec. la più parte, com'era allora non greci
di patria, ma dell'Asia, e questa anche alta, non la
minore ec. ec. molti ancora non greci neppur di genitori, come Gioseffo, Porfirio e tanti altri ec. ec.? (10. Feb.
1824.).
[4050,8] Della superiorità della lingua latina sulla greca
per certe parti e qualità, del che ho detto in proposito dei continuativi di cui
i greci mancano p. 1117
p. 2142
pp. 2784-86, cioè non ne hanno un genere determinato, si può dire lo
stesso
4051 rispetto agl'incoativi, di cui i greci non
hanno un genere e forma così determinata e assegnata come i latini, sebbene si
servono molto spesso, a significar l'incoazione, di verbi in ίζω fatti da quelli
che significano l'azione o passione positiva, o aggiungono a' temi in άω, έω ec.
il ζ, facendone άζω, έζω ec. Ma queste forme non sono così precisamente
determinate alla significazione incoativa, perchè infiniti verbi così formati ne
hanno tutt'altra, infiniti significano lo stesso che il primo tema (del che
altrove pp. 2825-26
pp.
3284. sgg., sebben forse in origine potranno avere avuto diverso
senso), infiniti non hanno altro tema, almen noto, e non significano cosa
incoativa ec. sia che questi e i sopraddetti abbiano perduta col tempo siffatta
significazione, e confusala ec. sia che mai non l'abbiano avuta, il che, di
moltissimi almeno, è certo, perchè molte volte la desinenza in ίζω o ζω è
frequentativa. Anche de' frequentativi determinati ec. mancano i greci, mentre
gli hanno non solo i latini ma gl'italiani (e moltissimi generi, come pure in
latino ve n'è più d'uno), i francesi ec. Mancano ancora de' {verbi} disprezzativi, vezzeggiativi ec. ec. che i latini e
gl'italiani ec. hanno, e più d'un genere. (21. Marzo. 1824.).
[4052,1] La ricchezza e varietà e potenza {e fecondità} della lingua italiana non solo s'ha a considerare nella
copia de' suoi vocaboli e modi e nella gran facoltà di formarne, ma eziandio
nella gran moltitudine e varietà di tipi per così dire o coni che ella ha per
poter formare voci e modi di uno stesso genere di significazione. (formati già
moltissimi, e da potersene formar con giudizio, sempre che si voglia e bisogni).
Servano di esempio le tante desinenze frequentative o diminutive o disprezzative
ec. de' verbi, da me annoverate altrove pp. 1116-17
pp. 1240-42
p.
3764. Le tante diminutive de' nomi ec. ec. Nella quale abbondanza di
coni la lingua nostra vince d'assai, non che le lingue sorelle, ma la latina e
la greca, e forse qualunque lingua del mondo antica o moderna. Nè questa
abbondanza produce confusione nè indeterminazione, perchè detti coni sebbene
sommamente moltiplici in ciascun genere, sono però di qualità e di valore ben
determinato ed applicato e appropriato al suo genere di significazione.
(21. Marzo. 1824.).
[4088,5]
Nei frammenti delle poesie di Cic. massime in quelli delle sue
traduzioni di Arato, che si
trovano principalmente citati da lui, come
nei libri de Divinat. ec., sono
abbondantissimi i composti, e in particolari[particolare] quelli fatti di più nomi, alla greca (come mollipes), gran parte de' quali, se non la massima,
non debbono avere esempio anteriore, e mostrano essere coniati da lui ad esempio
del greco, e forse per corrispondere a quelli appunto che traduceva. (15.
Maggio. 1824.).
[4102,5] Al detto altrove pp. 735-40 della somma facoltà e
fecondità della lingua greca, non ancora esaurita nè spenta, aggiungi che oggidì
chi vuol sostituire al suo proprio qualche nome finto espressivo di qualche
cosa, o dar nome significativo a qualche personaggio immaginario, {+come Moliere nel Malato immaginario, nei nomi
de' medici.} o nominar qualche nuovo essere allegorico, o nuovamente
nominare i già consueti ec. ec. non ricorre ordinariamente ad altra lingua
(qualunque sia la sua propria, in tutta l'europa e
america civile) che alla greca. (15. Giugno.
Festa di S. Vito
Protettore di Recanati. 1824.).
[4173,8]
Magnum videlicet
illis
*
(Athenaei) temporibus videbatur, duabus
linguis posse loqui: quod in nescio quo habitum loco miraculi refert
Galenus: δίγλωττóς
τις, inquit, ἐλέγετο πάλαι, καὶ ϑαῦμα τοῦτ᾽ ἦν, ἄνϑρωπος εἷς,
ἀκριβῶν διαλέκτους δύο
*
. Bilinguis olim quidam dicebatur: eratque res
miraculo mortalibus, homo unus duas exacte linguas
tenens.
*
Haec Galenus in secundo de Differentiis
pulsuum.
*
Casaub.
Animadv. in Athenae. lib. 1. cap.
2. (Bologna 14. Aprile.
1826.).
[4202,1] La ricchezza della lingua greca, e la decisa
differenza di stili che ella ammetteva, differenza così grande, che faceva quasi
di ciascuno stile una lingua diversa, si può conoscere anche dal veder che gli
antichi ebbero dei lessici voluminosi dedicati a un qualche stile in
particolare, come noi potremmo far lessici a parte per la nostra lingua poetica
o prosaica (due divisioni che la nostra lingua ammette, ma la greca assai più).
Eccovi in Fozio
Bibliot. i capi o codici 146. 147. {Λεξικòν} τῆς καϑαρᾶς
ἰδέας
*
(cioè styli simplicis o cosa
simile). ᾽Aνεγνώσϑη λεξικὸν κατὰ στοιχεῖον καϑαρᾶς
ἰδέας. μέγα καὶ πολύστιχον τὸ βιβλίον· μᾶλλον δὲ πολύβιβλoς ἡ
πραγματεία. καὶ χρήσιμον, εἴπερ τι ἄλλο, τoῖς τòν χαρακτῆρα
μεταχειριζομένοις τῆς τοιαύτης ἰδέας. 147. Λεξικòν σεμνῆς ιδέας.
᾽Aνεγνώσϑη λεξικòν σεμνῆς ἰδέας. εἰς μέγεϑoς ἐξετείνετο τὸ τεῦχος, ὡς
ἄμεινον εἶναι δυσὶ μᾶλλον τεύχεσιν ἢ τρισὶ τoῖς ἀναγινώσκoυσι τὸ
ϕιλοπóνημα
*
(solemnis Photio vox hoc sensu) περιέχεσϑαι. κaτὰ
στοιχεῖον δὲ ἡ πραγματεία. καὶ δῆλον ὡς χρησίμη τoῖς εἰς μέγεϑoς καὶ
ὄγκoν ἐπαίρειν τoὺς λόγους αὐτῶν ἐν τῷ συγγράϕειν ἐϑέλουσιν.
*
146. Lexicon Purae Ideę. Lexicon legi
Ideę purę litterarum ordine. Magnus est hic liber, ut multi potius, quam
unus esse videatur. Utilis autem, si quis alius, iis est, qui hanc Ideam
tractant. 147. Lexicon Gravis styli. Legi Ideae gravioris Lexicon, quod
ipsum quoque in immensum crevit, ut legentibus aptius fore arbitrer, si
in duos opus illud, aut tres tomos distribuatur. Digestum item est
litterarum ordine, patetque utile esse iis, qui sublimi tumidoque
dicendi genere excellere studio habent
*
(Schotti versio.)
(Bologna. 22. Settembre. 1826.).
[4203,1]
4203 Ebbero i Greci, come i moderni, anche delle {voluminose} storie teatrali e drammatiche (come ne
ebbero delle filosofiche, geometriche, pittoriche, statuarie, e d'ogni genere di
discipline). Fozio nella Bibliot. cod. 161. dando conto dei 12. libri di
Ecloghe o Estratti di Sopatro sofista, dice che il quarto suo libro
contiene degli estratti, fra gli altri, ἐκ τοῦ ὀγδóoυ
λóγου τῆς τοῦ ῾Ρoύϕου
δραματικῆς ἱστορίας, oἷς παράδοξά τε καὶ ἀπίθανα ἐστὶν
εὑρεῖν, καὶ τραγωδῶν[τραγῳδῶν]
καὶ κωμωδῶν[κωμῳδῶν] πράξεις τε καὶ
λόγους καὶ ἐπιτηδεύματα, καὶ τοιαῦϑ᾽ ἕτερα.
*
E che il quinto
libro σύγκειται αὐτῷ ἔκ τε τῆς ῾Ρoύϕου
μουσικῆς ἱστορίας πρώτου καὶ δευτέρου καὶ τρίτου βιβλίoυ.
ἐν ᾧ τραγικῶν τε καὶ κωμικῶν ποικίλην ἱστορίαν εὑρήσεις.
*
(Tragicor. ac Comicor.
Schott.) οὐ
μὴν δὲ ἀλλὰ καὶ διϑυραμβοποιῶν τε καὶ αὐλητῶν καὶ
κιθαρωδῶν·[κιθαρῳδῶν] ἐπιθαλαμίων τε
ᾠδῶν καὶ ὑμεναίων καὶ ὑπορχημάτων ἀϕήγησιν
*
, (epithalamiorumq.
carminum et hymenaeorum atq. cantilenarum in chorea enumerationem. Schottus) περί τε ὀρχηστῶν καὶ τῶν ἄλλων τῶν ἐν τoῖς ῾Eλληνικoῖς ϑεάτροις
ἀγωνιζομένων∙ ὅϑέν τε καὶ ὅπως oἱ τoύτων ἐπὶ μέγα κλέoς {{παρ᾽ αὐτoῖς}} ἀναδραμóντες γεγóνασιν, εἴ τε
ἄῤῥενες εἴ τε καὶ τὴν ϑήλειαν ϕύσιν διεκληρώσαντο∙ τίνες τε τίνων
ἐπιτηδευμάτων ἀρχὴ διεγνώσϑησαν
*
(quinam etiam singulorum
auctores ac principes studiorum exstiterint. Schott.), καὶ τoύτων δὲ
τίνες τυράννων ἢ βασιλέων ἐρασταὶ καὶ ϕίλοι γεγóνασιν. οὐ μὴν {ἀλλὰ} καὶ τίνες {τε} oἱ
ὰγῶνες, καὶ ὅϑεν, ἐν oἷς ἕκαστος τὰ τῆς τέχνης ἐπεδείκνυτο. καὶ περὶ
ἑορτῶν δὲ ὅσαι πάνδημοι τoῖς ᾽Aϑηναίοις. ταῦτα δὴ πάντα καὶ εἴ τι ὅμοιον,
ὁ πέμπτoς
*
(τοῦ Σωπάτρου) ἀναγινώσκοντί σοι
παραστήσει λóγoς. ῾O δὲ ἕκτoς αὐτῷ συνελέγη λόγος ἔκ τε τῆς αὐτῆς
῾Ρoύϕoυ μουσικῆς
*
(ἱστορίας) βίβλου πέμπτης
καὶ τετάρτης. αὐλητῶν δὴ καὶ αὐλημάτων ἀϕήγησιν ἔχει, ἄνδρές τε ὅσα
ηὔλησαν καὶ δὴ καὶ γυναῖκες. καὶ ῞Oμηρος δὲ αὐτῷ καὶ ῾Hσίoδoς καὶ ᾽Aντίμαχoς
oἱ ποιηταὶ τῆς διηγήσεως μέρος
*
, (huius narrationis partem
4204 efficiunt. Schott.) καὶ τῶν ἄλλων
πλεῖστοι τῶν εἰς τοῦτο τὸ γένος τῶν ποιητῶν ἀναγoμένων
*
. E segue
dicendo di altri libri di altri scrittori dai quali era estratto il sesto
libro di Sopatro. E l'undecimo
dice essere estratto, fra gli altri, ἐκ τῆς τοῦ
Ἰώβα[Ἰόβα]
*
(Iubae) τοῦ βασιλέως ϑεατρικῆς ἱστορίας ἑπτακαιδεκάτoυ
λóγoυ
*
, della quale
opera fa menzione anche Ateneo, lib. 4.
(Bologna. 1826. 24. Sett. Domenica.). {{V. p.
4238.}}
[4211,7] L'autor greco della Vita di S. Gregorio Papa, detto il Magno, avendo parlato delle
opere di questo Santo, e particolarmente de' suoi Dialoghi,
4212 soggiunge (appresso Fozio. cod. 252. col.
1400. ed. grec. lat. Credo però che questa Vita si trovi stampata intera, e
sarà in fronte alle opp. di S.
Gregorio): ᾽Aλλὰ γὰρ πέντε καὶ ἑξήκοντα καὶ
ἑκατòν ἔτη oἱ τὴν ῥωμαίαν ϕωνὴν ἀϕιέντες τῆς ἐκ τῶν πõνων αὐτοῦ ὠϕελείας
μόνοι ἀπήλαυον. Zαχαρίας δέ, ὃς τoῦ ἀποστολικoῦ ἀνδρὸς ἐκείνου χρόνοις
ὕστερον τoῖς εἰρημένοις κατέστη διάδοχoς, τὴν ἐν τῇ ῥωμαϊκῇ μóνῃ
συγκλειομένην γνῶσιν καὶ ὠϕέλειαν εἰς τὴν ᾽Eλλάδα γλῶσσαν ἐξαπλώσας, κοινὸν τὸ κέρδος τῇ
oἰκουμένῃ πάσῃ ϕιλανϑρώπως ἐποιήσατο. οὐ τοὺς διαλóγους δὲ
καλουμένους μóνους, ἀλλὰ καὶ ἄλλους αὐτοῦ ἀξιολóγοuς πóνους ἐξελληνίσαι
ἔργον ἔϑετο.
*
Ma per ispazio di 165 anni, solamente quelli che
parlano latino godettero della utilità delle sue opere. Poi Zacaria, che in capo al detto
spazio di tempo successe a quell'apostolico uomo (nel papato),
trasportati in lingua greca i colui scritti, fece cortesemente comune a
tutta la terra la notizia e la utilità di quelli, ristretta fino allora
ai soli Latini. E non solo i così detti dialoghi, ma prese anche a
voltare in greco altri scritti del medesimo degni di
considerazione.
*
- Testimonianza insigne della universalità della lingua
greca
{eziandio} ai tempi dello scrittore di questa
Vita, cioè, credo, nel sesto secolo, se costui fu
contemporaneo o poco posteriore al detto Zaccaria papa. (Bologna. 5. Ott.
1826.)
[4214,3] I francesi non hanno lingua poetica perchè hanno
rigettata la lingua antica, perchè non sopportano l'antico nel verso niente più
che nella prosa: e senza l'antico non vi può esser lingua poetica. I Latini che ebbero pochissima antichità
di lingua, perchè il progresso della loro letteratura fu rapidissimo, e che
rigettarono, ad eccezione di pochissime {e
piccolissime} parti conservate nel verso, quella poca antichità che
avevano, non ebbero lingua poetica propriamente, nè avrebbero avuto dicitura e
stile poetico se non avessero usato nella poesia costruzioni ardite, e nuovi
significati e metafore di parole, che i francesi non sopportano nella loro.
{#(1) Notisi quindi che presso i latini
ciascun poeta era artefice della sua lingua poetica; la lingua poetica dei
latini era opera individuale del poeta, e se il poeta non se la facea, non
l'aveva: dove in italiano e in greco ella era cosa universale, e il poeta
l'avea già prima di porsi a comporre. E da ciò forse può nascere l'abuso e
la soverchia copia del verseggiare e dei verseggiatori ec. ec.} Del
resto l'avere i latini e i francesi a differenza dei greci e degl'italiani,
rigettata ne' loro buoni {e perfetti} secoli
l'antichità della lingua, venne, fra l'altre cose, dal non aver essi avuto nelle
loro lingue antiche scrittori veramente sommi, a differenza dei greci, che
ebbero Omero, Esiodo, Archiloco, Ippocrate, Erodoto ec. e degl'italiani, ch'ebbero
Dante, Petrarca, Boccaccio, insomma {(come i greci)} la
letteratura già stabilita, {fissata} e formata prima
della lingua e della maturità della civilizzazione.
(Bolog. 12. Ott. 1826.).
[4223,1] Ora, benchè il nostro rettorico abbia appena
osservata e accennata di scorcio la vera causa, non si può negare che questa non
sia una bella osservazioncella. E questa è forse quanto di buono o di notabile
v'ha nel suo libro. (Bolog. 17. Ott. 1826.).
{{v. p. 4224.}}
[4237,3] Universalità della lingua greca anticamente. V. Dati, loc. citato qui sopra, p. 627. fin. e segg.
[4250,3] Parrebbe che tutta quella infinita cura che pose
Isocrate circa la collocazione
delle parole e la struttura della dizione, non ad altro l'avesse egli posta,
4251 fuorchè a proccurare la più perfetta, la più
squisita, la maggior possibile, la più singolare chiarezza. Questa dote non si
osserva negli altri autori che l'hanno, se non in quanto nel leggerli non si
patisce, vale a dir non si sentono impedimenti e difficoltà. In Isocrate ella si osserva, perchè non
solo non si patisce leggendolo, ma per essa si prova un certo piacere. Negli
altri ella è qualità negativa, in questo è positiva; ha un certo senso, un
sapore proprio. Quel piacere che dà in molti autori una temperata difficoltà che
si prova leggendoli, e superando facilmente quella difficoltà
ad ogni passo, quel medesimo dà nel leggere Isocrate la somma e straordinaria facilità. Par di sentirvi quel
gusto che si prova quando in buona disposizione di corpo, e volontà di far moto,
si cammina speditamente per una strada, non pur piana, ma lastricata. Io non
credo che si trovi autor così chiaro e facile in alcuna altra lingua, come è
Isocrate (e certo senza compagni)
nella greca. Esso è facilissimo anche ai principianti in quella lingua, che è
pur la più difficile (se non prevale in ciò la tedesca) di tutte le lingue del
mondo. Tanto più mirabile in questo, quanto che si sa bene con quanto studio
Isocrate cercasse gli altri pregi
della dicitura, e soprattutto fuggisse il concorso delle vocali; + [p.
4251,3] difficoltà certo {grandissima,} ed inceppamento; {come ognun
vedrebbe provandovisi;} il quale però non ha punto impedito quella
maravigliosa facilità. (7. Marzo. Mercordì di quattro tempora.
1827.).
[4263,2]
Alla p. 4249.
fin. Il medesimo Chesterfield
nota più volte come pregi
distintivi e dei principali della letteratura nostra, e come di quelli che
principalmente la possono far degna della curiosità degli stranieri, l'aver
degli eccellenti storici, e delle eccellenti traduzioni dal latino e dal greco,
mostrando poi di aver l'occhio particolarmente a quelle della Collana. Va bene il primo capo. Il secondo non può
servire ad altro che a mostrar l'ignoranza grande dei forestieri circa le cose
nostre. Perchè se la nostra letteratura è povera in alcuno articolo, lo è
certamente in quel delle buone traduzioni dal latino e dal greco. Di quelle
specialmente della Collana non ve n'è {appena} una che si possa leggere, quanto alla lingua e
allo stile, e per se; e che non dica poi, almeno per la metà, il rovescio di
quel che volle dire e disse l'autor greco e latino. Tutte le letterature
(eccetto forse la tedesca da poco in qua) sono povere di traduzioni veramente
buone: ma l'italiana in questo, se non si distingue dall'altre come più povera,
non si distingue in modo alcuno. Solamente è vero che noi cominciammo ad aver
traduzioni dal latino e dal greco classico (non buone, ma traduzioni
semplicemente), molto
4264 prima di tutte le altre
nazioni. Il che è naturale perchè anche risorse prima in
Italia che altrove, la letteratura classica, e lo
studio del vero latino, e del greco. E n'avemmo anche in gran copia. E queste
furono forse le cagioni che produssero tra gli stranieri superficialmente acquainted with le cose nostre quella opinione, che
ebbe tra gli altri il Chesterfield.
{Scriveva il Chester. quelle cose circa il 1750: il Tradutt. ital. del Maff. furon pubblicati del 1720.}
Nondimeno in quel medesimo tempo, {anzi alquanto
innanzi,} avveniva al Maffei in Baviera, dov'ei si trovava, quel
ch'egli scrive nella prefazione de' suoi Traduttori
italiani ossia notizia de' Volgarizzamenti d'antichi scrittori
latini e greci, che sono in luce indirizzata a una
colta Signora, da lui frequentata colà. Vostro costume era d'antepor la
*
(lingua) francese alle altre, per
l'avvantaggio di goder per essa gli antichi autori latini e greci,
della lettura de' quali sommamente vi compiacete, avendogli
traslatati i francesi. Qui io avea bel dire, che questo piacere
potea conseguirsi ugualmente con l'italiana, e che già fin dal
felice secolo del 1500 la maggior parte de' più ricercati antichi
scrittori era stata in ottima volgar lingua presso di noi recata,
che suscitandomisi contra tutti gli astanti, e gl'italiani prima
degli altri, restava fermato, che solamente in francese queste
traduzioni si avessero.
*
Ed ecco dagli stranieri
{negato agl'italiani formalmente, e} trasferito
alla letteratura francese quel medesimo pregio (e {circa} il medesimo tempo) che altri stranieri come il Chesterfield attribuivano alla
italiana. Nella qual
prefazione il Maffei afferma
aver gl'Italiani tradotto
prima, più, e meglio delle altre nazioni.
*
Per
provar la qual proposizione, assunse di comporre, e compose quel suo catalogo
dei nostri volgarizzatori. E quanto a me concedo {e credo
vere} le due prime parti di essa proposizione, almen relativamente al
tempo in cui il Maffei la scriveva.
Concederò anche la terza, relativamente allo stesso tempo, purchè quel meglio delle altre, non escluda il male e il pessimamente
assoluto. (Recanati. 27. Marzo. 1827.).
{{V. p.
4304. fine.}}
[4284,2] Una delle cause della imperfezione e confusione
delle ortografie moderne, si è che esse si sono quasi interamente ristrette
all'alfabeto latino, avendo esse molto più suoni, massime vocali, che non ha
quell'alfabeto. Ciò si vede specialmente nell'inglese, dove per conseguenza uno
stesso segno vocale deve esprimere ora uno ora un altro suono, senza regola
fissa, e servire a più suoni. I caratteri dell'alfabeto latino non bastano a
molte lingue moderne. E generalmente si vede che le ortografie sono tanto più
imperfette, quanto le lingue sono più
4285 distanti per
origine e per proprietà dal latino, sulla ortografia del quale tutte, malgrado
di ogni repugnanza, furono architettate.
[4291,2] Dice la Staël che la lingua tedesca è una scienza, e lo stesso si può, e con
più ragione ancora, dir della greca. Quindi è accaduto che siccome le scienze si
perfezionano, e i moderni sono in esse superiori agli antichi, per le più
numerose e accurate osservazioni, così e per lo stesso mezzo la notizia del
greco, dal rinascimento degli studi, si è accresciuta e si accresce tuttavia, e
che i moderni sono in essa d'assai superiori a quelli del 5 o del 4 cento, e
forse in alcune parti (come in quella delle etimologie, parte così favolosamente
trattata da Platone), agli stessi greci
antichi; anzi, che gli scolari di greco oggidì, ne sappiano più de' maestri de'
passati tempi. E come le scienze non hanno limiti conosciuti nè forse
arrivabili, e nessuno si può vantare di possederle intere; così appunto accade
della lingua greca, la cognizione della quale sempre si estende, nè si può
conoscere se e quando arriverà al non plus ultra, nè
4292 basta l'avere spesa tutta la vita in questo
studio, per potersi vantare di essere un grecista perfetto.
(Firenze. 20. Sett. 1827.)
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Lingue. (pnr) (73)
. (1827) (40)
Francesi. (1827) (32)
Carattere, lingua ec. ec. (1827) (26)
Universalità delle lingue. (1827) (22)
Greci, ignoranti del latino ec. (1827) (16)
Greca (lingua), se avesse tenuto e tenesse in il luogo della latina, gran vantaggio ne seguirebbe. (1827) (6)
Traduzioni. (1827) (9)
Volgare latino. (pnr) (6)
scrivevano, parlavano ec. in greco. (1827) (7)
Composti. Voci composte. (1827) (6)
Novità nelle lingue. (1827) (7)
Latina (lingua). (1827) (8)
Ricchezza delle lingue. (1827) (9)
Cinquecentisti. Trecentisti, ec. (1827) (8)
Letteratura italiana d'oggidì. (1827) (8)
Loro lingua, letteratura ec. (1827) (3)
Dialetti greci. (1827) (3)
Toscano (Volgare). (1827) (4)
Familiarità nella scrittura. (1827) (2)
Perchè scrivesse il suo libro in greco. (1827) (2)
Lirica. (1827) (2)
Spagnuoli. (1827) (3)
Purità della lingua. (1827) (2)
Eleganza nelle scritture. (1827) (4)
Barbarie nelle lingue. (1827) (1)
Antichi. (1827) (5)
Barbarie. (1827) (1)
Orientali. (1827) (1)
Celtica (lingua ec.). (1827) (2)
Latinisti italiani del cinquecento ec. (1827) (1)
Sinonimi. (1827) (2)
Amore di corpo. (1827) (1)
Patria. Quanto importi ch'ella sia grande. (1827) (1)
Caratteri meridionali e settentrionali. (1827) (2)
Tedesca (filosofia). (1827) (1)
Manuale di filosofia pratica. (pnr) (1)
Piacere (Teoria del). (1827) (1)
Rimembranze. (1827) (1)
Vago. Piacere del vago o indefinito. (1827) (1)
Amor patrio. (1827) (1)
Civiltà va dal sud al nord. (1827) (2)
mezza civiltà. (1827) (1)
. . (1827) (1)
Mitologia greca. (1827) (1)
Religione. Culto. (1827) (1)
Sacrifizi. (1827) (1)
Timore. (1827) (1)
Egoismo del timore. (1827) (1)
Lingua universale. (1827) (1)
Della natura degli uomini e delle cose. (pnr) (1)
. Suo luogo filosofico, notato, ec. (1827) (1)
Concorso delle vocali. (1827) (1)
Frequentativi, diminutivi ec. italiani. (1827) (1)
Frequentativi e diminutivi ec. latini. (1827) (2)
Frequentativi o diminutivi ec. francesi. (1827) (1)
Incoativi latini (verbi). (1827) (1)
Teatri. Storie teatrali e drammatiche appresso i Greci; e quanto più interessanti che le moderne. (1827) (1)
. Benefizio da lui fatto all' e allo spirito umano coll'applicare il volgare alla letteratura. (1827) (1)
Vocabolario della Crusca. (1827) (1)
Continuativi latini. (1827) (1)
Musici antichi, e Musici moderni. (1827) (1)
Onore. Punto di onore antico e moderno. (1827) (1)
Punto d'onore antico e moderno. (danno) (1)
Alfieri. (1827) (2)
Purismo. Setta purista appresso i Latini. (1827) (2)
Tecniche o scientifiche (voci). (1827) (5)
Vocabolario universale, proposto all'. (1827) (4)
. Suo stato, costumi ec. antichi e moderni. (1827) (1)
Francese (poesia). (1827) (3)
Loro stile. (1827) (1)
Musici anticamente erano gli stessi poeti. (1827) (1)
, e il suo libro (1827) (2)
Scrittori greci de' bassi tempi ec. (1827) (2)
Greco moderno. (1827) (1)
Lingua poetica, in che consista ec. ec. (1827) (3)
Poesia. (1827) (1)
Dialetti. (1827) (1)
Drammatica. (1827) (1)
Musica. (1827) (1)
Romanticismo. (1827) (2)
Ortografia. (1827) (1)