31. Gen. 1822.
[2369,1] Noi diciamo fare una cosa di
buona gana, cioè alacriter. Presso gli
spagnuoli gana vale alacritas. Gli scrittori latini non hanno parola da cui questa si
possa derivare. E pure dove credete che rimonti la sua origine? Alle primissime
sorgenti delle due lingue sorelle latina e greca. Γάνος in greco vuol dire lętitia, gaudium, voluptas. V. il Lessico co' suoi derivati. Come
dunque questa voce nostra e spagnuola, volgarissima in ambo le lingue, anzi
plebea, nè degna della scrittura sostenuta, può esser mai derivata dal greco?
quando ne' tempi barbari in cui nacquero tali lingue,
2370 appena si sapeva in italia o in Ispagna che vi
fosse al mondo una lingua greca? come può esser venuta questa voce se non dal
volgare latino, e per mezzo di esso?
[2370,1] Non basta. Questa radice, non solo è delle
antichissime nella lingua greca, ma di quelle che s'avevano per antiquate negli
stessi antichi tempi della greca letteratura. V. il simposio di Senofonte, c. 8. §. 30, dove ricerca
l'etimologia del nome di Ganimede e
per provare che Γανυ, viene da una radice che significa godimento, diletto, ec. ricorre ad Omero. Dunque al tempo di Senofonte, ell'era già disusata, e
certo non era volgare, quantunque ella si trovi anche in alcuni pochi autori o
contemporanei o posteriori a lui: il che non dee far maraviglia perchè
l'imitazione di Omero durò sempre nella
poesia greca; le sue parole e la sua lingua furono sempre tenute proprie d'essa
poesia; oltre che il poeta usa senza biasimo molte parole antiquate per più
ragioni che ve l'autorizzano, ed anche glielo prescrivono. Ora questa voce {(e suoi derivati)} non si trova quasi che ne' poeti, e
si può dir poetica. Così durano fra
2371 nostri
scrittori, e massime poeti, molte parole ec. di Dante, disusate nel resto ec. E dal luogo di Senofonte si vede che quella voce era
sin d'allora in grecia, quel che sarebbe fra noi una voce detta dantesca.
[2371,1] Quest'antichissima radice, non riconosciuta dagli
scrittori latini, come mai vive oggi in due volgari derivati da una lingua sorella della greca? Dunque ella fu
propria della lingua latina fino da' suoi principii, cioè da quando ebbe comune
origine colla greca (non dopo, 1. perchè già divenuta fuor d'uso tra' greci,
così che il volgo romano non potè da essi prenderla, il che sarebbe già
inverosimile per se; {e come avrebbe
potuto prendere dai greci una voce poetica?} 2. perchè non si trova
negli scrittori latini, i quali, e non il volgo, furono coloro che poi
massimamente grecizzarono il latino). Dunque d'allora in poi il volgare latino
la conservò fino all'ultimissimo suo tempo, e fino a lasciarla nelle bocche del
moderno popolo italiano e spagnolo dove ancora rimane. Dunque ecco anche
un'altra prova che la lingua latina fosse più tenace della sua remotissima
antichità che la greca, dove questa voce ec. era uscita d'uso al tempo
2372 già di Senofonte.
[2372,1] E perchè non resti dubbio che il nostro gana sia tutt'una radice col greco γάνος, se non
bastasse l'identità delle lettere radicali, e la quasi identità del significato,
osserveremo che ἐπιγάννυμαι significa insulto. La
preposizione ἐπί in composizione spessissimo risponde alla latina in (come appunto insilire, o
insultare nel senso di saltar sopra, risponde ad
ἐϕάλλομαι). Ora il nostro ingannare, (spagn. engañar) se derivi da ingenium (v. il Dufresne in ingenium 1.) o da
gannare non voglio ora asserirlo. Certo è che gannare (onde gannum ec. che v. nel Dufresne),
voce conosciuta solamente nella barbara latinità, significò irridere ec. Ed osservare che appunto illudere
illusione ec. che significa primitivamente lo stesso,
passò poi, specialmente presso i francesi a significare assolutamente inganno, errore ec. V. il Forcell.
e il Gloss.
Gannare vien dunque da gana,
e ne viene come ἐπιγάννυσϑαι da γάνος, e con lo stesso significato. {+(Non so se ganar
gagner ec. possano aver niente a fare col
proposito. V. il Gloss.
ec.).}
[2372,2] Ecco dunque queste due parole, l'una latino-barbara,
cioè gannare, l'altra {vivente
e} popolare italiana
2373 e spagnuola, d'ambe
le quali, non solo non si sarebbe creduto che fossero antiche, e de' più buoni
tempi, ma si sarebbe penato a congetturare l'etimologia; dimostrate non solo non
moderne, non solo non derivate da' tempi barbari, ma identiche con una radice
antichissima che si trova nell'antichissimo greco, che nel greco de' buoni
secoli era già fatta antiquata, che non potè passare nel latino, donde solo potè
venir sino a noi e al nostro volgo, se non da quando nacque il latino da una
stessa origine col greco, e che perduta nel latino scritto, si è conservata
perennemente nel volgare, in modo che oggi la nostra plebe usa familiarmente una
radice ch'era già poetica, e però già divisa dal volgo, sino dal tempo del più
antico scrittore profano che si conosca, cioè di Omero. Tanta è la tenacità del volgo, e tanto sono
antiche tante cose e parole che si credono moderne, perciò appunto che l'eccesso
della loro antichità nasconde affatto la loro origine, e l'uso che anticamente
se ne fece. E quindi potete argomentare
2374 quante
voci frasi ec. latino-barbare, o italiane, francesi o spagnuole, della cui
origine non si sa nulla, e si credono moderne o di bassa età, perchè solo ne'
moderni o ne' bassi tempi e monumenti si trovano, si debbano stimare
appartenenti all'antichissima fonte de' nostri volgari e del latino-barbaro,
cioè all'antico latino, e quindi al latino volgare ch'è il {solo} mezzo per cui i nostri volgari comunicano colla detta
antichissima fonte: e ciò quantunque in ordine a esse parole e frasi non si
possa dimostrare, appunto a causa della troppo loro antichità, che conservandole
ne' volgari o greci o latini, le bandì dalle scritture. Come vediamo fra noi
molte antichissime parole italiane vivere nella plebe di questa o quella parte
d'italia,
e non esser più ricevute nelle scritture. (31. Gen. 1822.).