5. Ottobre. 1822.
[2630,2] Ho detto [p. 244] che gli scrittori greci
hanno ciascuno un vocabolarietto a parte, dal quale
2631 non escono mai o quasi mai, e nella totalità del quale ciascun d'essi si
distingue benissimo da ciascun altro, e ch'esso vocabolario, massime ne' più
antichi è molto ristretto, e che la lingua greca ricchissima in genere, non è
più che tanto ricca in veruno scrittore individuo; e tanto meno è ricca quanto
lo scrittore è più antico e classico, e quindi i più antichi e classici si
distinguono fra loro nelle parole e frasi più di quel che facciano parimente fra
loro i più moderni, che son più ricchi assai, ed abbracciano ciascuno una
maggior parte della lingua, onde debbono aver fra loro più di comune che gli
antichi non hanno fra loro medesimi, come che le parole e frasi di ciascuno
generalmente prese, sieno tutte ugualmente proprie della lingua.
[2631,1] Tutto ciò si dee specialmente intendere
2632 delle radici, nelle quali gli antichi greci sono
ristrettissimi, ciascuno quanto a se, e notabilmente diversi gli uni dagli
altri, nella totalità del vocabolario delle medesime. Laddove i moderni ne sono
incomparabilmente più ricchi (come Luciano, Longino, ed anche
più i più sofistici e di peggior gusto, e i più pedanti; rispetto p. e. ad Isocrate
Senofonte ec.), ed hanno in esse
radici molto più di comune fra loro. Ma quanto ai composti o derivati fatti da
quelle radici che sono familiari a ciascuno di loro, niuno scrittor greco è
povero, nè scarso, nè troppo uniforme. Ma quando mai, sarebbero più poveri {in questa parte} i più moderni, che i più antichi. Certo
sono più timidi e servili, ed attaccati all'esempio de' precedenti, e parchi e
ritenuti e guardinghi e cauti nella novità. La qual novità quanto alle voci, non
può consistere in greco se non se in nuovi composti o derivati. (5. Ott.
1822.).