3. Giugno. 1822.
[2455,2]
{Alla p. 2451.} L'Alfieri fu arditissimo e frequentissimo
formatore di parole derivate o composte nuovamente dalle nostrali, e sebbene io
non credo ch'egli, facendo questo avesse l'occhio alla lingua greca, nondimeno
questo suo costume dava alla lingua italiana una facoltà e una forma similissima
(materialmente) all'una delle principalissime e più utili facoltà e potenze
della lingua greca. Io non cercherò s'egli si servisse di questo mezzo
d'espressione colla misura e moderatezza e discrezione che si richiede, nè se
guardasse sempre alla necessità o alla molta utilità, nè anche se tutti i suoi
derivati e composti, o se la maggior parte di loro sieno ben fatti. Ma li porto
per esempio acciocchè, considerandoli, si veda più distintamente e per prova,
{+quante idee sottili o rare o non
mai ancora precisamente significate,} quante cose difficilissime e
quasi impossibili ad esprimersi in altro modo (anche con voci forestiere), si
esprimano chiarissimamente e precisamente e facilmente con questo mezzo, senza
punto uscire della lingua nostra, e senza quindi nuocere alla purità. Certo
2456 è che
quando l'Alfieri chiama il Voltaire
Disinventore
od inventor del nulla,
*
{+(vere {principali} e proprie qualità ed attributi della sapienza
moderna)} quel disinventore dice tanto e tal
cosa, quanto e quale appena si potrebbe dire per via d'una lunga
circollocuzione, o spiegare e sminuzzare pazientemente, {stemperatamente} e languidamente in un periodo. (3. Giugno.
1822.).