Romani. Latini. Loro lingua, carattere, costumi ec.
Romans. Latins. Their language, character, customs, etc.
Vedi polizzine a parte, intitolate Romani, Latini. See separate slips entitled Romans, Latins. 735,1 838,1 915,segg. 926,12 979,1.2 980,1.2 981,1 988,1 999,2 1001,1.2 1007,1 1010,2 1012,2 1015,1 1016,1 1024,1 1023,2 1025,1 1029,1 1030-1 1038,1 1039,1 1046,2 1056,1 1067,2 1098,2 1134,1 1116,1 1132,2 1162,3 1295,1 1479 1489 1494,1 1513,1 1518,1 1848,1 1926,1 1956-7 1973,1 2007,1 2012,2 2014,1 2025,1 2036,2 2057,1 2065,1 2068,1 2080,1 2089 2091 2096 2103,1 2112,1 2126,1 2127,1 2130,2 2150,1 2166,1 2172,1 2173,3 2180,1 2181,1 2214 2266 2288,1 2131,12331,1 2402,1 2408,1 2446 2451,3 2475,1 2514-5 2572,1 2578,1 2589,1 2622,1 2634-5 2643,3 2655,2 2693,1 2694,1 2700,1 2715,2 2717 2729 2731,2 2735,1 2771,23 2779,2 2829,1 2841,marg. 2876,2 3011 3021,1 3072,3 3192,1 3251,33251-53 3366,1 3414 3561 3626,segg. 3638,3 3749,2 3818,1 3946,2 3988,1 4001,2 4050,8 4088,5 4090,6 4117,11 4173,8 4214,3 4237,2 4237,3 4243,3 4263,2 4273,2 4280,4 4284,2Romani, Latini, scrivevano, parlavano ec. in greco.
Romans, Latins, wrote, spoke, etc. in Greek.
988,1 999,2 1025,1 1518,1 1363,12 2165,1 2166,1 2609,1 4173,8[735,1] La lingua greca da' suoi principii fino alla fine, non
lasciò mai di arricchirsi, e acquistar sempre, massimamente nuovi vocaboli. Non
è quasi scrittor greco {di qualsivoglia secolo,} che
venga nuovamente in luce, il quale non possa servire ad impinguare il
vocabolario greco di qualche novità.
736 Non è secolo
della buona lingua greca (la quale si stende molto innanzi, cioè almeno a Costantino, giacchè credo che S. Basilio e S. Crisostomo si citino nel Glossario sebbene anche nel Vocabolario) ne' cui scrittori la
lingua non si trovi arricchita di nuove voci e anche modi, che non si osservano
ne' più antichi. E questi incrementi erano tutti della propria sostanza e del
proprio fondo, giacchè la lingua greca fu oltremodo schiva d'ogni cosa
forestiera, ma trovava nelle sue radici e nella immensa facilità e copia de'
suoi composti, la facoltà di dir tutto quello che bisognava, e di conformare la
novità delle parole alla novità delle cose, senza ricorrere ad aiuti stranieri.
Insomma il tesoro e la natura, e non solamente ricchezza, ma fertilità naturale
e propria della lingua greca, era tale da bastare da per se sola, a tutte le
novità che occorresse di esprimere, come un paese così fertile che fosse
sufficiente ad alimentare
737 qualunque numero di nuovi
abitatori o di forestieri. E questo si può vedere manifestamente anche per
quello che interviene oggidì. Giacchè in tanta diversità di tempi e di costumi e
di opinioni, in tanta novità di conoscenze e di ritrovati, e fino d'intere
scienze e dottrine, qualunque novità massimamente scientifica occorra di
significare e denominare, si ha ricorso alla lingua greca. Nessuna lingua viva,
ancorchè pure le lingue vive sieno contemporanee alle nostre cognizioni e
scoperte, si stima in grado di bastare a questo effetto, e s'invoca una lingua
morta e antichissima per servire alla significazione ed enunziazione di quelle
cose a cui le lingue viventi e fiorenti non arrivano. La rivoluzione francese,
richiedendosi alla novità delle cose, la novità delle parole, ha popolato il
vocabolario francese ed anche europeo, di nuove voci greche. La fisica, la
Chimica, la storia naturale, le matematiche,
738 l'arte
militare, la nautica, {la medicina, la metafisica} la
politica ogni sorta di scienze o discipline, ancorchè rinnovellate e
diversissime da quelle che si usavano o conoscevano dagli antichi greci,
ancorchè nuove di pianta, hanno trovato in quella lingua il capitale sufficiente
ai bisogni delle loro nomenclature. Ogni scienza o disciplina nuova, comincia
subito dal trarre il suo nome dal greco. E questa lingua ancorchè da tanti
secoli spenta, resta sempre inesauribile, e provvede a tutto, e si può dire che
prima mancherà all'uomo la facoltà di sapere di conoscere e di scoprire, prima
saranno esaurite tutte le fonti dello scibile, di quello che manchi alla lingua
greca la facoltà di esprimerlo, e sia inaridita la fonte delle sue denominazioni
e parole. Il qual uso, ancorchè io lo biasimi e condanni per le ragioni che ho
dette altrove p. 48
p.
50, non è però che non renda evidente e palpabile l'onnipotenza
immortale di quella lingua.
[838,1] Quanto più l'indole, la struttura, l'andamento di una
lingua, è conforme alle regole naturali, semplice, diritto ec. tanto più quella
lingua è adattata alla universalità. E per lo contrario tanto meno, quanto più
ella e[è] figurata, composta, contorta, quanto
più v'ha nella sua forma di arbitrario, di particolare e proprio suo, o de' suoi
scrittori ec. non della natura comune delle cose. Le prime qualità spettano per
eccellenza alla lingua francese, quantunque la lingua italiana le possieda molto
più della latina, anzi senza confronto; tuttavia in esse (e felicemente) cede
alla francese, come tutte le lingue moderne {Europee,}
quantunque nessuna di queste ceda in esse qualità alla latina, anzi la vinca di
gran lunga, e neppure alla greca.
[915,1] Tale infatti era la schiavitù nelle antiche
repubbliche. Tale in grecia, tale quella degl'Iloti,
stirpe tutta schiava presso i Lacedemoni, oriunda di Elos
(῞Ελος) terra (oppidum) o città (così Strabone
presso il Cellar. 1. 967.)
del Peloponneso, presa a forza da' Lacedemoni nelle
guerre, credo, Messeniache, e ridottane tutta la popolazione in ischiavitù,
{sì essa come i suoi} discendenti in perpetuo. V. l'Encicloped. Antiquités, art. Ilotes, e il Cellario 1. 973. Tale la schiavitù presso i
Romani, della quale v. fra gli altri il Montesquieu,
916
Grandeur etc.
ch. 17. innanzi alla metà. Floro 3. 19. Terra frugum ferax,
*
(Sicilia) et quodammodo suburbana provincia, latifundiis
civium Romanorum tenebatur. Hic
ad cultum agri
frequentia ergastula,
catenatique cultores, materiam bello praebuere.
*
E quanta fosse la
moltitudine degli schiavi presso ai Romani si può congetturare dalla guerra
servile, e dal pericolo che ne risultò. Ne avevano i Romani, cred'io, d'ogni
genere di nazioni; e Floro l. c. nomina un servo
Siro cagione e capo della guerra servile; Frontone
nell'ultima epist. greca,
una serva Sira ec. ec. cose che si possono vedere in tutti gli
scrittori delle antichità Romane. {+V. il Pignorio
de Servis, e, se vuoi,
l'articolo originale del Cav. Hager nello
Spettatore di Milano 1. Aprile
1818. Quaderno 97. p. 244. fine - 245. principio, dove si tocca
questo argomento della gran moltitudine de' servi romani, e se ne adducono
alcuni esempi e prove, e si cita il detto Pignorio che dovrebbe trovarsi nel Grevio ec. Cibale schiava Affricana è
nominata nel Moretum.}
[926,2] In qualunque nazione o antica o moderna s'incontrano
grandi errori contrari alla natura, come dovunque grandi cognizioni contrarie
alla natura; quivi non s'incontra niente o ben poco di grande di bello di buono.
E questo è l'uno de' principali motivi per cui le nazioni orientali, ancorchè
grandi, ancorchè la loro storia rimonti a tempi antichissimi, tempi
ordinariamente compagni del grande e del bello; ancorchè ignorantissime in
ultima analisi, e quindi prive dei grandi ostacoli della ragione e del vero, e
questo anche oggidì; tuttavia non offrano quasi niente di {vero} grande nè di {vero} bello, e ciò tanto
927 riguardo alle azioni, ai costumi, all'entusiasmo
e virtù della vita, quanto alle produzioni dell'ingegno e della immaginazione. E
la causa per la quale i Greci e i Romani soprastanno a tutti i popoli antichi, è
in gran parte questa, che i loro errori e illusioni furono nella massima parte
conformissime alla natura, sicchè si trovarono egualmente lontani dalla
corruzione dell'ignoranza, e dal difetto di questa. Al contrario de' popoli
orientali le cui superstizioni ed errori, che sebbene moderni e presenti, si
trovano per lo più di antichissima data, furono e sono in gran parte contrarie
alla natura, e quindi con verità si possono chiamar barbare. E si può dire che
nessun popolo antico, nell'ordine del grande e del bello, può venire in paragone
de' greci e de' Romani. Il che può derivare anche da questo, che forse i secoli
d'oro degli altri popoli, come degli Egiziani, degl'Indiani, de' Cinesi, de'
Persiani ec. ec. essendo venuti più per tempo, giacchè questi popoli sono molto
più antichi, la memoria loro non è passata fino a noi, ma rimasta nel buio
dell'antichità, col quale viene a coincidere la epoca dei detti secoli; e per lo
contrario ci è pervenuta la memoria sola della loro corruzione e barbarie,
succeduta naturalmente alla civiltà, e abbattutasi ad esser contemporanea della
grandezza e del fiore dei popoli greco e Romano, la qual grandezza occupa
928 e signoreggia le storie nostre, alle quali per la
maggior vicinanza de' tempi ha potuto pervenire, e perch'ella signoreggiò
effettivamente in tempi più vicini a noi. Anzi si può dire che quanto ci ha di
grande {e di bello} rispetto all'antichità nelle
storie, e generalmente in qualunque memoria nostra, tutto appartiene all'ultima
epoca dell'antichità, della quale i greci e i Romani furono effettivamente gli
ultimi popoli. Ὦ Ἕλληνες
ἀεὶ παῖδες ἐοτὲ
*
ec. Platone in persona di quel sacerdote Egiziano. (10.
Aprile. 1821). {{V. p. 2331.}}
[981,1]
Alla p. 740.
La lingua greca si era conservata sempre pura, in gran parte per la grande
ignoranza in cui erano i greci del latino. La quale si fa chiara sì da altri
esempi che ho allegati in altro pensiero p. 44 (cioè quelli
di Longino nel giudizio timidissimo
che dà di Cicerone, e di Plutarco nella prefazione alla Vita di
Demostene, della quale v. il Toup ad Longin. p. 134.) sì ancora da questo, che
laddove i latini citavano ad ogni momento parole e passi greci, {colle lettere greche,} gli scrittori greci non mai {citavano {o usavano} parole latine se
non con elementi greci,} e con maraviglia, e come cosa unica notò il
Mingarelli in un'opera di Didimo Alessandrino, Teologo del quarto
secolo, da lui per la prima volta pubblicata, due o tre parole latine
barbaramente scritte in caratteri latini. (Didym.
Alexandr.
De Trinitate Lib. 1. cap. 15. Bonon.
typis Laelii a Vulpe 1769. {fol.} p. 18. gr. et
lat. cura Johannis Aloysii
Mingarellii. Vide ib. eius not. 3. e la Lettera a Mons.
Giovanni Archinto
Sopra un'opera inedita di un antico teologo
stampata già in Venezia nella Nuova Raccolta
del Calogerà 1763. tomo XI.
e ristampata nell'Appendice alla detta opera: Capo 3. pag. 465. fine
- 466. principio. del che non si troverà
982 così facilmente altro esempio in altro
scrittore greco.
*
) {+Il che
dimostra sì che gli stessi scrittori sì che i lettori greci erano
ignorantissimi del latino, da che gli scrittori non giudicavano di poter
citare parole latine, com'elle erano scritte; e di rado anche le usavano
in lettere greche, al contrario de' latini rispetto alle voci greche e
passi greci in caratteri latini ec.} Quanto poi i greci
dovessero lottare colle circostanze per mantenersi in questa verginità anche prima di Costantino, e dopo la conquista della
Grecia fatta dai Romani si può raccogliere da queste
parole del Cav. Hager, nel luogo cit.
qui dietro (p. 980.)
p. 245. Basta consultare la celebre opera di
S.
Agostino, De civitate Dei,
onde vedere quanto i Romani al medesimo tempo
erano solleciti d'imporre non solo il loro giogo, ma anche la loro
lingua a' popoli da loro sottomessi: Opera data est, ut imperiosa
civitas, non solum iugum, verum etiam linguam suam, domitis
gentibus per pacem societatis, imponeret
*
(Lib. XIX, cap.
7.)
Ai Greci medesimi, dice Valerio Massimo, non davano giammai
risposta che in lingua latina: illud quoque magna
perseverantia custodiebant, ne Graecis unquam nisi latine
responsa darent
*
, (Lib. II., c. 2. n. 2.)
e ciò quantunque la lingua greca fosse tanto
famigliare a' Romani; nulla dimeno per diffondere la lingua latina
obbligavano perfino que' Greci, che non la sapevano, a spiegarsi per
mezzo di un interprete in latino: Quin etiam... per interpretem loqui
cogebant... quo scilicet latinae vocis honos per omnes gentes
venerabilior diffunderetur.
*
*
(ibid.).
[988,1] I latini erano veramente δίγλωττοι rispetto alla
lingua loro e alla greca 1. perchè parlavano l'una come l'altra, ma non così i
greci generalmente, anzi ordinariamente: 2. perchè scrivendo citavano del
continuo parole e passi greci, in lingua e caratteri greci, ovvero usavano
parole o frasi greche nella stessa maniera; ma non i greci viceversa, del che
vedi p. 981.
{{e p. 1052. capoverso
3.}}
{{e p.
2165.}}
[999,2] In prova di quanto la lingua greca, fosse universale,
e giudicata per tale, ancor dopo il pieno stabilimento, e durante la maggiore
estensione del dominio romano e de' romani pel mondo; si potrebbe addurre il
Nuovo Testamento, Codice della nuova religione sotto i primi
imperatori, scritto tutto in greco, quantunque da scrittori {Giudei (così tutti chiamano gli Ebrei di que' tempi),} quantunque
l'Evangelio di S. Marco si creda scritto in
Roma e ad uso degl'italiani, {+giacchè è rigettata da' {tutti i} buoni critici l'opinione che
quell'Evangelio fosse scritto originariamente in
latino;}
(Fabric.
B. G. 3. 131.) quantunque v'abbia
un'Epistola
di S. Paolo cittadino Romano,
diretta a' Romani, un'altra agli
Ebrei; quantunque v'abbiano le
Epistole dette Cattoliche, cioè universali, di S. Giacomo, e di S. Giuda Taddeo. Ma senza entrare nelle
quistioni intorno alla lingua originale del nuovo testamento, o delle diverse
sue parti, osserverò quello che dice il Fabric.
B. G. edit. vet. t. 3. p. 153. lib. 4. c.
5. §. 9 parlando dell'Epistola di S.
Paolo a' Romani: graece scripta est, non latine, etsi Scholiastes
Syrus notat scriptam esse Romane ומאבח, quo vocabulo Graecam
1000 linguam significari,
Romę tunc et in omni fere Romano imperio
vulgatissimam, Seldenus ad
Eutychium
observavit.
*
E p. 131. nota (d.) §. 3. parlando delle testimonianze Orientalium recentiorum
*
che
dicono essere stato scritto il Vangelo di S. Marco in lingua romana,
dice che furono o ingannati, o male intesi dagli altri, nam per Romanam linguam etiam ab illis Graecam
quandoque intelligi observavit Seldenus.
*
Intendi l'Opera di Giovanni Selden intitolata: Eutychii
Aegyptii Patriarchae Orthodoxorum Alexandrini Ecclesię suae Origines
ex eiusdem Arabico nunc primum edidit ac Versione et Commentario
auxit Joannes Seldenus. {+Per lo contrario Giuseppe Ebreo nel proem. dell'Archeol. §.
2. principio e fine, chiama Greci tutti coloro che non erano
Giudei, o sia gli Etnici, compresi per cons. anche i romani. E così nella Scrittura Ἕλληνες passim opponuntur
Iudaeis, et vocantur ethnici, a Christo
alieni
*
(Scapula). Così ne' Padri antichi. Il che pure
ridonda a provare la mia proposizione. E Gioseffo avendo detto di scrivere per tutti i Greci (cioè i non ebrei), scrive in
greco. V. anche il Forcell.
v. Graecus in
fine.}
[1007,1]
Alla p. 1003.
fine. Oltre le dette considerazioni la lingua francese, è anche estremamente distinta dall'Italiana,
perciò ch'ella è fra le moderne {colte} (e per
conseguenza fra tutte le lingue) senza contrasto la più serva, e meno libera;
naturale conseguenza dell'essere sopra tutte le altre, modellata sulla ragione.
Al contrario l'italiana è forse e senza forse, fra le dette lingue la più
libera, cosa la quale mi consentiranno tutti quelli che conoscono a fondo la
vera indole della lingua italiana, conosciuta per verità da pochissimi, e
ignorata dalla massima parte degl'italiani, e degli stessi linguisti. Nella
quale libertà la lingua italiana somiglia sommamente alla greca; ed è questa una
delle principali e più caratteristiche somiglianze che si trovano fra la nostra
lingua e la greca. A differenza della latina, la quale, secondo che fu ridotta
da' suoi ottimi scrittori, e da' suoi formatori e costitutori, è sommamente
ardita, e sommamente varia, non perciò sommamente
1008
libera, anzi forse meno di qualunque altra lingua antica, uno de' primi
distintivi delle quali è la libertà. Ma la lingua latina sebbene non suddita in
nessun modo della ragione, è però suddita, dirò così, di se stessa, e del suo
proprio costume, più di qualunque antica: il qual costume fisso e determinato
per tutti i versi, ancorchè ardito, ella non può però trasgredirlo, nè
alterarlo, nè oltrepassarlo ec. in verun modo; così che sebbene ella è
ricchissima di forme in se stessa, non è però punto adattabile a verunissima
altra forma, nè pieghevole se non ai modi determinati dalla sua propria usanza.
E perciò appunto, come ho detto altrove pp. 850-63 , ella non era punto adattata alla
universalità, perchè l'ardire non era accompagnato dalla libertà. E la perfetta
attitudine alla universalità consiste nel non essere nè ardita {nè varia} nè libera, come la francese. Un'altra
attitudine meno perfetta nell'essere e ardita e varia, e nel tempo stesso
libera, come la greca. L'ardire e la varietà, sebbene per lo più sono compagne
della libertà, non però sempre; nè sono la stessa cosa colla libertà, come si
vede nell'esempio della lingua latina, e bisogna {perciò} distinguere queste qualità.
[1010,2] Se i tedeschi oggidì hanno tanto a cuore, e stimano
così utile l'investigare e il conoscere fondatamente le origini della loro
lingua, e se il Morofio (Polyhist. lib. 4. cap. 4.) si lagnava che al suo tempo i
suoi tedeschi fossero trascurati nello studiare le dette origini; Dolendum
*
ec. v. Andrès, luogo cit. qui sopra, p. 249.
quanto più dobbiamo noi italiani studiare e mettere a profitto la lingua latina
(che sono le nostre origini); lingua così suscettibile di perfetta
1011 cognizione; lingua così ricca, così colta così
letterata ec. ec.; lingua così copiosa di monumenti d'ogni genere {e di tanto pregio}: laddove per lo contrario la lingua
teutonica originaria della tedesca (Andrès, ivi, p. 249. 251. 253. lin. 6. 14. 18. paragonando {anche} questi ultimi tre luoghi colla p. 266. lin.
9.) è difficilissima a conoscere con certezza, e impossibile a
conoscere se non in piccola parte, è lingua illetterata ed incolta, e
scarsissima di monumenti, e quelli che ne restano sono per se stessi di nessun
pregio (Andrès, 249-254.)
{+Aggiungete
che l'esser la lingua latina universalmente conosciuta, e stata in uso nel
mondo, ed ancora in uso in parecchie parti della vita civile, non solo giova
alla ricchezza della fonte ec. ma anche al poterne noi attingere con assai
più franchezza. Se la lingua teutonica fosse pure stata altrettanto grande e
ricca, ed a forza di studio si potesse pur tutta conoscere ec. che cosa si
potrebbe attingere da una lingua dimenticata, e nota ai soli dotti ec. ec.?
chi potrebbe intendere a prima giunta le parole che se ne prendessero? ec.
V. p. 3196.}
(4. Maggio 1821.).
[1012,2] Che la lingua latina a' suoi buoni tempi, e quando
ella era formata, si distinguesse in due lingue, l'
1013 una volgare, e l'altra nobile, usata da'
patrizi, e dagli scrittori (i quali neppur credo che scrivessero come parlavano
i patrizi) (Andrès, l. c. p. 256. nota),
che Roma al tempo della sua grandezza avesse una lingua
rustica, plebeia, vulgaris,
*
un sermo barbarus, pedestris,
militaris,
*
(Spettatore di
Milano, quaderno 97. p. 242.) è
noto e certo, senza entrare in altre quistioni, per la espressa testimonianza di
Cicerone. (Andrès, l. c.) {Del
quale antico volgare latino parlerò forse quando che sia, di
proposito.} Ora si veda quanto fosse impossibile che la lingua latina
divenisse universale, mentre i soldati, i negozianti, i viaggiatori, i
governanti, le colonie ec. diffondevano una lingua diversa dalla letterata, che
sola avendo consistenza e forma, sola è capace di universalità; e mentre
l'unicità di una lingua, come ho detto altrove pp. 321-22, è
la prima condizione per poter essere universale. Laddove la latina, non solo non
era unica nella sua costituzione e nella sua indole, dirò così, interiore, come
lo è la francese; ma era divisa perfino esteriormente in lingue diverse, e, si
può dir, doppia ec. (4. Maggio 1821). {{V. p. 1020.
capoverso 1.}}
[1015,1]
1015 Mediante le quali colonie ec. la lingua e
letteratura greca si stabilì, com'è noto, in varie parti delle
Gallie. V. il
Cellar. dove parla di
Marsiglia. E le
Gallie ebbero scrittori greci, come Favorino Arelatense, S. Ireneo (sebben forse nato greco) ec. ec. V. anche il Fabric. dove parla di Luciano, B.
Gr. lib. 4. c. 16. §. 1. t. 3. p. 486. edit. vet.
[1016,1] Un effetto dell'antico sistema di odio nazionale,
era in Roma il costume del trionfo,
costume che nel presente sistema dell'uguaglianza delle nazioni, {anche delle vinte colle vincitrici,} sarebbe
intollerabile; costume, fra tanto, che dava sì gran vita alla nazione, che
produceva sì grandi effetti, e sì utili per lei, e che forse fu la cagione di
molte sue vittorie, e felicità militari e politiche. (6. Maggio
1821.).
[1024,1]
1024 Sebbene la lingua Celtica fosse così bella ed atta
alla letteratura, {e per conseguenza, formata, e stabilita e
ferma (espressioni del Buommattei
in simil senso),} come si vede oggidì ne' monumenti che ne avanzano, e
come ho detto p. 994. fine; sebben
fosse così antica e radicata ec. nondimeno laddove i greci ancorchè sudditi
romani, e vivendo in Roma o in
italia, scrivevano sempre in greco {e non mai in latino;} nessuno scrittor gallo, nelle
medesime circostanze, scrisse mai {che si sappia} in
lingua celtica, ma in latino. (9. Maggio 1821.).
[1023,2] Alcuni scrittori greci degli ultimissimi tempi
dell'impero greco, furono anche superiori in eleganza
a molti de' tempi più antichi ma corrotti, come gli scrittori latini del
cinquecento in italia superarono bene spesso gli antichi
latini posteriori a Cic.
{e} a Virgilio.
Dopo il secolo d'Augusto non è stato mai tempo in cui sì
generalmente
*
(come nel 500.) si scrivesse con coltura e con pulitezza la lingua
de' romani.
*
Andrès, l.
cit. qui sopra, p. 96.
(8. Maggio 1821.).
[1025,1] La cognizione stessa che i greci di qualunque tempo,
ebbero de' padri e teologi latini ec. soli scrittori latini ch'essi
conoscessero, non fu {(se non forse ne' più barbari secoli di
mezzo)} paragonabile a quella che ebbero i latini dei padri, ed autori
ecclesiastici greci, massime nei primi secoli del cristianesimo, e negli ultimi
anni dell'impero greco
(Andrès loc. cit. da me p.
1023. t. 3. p. 55.), quando la dimostrarono principalmente
in occasione del concilio di Firenze. (ivi) (9.
Maggio 1821.).
[1029,1]
1029 La lingua latina superò per esempio la lingua
antica Spagnuola, la Celtica ec. mediante la semplice introduzione nella
Spagna, nelle Gallie ec. del
governo, leggi, costumi Romani. Ma a superar la greca non le bastò neppure il
trasportar nella Grecia la stessa
Roma, e quasi la stessa
Italia. (11. Maggio 1821.).
[1029,3]
{Alla p. 245.} La lingua
francese si mantiene e si manterrà lungo tempo universale, a cagione della sua
struttura ed indole. È certo però che l'introduzione di questa lingua nell'uso
comune, e il principio materiale della sua universalità, si deve ripetere e
dalla somma influenza politica della francia nel tempo
passato; e dalla sua influenza morale come la più civilizzata nazione del mondo,
e per conseguenza dalle sue mode, ec. o vogliamo dire dalla moda di esser
francese,
1030 dal regno e dittatura della moda, che la
francia ha tenuto e tiene ec.; e principalissimamente
ancora dalla sua letteratura, dalla estensione di lei, e dalla superiorità ed
influenza che ella ha acquistata sopra le altre letterature, non per altro, se
per essere esclusivamente e propriamente moderna, e perchè la letteratura
precisamente moderna è nata (a causa delle circostanze politiche, morali, civili
ec.) prima che in qualunque altra nazione, in Francia, e
quivi è stata coltivata più che in qualunque altro luogo, e più modernamente o
alla moderna che in qualunque altro paese. Ma la durata di questa universalità,
quando anche cessino le dette ragioni, (come in parte sono cessate) essa la
dovrà alla sua propria indole; laddove quella tal quale universalità acquistata
{già} dalle lingue spagnuola, italiana ec. sono
finite insieme colle ragioni estrinseche che la producevano, non avendo esse lingue disposizione
intrinseca alla universalità. Con
queste osservazioni rettifica quello che ho detto p. 240 - 245. E in quanto alla letteratura, ed alla
influenza morale ec. ec. è certo che queste furono le ragioni estrinseche della universalità della
lingua greca, la quale però ne aveva anche le sue ragioni intrinseche, mancanti affatto alla latina, che perciò
non fu mai veramente universale,
1031 nè durò, come la
greca ancor dura, non ostante che abbondasse delle ragioni estrinseche di universalità. (11. Maggio
1821.). {{V. p. 1039.
fine.}}
[1038,1] Nei tempi bassi furono veramente δίγλωττοι i
tedeschi e gl'inglesi, ossia la parte colta di queste nazioni, che scrivevano il
latino, se ne servivano per le corrispondenze, lettere ec. e parlavano le lingue
nazionali. E così pure gl'italiani, i francesi, gli spagnuoli, che parlavano già
un volgare assai diverso dal latino scritto. Ma questa:
[1039,1] 2. La lingua latina era allora veramente morta,
appresso a poco come oggi, non essendo parlata, ma solo scritta. E una lingua
solamente scritta è lingua morta. Ora, quantunque l'uso di una tal lingua morta
fosse allora più comune che oggidì, e così anche fosse dopo il risorgimento
delle lettere; la universalità delle lingue morte che si studiavano e si
studiano o per usi letterarii, o per vecchia costumanza, non entra nel mio
discorso, il quale tratta solo della universalità delle lingue vive. Così anche
oggi si potrebbe chiamare {presso a poco} universale la
lingua greca in europa, e ne' paesi colti, ma come lingua
morta. (12. Maggio 1821.).
[1046,2] Principalissime cagioni dell'essersi la lingua greca
per sì lungo tempo mantenuta incorrotta (v. Giordani nel fine della Lettera sul Dionigi) furono indubitatamente la sua
ricchezza, e la sua libertà d'indole e di fatto. La qual libertà produce in
buona parte la ricchezza; la qual libertà è la più
1047
certa, anzi necessaria, anzi unica salvaguardia della purità di qualunque
lingua. La quale se non è libera primitivamente e per indole, stante
l'inevitabile mutazione e novità delle cose, deve infallibilmente declinare
dalla sua indole primitiva, e per conseguenza alterarsi, perdere la sua
naturalezza e corrompersi: laddove ella conserva l'indole sua primitiva, se fra
le proprietà di questa è compresa la libertà. E quindi si veda quanto bene
provveggano alla conservazione della purità del nostro idioma, coloro che
vogliono togliergli la libertà, che per buona fortuna, non solo è nella sua
indole, ma ne costituisce una delle principali parti, e uno de' caratteri
distintivi. E ciò è naturale ad una lingua che ricevè buona parte di formazione
nel trecento, tempo liberissimo, perchè antichissimo, e quindi naturale, e
l'antichità e la natura non furono mai soggette alle regole minuziose e
scrupolose della ragione, e molto meno della matematica. Dico antichissimo,
rispetto alle lingue moderne, nessuna delle quali data da sì lontano tempo il
principio vero di una formazione molto inoltrata, e di una notabilissima
coltura, ed applicazione alla scrittura: nè può {di gran
lunga} mostrare in un secolo così remoto sì grande universalità e
numero di scrittori e di parlatori ec. che le servano anche oggi di modello. E
questa antichità
1048 di formazione e di coltura,
antichità unica fra le lingue moderne, è forse la cagione per cui l'indole
primitiva della lingua italiana formata, è più libera forse di quella d'ogni
altra lingua moderna colta (siccome pure dell'esser più naturale, più
immaginosa, più varia, più lontana dal geometrico ec.).
[1056,1]
1056
Alla p. 1038.
La lingua latina prima del detto tempo, ebbe anzi alcuni scrittori veramente
insigni, e come {scrittori di letteratura,} e come
scrittori di lingua; alcuni eziandio che nel loro genere furono così perfetti
che la letteratura romana non ebbe poi nessun altro da vincerli. Lasciando gli
Oratori nominati da Cic. e
principalmente i Gracchi (o C. Gracco), lasciando tanti altri {scrittori} perduti, come alcuni comici elegantissimi,
basterà nominar Plauto e Terenzio
{che ancora ammiriamo,} l'uno non mai superato in
seguito da nessun latino nella forza comica, l'altro parimente non mai
agguagliato nella più pura e perfetta e nativa eleganza. E certo (se non erro)
la Comedia latina dopo Cic.
{e al suo stesso tempo,} andò piuttosto indietro, di
quello che oltrepassasse il grado di perfezione a cui era stata portata da' suoi
antenati. E pure chi mette la perfezione della lingua latina, o la sua
formazione ec. piuttosto nel secolo di Terenzio, che in quello di Cic. e di Virgilio? E Lucrezio un secolo dopo Terenzio, si lagnava, com'è noto, della
povertà della lingua latina.
[1067,2] Le cause per cui la lingua greca formata fu liberissima d'indole e di
fatto, a differenza della latina, sono
[1098,2] La formazione intera e principale della lingua
latina, accade in un tempo similissimo (serbata la proporzione de' tempi) a
quello della francese, cioè nel secolo più civile ed artifiziato di
Roma, e (dentro i limiti della civiltà) più corrotto:
dico nel secolo tra Cic. e Ovidio. Ecco la cagione per cui la lingua
latina, come la francese, perdè nella formazione la sua libertà, ed ecco la
cagione di tutti gli effetti di questa mancanza, simili nelle dette due lingue
ec. (28. Maggio 1821.).
[1134,1] Osservo che la lingua latina è più atta a queste
speculazioni che la greca {, contro quello che può parere a
prima giunta, per causa della sua minore antichità vera o
supposta.}
[1116,1] Questa facoltà de' continuativi, è una delle
bellissime facoltà, non ancora osservata, con cui la lingua latina
diversificando regolarmente i suoi verbi e le sue parole, le adattava ad
esprimere con precisione le minute differenze delle cose, e traeva dal suo fondo
tutto il possibile partito, applicandolo con diverse e stabilite inflessioni e
modificazioni a tutti i bisogni del linguaggio; e si serviva delle sue radici
per cavarne molte e diverse significazioni, distintissime, chiare, certe, e
senza confusione; e moltiplicava con sommo artifizio e poca spesa la sua
ricchezza, e accresceva la sua potenza. Questa facoltà manca alla lingua
italiana, la qual pure si è fatti i suoi nuovi verbi frequentativi e diminutivi,
formandoli da' verbi originarii con modificazioni di desinenza. Verbi derivati,
che ora hanno la sola forza frequentativa, come appunto spesseggiare
{+e pazzeggiare, passeggiare ec. punteggiare, da punto o da pungere
ec.}; ora la sola diminutiva, come {+
tagliuzzare, sminuzzolare,}
1117
albeggiare (formato però non da altro verbo, ma da
nome, come altri pure de' precedenti; che così pure usa felicemente l'italiano),
{V. in questo proposito p. 1240-42. e nota che i
verbi in eggiare, par che almeno talvolta abbiano
un valore effettivamente continuativo, come fronteggiare, scarseggiare e molti, ma molti altri, e in diversi sensi continui, ben distinguibili dal frequente}
{e dal diminuitivo:
biancheggiare, rosseggiare, neutri ec.}
arsicciare (siccome in lat. ustulare, che anche i latini hanno i loro verbi puramente diminutivi);
ora l'una e l'altra insieme al modo de' verbi latini in itare, come canticchiare, canterellare,
{formicolare ec. (v. il Monti a questa voce, e alla v. frequentativo).} E
di altre tali formazioni di verbi {e d'altre voci;
formazioni} arditissime, utilissime a significare le differenze delle
cose, e moltiplicare l'uso delle radici, senza confondere i significati, abbonda
la lingua italiana in modo singolare, e più (credo io) che la latina, {e la stessa greca.} Ma de' continuativi manca affatto,
se alle volte non dà (come mi pare) questo o simile significato a qualche
frequentativo, o vogliamo spesseggiativo. {V. p. 1155.} Manca pure,
cred'io, la detta facoltà alla lingua greca, sì gran maestra nel diversificare e
modificare le sue radici, e moltiplicare le significazioni; ma per affermarlo mi
bisognerebbe più lunga considerazione. E nella stessa lingua latina, ch'ebbe
questa bella facoltà da principio, sembra che poi andasse in disuso, e in
dimenticanza, continuando forse talvolta ad usarsi, con formare nuovi verbi di
tal fatta, ma con una nozione confusa e non precisa del valore di tal
formazione, e con significato non ben distinto dagli altri verbi; come fecero
pure de' continuativi già formati e introdotti.
1118
Giacchè negli stessi antichi gramatici o filologi latini {de'
migliori secoli,} non trovo notizia nè osservazione positiva di questa
proprietà della loro lingua. {{V. p.
1160.}}
[1132,2] E così si scoprirebbe come da pochi monosillabi
radicali, {o tutti nomi, o quasi tutti,} che formavano
da principio tutto il linguaggio, allungandoli diversamente, e differenziandoli
con {variazioni di significato, e con} innumerabili
inflessioni, composizioni, modificazioni di ogni sorta, giungessero i latini a
cavare infinite parole, infinite significazioni, esprimerne le minime differenze
delle cose che da principio si confondevano e accumulavano
1133 in ciascuna delle dette poche parole radicali, trarne tutto ciò
che doveva servire tanto alla necessità quanto all'utilità ed alla bellezza e a
tutti i pregi del discorso, e in somma da un piccolo vocabolario monosillabo
(anzi nomenclatura) cavare tutta una lingua delle più ricche, varie, belle, e
perfette che sieno state. E così denno essersi formate tutte le lingue colte del
mondo ec. Così la Chinese ec. E sarebbe utile e curiosa cosa il formare un
albero genealogico di tutte le parole latine derivate, composte ec. da uno di
questi monosillabi, come p. e. dux, che
somministrerebbe un'infinita figliuolanza, {+senza contare le tante inflessioni particolari di
ciascuno de' verbi o nomi derivati o composti ec. ne' loro diversi casi, o
persone {e numeri} e tempi e modi, e voci (attiva e
passiva);} e si vedrebbe per l'una parte quanto le vere radici sien
poche nella latina come in tutte le lingue, per la naturale difficoltà di porle
in uso, e di far nascere la convenzione che sola le può fare intendere e
servire; per l'altra parte quanta sia l'immensa fecondità di una sola radice, e
le diversissime cose, e differenze loro, ch'ella si adatta ad esprimere mediante
i suoi figli ec. in una lingua giudiziosa e ben coltivata.
[1162,3] E finalmente spesse volte il continuativo significa
l'usanza, il costume di fare quella tale azione o atto significato dal verbo
positivo, come acceptare, datare, {captare} (v. il Forcellini), secondo
che abbiamo veduto, significano il costume di ricevere,
dare, prendere. {+(Forse captare nel senso p. e. di captare aves o pisces appartiene
piuttosto alla classe precedente de' continuativi dall'atto
all'azione.)}
{Noi abbiamo
appunto volgere, voltare (cioè volutare), e voltolare, o rivolgere, rivoltare ec. posit.ivo, contin.ivo e
freq.ivo.}
[1295,1]
Alla p. 1138.
fine, aggiungi - 4. La lingua latina ha prodotto tre figlie, che ancor
vivono, che noi stessi parliamo, e le di cui antichità, origini, progressi ec.
dal principio loro fino al dì d'oggi, si conoscono o si possono ottimamente o
sempre meglio conoscere. Che in somma è quanto dire che la lingua latina ancor
vive. E la considerazione di queste lingue fatta coi debiti lumi, ci può portare
e ci porta a scoprire moltissime proprietà della lingua latina antichissima, che
non si potrebbero, o non così bene dedurre dagli scrittori latini; e ciò stante
l'infinita tenacità del
1296 volgo che mediante il
parlar quotidiano, ha conservato dai primordi della lingua latina fino al dì
d'oggi, e conserva tuttavia nell'uso quotidiano (e le ha pure introdotte nelle
scritture) molte antichissime particolarità della lingua latina; come dimostrerò
discorrendo dell'antico latino volgare. Sicchè lo studio comparativo delle tre
lingue latino-moderne, fatto con maggior cura, di quello che finora sia stato, e
con maggiore intenzione all'effetto di scoprire le antichità della favella
materna, ci può condurre a conoscer cose latine antichissime, e primitive, o
quasi primitive. La quale facoltà di uno studio comparativo sulla lingua greca
parlata, non si ha, benchè la lingua greca viva ancora al modo che vive la
latina. Oltre che non si hanno tante comodità di conoscere così bene il greco
moderno, e le sue origini, e progressi, e generalmente la storia della lingua
greca da un certo tempo in qua; come si hanno di conoscere quello che noi
possiamo chiamare il latino moderno, e la storia della lingua latina dalla sua
formazione e letteratura fino al dì d'oggi, come dirò poi.
[1479,1] Ma siccome queste tali differenze, e quindi le
differenze ne' significati delle parole che le esprimevano, erano sottilissime,
e spesso quasi metafisiche (che gli antichi, e massime i latini furono
ammirabilmente esatti e minuti nell'assegnare e precisare i significati delle
loro voci e modi, e v. p. 1115-16.
1162. capoverso 3.); così
naturalissimamente il popolo, incapace di troppe sottigliezze, e quando anche le
concepisse, incapace di por troppo squisita cura nella scelta delle parole,
cominciò, arricchite, ingrandite,
1480 e fecondate che
furono le lingue, a confondere quella parola o quel modo con un altro di poco
diversa significazione, a servirsi indifferentemente di voci destinate ad usi
simili ma distinti, a trascurare la minuta esattezza, e a poco {a poco} a dimenticare l'esatto e primo valore di una
parola o radicale o derivativa, ad usurpare quel genere di formazioni destinato
a quel genere di significati, in significati d'altro vicino genere, e finalmente
a dimenticare il proprio e preciso valore delle parole e dei modi; e col tempo e
colla forza prepotente dell'uso (che sotto molti aspetti nelle lingue non è che
abuso) confondendo i significati, moltiplicarli {di
nuovo} in ciascuna parola, e moltiplicar le parole significanti una
stessa cosa, benchè da principio differissero. In tal modo le lingue perderono
la facoltà che avevano al loro buon tempo di esprimere distintamente le menome
differenze delle idee, e queste differenze poco conosciute o notate dai
parlatori, fecero che svanissero le piccole ma reali differenze de' significati
delle parole. Ed ecco i sinonimi.
[1488,1] Ora qual è la cagione? Vero è che il tempo abolisce
molte parole, ma infinite pur
1489 ne introduce. La
causa, secondo me, o una delle cause di questo, che veramente è fenomeno, sta in
ciò, che le parole destinate talora a simili, talora anche a diversissimi
significati, divengono col tempo sinonime, e laddove da prima, e nelle antiche
lingue ch'erano più vicine all'origine delle parole, esprimevano più e più cose,
o accidenti e modificazioni di cose, oggi esprimono una cosa sola. {+E così la proprietà della lingua latina
veramente ammirabile non si può trovare nella italiana sua figlia, e nelle
altre, che hanno tanto confuso i distintissimi significati delle parole che
hanno ereditato da lei.} E questo male va sempre e inevitabilmente
crescendo, ed è cosa dannosissima alla precisa espression delle idee, e quindi
alla precisione e chiarezza delle idee stesse. Colpa non tanto degli uomini,
quanto della natura, e del tempo al quale siamo venuti.
[1494,1] Qual lingua è più varia della latina? (se non forse
la greca). E quale è più propria? neppur forse la greca. E dalla proprietà
deriva naturalmente la varietà, come ho detto p. 1479. Ella era {strettamente} propria per legge, e non avrebbe scritto latino ma
barbaro, chi non avesse scritto con proprietà: laddove la greca potendo essere
altrettanto e più propria, era più libera, ed ho già osservato altrove p.
244 come ciascuno scrittor greco, abbia un vocabolarietto particolare,
cioè faccia uso continuo delle stesse voci, e si restringa ad una sola parte
della sua lingua, con che la proprietà non può esser perfetta. Ai latini
bisognava una perfetta cognizione ed uso della loro lingua, non solo in grosso
ma in particolare, e quindi il vocabolario che si può formare a ciascun {buono} scrittore latino è
1495
generalmente molto più ampio che a qualunque greco classico. E pur la lingua
greca era più ricca della latina. Ma la lingua di ciascun latino era più ricca
che di ciascuno scrittor greco. Eccetto gli scrittori greci più bassi, come Luciano, Longino ec. i quali sono ricchissimi, e tanto più
quanto il loro stile è meno antico, perchè i contemporanei, come Arriano, Dionigi Alicarnasseo, sono più antichi di stile, e
meno ricchi di lingua. La stessa {immensa} ricchezza
della lingua greca impoveriva gli scrittori, finch'ella non fu studiata con
un'arte perfetta ch'è sempre propria de' tempi imperfetti e scaduti.
[1513,1] I costumi delle nazioni cambiano bene spesso
d'indole, massime coll'influenza del commercio, de' gusti, delle usanze ec.
straniere. E siccome l'indole della favella è sempre il fedelissimo ritratto
dell'indole della nazione,
1514 e questa è determinata
principalmente dal costume, ch'è la seconda natura, e la forma della natura;
perciò mutata l'indole de' costumi, inevitabilmente si muta, non solo le parole
e modi particolari che servono ad esprimerli individualmente, ma l'indole, il
carattere, il genio della favella. Pur troppo è certissimo che l'indole de'
costumi italiani essendo affatto cambiata, massime dalla rivoluzione in poi, ed
essendo al tutto francese, è perduta quasi effettivamente la stessa indole della
lingua italiana. Si ha un bel dire. Una conversazione del gusto,
dell'atteggiamento, della maniera, della raffinatezza, {della
leggerezza, dell'eleganza} francese, non si può assolutamente fare in
lingua italiana. Dico italiana di carattere; e piuttosto la si potrebbe tenere
con parole purissime italiane, che conservando il carattere essenziale di questa
favella. Così dico dell'indole dello scrivere che oggi piace universalmente. È
troppo vero che non si può maneggiare in lingua italiana, e meno quanto
all'indole che quanto alle parole. È {{troppo}} vero che
l'influenza generale del
1515 costume francese in
europa, deve ed ha realmente mutata l'indole di tutte
le lingue colte, e le ha tutte francesizzate, ancor più nel carattere, che nelle
voci. E in tutta europa si travaglia a richiamar le
lingue e letterature alla loro proprietà nazionale. Ma invano. Nelle parole ch'è
il meno importante si potrà forse riuscire: ma nell'indole, ch'è il tutto, è
impossibile, se ciascheduna nazione non ripiglia il suo proprio costume e
carattere; e se noi italiani massimamente (che siamo più soggetti all'influenza,
e a pigliar l'impronta straniera, perchè non siamo nazione, e non possiamo più
dar forma altrui) non torniamo italiani. Il che dovremmo pur fare: e coloro che
ci gridano, parlate italiano, ci gridano in
somma siate italiani, che se tali non saremo,
parleremo sempre forestiero e barbaro. Ma non essendo nazione, e perdendo il
carattere nazionale, quali svantaggi derivino alla società tutta intera, l'ho
spiegato diffusamente altre volte pp. 865-66.
[1518,1] Da queste osservazioni si deduce che dopo che i
costumi greci furono radicati in Roma; dopo che i romani
andavano ad imparar le maniere del bel vivere in grecia,
come si va ora a Parigi; dopo che la moda, la bizzarria,
l'ozio derivato dalla monarchia, l'influenza della letteratura greca ec. ebbe
grecizzati i costumi e la conversazione di Roma; dopo che
le case de' nobili eran piene di filosofi, di medici, di precettori, di
domestici e uffiziali greci d'ogni sorta;
1519 dopo che
la letteratura Romana fu definitivamente modellata sulla greca, come la russa,
la svedese, la inglese del secolo d'Anna sulla francese; dopo tutto ciò la lingua romana
doveva necessariamente (quando anche non si sapesse di fatto) imbarbarire a
forza di grecismo, sì quanto ai particolari, sì quanto all'indole. E bisogna
attentamente osservare che il grecismo di que' tempi, non era già quello d'Erodoto o di Senofonte, e perciò la lingua e stile romano non fu
mai semplice nè inartifiziato; ma quello di Luciano, di Polibio ec.
cioè contorto, lavorato, elegante artifiziosamente, e similissimo all'andamento
del latino. (v. p.
1494-6. ) Il quale andamento molto si sbaglierebbe chi lo credesse
passato dal latino nel greco. Fu tutto l'opposto, e derivò dall'influenza del
greco di allora, il quale nè allora nè mai fu soggetto all'influenza del latino.
E se {+la lingua} e lo stile latino
classico fu sommamente più artifiziato per indole, che il greco classico, ciò si
deve attribuire all'indole della grecità contemporanea al classico latino.
(18. Agos. 1821.)
[1848,1]
Alla p. 1840.
principio. Eccovi infatti, contro quello che a prima vista parrebbe,
che le nazioni le più distinte nell'immaginazione, i popoli meridionali insomma,
dalle
1849 prime tracce che abbiamo della storia umana
fino a' dì nostri, si trovano aver sempre primeggiato nella filosofia, e massime
nelle grandi scoperte che le appartengono. Grecia,
Egitto, India, poi Arabi, poi
Italiani nel risorgimento. La profonda filosofia di Salomone e del figlio di Sirac, non era ella meridionale?
L'Oriente non ha primeggiato in tutta l'antichità in
ordine al pensiero, alla profondità, alle cognizioni le più metafisiche, alla
morale ec.? Confucio non fu meridionale?
Donde venne la filosofia tra' latini? dalla grecia. Chi
si distinse in essa fra tutti gli scrittori latini {+per ciò che spetta alla profondità}? gli spagnuoli
Seneca, Lucano, possiamo anche dir Quintiliano, ec. E nella teologia? gli Affricani Tertulliano, S. Agostino, ec. nella teologia e filosofia insieme?
Arnobio Affricano, e Lattanzio (credo) parimente. Fra i
greci quante sottigliezze, quante astrazioni, quante sette, quante dispute,
quanti scritti acutissimi in materie teologiche dal principio della Chiesa fino
agli ultimi secoli della
1850
Grecia. Si può dir che la teologia Cristiana sia tutta
greca. E quell'opera profondissima del Cristianesimo donde venne? dalla
Palestina. Mostratemi della filosofia antica in
qualsivoglia parte settentrionale {+o
antartica} dell'Asia,
dell'Affrica, dell'europa.
Quanto alle due prime mostratemi ancora, se potete, della filosofia moderna,
ch'io ve ne mostrerò non poca nelle loro parti meridionali. Quello che dico
della filosofia dico pur della teologia (inseparabile dalla metafisica), a
qualunque credenza ella appartenga.
[1926,1] La lingua italiana è certo più atta alle traduzioni
che non sarebbe stata la sua madre latina. Fra le lingue ch'io conosco non v'è
che la greca alla quale io non ardisca di anteporre la nostra in questo
particolare, nel quale però poca esperienza fecero i greci della lor lingua.
(16. Ott. 1821.).
[1956,1] Che la lingua tedesca sia oggi liberissima non deve
dunque far maraviglia. Tutte le lingue son tali ne' loro principii. La lingua
latina che fu poi sottomessa ad una severissima legislazione, e divenne la meno
libera fra le antiche, e per antica,
1957 fu liberissima da principio, come si può
vedere nelle scritture o frammenti de' suoi primitivi autori. In que' tempi essa
sarebbe stata così adattabile alle traduzioni com'è oggi la tedesca; laddove in
seguito, cioè quand'ella fu perfetta, ne divenne incapacissima, cioè capace di
trasportar le parole, ma non lo spirito e la vita delle scritture forestiere,
tal qual ella era.
[1973,1] Io credo possibile il tradurre le opere moderne o
filosofiche o di qualunque argomento, in buon greco (massime le italiane o
spagnuole o simili), come son certo che non si potrebbero mai tradurre in buon
latino. Se le circostanze avessero portato che la lingua greca avesse nei nostri
paesi prevaluto alla latina, e che quella in luogo di questa avesse servito ai
dotti nel risorgimento degli studi, l'uso di una lingua morta, avrebbe forse
potuto durare più lungo tempo, o almeno esser più felice (nè solo negli studi,
ma in tutti gli altri usi in cui s'adoprò la lingua latina fino alla sufficiente
formazione delle moderne europee); i nostri eleganti scrittori latini del 500.
ec. avrebbero potuto esser quasi moderni, se avessero scritto in greco, laddove
scrivendo in latino si assicurarono di non poter esser lodati se non dagli
antichi, e di servire ai passati
1974 in luogo de'
posteri, e di potersi piuttosto ricordare che sperare; e se la lingua che oggi
si studia tuttavia da' fanciulli, e quella che molti, massime in
italia, si ostinano a voler ancora adoperare in
questa o quella occasione, fosse piuttosto la greca che la latina, essa
servirebbe molto più alla vita moderna, faciliterebbe molto più il pensiero, e l'immaginazione ec. e sarebbe
alquanto più possibile il farne un qualche uso pratico ec. (23. Ott.
1821.). {{V. p.
2007.}}
[2007,1]
{Alla p.
1974.} La lingua latina è fra tutte quante la
meno adattabile alle cose moderne, perch'essendo di carattere antico, {e proprissimo, e
marcatissimo,} è priva di libertà, al contrario delle altre antiche, e
quindi incapace d'altro che dell'antico, e inadattabile al moderno, a differenza
della greca. Quindi venne e ch'ella
2008 si corrompesse
prestissimo a differenza pur della greca, e ch'ella dovesse cessare di esser
lingua universale, per intendersi scambievolmente, come oggi col francese, e
molto più di servire agli usi civili e diplomatici ec. ed essere adoperata dai
letterati e dai dotti in luogo delle parlate; dovesse dico cessare appena i
tempi presero uno spirito determinato e proprio, al quale il latino era
inadattabile. Ciò forse non sarebbe accaduto alla lingua greca, e s'ella ne'
bassi tempi fosse stata universale in europa, come lo fu
la latina, e com'essa l'era stata anticamente, e massime in
oriente, forse ella non avrebbe perduto ancora questa
qualità, e noi ci serviremmo ancora tra nazione e nazione di una lingua antica,
e in questa scriveremmo ec. Nel che saremmo in verità felicissimi per la
infinita capacità, potenza, e adattabilità di quella lingua,
2009 unite alla bellezza ec. che la fanno egualmente propria e
bastante e all'immaginazione e alla ragione di tutti i tempi. Così sarebbe
accaduto se l'armi greche avessero prevaluto in europa
alle latine. Ed infatti la lingua tedesca che è similissima alla greca ec. - v.
appresso un mio pensiero su questo particolare pp. 2176-77.
(28. Ott. 1821.)
[2012,2] Non bisogna confondere la purità {della lingua} la quale è di debito in tutte le scritture di qualunque
nazione, coll'eleganza, la quale non è di debito se non in alcune
2013 scritture, ed in altre non solo non necessaria ma
impossibile; nè perchè la lingua italiana è capacissima di eleganza, e perchè ne
sentiamo un grandissimo sapore nella più parte de' nostri buoni scrittori,
credere che gli scritti didascalici ec. se e dove non ci riescono eleganti, non
sieno italiani. Torno a dire che la precisione moderna ch'è estrema, e che in tali scritti e generi è
di prima necessità, e che oggi si ricerca sopra tutte le qualità ec. è
assolutamente di sua natura incompatibile colla eleganza: ed infatti il nostro
secolo che è quello della precisione, non è certo quello della eleganza in
nessun genere. Bensì ell'è compatibilissima colla purità, come si può vedere in
Galileo, che dovunque è preciso e
matematico quivi non è mai elegante, ma sempre purissimo italiano. Perocchè la
nostra lingua, come qualunque altra è incapace di uno stile
2014 che abbia due qualità ripugnanti e contrarie essenzialmente, ma è
capacissima dello stile preciso, non meno che dell'elegante, a somiglianza della
greca, e al contrario della francese, ch'essendo capacissima di precisione è
incapace di eleganza (quella che noi, i latini i greci intendevano per
eleganza), e della latina, capacissima di eleganza e incapace di precisione, e
però corrotta appena fu applicata alle sottigliezze teologiche, scolastiche ec.
(fra le quali fu allevata per lo contrario la nostra, e crebbe la greca) ed
anche a quelle della filosofia greca, dopo Cicerone; e quindi affatto inadattabile alle cose moderne, ed alle
traduzioni di cose moderne. (30. Ott. 1821.)
[2014,1] La mancanza di libertà alla lingua latina, venne
certo o dall'esser ella stata perfettamente applicata ne' suoi buoni tempi a
pochi generi di scrittura, ad altri imperfettamente e poco e da pochi, ad altri
punto;
2015 o dall'esser ella, come lingua formata, la
più moderna delle antiche, ed essere stata la sua formazione contemporanea ai
maggiori incrementi dell'arte che si vedessero tra gli antichi ec. ec.; o
dall'aver ella avuto in Cicerone uno
scrittore e un formatore troppo vasto
per se, troppo poco per lei, troppo eminente sopra gli altri, alla cui lingua
chi si restrinse, perdette la libertà della lingua, chi ricusollo, perdette la
purità, ed avendo riconquistata la libertà colla violenza, degenerolla in
anarchia. Perocchè la libertà e ne' popoli e nelle lingue è buona quando ella è
goduta pacificamente e senza contrasto relativo ad essa, e come legittimamente e
per diritto, ma quando ella è conquistata colla violenza, è piuttosto mancanza
di leggi, che libertà. Essendo proprio delle
cose umane dapoi che son giunte
2016
ad una estremità, saltare alla contraria,
poi risaltare alla prima, e non sapersi mai più fermare nel mezzo, dove la
natura sola nel primitivo loro andamento le aveva condotte, e sola potrebbe
ricondurle. Un simile pericolo corse la lingua italiana nel 500. quando
alcuni volevano restringerla, non al 300. come oggi i pedanti, ma alla sola
lingua e stile di Dante, Petr. e Bocc. per la eminenza di questi scrittori, anzi la prosa alla sola
lingua e stile del Boccaccio, la lirica
a quello del solo Petrarca ec. contro i
quali combatte il Caro nell'Apologia.
[2025,1] Gli antichi poeti e proporzionatamente gli scrittori
in prosa, non parlavano mai delle cose umane e della natura, se non per
esaltarle, ingrandirle, quando anche parlassero delle miserie {+e di argomenti, e in istile
malinconico.} ec. Così che la grandezza costituiva il loro modo di
veder le cose, e lo spirito della loro poesia. Tutto al contrario accade ne'
poeti, e negli
2026 scrittori moderni, i quali non
parlano nè possono parlare delle cose umane e del mondo, che per deprimerne,
impiccolirne, avvilirne l'idea. Quindi è che i linguaggi antichi sempre
innalzano e ingrandiscono, massime quelli de' poeti, i moderni sempre
impiccoliscono e abbassano {e annullano} anche quando
sono poetici. {+Anzi appunto in ciò
consiste lo spirito poetico d'oggidì (che ha sempre, e massime oggi, grandi
rapporti col filosofico di ciascun tempo). Gli antichi si distinguevano dal
volgo coll'inalzare le cose al di sopra dell'opinione comune; i moderni
poeti col deprimerle al di sotto di essa. In ciò pure v'è grandezza, ma del
contrario genere.} Onde avviene che gli scritti moderni tradotti p. e.
in latino, o le cose moderne trattate in latino, suonano tutt'altro da quello
che intendono, e ne segue un effetto discordante tra la grandezza e l'altezza
del linguaggio, e la strettezza e bassezza delle idee, ancorchè fra noi
poeticissime. (Come accaderebbe trasportando le nostre letterature in
Oriente). E viceversa traducendo gli antichi
negl'idiomi moderni, o trattando in questi le cose antiche.
[2036,2] Queste osservazioni ancora ci possono accrescer
l'idea della grande sagacità e sottigliezza della lingua latina, che è pur delle
più antiche. E notate che tutte queste sottigliezze in proposito dei
continuativi, frequentativi ec. non si debbono mica allo studio e all'arte
profonda di coloro che applicando essa lingua alla letteratura ec. le diedero
forma intera, stabile e perfetta; ma anzi oltre che precedettero di molto
quest'epoca, elle sono assai più notabili, e più visibili, e più fedelmente
osservate dagli scrittori latini più antichi, {come ho detto
in molti luoghi;} e quanto più antichi saranno i monumenti
2037 scritti latini che vorremo osservare, tanto
meglio, e più costantemente, regolarmente e distintamente vi scopriremo quelle
proprietà del loro linguaggio, che io ho dilucidate e spiegate. E pure il
Lazio era de' più rozzi paesi della terra. E pur le
osservazioni che abbiamo fatte vertono sopra qualità che ricercano un acume, una
sottigliezza, una metafisica singolare nel linguaggio e ne' suoi primitivi
formatori.
[2057,1] La poca libertà {+e la somma determinazione e precisazione del carattere e
della forma} della lingua latina che può parere strana 1. in una
lingua antica, 2. in una lingua parlata {e scritta} da
tanta moltitudine e diversità di gente e di nazioni, 3. in una lingua d'un
popolo liberissimo, e formata e ridotta a letteratura, nel tempo che la sua
libertà era anzi sì eccessiva da degenerare in anarchia, oltre le cagioni dette
altrove pp. 2014-15, ebbe certo fra le principali la
seguente.
[2065,1] Le dette circostanze della lingua latina, rendendola
poco libera, siccome necessariamente accade a tutte le lingue scritte, e
letterature che sono strettamente influite dalla società, il che le rende strette suddite dell'uso, come in
Francia, dovevano render la lingua latina {scritta, e la letteratura,} come la francese,
facilissima a corrompersi, ossia a degenerare, o perdere l'indole sua primitiva,
o quella della sua formazione; perocchè l'uso cambia continuamente, massime
cambiandosi le circostanze dei popoli, come accadde in
Roma; e la lingua scritta, e letteratura latina,
dipendendo
2066 in tutto da quest'uso, doveva per
necessità cambiar presto di faccia, come ho predetto alla francese, e l'evento
della lingua e letteratura latina, conferma la mia predizione. E le circostanze
avendo portato che gli scrittori che succedettero al secolo di Cic. e di Aug. non fossero gran cosa, perciò noi (come quelli che
in quei tempi furono di buon gusto) chiamiamo questo cambiamento (per altro
inevitabile) della lingua e letteratura latina, corruzione, e molto più quello,
parimente inevitabile, che accadde, e venne continuamente accadendo ne'
successivi tempi. In somma la lingua latina {scritta}
doveva per necessità, cambiar di forma di secolo in secolo continuamente, e così
fece, ma siccome i secoli seguenti furono corrotti, e poveri o scevri di buoni
scrittori e letterati, {(dico buoni per se stessi, come un
Cic. o un Virg.)} perciò i cambiamenti ch'ella
inevitabilmente dovea soffrire e soffrì, si chiamano
2067 e furono corruzioni. (7. Nov. 1821.).
[2068,1] Del resto le sopraddette considerazioni provano che
mentre la lingua francese, (come fu la latina) la letteratura, e i costumi
francesi, sono nemici della novità per natura, giacchè escludono l'originalità,
ed esigono l'uniformità, nondimeno, e perciò stesso, detta lingua (come la
latina) letteratura e costumi, sono più soggetti di qualunque altro alla novità,
e mutabili fino all'ultimo grado, come abbiam veduto nel fatto quanto alla
lingua latina, e come vediamo parimente in tutto ciò che spetta alla nazione
francese, la più mutabile delle esistenti, {(nel carattere
generale come nell'individuale, e in questi come in tutto il resto)} e
continua maestra e fonte di novità alle altre nazioni colte. Così che v'ha una
contraddizione essenziale nella natura di essa nazione, lingua, letteratura ec.
ossia un principio elementare che necessariamente produce due
2069 contrarii effetti. Fonte inevitabile d'inconvenienti, di
corruzione, d'istabilità ec. (7. Nov. 1821.).
[2080,1] A queste considerazioni appartiene ciò che l'autrice
ha detto immediatamente prima. Les dialectes germaniques ont pour origine une langue
mère, dans laquelle ils puisent tous. Cette source commune renouvelle et
multiplie
2081 les expressions d'une façon
toujours conforme au génie des peuples. Les nations d'origine latine ne
s'enrichissent pour ainsi dire que par l'extérieur; elles doivent avoir
recours aux langues mortes, aux richesses pétrifiées pour étendre leur
empire. Il est donc naturel que les innovations en fait de mots leur
plaisent moins qu'aux nations qui font sortir les rejetons d'une tige
toujours vivante.
*
- La lingua madre delle teutoniche
moderne, non è più viva della latina. Ma la differenza è che la latina fu
formata e determinata, l'antica teutonica no. Quella visse ed è morta, questa
non è morta, perchè non è, si può dire, vissuta. La forma certa della lingua
latina influisce sempre più o meno sulle sue figlie. Quando queste nacquero,
benchè nuove, {e non formate} contenevano in se stesse
un non so che di vecchio {e di formato,} e questo
vecchio {e questo formato} era morto. {+Quindi sempre un non so che di gêne nelle
nostre lingue, se si paragonano all'infinita libertà e potenza della tedesca
e della greca.} La madre
2082 delle moderne
teutoniche non essendo mai stata formata, si può dire che appena sia madre; si
può dire che le sue figlie non sieno figlie, ma una continuazione di lei, una
formazione e determinazione di essa, che non avea mai ricevuto forma ec. Ella
dunque ancor vive; e le lingue moderne teutoniche derivano dall'antico senza
interruzione, senza una intermedia rinnovazione totale di forme, che pone quasi
un muro di separazione fra le lingue meridionali e le loro antiche sorgenti. La
lingua antica teutonica si presta dunque al moderno come si vuole; e la radice
delle sue figlie ancor vive, perch'ella non ebbe mai una tal forma che la
determinasse e circoscrivesse e attaccasse inseparabilmente al tempo suo, ad un
carattere di una tal età, all'indole antica ec. {+e la diversificasse dalla lingua di un altro tempo, per
derivata ch'ella fosse da lei, e simile a lei, e debitrice a lei ec.}
L'ebbe bensì la latina, ed ella è morta col carattere e le circostanze di quei
tempi a' quali fu attaccata, ne' quali ricevè piena forma, e determinazione.
2083 Non l'ebbe la greca, ed ella perciò si rassomiglia sommamente
alla tedesca, ma solo per queste circostanze e qualità esteriori, non già per le
qualità intrinseche, le quali sono tanto diverse, quanto il carattere
meridionale dal settentrionale. {+E
perciò sarebbe sciocco il credere che il carattere della lingua tedesca
somigliasse a quello della greca sostanzialmente. Bisognerebbe veder tutte
due queste lingue ben formate, e allora la discrepanza dell'indole, sarebbe
somma.} Bensì, stante la detta conformità esteriore, la lingua tedesca
è adattabile a tutte le qualità intrinseche e proprie della lingua greca; ma non
senza perdere la sua natura, il suo spirito e gusto nativo, la sua originalità.
Lo sarebbe nè più nè meno anche la greca rispetto alla tedesca.
[2088,1] Ma prescindendo da ciò, quest'esempio di fatto prova
e conferma quello che in diversi luoghi pp. 1478. sgg.
pp.
1862-63
pp. 2008-2009 ho detto: 1. che
2089 le
lingue d'indole antica sono capacissime della più sottile filosofia, e di
esprimere ogni più riposta ed elementare idea umana; 2. che la lingua greca
(simile alla tedesca) lo fu, e lo sarebbe anche oggi se vivesse, ed avrebbe
potuto servire ai nostri tempi molto meglio della latina se ec. ec. ec. 3. che
la lingua italiana essendo fra le lingue moderne formate la più antica di fatto
e d'indole, la più libera ec. (tanto ch'ella vince in queste qualità la stessa
latina sua madre) è sommamente capace di filosofia, per astrusa che possa
essere, quando coloro che l'adoprano, sappiano conoscere e impiegare le sue
qualità, e le immense sue forze, e le forme di cui è suscettibile per sua
natura, e volerla applicare alle cose moderne ec. (14. Nov.
1821.).
[2090,1] Ciò non accade se non perchè il tedesco non è ben
formato, non ha indole nè costruzione ec. decisa, e decisamente propria. (E come
altrimenti se en allemagne, il n'y a de
goût fixe sur rien, tout est indépendant, tout est individuel. L'on
juge d'un ouvrage par l'impression qu'on en reçoit, et jamais par
les règles, puisque il n'y en a point de généralement admises:
chaque auteur est libre de se créer une sphère
nouvelle.
*
2.de part. ch. 1. p. 186. Qual è la nazione
e la letteratura, tale la lingua, e viceversa. Non formata quella, non formata,
non ben regolata, non determinata, non
2091
circoscritta questa.) Il greco infatti sarebbe stato capacissimo del periodo
latino, e d'ogni qualità latina (come si vide cogli effetti, secondo che dico
altrove pp. 735. sgg.
pp.
1093-94): non così viceversa, perchè il latino era pienamente formato,
e così la letteratura latina, stante le circostanze sociali e politiche della
nazione. L'italiano è così facilmente e pienamente adattabile al periodo ec.
francese, come pur troppo vediamo, ma non senza perdere la sua originalità, e il
gusto proprio e naturale della nazione
che lo parla. E questo appunto è il caso del tedesco, quando si adatta al
francese, {+(e se non lo è, ciò appunto
vuol dire che il tedesco non è ancora formato)} questo il caso del
greco quando in certo modo si adattò al latino, ec. Quest'adattabilità insomma
non è diversa dalla corruttibilità, e l'atto di essa, non è diverso dalla
corruzione. {+(Ma la corruzione vien dopo
il perfezionamento, e se un tal atto non par corruzione nel tedesco, ciò
vuol dire ch'egli non è ancora perfetto, nè in grado di manifestare una
corruzione ec.)}
[2095,1] Molto tempo ci vuole perchè una lingua riceva una
forma completa, ed un'indole al tempo stesso decisamente propria, e decisamente
definita. La lingua tedesca non ha ancora compito questo tempo, e le sue
circostanze sociali e politiche {e letterarie}
rallentano indicibilmente i suoi progressi verso questo fine. Che uniformità
trovare in una lingua, dove ogni scrittore forma da se una scuola letteraria,
dove v. p. 2090. mezzo, dove non
v'è centro nessuno 1. letterario, 2. sociale, 3. politico, 4. di opinione, 5. di
gusti, 6. di costumi ec. ec.?
[2103,1] Le stesse circostanze sociali e politiche e
cronologiche che renderono la lingua latina tanto più determinata, e meno libera
della greca, e tanto più legata rispetto a questa, quanto più perfetta rispetto
alla medesima, resero ancora la letteratura latina assai più determinata,
perfetta, formata e raffinata della greca, e forse di qualunque altra siasi mai
vista, anche (senza dubbio) fra le moderne. Ma queste medesime circostanze, e
queste medesime perfezioni la resero (siccome la lingua) assai meno originale e
varia della greca. I latini scrittori furono grandi per arte, i greci per
natura, parlando di ambedue generalmente. {+I latini ebbero un gusto certo, formato, ragionato, i
greci più naturale che acquisito, e però vario, e originale ec. Qual è la
lingua tale è sempre insomma la letteratura, e viceversa.}
[2112,1] Come anche le costruzioni, l'andamento, la struttura
ch'io chiamo naturale in una lingua, distinguendola dalla ragionevole, logica,
geometrica, abbia una proprietà universale, e sia da tutti più o meno facilmente
appresa (almeno dentro una stessa categoria di nazioni e di tempi), e come per
conseguenza la semplicissima e naturalissima (sebbene perciò appunto
figuratissima) struttura della lingua greca, dovesse facilitare la di lei
universalità; si può vedere in questo, che le scritture le più facili in
qualunque lingua per noi nuova o poco nota, sono quasi sempre e generalmente
2113 le più antiche e primitive, e quelle al cui tempo,
la lingua o si veniva formando, e non era ancor pienamente formata, o non
peranche era incominciata a formare. Così accade nello spagnuolo, così ne'
trecentisti italiani (i più facili scrittori nostri), così nella stessa
oscurissima lingua tedesca, i cui antichi romanzi (come di un certo Romanzo del 13.zo sec. intitolato Nibelung, dice espressamente la Staël) sono anche oggi assai più facili e
chiari ad intendersi, che i libri moderni. Accade insomma il contrario di quello
che a prima vista parrebbe, cioè che una lingua non formata, o non ben formata e
regolata, {e poco logica,} sia più facile della
perfettamente formata {, e logica.} (Eccetto le minuzie
degli arcaismi, che abbisognano di Dizionario per intenderli ec. difficoltà che
per lo straniero apprentif è nulla, e
non è sensibile se non al nazionale ec. ec. {+Eccetto ancora certi ardiri propri della natura, e
diversi secondo l'indole delle nazioni delle lingue, e degl'individui in
que' tempi, i quali ardiri piuttosto affaticano, di quello che impediscano
di capire. v. p. 2153.})
Parimente infatti
2114 i più antichi scrittori greci
sono i più facili e chiari, perchè i più semplici, e di costrutti e frasi le più
naturali, e lo studioso che intende benissimo Senofonte, Demostene, Isocrate ec. si
maraviglia di non intendere i sofisti, e Luciano, e Dion Cassio, e i
padri greci, e altri tali; e molto sbaglierebbe quel maestro che facesse
incominciare i suoi scolari dagli scrittori greci più moderni, credendo, come
può parere a prima giunta, che i più antichi, e più perfettamente greci, debbano
esser più difficili. Così pure accade nel latino, che i più antichi sono i più
facili, e di dizione più somigliante di gran lunga alla greca, che tale fu
infatti la letteratura latina ne' suoi principii, e la lingua latina, anche
prima della letteratura, e l'una e l'altra indipendentemente ancora
dall'imitazione e dallo studio degli esemplari e letteratura greca. Son più
facili gli antichi poeti latini, che i prosatori del secol d'oro. (18.
Nov. 1821.).
[2126,1] La gran libertà, varietà, ricchezza della lingua
greca, ed italiana, (siccome oggi della tedesca) qualità proprie del loro
carattere, oltre le altre cagioni assegnatene altrove pp. 2060-65 , riconosce come una delle
principali cause la circostanza contraria a quella che produsse le qualità
contrarie nella lingua latina e francese; cioè la mancanza di capitale, di
società nazionale, di unità politica, e di un centro di costumi, opinioni,
2127 spirito, letteratura e lingua nazionale. Omero e Dante (massime Dante) fecero
espressa professione di non volere restringere la lingua a veruna o città o
provincia d'italia, e per lingua cortigiana l'Alighieri, dichiarandosi di adottarla,
intese una lingua altrettanto varia, quante erano le corti e le repubbliche e
governi d'italia in que' tempi. Simile fu il caso d'Omero e della
Grecia a' suoi tempi e poi. Simile è quello
dell'italia anche oggi, e simile è stato da Dante in qua. Simile pertanto dev'essere
assolutamente la massima fondamentale d'ogni vero filosofo linguista italiano,
come lo è fra' tedeschi. (19. Nov. 1821.).
[2127,1] Vien pure accagionato il Sig. Botta di alcuni termini familiari, che parvero
non comportabili dalla dignità storica ..... Si mise in campo a sua discolpa
l'osservazione, esser pregio particolare della lingua italiana, l'adattarsi a
tutti i tuoni, anche ne'
2128 più gravi argomenti. Di
fatti, chi ben guardi addentro la materia, non è forse vero, che questo idioma
non si formò già nelle corti, bensì in una repubblica tempestosa, nella quale
esprimere l'energia de' sentimenti popolari, non già fornire occorreva locuzioni
temperate a gente placida, o simulata. Da questa impronta originaria ricevette
la lingua mentovata il privilegio d'essere per l'appunto in modo singolare sì
acconcia a descrivere rivoluzioni politiche. Pref. del Sig. L. di Sevelinges alla sua traduzione della
Storia ec. di C. Botta, in francese, volgarizzata
dal Cav. L. Rossi.
Milano, Botta
Storia ec. 1819. 3.za edizione t. 1. p. LXI.-II.
[2130,2] Pare sproposito, e pure è certo che una lingua è
tanto più atta alla più squisita eleganza e nobiltà del parlare il più elevato,
e dello stile più sublime, quanto la sua indole è più popolare, quanto ella è
più modellata sulla favella domestica e familiare
2131
e volgare. Lo prova l'esempio della lingua greca e italiana e il contrario
esempio della Francese. La ragione è, che sola una tal lingua è suscettibile di
eleganza, la quale non deriva se non dall'uso peregrino e ardito e figurato e
non logico, delle parole e locuzioni. Ora quest'uso è tutto proprio della
favella popolare, proprio per natura, proprio in tutti i climi e tempi, ma
soprattutto ne' tempi antichi, o in quelle nazioni che più tengono dell'antico,
e ne' climi meridionali. Quindi è che lo stesso esser popolare per indole, dà ad
una lingua la facoltà e la facilità di dividersi totalmente dal volgo e dalla
favella parlata, e di non esser popolare, e di variar tuono a piacer suo, e di
essere energica, nobile, sublime, ricca, bella, tenera ogni
volte[volta] che le piace. Insomma l'indole
popolare di una lingua rinchiude tutte le qualità delle quali una lingua umana
possa esser capace (siccome la natura rinchiude tutte le qualità e facoltà di
cui l'
2132 uomo o il vivente è suscettibile, ossia le
disposizioni a tutte le facoltà possibili); rinchiude il poetico come il logico
e il matematico ec. (siccome la natura rinchiude la ragione): laddove una lingua
d'indole modellata sulla conversazione civile, o sopra qualunque gusto,
andamento ec. linguaggio ec. di convenzione, non rinchiude se non quel tale
linguaggio e non più (siccome la ragione non rinchiude la natura, nè vi dispone
l'uomo, anzi la esclude precisamente), secondo che vediamo infatti nella lingua
latina, e molto più nella francese, proporzionatamente alle circostanze che asservissent e legano quest'ultima al suo modello ec.
molto più che la latina ec. (20. Nov. 1821.).
[2150,1]
2150 Lo stile, e la lingua di Cic. non è mai tanto semplice quanto nel Timeo,
perocch'egli è tradotto dal greco di Platone. E pure Platone fra i
greci del secol d'oro è (se non vogliamo escludere Isocrate) senza controversia il più elegante e
lavorato di stile e di lingua, e il Timeo è delle sue opere più astruse, e forse anche più lavorate,
perch'esso principalmente contiene il suo sistema filosofico. Platone il principe della raffinatezza nella lingua e
stile greco {prosaico,} riesce maravigliosamente
semplice in latino, e nelle mani di Cicerone, a fronte della lingua e stile originale degli altri latini,
e di esso Cicerone principe della
raffinatezza nella prosa latina. {+La
maggiore raffinatezza ed eleganza dell'aureo tempo della letteratura greca,
riesce semplicità trasportata non già ne' tempi corrotti ma nell'aureo della
letteratura latina, e per opera del suo maggiore scrittore.}
(23. Nov. 1821.).
[2166,1] Può far meraviglia molto ragionevole che Marcaurelio scrivesse i suoi libri τῶν εἰς
2167 ἑαυτόν, delle considerazioni di se
stesso
come lo chiama il Menagio, piuttosto in greco che in latino,
essendo romano, non allevato in grecia (nè credo che mai
ci fosse), ed avendo posto molto e felice studio nelle lettere e nella lingua
nativa, come apparisce sì da altre notizie che danno di lui gli Storici, sì
massimamente da ciò ch'egli scrive a Frontone e Frontone a
lui. Non poteva aver egli di mira, cred'io, la maggior diffusione del
suo lavoro, scrivendolo in una lingua più divulgata. Ma io credo certissimo che
egli non fosse indotto a preferir la lingua greca alla latina se non per la
maggiore libertà di quella. Della quale libertà egli aveva bisogno in un'opera
profondamente ed intimamente filosofica, e attenente alla scienza della vita e
del cuore umano, ed alle sottili speculazioni psicologiche. Non dubito ch'egli
non disperasse di potere riuscire
2168 a trattare un
tale argomento in latino, a parlare a se stesso, e di se stesso, cioè del cuor
suo ec. (non delle sue cose pubbliche come fa Cic.) in latino. Questa lingua aveva già avuto un Cic. e un Seneca, e un Tacito, eppure ancor non bastava a una certa filosofia veramente
intima. La lingua greca aveva avuto scrittori filosofici profondi, ma senza ciò,
la sua pieghevolissima e liberissima indole, si prestava a qualsivoglia genere
di argomento, grado di filosofia, {ec.} ancorchè nuovo.
La lingua latina per lo contrario: ed oltracciò quello era un tempo, dove, come
accade dopo una decisa corruzione e licenza, che richiamandosi gl'istituti umani
alla buona strada, essi cadono nell'eccesso contrario; la lingua latina e il
gusto di quel tempo (come oggi in italia) peccava di
servilità, timidità (in
vitium ducit culpę fuga
*
), come si può vedere nelle opere
di Frontone, e come dicevano i maestri
di devozione,
2169 che le anime recentemente
convertite, sogliono patire di scrupoli, e sarebbe anzi mal segno se non ne
patissero. Questo durò poco, perchè la lingua e letteratura colle cose latine
tornò a precipitare indietro ben presto. Ma in quel tempo lo stile di Seneca, e altri tali stili filosofici si
condannavano altamente dai letteratori latini, come oggi dagli italiani quello
di Cesarotti ec. e ciò serviva
d'impaccio e di spauracchio a chi volesse scrivere filosoficamente in latino,
come oggi volendo scriver buon italiano, nessuno s'impaccia più di pensare. Marcaurelio pertanto dovè sentire questo
pericolo, disperare di poter essere profondo filosofo nella lingua nativa voluta
dal suo tempo, e senza violare il gusto corrente, e dar nel naso ai critici, i
quali già lo riprendevano di cattiva {e negligente}
lingua, e di licenza dopo ch'egli s'era dato alla filosofia, e dallo studio
delle parole a quello delle cose,
2170 come apertamente
lo riprende Frontone
de
Orationibus. Trovossi adunque obbligato per esprimere
i suoi più intimi sentimenti, a sceglier la lingua greca, a creder più facile di
esprimere le cose sue più proprie, in una lingua forestiera ed altrui, che nella
propria e nativa. (Il qual bisogno pur troppo si farebbe molte volte sentire
agl'italiani rispetto al francese, se gl'italiani pensassero, ed avessero cose
proprie da dire.)
[2172,1] Sono tanto più {ardite}
poetiche le lingue e gli stili antichi, che i moderni, che {+(per quanto qualunque di esse antiche sia affine a
qualunque delle moderne, per quanto questa sia fra le moderne arditissima,
poeticissima liberissima e ciò per clima, carattere nazionale ec.)}
anche nella lingua italiana la più poetica e ardita delle perfettamente formate
fra le moderne, {e figlia germana della latina,} un
ardire della prosa latina non riesce comportabile se non in verso, un ardire
proprio dell'epica latina, non si può tollerare se non nella nostra lirica. Anzi
la più ardita delle nostre poesie (o per genere, o per istile particolare
dell'autore ec.) quando va più avanti in ardire, non va più là di quello che
andassero i greci o i latini nella loro poesia più rimessa; anzi spessissimo una
frase, metafora ec. prosaica ed usitata (forse anche familiare) in latino o in
greco, non può esser che lirica in italiano.
[2173,3] Lo spirito della lingua {e dello
stile} latino è più ardito e poetico che quello della greca (non solo
in verso ma anche in prosa), e nondimeno egli è meno libero assai. Queste due
qualità si accordano benissimo. La lingua greca aveva la facoltà di non essere
ardita, la lingua latina non l'aveva. La lingua greca poteva non solo essere
ardita
2174 e poetica quanto la latina (come lo fu bene
spesso), non solo più della latina (come pur lo fu), ma in tutti i possibili
modi, laddove la latina non poteva esserlo se non dentro un determinato modo,
genere, gusto, indole di ardiri. La libertà di una lingua si misura dalla sua
maggiore o minore adattabilità a' diversi stili, dalla maggiore o minore quasi
quantità di caratteri ch'essa contiene in se stessa, o a' quali dà luogo. {ec.} Ma ch'ella sia di un tal carattere ardito, ch'ella
[abbia] per proprietà un certo tal genere
di ardire, ciò non prova ch'ella sia libera. Ci può dunque essere una lingua
serva ed ardita, come una lingua timida e serva, (tale è la francese) una lingua
libera e non ardita, come una lingua ardita e libera. Bensì da che una lingua è
libera, non dipende che dallo scrittore ec. il renderla ardita. L'ardire dello
spirito proprio della lingua latina formata e letterata, venne dalla
2175 natura {poetica} dei
popoli meridionali, da quella degli scrittori che la formarono, dall'energia e
vivacità degl'istituti politici e dei costumi e dei tempi romani. La poca
libertà della medesima lingua venne dall'uso sociale che la strinse, l'uniformò,
le prescrisse e determinò quella tale strada, quel tal carattere e non altro. La
lingua greca sebbene in mano di popoli vivacissimi per clima, carattere,
politica, costumi, opinioni ec. nondimeno inclinò più a far uso dello stile
semplice che dell'ardito, e ciò per la natura dei tempi candidi ne' quali essa
principalmente fiorì, e fu applicata alla letteratura. Ma dai soli scrittori
dipendeva il farla ardita più della latina, e in qualunque genere, come fecero
infatti ogni volta che vollero. Laddove non dipendeva dagli scrittori latini
dopo che la lingua fu formata, il ridurla al semplice, al candido, al piano, al
riposato della
2176 lingua greca, se non fino a un
certo segno. Onde accade alle frasi latine trasportate in greco, o viceversa,
quello appresso appoco che ho detto p.
2172. ma più nel caso di trasportare le frasi greche in latino, le
quali vi riescono troppo semplici, di quello che nel caso contrario, perchè la
lingua greca si presta a tutto.
[2180,1] Della pedanteria e scrupoli intorno alla purità
della lingua, novità delle parole ec. introdottisi nella letteratura latina fino
nell'aureo secolo, anzi regnanti appresso a poco come oggi in
italia, scrupoli ignoti alla
Grecia ne' buoni tempi della sua lingua, la quale
perciò dovette esser {necessariamente} tanto più libera
rispetto alla latina anche aurea, vedi soprattutto l'Arte Poet. di Orazio.
(28. Nov. 1821.).
[2181,1] La lingua greca rassomiglia certo alla latina
(generalmente però e complessivamente parlando) più che all'italiana, com'è
naturale di due sorelle. Ma sebbene
2182 di queste due
sorelle la sola latina ci è madre, nondimeno l'italiana e la spagnola somigliano
più alla greca che alla latina. Siccome la lingua francese benchè figlia della
latina e sorella delle due sopraddette, somiglia più all'inglese, che a queste
altre ec. ec. (28. Nov. 1821.).
[2212,1] Non si pensa se non parlando. Quindi è certissimo
che quanto la lingua di cui ci serviamo pensando, è più lenta, più bisognosa di
parole e di circuito per esprimersi, ed esprimersi chiaramente, tanto (in
proporzione però della rispettiva facoltà ed abitudine degl'intelletti
individuali) è più lenta la nostra concezione, il nostro pensiero, ragionamento
e discorso interiore, il nostro modo di concepire e d'intendere, di sentire e
concludere una verità, conoscerla, il processo della nostra mente nel
sillogizzare, e giungere alle conseguenze. Nella maniera appunto che una testa
poco avvezza a ragionare, più lentamente tira da premesse evidenti e ben
concepite, e legate ec. una conseguenza parimente manifesta (il che accade
tuttodì negli uomini volgari, ed è cagione della loro poca ragionevolezza, della
loro piccolezza, tardità nell'intendere le cose più ovvie, piccolezza,
volgarità, oscurità di
2213 mente ec.); e nella maniera
che la scienza e la pratica delle matematiche, del loro modo di procedere, e di
giungere alle conseguenze, del loro linguaggio ec. aiuta infinitamente la
facoltà intellettiva e ragionatrice dell'uomo, compendia le operazioni del suo
intelletto, lo rende più pronto a concepire, più veloce {e
spedito} nell'arrivare alla conclusione de' suoi pensieri, e
dell'interno suo discorso; insomma per una parte assuefa, per l'altra facilita
all'uomo l'uso della ragione ec. Quindi deducete quanto giovi la cognizione di
molte lingue, giacchè ciascuna ha qualche proprietà e pregio particolare, questa
è più spedita per un verso, quella per un altro, questa è più potente nella tal
cosa, quella in tal altra, questa può facilmente esprimere la tale precisa idea,
quella non può, o difficilmente. Egli è indubitato: la nuda cognizione di molte
lingue
2214 accresce anche per se sola il numero delle
idee, e ne feconda poi la mente, e ne facilita il più copioso e più pronto
acquisto. Quello che ho detto della lentezza o speditezza delle lingue si deve
estendere a tutte le altre loro proprietà; povertà o ricchezza, ec. ec. anche a
quelle che spettano all'immaginazione, giacchè da queste è influita la fantasia,
e la facoltà delle concezioni fantastiche (e ragionamenti fantastici) e la
qualità di esse, come da quelle è influito l'intelletto e la facoltà del
discorso. Vedete dunque s'io ho ragione nel dire che la pratica della lingua
greca avrebbe giovato agl'intelletti più che non fece quella della latina
(lingua non solo non filosofica nè logica, come non lo è neppur la greca, ma non
adattabile, senza guastarla, alla filosofia sottile, ed all'esattezza precisa
delle espressioni e delle idee, a differenza della greca.). V. la p. 2211. fine. E quello che dico
della lingua greca, dico di
2215 ciascun'altra per la
sua parte, massime di quelle ad essa più analoghe; lo dico dell'italiana,
massime in ordine alla facoltà immaginativa, e concettiva del bello, del nobile,
del grazioso ec. la qual facoltà da nessuna moderna lingua può tanto essere
aiutata come dall'italiana, avendola ben conosciuta e familiare, o materna o no
ch'ella ci sia. (3. Dic. dì di S. Franc. Saverio. 1821.)
[2264,1] Suole la lingua italiana de' nomi sostantivi retti
dalla preposizione con, servirsi in modo di avverbi,
come con verità per veramente, con gentilezza per gentilmente, {+con effetto per effettivamente, con facilità per facilmente
(Casa, let. 43. di
esortazione..} Molto più questa facoltà è adoperata
dalla lingua spagnuola (dalla quale, almeno in parte, ell'è forse derivata
nell'italiana). Tale usanza
2265 è poco o niente
familiare ai latini, anzi si può giudicar quasi barbara in quella lingua. E
nondimeno io son persuaso ch'ella fosse solenne al volgare latino. Eccovi Orazio,
3. 29. carm. v. 33. seqq.
cetera fluminis
Ritu feruntur, nunc medio alveo
cum pace * (cioè pacificamente) delabentis Etruscum
In mare: nunc lapides adesos ec. *
Il qual esempio non portato dal Forcell. credo che difficilmente troverà il simile negli scrittori latini. Nel Forcell. non trovo alla voce Cum cosa che faccia al proposito, se non forse il §. Aliquando redundare videtur. * Vedilo, e l'Append. se ha nulla, e il Glossar. e i comentatori di Orazio. {+Solamente trovo nel Forcell. in Pax alquanto sopra la fine, un esempio di Livio citato, e un altro accennato, dove si legge cum bona pace * , e potrebbe riferirsi al mio proposito, ma propriamente non vale pacificamente, ma senza far guerra, senza molestare, in pace in somma, come noi diciamo.} Osservo ancora che questo costume proprio dell'italiano e dello spagnolo è anche proprio del greco, certo assai più di questo che del latino scritto. E siccome è certo che le dette lingue {moderne} non possono averlo derivato dal greco, così è ben verisimile 2266 che l'abbiano dal volgare latino, tanto più simile al greco che non è il latino scritto (per la qual cosa anche l'ĩdole[l'indole] dello spagnolo e dell'italiano somiglia più al greco che al latino scritto). E più simile per due cagioni 1. che egli è più antico, serba meglio i caratteri della sua origine, di quel tempo cioè in cui esso insieme col greco derivò da una stessa fonte, 2. che il greco scritto, cioè quel solo che noi {ben} conosciamo, fu senza paragone più simile al greco parlato, di quello che il latino parlato allo scritto. (21. Dic. 1821.).
cetera fluminis
Ritu feruntur, nunc medio alveo
cum pace * (cioè pacificamente) delabentis Etruscum
In mare: nunc lapides adesos ec. *
Il qual esempio non portato dal Forcell. credo che difficilmente troverà il simile negli scrittori latini. Nel Forcell. non trovo alla voce Cum cosa che faccia al proposito, se non forse il §. Aliquando redundare videtur. * Vedilo, e l'Append. se ha nulla, e il Glossar. e i comentatori di Orazio. {+Solamente trovo nel Forcell. in Pax alquanto sopra la fine, un esempio di Livio citato, e un altro accennato, dove si legge cum bona pace * , e potrebbe riferirsi al mio proposito, ma propriamente non vale pacificamente, ma senza far guerra, senza molestare, in pace in somma, come noi diciamo.} Osservo ancora che questo costume proprio dell'italiano e dello spagnolo è anche proprio del greco, certo assai più di questo che del latino scritto. E siccome è certo che le dette lingue {moderne} non possono averlo derivato dal greco, così è ben verisimile 2266 che l'abbiano dal volgare latino, tanto più simile al greco che non è il latino scritto (per la qual cosa anche l'ĩdole[l'indole] dello spagnolo e dell'italiano somiglia più al greco che al latino scritto). E più simile per due cagioni 1. che egli è più antico, serba meglio i caratteri della sua origine, di quel tempo cioè in cui esso insieme col greco derivò da una stessa fonte, 2. che il greco scritto, cioè quel solo che noi {ben} conosciamo, fu senza paragone più simile al greco parlato, di quello che il latino parlato allo scritto. (21. Dic. 1821.).
[2288,1] La lingua latina così esatta, così regolata, e
definita, ha nondimeno moltissime frasi ec. che per la stessa natura loro, e del
linguaggio latino, sono di significato così vago, che a determinarlo, e renderlo
preciso non basta qualsivoglia scienza di latino, e non avrebbe bastato l'esser
nato latino, perocch'elle son vaghe per se medesime, e quella tal frase e la
vaghezza della significazione sono per essenza loro inseparabili, nè quella può
sussistere senza questa. Come Georg. 1. 44. et Zephyro putris se gleba
resolvit.
*
Quest'è una frase regolarissima, e
nondimeno regolarmente e gramaticalmente indefinita di significazione, perocchè
nessuno potrà dire se quel Zephyro significhi al zefiro, per lo zefiro,
2289
col zefiro ec. Così quell'altra: Sunt lacrimę
rerum
*
ec. della quale altrove ho parlato p.
1337. E cento mila di questa e simili nature, regolarissime,
latinissime, conformissime alla gramatica, e alla costruzione latina, prive o
affatto, o quasi affatto d'ogni figura di dizione, e tuttavolta vaghissime e
indefinibili di significato, non solo a noi, ma agli stessi latini. Di tali
frasi abbonda assai più la lingua greca. Vedete come dovevano esser poetiche le
lingue antiche: anche le più colte, raffinate, adoperate, regolate. Qual è la
lingua moderna, che abbia o possa ricevere non dico molte, ma qualche frasi ec.
di significato indefinibile, e per la sua propria natura vago, senz'alcuna
offesa ec. della gramatica? La italiana forse alcun poco, ma molto al di sotto
della latina. La tedesca credo che in questa facoltà vinca la nostra, e tutte le
altre moderne. Ma ciò solo perch'ella non
2290 è ancora
bastantemente o pienamente formata; perch'ella stessa non è definita, è capace
di locuzioni indefinite, anzi, volendo, non potrebbe mancarne. Così accade in
qualunque lingua, nè solo nelle locuzioni, ma nelle parole. La vaghezza di
queste va in ragion diretta della poca formazione, {+uniformità, unità ec.} della lingua, e questa,
della letteratura e conversazione, e queste, della nazione. Ho notato altrove
pp. 1953-57
pp. 2080. sgg.
pp. 2087-89
pp. 2177-78 come la letteratura tedesca non avendo alcuna unità, non
abbia forma, giacchè per confessione dei conoscitori, il di lei carattere è
appunto il non aver carattere. Non si può dunque dir nulla circa le facoltà del
tedesco, che non può esser formato nè definito, non essendo tale la letteratura,
(per vastissima ch'ella sia, e fosse anche il decuplo di quel che è) e mancando
affatto la conversazione. Quindi anche le loro parole e frasi denno per
necessità avere (come hanno) moltissimo d'indefinito.
2291
(26. Dic. 1821.).
[2331,1]
Alla p. 928.
L'Asia fu la prima a brillare nel mondo per la
potenza: essa ebbe le prime nazioni le
prime patrie, e perciò ella regnò o
colle colonie, o colle leggi medesime e col governo le altre parti del mondo che
da lei furono popolate. Dopo l'Asia, o
contemporaneamente, l'Egitto divenne nazione e patria, e
l'Egitto divenne conquistatore e quasi centro del
mondo sotto Sesostri ec. La
Grecia chiamata bambina presso Platone, perchè recentissima rispetto alle dette nazioni; la
grecia, quel piccol tratto
d'europa, divenne à son tour il centro del mondo, e
la più potente parte di esso, perchè? Perch'ella in quel tempo era divenuta
nazione e patria, mentre l'Asia e
l'Egitto aveano cessato di esserlo, e conservava il
costume naturale, perduto dagli Asiatici ec. E dopo
2332 che la grecia a causa di questa preponderanza,
essendosi resa formidabile ai più grandi regni, pervenne poi anche a
conquistarli, distrusse l'immenso impero Persiano,
compreso l'Egitto, e mediante le conquiste di Alessandro, l'Asia
l'Affrica, l'europa divennero
effettivamente greche, e provincie greche, dopo tutto ciò per qual motivo
quell'italia fin allora sconosciuta nel mondo, ignota
nel numero delle nazioni e delle potenze, crescendo a poco, ingoiò la
grecia e il suo impero, e stabilì il propro regno
sulle ruine di quello di Semiramide,
di Ciro, di Alessandro ec. ec.? Perchè
l'italia più tardi delle altre parti del mondo era
divenuta nazione: la natura già fuggita anche dalla
grecia, restava in questo fondo
d'europa: vi sorgeva la mediocre civiltà (più vicina
all'eccesso della barbarie, che all'eccesso della civilizzazione a cui dopo gli
Assiri, gli Egizi, i Persiani, erano arrivati anche i greci); e questa li fece
padroni del mondo: e sempre che la mezzana civiltà troverassi in mezzo o a
popoli non tocchi affatto da incivilimento, o a popoli
2333 pienamente inciviliti (quale fu poi il caso de' settentrionali
sull'impero romano, e lo è oggi di nuovo, massime
riguardo alla Russia, sul resto
d'europa); sempre che una nazione una patria esisterà
in mezzo a popoli che non abbiano mai avuta, o per l'estremo incivilimento
abbiano perduta la nazione e la patria; la mezzana civiltà trionferà di tutto il
mondo, e quella nazione che resta, o che nasce, per piccola che sia, diverrà
conquistatrice, e segnerà il suo nome nel catalogo delle nazioni che hanno
dominato universalmente; finchè questo medesimo dominio non la ridurrà allo
stato delle potenze da lei vinte, e distruggerà il suo potere. Il che oggi,
stante la marcia accelerata delle cose umane, avverrà più presto che non soleva
anticamente.
[2402,1] Intorno alla gelosia che avevano i romani della
preminenza della loro lingua sulla greca, vedi Dione p. 946. nota 86.
(23. Aprile 1822.).
[2408,1] Che la lingua greca si conservasse incorrotta, o
quasi incorrotta, tanto più tempo della latina, e anche dopo scaduta già la
latina ch'era venuta in fiore tanto più tardi, si potrà spiegare anche
osservando, che la letteratura (consorte indivisibile della lingua) sebbene era
scaduta appresso i greci, pur aveva ancor tanto di buono, ed era eziandio capace
di tal perfezione, che talvolta non aveva che invidiare all'antica. Esempio ne
può essere la Spedizione di Alessandro, e l'Indica d'Arriano, opere di stile e di lingua così purgate, così
uguali in ogni parte e continuamente a se stesse, senza sbalzi, risalti, slanci,
voli o cadute di sorte alcuna (che sono le proprietà dello scriver sofistico e
guasto, in qualsivoglia genere, lingua, e secolo corrotto), di semplicità e
naturalezza e facilità {chiarezza, nettezza ec.} così
spontanea ed inaffettata, così ricche, così
2409
proprie, così greche insomma nella lingua, e nella maniera, e nel gusto, che
quantunque Arriano fosse imitatore,
cioè quello stile e quella lingua non fossero cose naturali in lui ma
procacciate collo studio de' Classici (come è necessario in ogni secolo dove la
letteratura non sia primitiva) e principalmente di Senofonte, non per questo si può dire ch'egli non le
avesse acquistate in modo che paiano e si debbano anzi chiamar sue, nè se gli
può negare un posto se non uguale, certo vicinissimo a quello degl'imitati da
lui. Ora il tempo d'Arriano fu quello
d'Adriano e degli Antonini, nel qual tempo la
letteratura latina, con tutto che fosse tanto meno lontana della greca dal suo
secol d'oro, non ha opera nessuna che si possa di gran lunga paragonare a queste
d'Arriano ne' suddetti pregi, come
anche in quelli d'una ordinata e ben architettata narrazione, e altre tali virtù
dello scriver di storie. Tacito fu alquanto anteriore, e nella perfezion della lingua non si
potrebbe ragguagliar troppo bene ad Arriano: forse neanche nelle doti di storico appartenenti
2410 al bello letterario, sebben egli l'avanza di molto
in quelle che spettano alla filosofia, politica ec. Ma quel che mantiene la
lingua, è la bella letteratura, non la filosofia nè le altre scienze, che
piuttosto contribuiscono a corromperla, come fece lo stile di Seneca. E però Plutarco contemporaneo di Tacito, e com'esso, alquanto più vecchio d'Arriano, non si può recar per modello nè
di lingua nè di stile, essendo però stato forse più filosofo di tutti i filosofi
greci, molti de' quali sono esempi di perfettissimo scrivere. Ma non erano così
sottili come Plutarco, siccome Cicerone non lo era quanto Seneca, questi corrottissimo nello
scrivere, e {{quegli}} perfettissimo. (1. Maggio
1822.).
[2446,1] Da tutte le quali cose è seguito che abbondando noi
sommamente di radicali, abbiamo intermesso, e poi lasciato, e finalmente quasi
dimenticato l'uso delle derivazioni, e principalmente delle composizioni di
{nuove} parole; {+e con ciò resolo assai difficile a chi voglia
richiamarlo.} Il qual uso, sebbene non tanto quanto in greco e in
latino, pur fu comune ai primi scrittori italiani, perciocchè la lingua era
ancor povera di radici, come accade a tutte le lingue ne' loro principii, e
quindi si ricorse necessariamente a questo mezzo, a cui tutte le lingue
ricorrono col perfezionarsi. Ma impinguata poi la lingua sì con questo mezzo, sì
coll'arricchirla d'infinite parole latine, che per noi, come ho detto, vengono
ad esser tante radici, si dimenticò l'uso della derivazione e composizione, come
suol pure accadere alle altre lingue per cagioni simili; p. e. alla lingua
latina accadde quando ella s'impinguò strabocchevolmente di parole greche, le
quali per lei divenivan tante radicali, e così cresciuto di moltissimo il numero
delle sue radici, dimenticò o scemò l'uso di comporre o derivare nuove parole
{+dalle già esistenti,} per li
nuovi bisogni, come
2447 ho significato di proposito
altrove pp. 740. sgg.
[2451,3] Quanto sia più naturale e semplice l'andamento della
lingua greca (tuttochè poeticissima), che non è quello della latina; e quindi
quanto men proprio suo, e quanto la
lingua greca dovesse esser meglio disposta all'universalità che non era la
lingua latina, si può vedere anche da questo.
2452
Sebben l'italiana e la spagnuola son figlie vere e immediate della latina, pure
è molto ma molto più facile di tradurre naturalmente e spontaneamente in
italiano o in ispagnuolo gli ottimi autori greci, che gli ottimi latini. E tanto
è più facile quanto i detti autori greci son più buoni, cioè più veramente e
puramente greci. Siccome per lo contrario, quanto ai latini, è tanto meno
difficile, quanto meno son buoni, cioè meno latini, come p. e. Boezio tradotto
con molta naturalezza dal Varchi, e le Vite de' SS. Padri (che non hanno
quasi più nulla del latino) tradotte egregiamente dal Cavalca, e gli Ammaestram. degli antichi
da F. Bartolomeo da S. Concordio ec. ec. Cicerone, Sallustio, Tito
Livio, difficilissimamente pigliano un sapore italiano, se non
lasciano affatto l'indole e l'andamento proprio. Al contrario di Erodoto, Senofonte, Demostene, Isocrate ec. Ora
essendo l'andamento delle lingue moderne generalmente assai più piano e meno
figurato ec. delle antiche, questo è un segno che la lingua greca, adattandosi
alle moderne molto più della latina, doveva esser molto più semplice e naturale
nella sua costruzione e forma. (30. Maggio 1822.).
[2475,1] Dell'antica fratellanza della lingua greca colla
latina, ossia della comune origine d'ambedue, e come in principio l'una non
differisse dall'altra, ma fossero in Italia e in
Grecia una lingua sola, vedi un bel luogo di Festo portato dal Forcellini v. Graecus in
fine. (14. Giugno. 1822.)
[2513,1] Queste verità sono confermate dalla storia di
qualunque letteratura e lingua. La purità dell'Atticismo non divenne un pregio
nell'idea de' greci, nè fu sinonimo d'eleganza presso loro, se non dopo che i
greci ebbero a udire ed usare familiarmente voci e frasi forestiere. Omero, Erodoto, Senofonte medesimo
(specchio d'Atticismo) erano
2514 stati elegantissimi
con voci e frasi forestiere, poco usate da' greci de' loro tempi; anzi per mezzo
appunto d'esse voci e frasi, fra l'altre cose. Non si pregia la purità, nè anche
si nomina, se non dopo la corruzione, cioè quand'essa e[è] pellegrina. E prima della corruzione si pregia il
forestiero perchè pellegrino. Ennio,
Plauto, Terenzio, Lucrezio ec. specchi della eleganza latina, son pieni di grecismi,
cioè di barbarismi. Al tempo di Cicerone, di Orazio, e molto più
di Seneca, di Frontone ec. che l'italia
parlava già mezzo greco, erano sorti i zelanti della purità, e il grecismo
lodato in Plauto e in Cecilio
Oraz.
ad
Pison.) era impugnato ne' moderni, e proibito affatto da'
pedanti, e usato con moderazione dai savi, e Cicerone se ne scusa spesso, e loda ed ama e deplora la purità
dell'antico sermone, e la favella di sua nonna, ch'al tempo di sua nonna tutti i
buoni scrittori posponevano al grecismo, quanto potevano
2515 farlo senza riuscire oscuri presso un popolo allora ignorante del
forestiero, e del greco, e delle voci e frasi che non fossero nazionali. Dal
che, e non da altro, e forse dalla stessa poca loro perizia del greco, nacque
che gli antichi scrittori latini, benchè abbondanti di grecismi e barbarismi,
pur si riputassero e fossero modelli del puro sermone Romano, rispetto agli
scrittori più moderni. E lo stesso dico degli antichi italiani.
[2572,1] Dire che la lingua latina è figlia della greca,
perchè vi si trovano molte parole e modi greci introdottivi parte dalla letteratura, parte dal commercio e
vicinanza delle colonie greco-italiane, parte dall'antico commercio avuto colla
nazione greca sempre mercatrice, parte derivanti dalla stessa comune origine
d'ambe le lingue, è lo stesso appunto che vedendo la nostra presente
2573 lingua italiana piena di francesismi, e modellata
sulla francese, conchiudere che la lingua italiana è figlia della francese. Anzi
v'ha più di francese nella presente lingua italiana (che è quasi una traduzione,
e una scimia della francese) di quel che v'abbia di greco nella lingua latina,
massime poi dell'antica. Del resto la parità va molto bene a proposito, perchè
infatti le lingue italiana e francese sono appunto sorelle, come la greca e la
latina. (20. Luglio 1822.).
[2578,1] La lingua latina ebbe un modello d'altra lingua
regolata, ordinata, e stabilita, su cui formarsi. Ciò fu la greca, la quale non
n'ebbe alcuno. Tutte le cose umane si perfezionano grado per grado. L'aver avuto
un modello, al contrario della lingua greca, fu cagione che la lingua latina
fosse più perfetta della greca, e altresì che fosse meno libera. (Nè più nè meno
dico delle letterature greca e latina rispettivamente; questa più perfetta,
quella più originale e indipendente e varia.) I primi scrittori greci, anche
sommi, ed aurei, come Erodoto, Senofonte ec. erano i primi ad applicar
la dialettica, e l'ordine ragionato all'orazione. Non
2579 avevano alcun esempio di ciò sotto gli occhi. Quindi, com'è
naturale a chiunque incomincia, infinite sono le aberrazioni loro dalla
dialettica e dall'ordine ragionato. Le quali aberrazioni passate poi e
confermate nell'uso dello scrivere, sanzionate dall'autorità, e dallo stesso
errore di tali scrittori, sottoposte a regola esse pure, o divenute regola esse
medesime, si chiamarono, e si chiamano, e sono eleganze, e proprietà {della} lingua {greca.} Così è
accaduto alla lingua italiana. La ragione è ch'ella fu molto e da molti scritta
nel 300, secolo d'ignoranza, e che anche allora fu applicata alla letteratura in
modo sufficiente per far considerare quel secolo come classico, dare autorità a
quegli scrittori, {+presi in corpo e in
massa,} e farli seguire da' posteri. I greci o non avevano affatto
alcuna lingua coltivata a cui guardare, o se ve n'era, era molto lontana da
loro, come forse la sascrita, l'egiziana, ec. e poco o niente nota, neanche ai
loro più dotti. Gl'italiani n'avevano, cioè la
2580
latina e la greca. Ma quel secolo ignorante non conosceva la greca, pochissimo
la latina, massime la latina buona e regolata. {+(Fors'anche molti conoscendo passabilmente il latino, e
fors'anche scrivendolo con passabile regolatezza, erano sregolatissimi in
italiano, per incapacità di applicar quelle regole a questa lingua, che
tutto dì favellavano sregolatamente; di conoscere o scoprire i rapporti
delle cose ec.)} Quei pochi che conobbero un poco di latino, scrissero
con ordine più ragionato, come fecero principalmente i frati, Passavanti, F.
Bartolommeo, Cavalca ec.
Dante, e più ancora il Petrarca e il Boccaccio che meglio di tutti conoscevano il buono e
vero latino, meno di tutti aberrarono dall'ordine dialettico dell'orazione.
Questi principalmente diedero autorità presso i posteri a' loro scrittori
contemporanei, la massima parte ignoranti, non solo di fatto, ma anche di
professione laici e illetterati, e che
non pretendevano di scrivere se non per bisogno, come i nostri castaldi. I quali
abbondarono di sragionamenti, e disordini gramaticali d'ogni sorta.
[2589,1] La letteratura greca fu per lungo tempo (anzi
lunghissimo) l'unica del mondo (allora ben noto): e la latina (quand'ella sorse)
naturalissimamente non fu degnata dai greci, essendo ella derivata in tutto
dalla greca; e molto meno fu da essi imitata. Come appunto in[i] francesi poco degnano di conoscere e neppur pensano
d'imitare la letteratura russa o svedese, o l'inglese del tempo d'Anna, tutte nate
dalla loro. Così anche, la lingua greca fu l'unica formata e colta nel mondo
allora ben conosciuto (giacchè p. e. l'india non era ben
conosciuta). Queste ragioni fecero naturalmente che la letteratura e lingua
greca si conservassero tanto tempo incorrotte, che d'altrettanta durata non si
conosce altro esempio. Quanto alla lingua n'ho già detto altrove p.
996,1
pp.
1093-94
pp.
2408-10. Quanto alla letteratura, lasciando stare Omero, è prodigiosa la durata della letteratura greca
non solo incorrotta, ma nello stato di
creatrice. Da Pindaro, Erodoto, Anacreonte, Saffo, Mimnermo, gli altri
lirici ec. ella dura senza interruzione fino a Demostene; se non che, dal tempo di Tucidide a Demostene, ella si restringe alla sola
Atene per
2590 circostanze
ch'ora non accade esporre. V. Velleio lib. 1. fine. Nati,
anzi propagati e adulti i sofisti e cominciata la letteratura greca {(non la lingua)} a degenerare, (massime per la perdita
della libertà, da Alessandro, cioè da
Demostene in poi), ella con
pochissimo intervallo risorge in Sicilia e in
Egitto, e ancora quasi in istato di creatrice. Teocrito, Callimaco, Apollonio Rodio ec. Finito il suo stato di creatrice, e dichiaratasi
la letteratura greca imitatrice e figlia di se stessa, cioè ridotta (come sempre
a lungo andare interviene) allo studio e imitazione de' suoi propri classici
antichi, l'esser questi classici, suoi, e questa imitazione, di se stessa, la
preserva dalla corruzione, e purissimi di stile e di lingua riescono Dionigi Alicarnasseo, Polibio, e tutta la ϕορά di scrittori greci
contemporanei al buon tempo della letteratura latina; i quali appartengono alla
classe, e sono in tutto e per tutto una ϕορά d'imitatori dell'antica letteratura
greca, e di quella ϕορά durevolissima di scrittori greci classici, ch'io chiamo
ϕορά creatrice. Corrotta già
2591 la letteratura
latina, e sfruttata e indebolita, la greca sopravvive alla sua figlia ed alunna,
e s'ella produce degli Aristidi, degli
Erodi attici, e altri tali retori
di niun conto nello stile (non barbari però, e nella lingua purissimi), ella pur
s'arricchisce d'un Arriano, d'un Plutarco, d'un Luciano, {ec.} che
quantunque imitatori, pur sanno così bene scrivere, e maneggiar lo stile e la
lingua antica o moderna, che quasi in parte le rendono la facoltà creatrice.
Aggiungi che in tal tempo la grecia, colla sua
letteratura e lingua incorrotta, era serva, e l'Italia
signora colla sua letteratura e lingua imbastardita e impoverita. (30.
Luglio 1822.).
[2622,1] Le nazioni civili dell'Asia,
dopo la conquista d'Alessandro erano
veramente δίγλωττοι cioè parlavano e scrivevano la lingua greca, non come
propria, ma come lingua colta, e nota universalmente,
2623 e letta da per tutto (e così deve intendersi il luogo di Cic.
pro
Archia), e come noi o gli svedesi o i russi o gli olandesi
scrivono il francese: noi (più di rado) per cagione della sua universalità;
quegli altri, come anche i polacchi, e al tempo di Federico i prussiani, per non aver lingua che sia
{o fosse} ancora abbastanza capace ec. Nè si dee
credere che le lingue patrie di quelle nazioni, fossero spente, neanche diradate
dall'uso, e sostituita loro la greca nella conversazione quotidiana, come
accadde della latina, nelle nazioni latinizzate. Restano anche oggi le lingue
asiatiche antiche, o dialetti derivati da quelle, o composti di quelle e d'altre
forestiere, come dell'arabica ec. E v. ciò che s'è detto altrove pp.
1000-1001 di Giuseppe Ebreo,
e Porfirio
Vit.
Plotini c. 17. nel Fabric.
B. G. t. 4. p. 119.-20. (e quivi la nota)
κατὰ μὲν πάτριον
διάλεκτον
*
. Di questi δίγλωττοι che scrivevano in lingua
non loro, e pure scrivevano anche egregiamente, fu Luciano da Samosata, {+v. le sue opp., dove fa cenno della sua
lingua patria,} e tali altri di que' tempi; anzi tutti gli Asiatici
2624 che scrissero in greco (eccetto quelli delle
Colonie, come Arriano, Dionigi Alicarnasseo ec.), alcuni Galli
non Marsigliesi nè d'altra colonia greco-gallica (come Favorino), alcuni Africani, massime Egiziani (perchè
nel resto dell'Affrica, {esclusa la Cirenaica,} trionfò la lingua latina, ma
come lingua de' letterati e del governo ec. non come popolare, per quanto
sembra), alcuni italiani (come M.
Aurelio) ec. ec. (9. Sett. 1822.). {+Questo appunto fu quello che la lingua latina non
ottenne mai, o quasi mai, cioè d'esser bene intesa, parlata, letta, scritta
da quelli che non la usavano quotidianamente come propria, e così si deve
intendere il citato luogo di Cic.
latina suis finibus, exiguis
sane, continentur.
*
Pur non erano tanto
ristretti neppur allora, quanto all'uso quotidiano, essendo già stabilito il
latino in Affrica ec.}
[2633,1]
2633 Dalle suddette cose si può conoscere che l'immensa
ricchezza della lingua greca, non pregiudicava alla facilità di scriverla, e
quindi non s'opponeva alla sua universalità, non essendo necessaria più che
tanta ricchezza (o usata o conosciuta e posseduta) non solo per iscrivere e
parlar greco, ma eziandio per iscriverlo e parlarlo egregiamente; e bastando
poche radici per questo; poichè restavano liberi i composti all'arbitrio dello
scrittore, o quando anche non restassero liberi, infiniti composti e derivati
portava seco ciascuna radice, onde lo scrittore pratico di poche radici veniva
subito ad avere una lingua molto sufficiente a tutti i suoi bisogni. Il che
scemava infinitamente la difficoltà che si prova nelle lingue, perchè un
vocabolario sufficientissimo
2634 allo scrittore o
parlatore si riduceva sotto pochi elementi, e procedeva da pochi principii ossia
radici, e quindi era molto più facile ad impararlo ed impratichirsene, che se
esso senza essere niente maggiore, avesse contenuto tutta la lingua, ma fosse
proceduto da più numerose e diverse radici. Tutte queste circostanze siccome
quelle notate nel pensiero precedente non si trovavano nella lingua latina, che
meno ricca della greca, era però per la sua ricchezza più difficile a scrivere e
a parlare che la greca non fu, perchè la ricchezza (ancorchè minore) della
latina, bisognava averla tutta in contanti, a volere scrivere e parlar latino, e
massimamente a farlo bene. E l'orecchie latine erano delicatissime come le
francesi, circa il vero e
2635 proprio andamento {(e la purità)} della loro lingua, che rispetto alla
greca era liberissimo, cioè sommamente vario, ed in gran parte ad arbitrio.
(8. Ottobre. 1822.).
[2643,3] È bello a paragonare il luogo di Cic.
pro Archia
da me recato altrove p. 240
p.
2623
p.
2735, sulla ristrettezza geografica
2644
della lingua latina al suo tempo, col luogo di Plutarco sulla sua immensa propagazione a tempo di
Traiano, il qual luogo è portato dal
Perticari l. sop. cit. c. 8. princip. p.
88.
(28. Ottob. 1822.). {{V. anche il med. Pertic. ib.
{p. 89. e} 92-94.}}
[2655,2]
Quin adeo de
fin. I. 3. ausus est Cicero latinam quoque linguam dicere
locupletiorem quam graecam, qua de re saepe se disseruisse confirmat.
Sed contradicunt merito primum ipse Cicero
tusc. II. 15. et apud
Augustinum
contra acad. II. 26;
tum Lucretius I. 140. 831; Fronto
apud Gellium II.
26.
*
Maius ad Cic.
de repub. p. 67. not.
(18. Dic. 1822.).
[2693,1] Degli scrittori non romani che scrissero in latino,
e son tenuti classici in quella lingua e letteratura vedi Perticari, Apologia di Dante, capo 30.
p. 314-16. (Recanati 16. Maggio.
1823.).
[2694,1]
2694 Formata una volta una lingua illustre, cioè una
lingua ordinata, regolare, stabilita e grammaticale, ella non si perde più
finchè la nazione a cui ella appartiene non ricade nella barbarie. La durata
della civiltà di una nazione è la misura della durata della sua lingua illustre
e viceversa. E siccome una medesima nazione può avere più civiltà, cioè dopo
fatta civile, ricadere nella barbarie, e poi risorgere a civiltà nuova, ciascuna
sua civiltà ha la sua lingua illustre nata, cresciuta, perfezionata, corrotta,
decaduta e morta insieme con lei. Il qual rinnuovamento e di civiltà e di lingua
illustre, ha, nella storia delle nazioni conosciute, o vogliamo piuttosto dire,
nella storia conosciuta, un solo esempio, cioè quello della nazione italiana.
Perchè niuna delle altre nazioni state civili in antico, sono risorte a civiltà
moderna e presente, e niuna delle nazioni presentemente civili, fu mai civile
(che si sappia) in antico, se non l'italiana. Così niun'altra nazione può
mostrare due lingue illustri da
2695 lei usate e
coltivate generalmente, (come può far l'italiana) se non in quanto la nostra
antica lingua, cioè la latina, si diffuse insieme coi nostri costumi per
l'europa a noi soggetta, e fece per qualche tempo
italiane di costumi e di lingua e letteratura le Gallie,
le Spagne, la Numidia (che non
è più risorta a civiltà) ec.
[2700,1] La cagione per cui negli antichissimi scrittori
latini si trova maggiore conformità e di voci e di modi colla lingua italiana,
che non se ne trova negli scrittori latini dell'aureo secolo, e tanto maggiore
quanto sono più antichi, si è che i primi scrittori di una lingua, mentre non
v'è ancora lingua illustre, o non è abbastanza formata, divisa dalla plebea,
fatta propria della scrittura, usano un più gran numero di voci, frasi, forme
plebee, idiotismi ec. che non fanno gli scrittori seguenti; sono in somma più
vicini al plebeo da cui le lingue scritte per necessità incominciano, e da cui
si vanno dividendo solamente appoco appoco, usano una più gran parte della
lingua plebea ch'è la sola ch'esista allora nella nazione, o che
2701 non è abbastanza distinta dalla lingua nobile e
cortigiana ec. sì perchè quella lingua che si parla (com'è la cortigiana) tien sempre più o meno della plebea; sì
perchè allora i cortigiani ec. non hanno l'esempio e la coltura derivante dalle
Lettere nazionali e dalla lingua nazionale scritta, per parlare molto
diversamente dalla plebe. Ora l'unica lingua che possano seguire e prendere in
mano i primi scrittori di una lingua, si è la parlata, giacchè la scritta ancor
non esiste. E siccome la lingua italiana e le sue sorelle non derivano dal
latino scritto ma dal parlato, e questo in gran parte non illustre, ma
principalmente dal plebeo e volgare, quindi la molta conformità di queste nostre
lingue cogli antichissimi e primi scrittori latini. Vedi un luogo di Tiraboschi appresso Perticari, Apologia di Dante, capo 43.
pag. 430. (20. Maggio 1823).
[2715,2] Di quelli che nel 500. volevano restringere la
lingua italiana della poesia a quella del Petrarca, e della prosa a quella del solo Boccaccio, vedi
Perticari
Degli Scritt. del 300. l. 2. c. 12. p.
178. colle similitudini che ivi pone de' greci e de' latini, e Apologia di Dante c. 41. p.
407-{10.}
(23. Maggio 1823.).
[2715,3] Ho detto altrove pp. 787. sgg. che
la lingua francese, povera di forme, è tuttavia ricchissima e sempre più si
arricchisce di voci. Distinguo. La lingua francese è povera di sinonimi, ma
ricchissima di voci denotanti ogni sorta di cose e di idee, e ogni menoma parte
di ciascuna cosa e di ciascuna idea. Non può molto variare nella espressione
d'una cosa medesima, ma può variamente esprimere le più varie e diverse cose. Il
che non possiamo noi, benchè possiamo ridire
2716 in
cento modi le cose dette. Ma certo è sempre varia quella scrittura che può esser
sempre propria, perchè ad ogni nuova cosa che le occorre di significare, ha la
sua parola diversa dalle altre per significarla. Anzi questa è la più vera, la
più sostanziale, la più intima, la più importante, ed anche la più dilettevole
varietà di lingua nelle scritture. E quelle scritte in una lingua soprabbondante
di sinonimi, per lo più sono poco varie, perchè la troppa moltitudine delle voci
fa che ciascheduno scrittore per significare ciaschedun oggetto, scelga fra le
tante una sola o due parole al più, e questa si faccia familiare e l'adoperi
ogni volta che le occorre di significare il medesimo oggetto; e così ciascheduno
scrittore in quella lingua abbia il suo vocabolarietto diverso da quel degli
altri, e limitato: come altrove ho detto pp. 244-45
pp.
2386-87
pp.
2397-400
pp. 2630-32 accadere
agli scrittori greci ed italiani. E osservo che sebbene
2717 la lingua greca è molto più varia della latina, nondimeno per la
detta ragione le scritture greche, massime quelle degli ottimi e originali, sono
meno varie delle latine per ciò che spetta ai vocaboli e ai modi. (23.
Maggio 1823.). {{V. p. 2755.}}
[2728,1] Ma io escludo dal bene scrivere i professori di
scienze matematiche o fisiche, e {di quelle} che
tengono dell'uno e dell'altro genere insieme, o che all'uno o all'altro
s'avvicinano. E di questa sorta di scienze in verità non abbiamo buoni {ed eleganti} scrittori nè antichi nè moderni, se non
pochissimi. I greci trattavano queste scienze in modo mezzo poetico, perchè poco
sperimentavano e molto immaginavano. Quindi erano in esse meno lontani
dall'eleganza. Ma certo essi ne furono tanto più lontani, quanto più furono
esatti. {+Platone è fuori di questa classe.} Gli antichi
lodano assai lo stile d'Aristotele e di
Teofrasto. Può essere ch'abbiano
riguardo ai loro scritti politici, morali, metafisici, piuttosto che ai
naturali. Io dico il vero che nè in questi
2729 nè in
quelli non sento grand'eleganza. {+(Quel ch'io ci trovo è
purità di lingua e un sufficiente e moderato atticismo: l'uno e l'altro,
effetto del secolo e della {dimora} anzi che
dello scrittore {, e insomma natura e non
arte}. Niuna eleganza però nè di stile nè di parole. Anzi sovente grandissima
negligenza sì nella scelta sì nell'ordine e congiuntura de' vocaboli; poca
proprietà, e non di rado niuna sintassi.)} Ben la sento e moltissima
in Celso, vero e forse unico modello
fra gli antichi e i moderni del bello stile scientifico-esatto. Col quale si
potrà forse mettere Ippocrate. I latini
ebbero pochi scrittori scientifici-esatti. E di questi, fuori di Celso, qual è che si possa chiamare
elegante? Non certamente Plinio, il
quale se si vorrà chiamar puro, si chiamera così, perchè anch'egli per noi fa
testo di latinità. Lascio Mela, Solino, Varrone, Vegezio, Columella ec. Il
nostro Galileo lo chiami elegante chi non
conosce la nostra lingua, e non ha senso dell'eleganza. (V. Giordani, Vita del Cardinale
Pallavicino). Il Buffon sarebbe unico fra' moderni per il modo elegante di trattare le
scienze esatte: ma oltre che la storia naturale si presta all'eleganza più
d'ogni altra di queste scienze; tutto ciò che è elegante in lui, è estrinseco
alla scienza propriamente detta,
2730 ed appartiene a
quella che io chiamo qui filosofia propria, la quale si può applicare ad ogni
sorta di soggetti. Così
fece il Bailly nell'Astronomia. Sempre
che usciamo dei termini dottrinali e insegnativi d'una scienza esatta, siamo
fuori del nostro caso. La scienza non è più la materia {ma
l'occasione} di tali scritture; {+non s'impara la scienza da esse, nè questa fa progressi
diretti, per mezzo loro, nè riceve aumento diretto dalle proposizioni
ch'esse contengono:} elle sono considerazioni sopra la scienza.
(28. Maggio. Vigilia del Corpus Domini. 1823.). {{I pensieri di Buffon non compongono e non espongono la scienza, non sono e non
contengono i dogmi della medesima, o nuovi dogmi ch'esso {le} aggiunga, ma la considerano, e versano sopra di lei e sopra i
suoi dogmi. Si può ornare una materia coi pensieri e colle parole. Tutte le
materie sono capaci dell'ornamento de' pensieri, perchè sopra ogni cosa si
può pensare, e stendersi col pensiero quanto si voglia, più o meno lontano
dalla materia strettamente presa. Ma non tutte si possono ornare colle
parole. Il Buffon adornò la
scienza con pensieri
2731 filosofici, e a questi
pensieri non somministrati ma occasionati dalla storia naturale, applicò
l'eleganza delle parole, perch'essi n'erano materia capace. Ma i fisici, i
matematici ordinariamente non possono e non vogliono andar dietro a tali
pensieri, ma si ristringono alla sola scienza.}}
[2731,2] In proposito della prontissima decadenza della
letteratura latina, e della lunghissima conservazione della greca, è cosa molto
notabile, come dopo Tacito, cioè dall'imperio di Vespasiano in poi (fino al quale si stendono le
2732 sue storie) la storia latina restò in mano dei greci, e le azioni
nostre furono narrate da Appiano, Dione, Erodiano, anche prima della traslocazione
dell'imperio a Constantinopoli, e dopo questa da Procopio, Agazia, Zosimo ec. Senza i quali la storia del nostro
impero da Vespasiano in poi, sarebbe quasi cieca, non avendo altri scrittori
latini che quei miserabili delle Vite degli Augusti, piene di
errori di fatto, di negligenza, di barbarie, e Ammiano non meno barbaro, per non dir di Orosio e d'altri tali più miserabili
ancora. Così quella nazione che ne' tempi suoi più floridi aveva narrato le sue
proprie cose, e i suoi splendidissimi gesti, e le sue altissime fortune, e forse
prima d'ogni altra, aveva dato in Erodoto l'esempio e l'ammaestramento di questo genere di scrittura;
dopo tanti secoli, quando già non restava se non la lontana memoria della sua
grandezza, estinto il suo imperio e la sua potenza, fatta
2733 suddita di un popolo che quando ella scriveva le sue proprie
storie, ancora non conosceva, seguiva pure ad essere l'istrumento della memoria
dei secoli, e i casi del genere umano e di quello stesso popolo dominante che
l'aveva ingoiata, ed annullato da gran tempo la sua esistenza politica, erano
confidati unicamente alle sue penne. Tanto può la civilizzazione, e tanto è vero
che la civilizzazione della grecia ebbe una prodigiosa
durata, e vide nascere e morire quella degli altri popoli (anche grandissimi), i
quali erano infanti, anzi ignoti, quand'ella era matura e parlava e scriveva; e
giunsero alla vecchiezza e alla morte, durando ancora la sua maturità, e
parlando essa tuttavia e scrivendo. Veramente la grecia
si trovò sola civile nel mondo ai più antichi tempi, e senza mai perdere la sua
civiltà, dopo immense vicissitudini di casi, così universali
2734 come proprie, dopo aver veduto passare l'intera favola del più grande impero, che nella
di lei giovanezza non era ancor nato; dopo aver communicata la sua civiltà a
cento altri popoli, e vedutala in questi fiorire e cadere, tornò un'altra volta,
in tempi che si possono chiamar moderni, a trovarsi sola civile nel mondo, e
nuovamente da lei uscirono i lumi e gli aiuti che incominciarono la nuova e
moderna civiltà nelle altre nazioni.
[2735,1]
Nam si quis minorem
gloriae fructum putat ex graecis versibus percipi, quam ex latinis,
vehementer errat; propterea, quod graeca leguntur in omnibus fere
gentibus, latina suis finibus, exiguis sane, continentur. Quare si res
hae, quas gessimus, orbis terrae regionibus definiuntur; cupere debemus,
quo manuum nostrarum tela pervenerint, eodem gloriam, famamque
penetrare.
*
Cic., Orat. pro Archia poeta cap. 10. Dunque se le cose latine
continebantur suis finibus, le cose greche legebantur anche extra suos
fines, dunque anche da quelli che non parlavano naturalmente il greco,
dunque s'elle legebantur in omnibus fere gentibus,
quasi tutte le nazioni intendevano il greco benchè non
2736 fossero greche, dunque il mondo era δίγλωσσος, dunque la lingua
greca era universale di quella universalità ch'oggi ha la francese. Nè per suis finibus si possono intendere i termini
dell'impero latino, i quali certamente non erano
angusti ai tempi di Cicerone, e lo
dimostra anche quello che segue nel medesimo passo addotto. (31. Maggio.
1823.).
[2771,3] Come la lingua latina abbia conservato l'antichità
più della greca, si dimostra ancora con queste considerazioni. 1. La lingua
latina conserva nell'uso comune de' suoi buoni tempi e de' seguenti (non solo
degli anteriori) i temi, o altre voci regolari di verbi che tra' greci, avendo
le stesse radici che in latino, ma essendo però difettivi o anomali, non
conservano i loro primi temi o quelle tali voci regolari, o non le usano se non
di rarissimo,
2772 o talmente ch'essi temi ed esse voci
non si trovano se non presso gli antichissimi autori, o presso i poeti soli, i
quali in ciascuna lingua che ha favella poetica distinta, conservano sempre gran
parte d'antichità per le ragioni che ho detto altrove pp. 2639. sgg. Dovechè la lingua latina
usa essi temi ed esse voci universalmente sì nella prosa come nel verso, ed
usale ne' secoli in ch'ella era già formata e piena, ed usale eziandio non come
rare, nè come quasi licenze o arcaismi, ma tutto dì e regolarmente e come temi e
voci proprie e debite di quei verbi a' quali appartengono. Per esempio il verbo
do, si è il tema di δίδωμι (e nota che questo
verbo in greco non è neppure anomalo nè difettivo, {+ma l'uso l'ha cangiato interamente dal suo primo stato,
a differenza del verbo latino do.).} Il qual
tema conservasi nel latino in tutti i composti d'esso verbo, come {credo, edo, trado,}
addo, {subdo,
prodo, vendo, perdo,}
indo, condo, reddo, dedo, {ec.}
{+(ne' quali per istraordinaria anomalia è mutata la
coniugazione di do dalla prima nella terza:
non così in circumdo as, venundo as, pessundo as
ec.).} Ma in nessun composto del verbo δίδωμι comparisce nel
greco il suo vero tema. ῎Eδω voce e tema di verbo anomalo o difettivo, non si
troverà,
2773 credo, in greco se non presso i poeti, ma
tra' latini edo e il suo composto comedo sono voci e verbi di tutti i secoli e di tutte le scritture.
Eo ἔω tema da cui nascono in greco tanti verbi,
non si trova nè fra' poeti greci nè fra' prosatori ma egli è comune e proprio ai
latini, e ne nasce un verbo usitatissimo, co' suoi composti, che tutti
conservano il tema intatto {e conservano altresì tutta la sua
coniugazione perfettamente,}
redeo, abeo, exeo, ineo, subeo, coeo,
{adeo, circumeo, pereo, intereo, obeo, prodeo,
introeo, veneo, prętereo, transeo,} ec. Nessun
composto greco conserva il tema ἔω. Lateo è il
medesimo che λήϑω, voce, {e} tempo ben raro negli
scrittori greci, e verbo difettivo in greco, ma {tema}
comune e usitatissimo, e verbo quasi perfetto e regolare in latino. {Il tema λήϑω trovasi espressamente in Senofon.
Simpos. c. 4. §. 48.} I Dori e gli
Eoli dicevano probabilmente λάϑω. Patior che sta in
luogo dell'attivo patio (il quale pur si trova
nell'antica latinità) è più vicino al πήϑω, (Dor. ed Eol. πάϑω) inusitato in
greco, che non è l'usitato πάσχω. {Composti, per-petior ec.} Il verbo fero, s'io non m'inganno, ha più voci in latino che in
greco. Del tema sto equivalente all'inusitato στάω, altrove pp. 2142. sgg.
{+Il tema στάω non si trova, ch'io sappia in greco. Il
verbo si trova, cioè ἔστην ἕστηκα στήσας, στάς ec. ma è difettivo. Il
verbo sto è intero.}
[2779,2] Che il proprio tema de' verbi ἱστάω, ἵστημι ἵσταμαι
fosse στάω, come forse ho detto nella mia teoria de' continuativi
pp. 2142-45 parlando di
sisto, e che l'iota sia una giunta fatta al tema
per proprietà di lingua, si conosce sì dalle molte voci di questi verbi che
mancano di quell'ι paragogico, e da tutti i loro derivati che parimente
2780 ne mancano, sì dal verbo ἵπταμαι il quale colla
medesima paragoge (ch'esso perde in molte voci) è fatto dall'inusitato πτάω (v. la
Gramm. di Pad. p. 210.)
{+o πετάω, onde πετάομαι, πέταμαι, πέτομαι che vagliono
altresì volare, e che in origine non debbon
esser altro che il verbo πετάω pando explico
che ancora esiste, trasportato alla significazione del volare per lo
spiegar delle ali ec. e vedi la pag. 2826.}
[2829,1] Ho detto altrove p. 999 che il greco
moderno è senza paragone più simile al greco antico che non l'italiano al
latino. Fra le altre moltissime particolarità basti osservare che una delle cose
che massimamente distinguono le lingue moderne dalle antiche, e fra queste
l'italiana, spagnuola ec. dalla latina, si è che le moderne mancano dei casi de'
nomi; il che
2830 basterebbe quasi per se solo a
diversificare il genio e lo spirito delle nostre lingue, da quel delle antiche.
Ora il greco moderno conserva gli {stessi} casi
dell'antico. Conserva ancora l'uso della composizione fatta coi vocaboli
semplici e colle preposizioni e particelle. Ma già non v'è bisogno d'altra prova
che di gittar l'occhio sopra una pagina di greco vernacolo correttamente
scritto, per conoscere la visibilissima e, direi quasi, totale somiglianza
ch'esso ha coll'antico, e quanto ella sia maggiore, anzi di tutt'altro genere
che non è quella che passa tra l'italiano e il latino, giacchè questa consiste
principalmente nel materiale de' vocaboli e delle radici, e quella, oltre di
ciò, in grandissima parte dell'indole e dello spirito. Ho detto, correttamente
scritto, perchè certo fra il greco {moderno} scritto o
parlato da un ignorante e quello scritto da un uomo colto, ci corre tanto
divario quanto fra questo e il greco antico. Vedi il contratto in greco moderno
barbaro pubblicato da Chateaubriand nell'Itinerario. Ma ciò è naturale, e succede in tutte le
lingue e nazioni, e certo il greco antico parlato, anche dai non plebei, e
scritto
2831 dagl'ignoranti era ben diverso da quello
che scrivevano i dotti, come il latino rustico, dall'illustre. Vedi la pag. 2811. Il greco moderno colto,
giacchè {ed} ogni lingua può esser colta, e niuna
lingua non colta può valer nulla, potrebbe certo divenire una lingua bella,
efficace, ricca, potente, e forse, per la gran parte che conserva sì delle
ricchezze come delle qualità e della natura dell'antico, una lingua superiore o
a tutte o a molte delle moderne colte e formate. (27. Giugno.
1823.).
[2840,1] Tutto questo discorso sui poeti e scrittori
primitivi di una lingua, si deve intender di quelli che meritano veramente il
nome di poeti o di scrittori, e non di quei primissimi e rozzissimi, ne' quali
non cade sapore nè di familiarità nè d'eleganza, nè d'altra cosa alcuna
determinata e che si possa ben sentire, fuorchè d'insipidezza, non avendo essi
nè lingua, nè stile, nè maniera, nè carattere formato, sviluppato, costante e
uniforme. E il sopraddetto discorso ha massimamente luogo, e i sunnotati effetti
avvengono principalmente nel caso che sui principii di una letteratura
compariscano tali e così grandi ingegni che o la creino
2841 quasi in un tratto, o tanto innanzi la spingano dal luogo ove la
trovano, ch'essa paia poco meno che opera loro. Il qual caso avvenne alla
letteratura greca e alla italiana. {#1.
Anche gli antichi e primi scrittori
latini hanno sapore e modo tutto familiare, sì poeti, come Ennio e i tragici, di cui non
s'hanno che frammenti, Lucrezio
ec.; sì prosatori, come Catone,
Cincio ed altri cronichisti di
cui pur s'hanno frammenti, ec.} Perciocchè quando la letteratura si va
formando appoco appoco, e con tanta uniformità di progressi, che mai un suo
passo non sia fuor d'ogni proporzione cogli antecedenti, i summentovati effetti
sono manco notabili, e manco facili a vedere, trovandosi l'eleganza delle parole
e dei modi già {fatta} possibile {coll'abbondanza degli scrittori e l'arricchimento della lingua che dà luogo
alla scelta,} e la nazione già capace e colta e studiosa, prima che la
letteratura giunga a produr cosa alta e perfetta, e che un grande ingegno faccia
uso dell'una e dell'altra disposizione, cioè di quella della lingua, e di quella
de' suoi nazionali. (28. Giugno. 1823.). {{V. p. 3009.
3413.}}
[2876,2] Dico altrove pp. 740. sgg.
che l'uso di crear giudiziosamente e parcamente nuovi composti, fu mantenuto
dagli autori latini, e massime da' poeti, non solo fino alla intera formazione
della lingua e della letteratura, ma nello stesso secolo d'oro della latinità, e
nel tempo che immediatamente gli succedette. Di quest'uso parla Macrobio
2877
Saturn. VI.
5. mostrando che alcuni epiteti composti che si credevano fatti da
Virgilio sono di fabbrica più
antica. Segno qui alcuni composti {latini} de' quali
ch'io sappia non si trova esempio negli autori anteriori al secolo aureo. E
saranno tutti composti di due nomi, l'uno sostantivo e l'altro addiettivo, o
tutti e due sostantivi ec. {+o d'un nome
e d'un verbo o participio o verbale, ec.}
{che sono i composti più rari}; lasciando stare i nomi
o verbi ec. composti con proposizioni[preposizioni] o particelle, de' quali si potrebbero addurre al caso
nostro esempi in troppa abbondanza. Alipes, aliger,
armifer, armipotens, armisonus, aeripes, aerisononus[aerisonus], aerifer, aerifodina, aequaevus,
aequidistans presso Frontino
ed altri, algificus presso Gellio, aequilatio[aequilatatio]
presso Vitruvio, aequilateralis presso
Censorino, aequilaterus presso Marziano
Capella, aequilibris ec., aequinoctium, della qual voce vedi Festo appo il Forcellini in aequidiale, aequipedus ed aequipollens presso Apuleio, aequipondium presso Vitruvio,
aequicrurius presso Marziano Capella, alticinctus,
altitonans, altitonus, altivolus presso Plinio il vecchio, {+anguitenens, aegisonus,}
auricornus, aurifer, aurifex, aurifodina presso Plinio il vecchio, aurigena, auriger, auripigmentum presso Plinio e Vitruvio,
2878
auriscalpium presso Marziale e Scribonio, bijugus e bijugis (ma qui
c'entra un avverbio) e altri tali composti con bis,
equifĕrus ed equisētum
presso Plinio il vecchio, {+2. fontigenę di
Marziano, ignigena, ignipotens, ignipes, gemellipara,}
mellifer, mellificium, mellificus presso Columella, mellifico e melligenus presso Plinio il
vecchio, nidifico presso il medesimo e Columella, nidificium presso Apuleio,
nidificus presso Seneca tragico, noctifer e simili, nubifer, {+3.
nubifugus di Columella, floriparus
d'Ausonio, securifer, securiger,}
nubivagus presso Silio, nubigena (in proposito del quale è
da notare che Macrobio nel citato
luogo, che merita d'esser veduto, volendo provare come molti epiteti creduti
fatti da Virgilio sono più antichi, recita quel dell'Eneide 8. 293. Tu nubigenas, invicte,
bimembres,
*
e mostra che bimembris è di Cornificio,
ma di nubigena non dice niente, sicchè pare che lo
conceda per moderno, e veramente nel Forcellini non se ne trova esempio se non d'autori posteriori a Virgilio, il quale appresso il medesimo
Forcell. in questa voce non è
citato), {+1. penatiger d'Ovidio,}
solivagus presso il Forcellini, i cui esempi son tolti da Cicerone, e presso il med. Cic.,
de republ. I. 25. p. 70. ed.
Rom. 1822.; ed altri tali moltissimi.
(2. Luglio 1823.).
[3009,1]
{Alla p.
2841.} Lo stile e il linguaggio poetico in una
letteratura già formata, e che n'abbia uno, non si distingue solamente dal
prosaico nè si divide e allontana solamente dal volgo per l'uso di voci e frasi
che sebbene intese, non sono però adoperate nel discorso familiare nè nella
prosa, le quali voci e frasi non sono per lo più altro che dizioni e locuzioni
antiche, andate, fuor che ne' poemi, in disuso; ma esso linguaggio si distingue
eziandio grandemente dal prosaico e volgare per la diversa inflessione materiale
di quelle stesse voci e frasi che il volgo e la prosa adoprano ancora. Ond'è che
spessissimo una tal voce o frase è poetica pronunziata o scritta in un tal modo,
e prosaica, anzi talora affatto impoetica, anzi pure ignobilissima e
volgarissima in un altro modo. E in quello è tutta elegante, in questo affatto
triviale, eziandio talvolta per li prosatori. Questo mezzo di distinguere e
separare il linguaggio d'un poema da quello della prosa e del volgo inflettendo
o condizionando diversamente
3010 dall'uso la forma
estrinseca d'una voce o frase prosaica e familiare, è frequentissimamente
adoperato in ogni lingua che ha linguaggio poetico distinto, lo fu da' greci
sempre, lo è dagl'italiani: anzi parlando puramente del linguaggio, e non dello
stile, poetico, il detto mezzo è l'uno de' più frequenti che s'adoprino a
conseguire il detto fine, e più frequente forse di quello delle voci o frasi
inusitate.
[3021,1] Alle molte cose da me dette altrove pp. 244
pp.
2004-205
pp. 2631-35 per mostrare come la lingua greca non ha bisogno che di
poche radici per essere ricchissima, stante l'infinito uso ch'ella fa delle
derivazioni e composizioni ec., e com'ella moltiplichi in infinito i suoi
vocaboli primitivi, ec. aggiungi la voce media ch'ella ha, e il bellissimo uso
ch'ella fa delle
3022 voci passive de' suoi verbi.
Perocchè di moltissimi verbi {{greci}} si può dire che
ciascuno di essi non è uno, ma tre, e serve per tre; avendo l'attivo, il medio,
e il passivo de' medesimi, ciascuno un significato diverso proprio, oltre ai
metaforici che ha per ciascuno di loro, e questi anche diversi, cioè l'attivo
diversi dal medio ec. O vogliamo dire che ciascuno di tali verbi ha tre ben
distinti significati propri, oltre ai metaforici. Nè questi significati si
possono confondere insieme, perocchè ciascuno di loro corrisponde a una diversa
e distinta inflessione. Onde non si accumulano i significati in una stessa
parola, e non ne segue l'oscurità e ambiguità, nè la povertà e uniformità che da
tale accumulamento deriva nella lingua ebraica. E pur quei tre, non sono in
sostanza che un verbo, e non hanno che un tema. L'uso che i latini fanno del
passivo non è paragonabile a quello che ne fanno i greci (oltre che il passivo
latino è difettivo e scarso, avendo bisogno in gran parte dell'ausiliare sum). Appresso i quali il passivo
3023 ha sovente una significazione propria attiva o neutra, diversa
però da quella dell'attivo, e da quella del medio {ec.}
ec. (24. Luglio. 1823.)
[3072,3]
I Romani, che tanto
fecero {con la} virtù, e col sangue,
riconoscevan nondimeno ogni cosa dalla Fortuna; Dea più ch'altro Nume da
loro adorata. Onde Lucio Silla
che vinse la virtù, e i Trionfi, e i sette Consolati di G. Mario, si fè chiamare il
Felice, e teneasi esser della Fortuna figliuolo. Ed Augusto pregò gli Dii, che
*
3073
dessero al nipote la sua fortuna, la quale fu
stupenda.
*
Bern. Davanzati. Orazione in morte del Gran Duca di Toscana Cosimo
primo.
(1. Agosto. dì del Perdono. 1823.).
[3192,1] Per li nostri pedanti il prender noi dal francese o
dallo spagnuolo voci o frasi utili o necessarie, non è giustificato dall'esempio
de' latini classici che altrettanto
faceano dal greco, come Cicerone
massimamente e Lucrezio, nè
dall'autorità di questi due e di Orazio nella Poetica, che espressamente difendono e lodano il farlo.
Perocchè i nostri pedanti coll'universale dei dotti e degl'indotti tengono la
lingua greca per madre della latina. Ma hanno a sapere ch'ella non fu madre
della latina, ma sorella, nè più nè meno che la francese e la spagnuola sieno
sorelle dell'italiana. Ben è vero che la greca letteratura e
3193 filosofia fu, non sorella, ma propria madre della {+letteratura e filosofia} latina.
Altrettanto però deve accadere alla filosofia italiana, e a quelle parti
dell'italiana letteratura che dalla filosofia debbono dipendere o da essa
attingere, per rispetto {alla} letteratura e filosofia
francese. La quale dev'esser madre della nostra, perocchè noi non l'abbiamo del
proprio, stante la singolare inerzia d'italia nel secolo
in che le {altre} nazioni
d'europa sono state e sono più attive che in
alcun'altra. E voler creare di nuovo e di pianta la filosofia, e quella parte di
letteratura che affatto ci manca (ch'è la letteratura propriamente moderna);
oltre che dove sono gl'ingegni da questa creazione? ma quando anche vi fossero,
volerla creare dopo ch'ella è creata, e ritrovare dopo trovata ch'ell'è da più
che un secolo, e dopo cresciuta e matura, e dopo diffusa e abbracciata e
trattata continuamente da tutto il resto d'europa del
pari; sarebbe cosa, non sola[solo] inutile, ma
stolta e dannosa, mettersi a bella posta lunghissimo tratto addietro degli
3194 altri in una medesima carriera, volersi collocare
sul luogo delle mosse quando gli altri sono già corsi tanto spazio verso la
meta, ricominciare quello che gli altri stanno perfezionando; e sarebbe anche
impossibile, perchè nè i nazionali nè i forestieri c'intenderebbono se volessimo
trattare in modo affatto nuovo le cose a tutti già note e familiari, e noi non
ci cureremmo di noi stessi, e lasceremmo l'opera, vedendo nelle nostre mani
bambina e schizzata, quella che nelle altrui è universalmente matura e colorita;
e questo vano rinnovamento piuttosto ritarderebbe e impaccerebbe di quel che
accelerasse e favorisse gli avanzamenti della filosofia, e letteratura moderna e
filosofica. Erano ben altri ingegni tra' latini al tempo che s'introdussero e
crebbero gli studi nel Lazio; ben altri ingegni, dico,
che oggi in italia non sono. Nè però essi vollero
rinnovare nè la filosofia nè la letteratura (la quale essendo allora poco
filosofica, si potea pur variare passando a nuova nazione), ma trovando l'una e
l'altra in alto stato, e grandissimamente avanzate e mature appresso i
3195 greci, da questi le tolsero, e gli altrui
ritrovamenti abbracciarono e coltivarono; e ricevuti e coltivati che gli ebbero,
allora, secondo l'ingegno di ciascheduno e l'indole della nazione, de' costumi,
del governo, del clima, della lingua, delle opinioni romane, modificarono ed
ampliarono le cose da' greci trovate, e diedero loro abito e viso e attitudini
domestiche e nuove. Se vuol dunque l'italia avere una
filosofia ed una letteratura moderna e filosofica, le quali finora non ebbe mai,
le conviene di fuori pigliarle, non crearle da se; e di fuori pigliandole, le
verranno principalmente dalla Francia (ond'elle si sono
sparse anche nelle altre nazioni, a lei molto meno vicine e di luogo e di clima
{e di carattere} e di genio e di lingua ec. che
l'italiana), e vestite di modi, forme, frasi e parole francesi (da tutta
l'europa universalmente accettate, e da buon tempo
usate): dalla Francia, dico, le verrà la filosofia e la
moderna letteratura, come altrove ho ragionato pp. 1029-30, e
volendole ricevere, nol potrà altrimenti che ricevendo {altresì} assai parole e frasi {di là,} ad
esse intimamente e indivisibilmente spettanti e fatte proprie;
3196 siccome appunto convenne fare ai latini {delle voci e frasi greche} ricevendo la greca
letteratura e filosofia; e il fecero senza esitare. E noi colla stessa
giustificazione, ed anche col vantaggio della stessa facilità il faremo, essendo
la lingua lingua francese sorella dell'italiana siccome della latina il fu la
greca, e producendo la filosofia e la filosofica letteratura francese una
letteratura moderna ed una filosofia italiana, siccome già la greca nel
Lazio. E tanto più saremo fortunati degli altri
stranieri che dal francese attinsero voci e modi per la filosofia e letteratura,
quanto che noi nel francese avremo una lingua sorella, e non, com'essi, aliena e
di diversissima origine. (18. Agos. 1823.). {Noi sappiamo bene qual {e che
cosa} sia questa lingua latina madre dell'italiana, e possiamo
definitamente additarla, e mostrarla tutta intera. Ma dir che la teutonica o
la slava o simili è madre della tedesca o della russa ec., è quasi un dire
in aria, benchè sia vera, nè quelli possono definitamente additarci quale
individualmente sia questa lor lingua madre, nè, se non confusamente e per
laceri avanzi, mostrarcela.}
[3251,1]
3251 Tornando al proposito {debbono} esser, come ho detto, cose osservate queste proporzioni che
passano tra le diverse nature dei climi e i diversi caratteri delle rispettive
pronunzie e geni delle rispettive lingue, ed altresì il modo di queste
proporzioni, cioè il modo in che il clima opera sulle favelle, e da quali
proprietà del clima quali proprietà derivino alle pronunzie e alle lingue. Ma
forse non sarà stato egualmente notato che {trovandosi}
in un medesimo clima {e paese} essere stati in diversi
tempi diversi caratteri di pronunzia e di lingua, queste diversità
corrispondettero sempre alle qualità fisiche degli uomini che ciascuna d'esse
pronunzie e lingue, l'una dopo l'altra usarono, le quali fisiche qualità
variarono secondo le diverse circostanze morali, politiche, religiose,
intellettuali {ec.} che in diverse generazioni in quel
medesimo clima e paese ebber luogo. Ond'è che sebbene il clima meridionale
naturalmente ispira dolcezza ne' caratteri delle pronunzie e de' suoni, tuttavia
suono della lingua greca, e quello della lingua romana, certo più molle che non
era a quel tempo, e che adesso non è, il suono delle
3252 lingue settentrionali, pur fu {molto} men delicato
{e più forte} di quello che oggi si sente nella
nuova lingua dello stesso Lazio e di
Roma e d'italia. E ciò non per
altra {cagione fisica immediata,} se non perchè, stante
le loro circostanze morali e politiche e il lor genere di vita e di costumi, gli
antichi Greci e Romani (il che anche per mille altri segni e notizie si prova)
furono di corpo molto più forti che i moderni italiani non sono. {La stessa pronunzia della
moderna lingua francese (e così delle altre) si è addolcita coi costumi
della nazione, come dice Voltaire ec. giacchè un dì si pronunziava come oggi si scrive
ec.} Ond'è che siccome la pronunzia francese per la
geografica posizione e natural qualità del suo clima, ch'è mezzo tra meridionale
e settentrionale, tiene quasi tanto delle pronunzie del sud quanto di quelle del
nord, {#1.
pendendo però più al sud.} ed è un temperamento dell'une e
dell'altre e un anello che queste a quelle congiunge, {#2. Puoi vedere la pp. 2989 -
91.,} così il carattere delle pronunzie greca e latina,
tiene, non dirò già il proprio mezzo tra il settentrionale e il meridionale, ma
tra il carattere dell'italiana, ch'è l'uno estremo delle moderne pronunzie
meridionali, e l'estremo assoluto della dolcezza; e quello della pronunzia
settentrionale meno aspra e che più
3253 s'accosti a
dolcezza, e sia per questa parte l'estremo delle pronunzie settentrionali, alle
meridionali più vicino. O volessimo piuttosto dire che le pronunzie greca e
latina sieno medie tra l'italiana {+ch'è
la più meridionale,} e la francese, che non è nè {ben} meridionale nè {per anco}
settentrionale. {+Le lingue orientali,
{la greca moderna, la turca,} quelle de'
selvaggi e indigeni d'America sotto la zona, parlate
e scritte in climi assai più meridionali che quel
d'italia o di Spagna, sono
tuttavia molto men dolci dell'italiana e della spagnuola, e taluna anche
delle settentrionali europee. Ciò per la rozzezza o per la acquisita
barbarie de' popoli che l'usano o che l'usarono, per li costumi aspri e
crudeli ec. antiche o moderne ch'esse lingue si considerino.}
(23. Agos. 1823.).
[3366,1] La lingua latina s'introdusse, si piantò e rimase in
quelle parti d'europa nelle quali entrò anticamente e si
stabilì la civilizzazione. Ciò non fu che nella Spagna e
nelle Gallie. Quella fino dagli antichi tempi produsse i
Seneca, Quintiliano, Columella, Marziale ec. poi
Merobaude, S. Isidoro ec. e altri moltissimi di mano in mano, i
quali divennero letterati e scrittori latini, senza neppure uscire, come quei
primi, dal loro paese, o quantunque in esso educati, e non, come quei primi, in
Roma. Le Gallie produssero
Petronio Arbitro, {Favorino ec.}
poi Sidonio, S. Ireneo ec. La civiltà v'era già innanzi i romani
stata introdotta da coloni greci. Di più la corte latina v'ebbe sede per alcun
tempo. La Germania benchè soggiogata anch'essa da'
Romani, e parte dell'impero latino, non diede mai adito a
civiltà nè a lettere, nè a' buoni nè a' mediocri nè a' cattivi tempi di
quell'impero. Ella fu sempre barbara. Non si conta fra gli scrittori latini di
veruna latinità
3367 (se non dell'infimissima) niuno
che avesse origine germanica o fosse nato in Germania,
come si conta pur quasi di tutte l'altre provincie e parti
dell'impero romano. Quindi è che la
Germania benchè suddita latina, benchè vicina
all'italia, anzi confinante, come la
Francia, e più vicina assai che la
Spagna, non ammise l'uso della lingua latina, e non
parla latino {(cioè una lingua dal latino derivata),}
ma conserva il suo antico idioma. (Forse anche fu cagione di ciò e delle cose
sopraddette, che la Germania non fu mai intieramente
soggiogata, nè suddita pacifica, come la Spagna e
le Gallie, sì per la naturale ferocia della nazione,
sì per esser ella sui confini delle romane conquiste, e prossima ai popoli
d'europa non conquistati, e nemici de' romani, e
sempre inquieti e ribellanti, onde ad essa ancora nasceva e la facilità, e lo
stimolo, e l'occasione, e l'aiuto e il comodo di ribellare). Senza ciò la lingua
latina avrebbe indubitatamente spento la teutonica, nè di essa resterebbe
maggior notizia o vestigio che della celtica e dell'altre che la lingua latina
spense affatto in Ispagna e in
3368
Francia. Delle quali la teutonica non doveva mica esser
più dura nè più difficile a spegnere. Anzi la celtica doveva anticamente essere
molto più colta e perfetta o formata che la teutonica, il che si rileva sì dalle
notizie che s'hanno de' popoli che la parlarono, e delle loro istituzioni (come
de' Druidi, de' Bardi, cioè poeti ec.), e della loro religione, costumi,
cognizioni ec. sì da quello che avanza pur d'essa lingua celtica, e de' canti
bardici in essa composti ec. L'inghilterra par che
ricevesse fino a un certo segno l'uso della lingua latina, certo, se non altro,
come lingua letterata e da scrivere. {Il latino si stabilì in
Inghilterra a un di presso come il greco
nell'alta Asia, e l'italiano in Dalmazia, nell'isole
greche e siffatti dominii de' Veneziani: cioè come lingua di qualunque
persona colta e della scrittura, ma non parlata dal popolo, benchè forse
intesa. Così il turco in grecia ec.}
Ella ha pure scrittori non solo dell'infima, ma anche della media latinità, come
Beda ec. Ma era già troppo tardi,
sì perchè la lingua latina era già corrotta e moribonda per tutto, anche in
italia sua prima sede, sì perchè l'impero
latino era nel caso stesso. Quindi i Sassoni facilmente
distrussero la lingua latina in inghilterra, ancora
inferma e mal piantata, propria solo dei dotti (com'io credo), e le sostituirono
la
3369 teutonica, trionfando allo stesso tempo (almeno
in molta parte dell'isola) anche dell'idioma nazionale, indigeno, ἐπιχώριος e
volgare, cioè del celtico ec., al qual trionfo doveva pure aver già contribuito
la lingua latina, soggiogata poi anch'essa, e più presto ed interamente
dell'indigena, da quella de' conquistatori. Laddove nelle
Gallie i Franchi non poterono mica introdurre la
lingua loro, benchè conquistatori, nè estirpar la latina, ben radicata, e per
lunghezza di tempo, e perchè insieme con essa erano penetrati e stabiliti nelle
Gallie, i costumi, la civiltà, le lettere, la
religione latina, e perchè {quivi} detta lingua non era
già propria ai soli dotti, ma comune al volgo, ond'essi conquistatori
l'appresero, e parlata ec. Così dicasi de' Goti, Longobardi ec. in
italia; de' Vandali {ec.} in
Ispagna. Che se la lingua latina in
italia, in Francia, in
ispagna, trionfò delle lingue germaniche benchè
parlate da' conquistatori, può esser segno ch'ella ne avrebbe pur trionfato
nella Germania ov'elle parlavansi da' conquistati, se non
l'avessero impedito le cagioni dette di sopra. Perocchè si vede che la lingua
latina trionfava
3370 dell'altre, non tanto come lingua
di conquistatori e padroni, superante quella de' conquistati e de' servi, nè
come lingua indigena o naturalizzata, superante le forestiere, avventizie e
nuove; quanto come lingua colta e formata, superante le barbare, incolte,
informi, incerte, imperfette, povere, insufficienti, indeterminate. Altrimenti
non sarebbe stato, come fu, impossibile ai successivi conquistatori
d'Italia, Francia,
Spagna, il far quello che i latini ne' medesimi
paesi, conquistandoli, avevano fatto; cioè l'introdurre le proprie lingue in
luogo di quelle de' vinti. Nel mentre che i Sassoni in
inghilterra, certo nè più civili nè più potenti de'
Franchi, de' Goti, {de' mori,} ec., i Sassoni, dico, in
inghilterra, e poscia i Normanni, trionfavano pur
senza pena delle lingue indigene di quell'isola, perchè mal formate ancor esse,
benchè non affatto barbare, ed {anzi} (p. e. la
celtica) più colte ec. delle loro. Ma queste vittorie della lingua latina sì
nell'introdursi fra' conquistati, e forestiera scacciare le lingue indigene; sì
nel mantenersi malgrado i conquistatori, e in luogo di cedere, divenir propria
anche di questi, si dovettero, come ho detto, in grandissima parte, alla civiltà
dei
3371 costumi latini e alle lettere latine con essa
lingue[lingua] introdotte o conservate: di
modo che detta lingua non riportò tali vittorie, solamente come colta e perfetta
per se, ma come congiunta ed appartenente ai colti e civili costumi, opinioni e
lettere latine. Perocchè, come ho detto, sempre ch'ella ne fu disgiunta, cioè
dovunque la civiltà e letteratura latina, e l'uso del viver latino, o non
s'introdusse, o non si mantenne, o scarsamente s'introdusse o si conservò; nè
anche s'introdusse la lingua latina, come in Germania, o
non si mantenne, come accadde in Inghilterra. E ciò si
vede non solo in queste parti d'europa, che non ammisero
la civiltà latina per eccesso di barbarie, o che non ammettendola, restarono
barbare; ma eziandio in quelle dove una civiltà ed una letteratura indigena
escluse la forestiera, in quelle che non ammettendo i costumi nè le lettere
latine, restarono però, quali erano, civili e letterate, cioè nelle nazioni
greche. Le quali non ricevendo l'uso del viver latino, non ricevettero neppur la
lingua, benchè la sede dell'
3372
impero romano, e Roma e il
Lazio, per così dire, fossero trasportate e
lunghissimi secoli dimorassero nel loro seno. Ma la
Grecia contuttociò non parlò mai nè scrisse latino,
ed ora non parla nè scrive che greco. Ed essa era pur la parte più civile
d'europa, non esclusa la stessa
Roma, al contrario appunto della
Germania. Sicchè da opposte, ma analoghe e
corrispondenti e ragguagliate e proporzionate, cagioni, nacque lo stesso
effetto.
[3413,1]
3413
Alla p. 2841.
Sperone Speroni nell'Orazione in morte del Cardinal Bembo, quinta
delle Orazioni sue stampate in
Ven. 1596. pag. 144-5 poco innanzi il mezzo
dell'orazione suddetta.. I
medesimi verbi colla stessa construtione
*
(p. 145.)
usa il volgar
poeta,
*
(il poeta italiano) che suole usar l'oratore; onde non pur è lunge da
quell'errore, ove spesse fiate veggiamo incorrere i Greci, et
qualche volta i Latini, cioè a dire, che egli si paia di favellare
in un'altra lingua, che non è quella dell'oratore; anzi i più lodati
Toscani all'hora sperano di parlar bene nelle lor prose, et par quasi, che sene vantino, quando al modo, che
da' Poeti è tenuto hanno affettato di ragionare. Et chi questo non
crede, vada egli a leggere il Decameron del Boccaccio, terzo lume di questa
lingua, et troveravvi per entro cento versi di Dante così intieri, come li fece la sua
comedia.
*
{#1. V. p. 3561.} Non parrebbe da queste parole che
l'italia non avesse lingua propriamente
3414 poetica, o certo ben poco distinta dalla prosaica?
E non è d'altronde manifesto ch'ella ha una lingua poetica più distinta dalla
prosaica che non è quella di forse niun'altra lingua vivente, e certo più che
non è quella de' Latini, in quanto si vede che noi, imparato che abbiamo ad
intendere la prosa latina, intendiamo con poco più studio la poesia, {+(lo studio che ci vuole, e il divario tra
il linguaggio della poesia latina e
della prosa, consiste principalmente nella diversità di molta parte delle
trasposizioni, ossia nell'ordine e costruzione delle parole, ch'in parte è
diversa)} ma uno straniero non perciò ch'egli ottimamente intendesse
la nostra moderna lingua prosaica, intenderebbe senza molto apposito studio la
poetica? Tant'è. Nello stesso cinquecento, l'italia non
aveva ancora una lingua che fosse formalmente poetica, cioè la diversità del
linguaggio tra i poeti e gli oratori, non era per anche se non lieve, e male o
insufficientemente determinata. Gli scrittori prosaici che componevano con
istudio e con presunzione di bello stile, si accostavano alla lingua del Boccaccio e de' trecentisti, e questa era
similissima alla lingua poetica, perchè la lingua poetica del 300. era quasi una
colla prosaica. Gli scrittori poetici che scostandosi dalla lingua del 300,
volevano
3415 accostarsi a quella del loro secolo,
davano in uno stile familiare, bellissimo bensì, ma poco diverso da quel della
prosa. Testimonio l'Orlando dell'Ariosto e l'Eneide del Caro, i quali, a quello togliendo le
rime, a questa la misura {+(oltre le
immagini e la qualità de' concetti ec.)} in che eccedono o di che
mancano che non sieno una bellissima ed elegantissima prosa? E paragonando il
poema del Tasso (scritto nella {{propria}} lingua del suo tempo) colle prose eleganti di
quell'età, poco divario vi si potrà scoprire quanto alla lingua. Di più i poeti
italiani del 500. furono soliti (massime i lirici, che sono i più) di modellarsi
sullo stile di Petrarca e di Dante. Il carattere di questo stile {riuscì ed è} necessariamente familiare, come ho detto
altrove pp. 1808-10
pp.
2542-44
pp. 2639-42
pp. 2836-41. Seguendo
questo carattere, o che i poeti del 500 l'esprimessero nella stessa lingua di
que' due, come moltissimi faceano, o nella lingua del 500, come altri; doveano
necessariamente dare al loro stile un carattere di familiare e poco diverso da
quel della prosa. E così generalmente accadde. (Il linguaggio del Casa non è familiare, ed è molto
3416 più distinto dal prosaico, e così il suo stile.
Ciò perchè ne' suoi versi egli non si propose il carattere nè del Petrarca nè di Dante, ma un suo proprio. E quindi quanto il carattere
del suo linguaggio e stile poetico è distinto da quel della prosa, tanto egli è
ancora diverso da quello {+del linguaggio
e stile} sì di Dante e Petrarca, sì degli altri lirici, e poeti
quali si vogliano, del suo tempo.). La Coltivazione, le Api ec. sono {ben sovente}
bella prosa misurata {+quanto al
linguaggio, ed allo stile eziandio: e ciò quantunque l'uno e l'altro poema
sieno imitazioni, e l'Api nient'altro quasi che traduzione,
delle georgiche, il
capo d'opera dello stile il più poetico e il più separato dal familiare, dal
volgo, dal prosaico. Similmente si può discorrere dell'Eneide del Caro.}
[3561,1]
Alla p. 3413.
Infatti la scrittura dello Speroni è
tutta sparsa e talor quasi tessuta, non pur di vocaboli, o d'usi metaforici ec.
di parole, tutti propri di Dante e di
Petrarca, ma di frasi intere e
d'interi emistichi di questi poeti, dall'autore dissimulatamente appropriatisi e
convertiti all'uso della sua prosa. Nè tali voci, frasi ec. riescono in lui
punto poetiche, ma convenientissimamente prosaiche. Altrettanto fanno più o meno
molti altri autori del cinquecento, massime i più eleganti, ma lo Speroni singolarmente. Or andate e
ditemi che altrettanto potessero fare, non pur i prosatori greci con Omero, o altro lor poeta, ma i latini con
Virgilio ec. benchè il latino non
abbia linguaggio poetico distinto. Che
vuol dir ciò dunque, se non che il linguaggio di Dante e Petrarca era poco o nulla distinto da quel della prosa? Onde i
prosatori potevano farne lor pro, anche a sazietà, senza dar nel poetico. {#1. Le voci e frasi {e
significati più poetici ed eleganti} di Petr.
Dante ec. tengono come un luogo di
mezzo tra il prosaico e il poetico, onde in una prosa alta, com'è quella
dello Speroni, ci stanno
naturalissimamente. P. e. talento in quel
significato Che la ragion sommettono al
talento.
*
Non si sa ben dire se sia più del verso
che della prosa. Vedilo benissimo usato dallo Speroni
ne' Diall.
Ven. 1596. p. 69. fine.} Altri, e non
pochi, prosatori del 500, siccome nel 300 il Boccaccio, davano nel poetico sconveniente
3562 alla prosa, adoperando a ribocco e senza giudizio le voci, le
significazioni, le metafore, le frasi, gli ornamenti, l'epitetare ec. sì di Dante e Petrarca sì de' poeti del 500. stesso. E ciò per la medesima ragione
per cui i detti poeti adoperavano le frasi e voci ec. della prosa, come a pagg. 3414. segg. Ciò era perchè i
termini fra il linguaggio della poesia e della prosa non erano ancora ben
stabiliti nella nostra lingua. Onde come noi non avevamo ancora un linguaggio
propriamente poetico bene stabilito e determinato, (p. 3414.
3416.), così nè anche un linguaggio
prosaico. Nella stessa guisa (ma però molto meno) che i francesi non hanno quasi
altra prosa che poetica, perchè appunto non hanno lingua propriamente poetica,
distinta e determinata, e assegnata senza controversia alla poesia
(veggãsi[veggansi] le p. 3404-5. 3420-1. 3429. e il pensiero
seguente ). Nessun buon autore del seicento, del sette e
dell'ottocento dà nel poetico come molti buoni
{{e classici
del}} 500 (non ostante nel 600 la gran peste dello stile derivata
appunto dal cercare il florido, il sublime, il metaforico, lo straordinario modo
di parlare e di esprimere checchessia, il fantastico, l'immaginoso, l'ingegnoso;
e consistente in queste qualità ec. peste
3563 che nel
500 ancor non regnava; eppur tanto regnava il florido e il poetico nella prosa,
quanto non mai nelle buone e classiche prose del 600: segno che quel vizio nel
500. veniva da altra cagione, e ciò era quella che si è detta). Nessuno oggi (nè
nei due ultimi secoli) per poco che abbia, non pur di giudizio, ma sol di
pratica nelle buone lettere sarebbe capace di peccare, scrivendo in prosa, per
poeticità di stile e linguaggio, altrettanto quanto nell'ottimo ed aureo secolo
del 500 (mentre il nostro è ferreo) peccavano gli ottimi ingegni nelle classiche
prose, sì nel linguaggio, sì nello stile, che quello si tira dietro (p. 3429. fine). E come ho detto a
pagg. 3417-9. che il linguaggio
{propriamente} poetico in
italia non fu pienamente determinato, stabilito, e
distinto e separato dal prosaico, se non dopo il cinquecento, e massime in
questo e nella fine dell'ultimo secolo; così si deve dire del linguaggio
prosaico, quanto all'essere così esattamente determinato ch'ei non possa mai
confondersi col poetico, nè dar nel poetico senza biasimo ec. Il che non ha
potuto perfettamente essere finchè i termini fra questi due linguaggi non sono
stati fermamente posti, e chiaramente precisamente
3564
incontrovertibilmente segnati, tirati, descritti. Onde il linguaggio
perfettamente proprio e particolare della prosa, e il perfettamente proprio e
particolare della poesia sono dovuti venire in essere a un medesimo tempo, e non
prima l'uno che l'altro (o non prima esser perfetto ec. ec. l'uno che l'altro, e
crescer del pari quanto alla loro prosaicità e poeticità); perchè ciascun de'
due è rispettivo all'altro ec. ec. (30. Sett. 1823.).
[3625,1]
Alla p. 2821.
fine. Nótisi il significato continuativo di confuto nell'esempio di Titinnio appo il Forcell. dove questo verbo
sta nel senso proprio, e questo si è quello di confundo, ma continuato, come excepto in un
luogo di Virgilio da me altrove
esaminato p. 1107, per excipio. Nótisi
ancora che nell'improprio suo ma più comune significato, confuto è vero continuativo di confundo.
Anche noi diciamo (e così i francesi ec.) confondere uno
colle ragioni, confondere le ragioni di uno,
confondere l'avversario ec. e ciò vale confutare, ma questo esprime azione e quello è quasi
un atto, e quasi il termine e l'effetto del confutare
ec. Le quali osservazioni confermano la derivazione di confuto da noi e dagli etimologi stabilita. Così mi par di spiegare la
traslazione del suo significato da quel di mescere
insieme a quel di confutare, e così mi par di
doverlo intendere; non ispiegarlo per compescere e
derivar la metafora da questo lato, come fa il Vossio (ap. Forcell.) il quale anche
3626 par che derivi confuto da futum nome (dunque da questo anche futo?), per la solita ignoranza in materia de'
continuativi. E se tal derivazione egli dà (come è anche più naturale ch'ei
faccia) anche al confuto di Titinnio, e lo spiega pure per compesco, s'inganna assai. {V. p. 3635}
Significazioni analoghe a quella nostra metaforica di confondere gli avversari ec. vedile nel Forcell. in confundo, confusio, confusus, {#1. e nel
Gloss. in Confundere,} avvertendo che la lingua latina antichissima
aveva delle metafore e degli usi di parole molto più simili ai moderni che non
ebbe poi l'aurea latinità, o piuttosto il latino più illustre scritto; e n'ebbe
in grandissima copia; e che queste parole e questi usi, e generalmente le
proprietà del volgare o familiar latino, più si veggono negli scrittori de'
bassi tempi (or v. gli esempi di Sulpicio Severo nel Forc. in confundo e confusus), e ne'
volgari moderni che negli aurei scrittori, perchè questi seguivano più
l'illustre, e quelli il familiare, questi fuggivano il volgo, e quelli o per
ignoranza o
3627 per elezione, gli andavan dietro,
questi avevano una lingua illustre e una parlata, quelli non avevano già più una
lingua illustre che fosse per essere intesa quando anche l'avessero saputa
scrivere, ma lingua scritta e parlata era per loro una cosa sola, o tra se molto
meno diversa che non nell'aureo secolo e ne' prossimi a quello. Siccome eziandio
tra gli scrittori aurei, i più antichi e i più familiari, semplici e rimessi di
stile, più conservano dell'antico latino, più rappresentano della frase volgare
e parlata, {+più hanno delle voci e
locuzioni, e delle significazioni ed usi di voci, conformi ai volgari. Così
Cornelio, Fedro, Celso ec.} più somigliano quella degli scrittori bassi e
de' volgari moderni. I più antichi (coi quali vanno quelli che più si tennero
all'antico per loro instituto, come Varrone, Frontone ec.)
perchè il linguaggio illustre e scritto non era ancor ben formato e determinato,
nè molto nè ben distinto dal parlato e familiare. I più semplici e rimessi
perchè o per istituto o per un poco meno di abilità nello scrivere {e minore studio fatto della lingua, o minor diligenza posta
nel comporre,} non vollero o non seppero troppo scostarsi dal
linguaggio più noto e succhiato da loro col latte, cioè dal familiare e parlato.
Onde a noi
3628 paiono amabilissimi e pregevolissimi
per la loro semplicità ec. ma certo a' contemporanei dovettero riuscire poco
colti. Osservo infatti che fra gli scrittori dell'aureo secolo quelli che fra noi tengono le prime lodi per la
semplicità e dello stile e della lingua (la quale in loro è sempre notabilmente
affine alla frase italiana e moderna, ed anche a quella de' tempi bassi), o non
si trovano pur nominati dagli antichi, o appena, o in modo che la loro stima si
vede essere stata come di autori, al più, di second'ordine. Tali sono Corn. Nepote, Celso, Fedro, giudicato dal Le Fevre
il più vicino alla semplicità di Terenzio
(v. Desbillons
Disputat. II. de Phaedro, in fine), e
simili. De' quali gli stessi moderni, vedendo la diversità della loro frase da
quella degli altri aurei, e giudicandola non latina (perchè non molto illustre)
hanno disputato se appartenessero al secol d'oro, ed anche se fossero antichi,
ed hanno penato a riconoscerli per autori dell'aurea latinità; e le Vite di
Cornelio sono state
attribuite ad Emilio Probo
{+(autore assai basso)} per ben
lungo tempo e in molte edizioni ec., Celso è stato creduto più moderno di quello che è, ec. Fedro è stato attribuito al Perotti,
3629
e negato da molti che la sua latinità fosse latina ec. (v. la cit. Disput. del
Desbillons). Non così è
accaduto nè anticamente accadde agli scrittori greci più semplici. Effetto e
segno che il linguaggio illustre in Grecia era, come
altrove ho sostenuto pp. 844. sgg., assai men diviso dal volgare e parlato,
e che la lingua e lo stile greco per sua natura e per sua formazione e
circostanze è più semplice ec. Onde lo stile e la lingua p. e. di Senofonte fu subito acclamata, non men
che fosse quella di Platone ch'è
lavoratissima, ec. e gli scrittori greci più semplici e familiari non hanno
aspettato i tempi moderni a divenir famosi e lodati ec. Senofonte e Platone nel loro secolo sono i due estremi quello della semplicità e
bella sprezzatura, questo dell'eleganza, diligenza e artifizio. Pur l'uno e
l'altro furono sempre quanto allo stile quasi parimente stimati da' Greci e
contemporanei e posteri, e così da' latini e dagli altri in perpetuo ec.
(8. Ott. 1823.).
[3638,3]
Primos in orbe deos fecit timor.
*
Intorno a ciò
altrove p. 2208
pp. 2387-89. Or si aggiunga, che siccome quanto è maggior l'ignoranza
tanto è maggiore il timore, e quanta più la barbarie tanta {è} più l'ignoranza, però si vede che le idee de' più barbari e
selvaggi popoli circa la divinità, se non forse in alcuni climi tutti piacevoli,
sono per lo più spaventose ed odiose, come di esseri tanto di noi invidiosi e
vaghi del nostro male quanto più forti di noi. Onde le immagini ed idoli che
costoro si fabbricano de' loro Dei, sono mostruosi e di forme terribili, non
solo per lo poco artifizio di chi fabbricolle, ma eziandio perchè tale si fu la
intenzione e la idea dell'artefice. E vedesi questo medesimo anche in molte
nazioni che benchè lungi da civiltà pur non sono senza cognizione ed
3639 uso sufficiente di arte in tali ed altre opere di
mano ec. come fu quella de' Messicani, {#1.
i cui idoli più venerati eran pure bruttissimi e terribilissimi d'aspetto
{come} d'opinione. Molte nazioni selvagge, o
ne' lor principii, riconobbero per deità questi o quelli animali più forti
dell'uomo, e forse tanto più quanto maggiori danni ne riceveano, e maggior
timore ne aveano, e minori mezzi di liberarsene, combatterli, vincerli ec.
La forza superiore all'umana è il primo attributo riconosciuto dagli uomini
nella divinità. V. p.
3878.} E certo egli è segno di civiltà molto cresciuta e bene
istradata il ritrovare in una nazione e la idea e le immagini o simboli o
significazioni della divinità, piacevoli o non terribili. Come fu in
Grecia, sebben molto a ciò dovette contribuire la
piacevolezza e moderatezza di quel clima, che nulla o quasi nulla offre mai di
terribile. Perocchè le forze della natura vedute negli elementi ec.,
riconosciute per superiori di gran lunga a quelle degli uomini, e, a causa
dell'ignoranza, credute esser proprie di qualche cosa animata e capace, come
l'uomo, di volontà, poichè è capace di movimento, di muovere ec.; sono state le
cose che hanno suscitata l'idea della divinità (perchè gli uomini amano e son
soliti di spiegar con un mistero un altro mistero, e d'immaginar cause
indefinibili degli effetti che non intendono, e di rassomigliare l'ignoto al
noto; come le cause ignote de' movimenti naturali, alla volontà ed all'altre
forze note che producono i movimenti animali ec.), ond'è ben naturale che tale
3640 idea corrispondesse alla natura di tali
effetti, e fosse terribile se terribili, moderata se moderati, piacevole se
piacevoli ec. e più e meno secondo i gradi ec. Se non che nell'idea primitiva
dovette sempre prevalere o aver gran parte il {terribile,} perchè essendo l'uomo naturalmente inclinato più al
timore che alla speranza, {#1. come altrove
in più luoghi pp. 458-59
pp. 1303-304
pp. 2206-208
pp. 3433-35} una forza superiore
affatto all'umana, dovette agl'ignoranti naturalmente aver sempre del
formidabile. Oltre che in ogni paese v'ha tempeste, benchè più o meno terribili
ec. E tra le varie divinità di una nazione che ne riconosca più d'una, di una
mitologia ec., le più antiche son certamente le più formidabili e cattive, e le
più amabili e benefiche ec. son certamente le più moderne. {Le nazioni più civilizzate adoravano gli animali utili,
domestici, mansueti ec. come gli egizi il bue, il cane, o loro immagini. Le
più rozze, gli animali più feroci, o loro sembianze (v. la parte 1. della Cron. del
Peru di Cieça,
cap. 55. fine. car. 152. p. 2.). Quelle p. e. il sole o solo o principalmente, queste, o sola o principalmente la tempesta ovvero ec. ec.
{+E a proporzione della rozzezza
o civiltà, gli Dei ec. malefici e benefici erano stimati più o men
principali e potenti, ed acquistavano o perdevano nell'opinione e
religion del popolo, e nelle mitologie, e riti ec.}
V. p. 3833.} Come della
mitologia greca e latina ec. senza dubbio si dee dire. Infatti anche
indipendentemente da questa osservazione, s'hanno argomenti di fatto per
asserire che {p. e.}
Saturno, Dio
crudele e malefico, {#2. e rappresentato
per vecchio, brutto, e d'aspetto come d'indole e di opere, odioso,} fu
l'uno de' più antichi Dei della Grecia o della nazione
onde venne la greca e latina mitologia, e più antico di Giove ec. Effettivamente la
detta mitologia favoleggia che Saturno regnò prima di Giove,
3641 e da costui fu privato del regno. La qual favola o volle
espressamente significare la mutazione delle idee de' greci ec. circa la
divinità, e il loro passaggio dallo spaventoso all'amabile ec. cagionato dal
progresso della civiltà, e decremento dell'ignoranza; o (più verisimilmente)
ebbe origine e occasione da questo passaggio, di essere inventata
naturalmente.
[3749,2] La lingua latina illustre fu, non solo tra le
antiche, ma forse fra tutte, la più separata e diversa, e la meno influita e
dominata dalla volgare. Parlo della lingua latina illustre prosaica (ch'è poco
dissimile dalla poetica) {+rispetto
all'altre pur prosaiche} perchè p. e. la lingua poetica greca fu certo
(almen dopo Omero ec.) anche più divisa
ec. dalla greca volgare. Ma ciò come poetica, non come illustre, e qualunque
linguaggio {appo qualunque nazione} è veramente poetico
e proprio della poesia, di necessità e per natura sua è distintissimo dal
volgare; chè tanto è quasi a dir linguaggio proprio poetico, quanto linguaggio
diverso assai dal volgare. {+S'egli ha ad
esser {assai} diverso dal prosaico illustre, molto
più dal volgare.} Fra le lingue illustri moderne, la più separata e
meno dominata dall'uso, è, cred'io, l'italiana, massime oggi, perchè
l'italia ha men società d'ogni altra colta nazione, e
perchè la letteratura fra noi è molto più esclusivamente che altrove, propria
de' letterati, e perchè l'italia non ha lingua illustre
moderna ec. Per tutte queste ragioni la
3750 lingua
italiana illustre è forse di tutte le moderne quella che meglio e più
generalmente osserva e conserva la proprietà delle voci e modi. Ciò presso i
buoni scrittori, cioè quelli che ben posseggono e trattano la lingua illustre, i
quali {{oggi}} son men che pochissimi, e quelli che
scrivono la lingua illustre, i quali oggi sono in minor numero di quelli che non
la scrivano, o il fanno più di rado che non iscrivono la volgare. Perocchè oggi
la lingua più comunemente scritta e intesa in italia
nelle scritture, non è l'illustre ma la barbara e corrotta volgare; e però ella
non conserva punto la proprietà delle parole ec. ma sommamente se n'allontana,
come fa la volgare. E p. e. quel fisico e morale, fisicamente e moralmente
{ec.} nel senso francese, è oggi del volgare italiano,
e dello scritto non illustre, non men ch'e' sia dell'illustre e del volgare
francese ec. Ma presso i nostri buoni scrittori di qualunque secolo (non che gli
ottimi), si vedrà forse più che in niun'altra lingua illustre moderna,
3751 osservata e conservata la proprietà delle parole e
dei modi ec. Cioè l'uso loro esser totalmente e sempre, o quasi totalmente e
quasi sempre, o più e più spesso che nell'altre lingue illustri, e in {assai} maggior numero di parole e modi ec., conforme al
significato ch'essi ebbero da principio nella lingua e ne' primitivi scrittori
italiani, ed anche alla loro {nota} etimologia, ed al
senso ed uso ch'essi ebbero nella lingua onde alla nostra derivarono, cioè
massimamente nella latina, madre della nostra. Certo la proprietà latina
nell'uso e significato delle parole e dei modi, {+(siccome la forma, lo spirito ec. della latinità, della
dicitura latina, il modo dell'orazione in genere, del compor le parole,
dell'esporre e ordinar le sentenze, dello stile ec. ec. E quanto a queste
cose, anche in ordine alla lingua greca l'italiano illustre è la lingua più
simile ch'esista ec. ec.)} è molto meglio e in assai maggior parte
conservata nell'italiano veramente illustre, per insino al dì d'oggi, che in
alcun[alcun'] altra lingua; e forse più
nell'italiano illustre degli ultimi nostri buoni scrittori, che nel linguaggio
de' più antichi e migliori scrittori francesi, spagnuoli ec. (21. Ott.
1823.).
[3818,1]
Alla p. 3573.
Questa proposizione è molto azzardata. Bisogna intenderla lassamente. Per
rispetto alla lingua francese è vera, parlando generalmente. Ma per rispetto
all'italiana, dubito che sia vero neppur generalmente, ben compensate che sieno
insieme le conformità estrinseche che hanno le lingue italiana e spagnuola colla
latina. Il suono della lingua spagnuola ha più del latino, ma questa è quasi
un'illusione de' sensi. Perchè quei tali suoni latini non sono nello spagnuolo a
quei luoghi in cui erano nel latino. Per esempio la moltitudine degli s contribuisce, e forse principalmente, a
rassomigliare il suon dell'una lingua a quello dell'altra. Ma lo spagn. abbonda
di s, principalmente perchè in essa
3819 lingua tutti i plurali terminano in quella lettera. Non così in
latino. (Vero è però che in latino la terminazione in s è propria di tutti gli accusativi plurali non neutri. Ora, secondo
Perticari, i nomi latini
trasportati nelle lingue figlie, son tutti fatti dagli accusativi delle
declinazioni rispettive latine. Quindi che nello spagn. la terminazione in s sia caratteristica de' plurali, potrebb'esser preso
dal latino, e cosa anch'essa latina. E quest'osservazione può essere di non poco
peso a confermare l'opinione di Perticari; {(sebben ei parla solamente de'
singolari, i quali fatti dall'accusativo latino generano poi i plurali al
modo nostro)} mentre altri con più apparenza di ragione, ma forse men
verità, vogliono che i nostri nomi sieno gli ablativi latini. P. e. amore ec. Ma veramente non si vede perchè, dovendosi
perder l'uso degli altri casi, e restare un solo per tutti, com'è avvenuto nelle
lingue moderne, e come, certo in gran parte, dovette avvenire anche nell'antico
latino volgare e parlato, avesse a prevaler l'uso dell'ablativo. Ben è
consentaneo che l'accusativo si usasse in vece degli altri casi ec. {v. p. 3907.}) L'aggiunger {sempre} la es ai singolari
terminati in consonante non è uso latino, se non in certi casi, e nella terza
declinazione. (Noi per la terminazione de' plurali imitiamo i nominativi {latini} della seconda e della prima. {#1. Sicchè quanto alla terminazione de' plurali, la
conformità dello spagn. col latino, supposta eziandio e conceduta, come
sopra, non si può dire che superi punto quella dell'italiano. Del resto quel
continuo s che si sente nello spagnuolo fa un
suono che tutto insieme considerato è così poco, o tanto, latino, quanto le
continue terminazioni vocali dell'italiano. Il latino è temperato di queste
e di quelle, ed eziandio insieme d'altre molte terminazioni; sicchè
veramente il suo suono, parlando pure in generale e astrattamente non è nè
quello dell'italiano nè anche quello dello spagnuolo. Ben è vero che nello
spagnuolo le terminazioni consonanti sono miste come in latino, alle vocali,
laddove in italiano non v'ha quasi che le vocali; e nello spagnuolo, benchè
la terminazione in s sia, almeno tra le
consonanti, la più frequente, pur v'ha diverse terminazioni consonanti, come
in latino; e niuna terminazione in consonante, che non sia propria, credo,
anche del latino (al contrario che in francese in tedesco ec.), benchè non
sempre, anzi non il più delle volte, ne' casi stessi; e le terminazioni
vocali son piane come in latino e non acute ossia tronche come in francese.
Sotto questi aspetti il suono dello spagnuolo è veramente più conforme al
latino che non è non solo il francese ma neppur l'italiano. E da queste
ragioni nasce che udendo lo spagnuolo si possa più facilmente confonderlo
col latino che non fa il francese nè anche l'italiano. E questo effetto,
sotto questi aspetti, non è un'illusione, nè una cosa che non meriti esser
considerata, e che non abbia un principio e una ragione di conformità o
simiglianza reale. La terminazione consonante in d
frequente nello spagnuolo è rara in latino ma pur v'è, come in ad, illud, id, istud, sed ec.).} Del resto anche in francese
(bensì nel solo francese scritto) la terminazione in s
(e a' singolari terminati in consonante, si aggiunge talvolta la es, se non m'inganno) è caratteristica del plurale
(quella in x vien pure a essere in s); sicchè lo spagnuolo in questa parte non
prevarrebbe al francese se non in quanto ei pronunzia sempre la s, e il francese solo talvolta, e piuttosto per
accidente che per altro. Quanto all'
3820 italiano,
anche nelle forme regolari delle coniugazioni, esso in molte cose assai più
conforme al latino che non è lo spagnuolo. V. p. e. le pag. 3699-701. e la mia teoria de' continuativi dove si parla del digamma
eolico in amaFi ec pp. 1126-27. E
basti osservare che lo spagn. non ha che tre coniugazioni; l'italiano le ha
tutte quattro, e tutte, in molti caratteri, corrispondenti alle rispettive
latine, come negl'infiniti āre, ēre, ĕre, īre (lo
spagnuolo manca del 3.o e gli altri non gli ha che tronchi), e in altre cose.
Anche il francese ha 4. coniugazioni, ma non corrispondono alle latine (eccetto
quella in ir quanto all'infinito ec.), e la conformità
del numero {(cioè l'esser 4. come in latino)} sembra,
ed è forse, un puro caso; il che non si può certo dire dell'italiano. E quanto
alla conservazione della latinità in mille e mille altre sì regole, sì voci
particolari materialmente considerate, sì frasi considerate pure materialmente
(chè ora parliamo dell'estrinseco), {significati ed usi delle
parole e frasi, anche propri originalmente o sempre del popolo e del
parlato, non del solo illustre ec.} dubito assai che lo spagnuolo
possa esser preposto, anzi pure agguagliato all'italiano. Questa e quell'altra
voce {ec.} sarà più latina in ispagnuolo che in
italiano (così avverrà alcune volte che nello stesso francese una voce ec. sia
più latina che nelle due sorelle, {o in una di loro,} o
che queste {o l'una di esse,} non abbiano una voce ec.
nel francese conservata, {+nè pertanto
sarà chi dica la latinità conservarsi più nel francese che nelle sorelle, o
che nell'una di esse}); questa e quella voce latina resterà nello
spagnuolo, e all'italiano mancherà; ma, raccolti i conti {e
computati i casi contrarii, e posto tutto insieme,} io credo che in
tutte queste cose l'italiano soverchi lo spagnuolo di grandissima lunga.
(3. Novembre 1823.).
[3946,2] La lingua greca appartiene veramente e propriamente
alla nostra famiglia di lingue (latina, italiana, francese, spagnuola, e
portoghese), non solo perch'ella non può appartenere ad alcun'altra, e farebbe
famiglia da se o solo colla greca moderna; non solamente neppure per esser
sorella o, come gli altri dicono, madre della latina (nel primo de' quali casi
ella dovrebbe esser messa almeno colla latina, e nel secondo è chiaro ch'ella va
posta nella nostra famiglia), ma specialmente e principalmente perchè la sua
letteratura è veramente madre della latina, la qual è madre delle nostre, e
quindi la letteratura greca è veramente l'origine delle nostre, le quali in
grandissima parte non sarebbero onninamente quelle che sono e quali sono (se non
se per un incontro affatto fortuito) s'elle non fossero venute di là. E come la
letteratura è quella che dà forma e determina la maniera di essere delle lingue,
e lingua formata e letteratura sono quasi la stessa cosa, o certo
3947 cose non separabili, e di qualità compagne e
corrispondenti; e come per conseguenza la letteratura greca (oltre le tante voci
e modi particolari) fu quella che diede veramente e principalmente forma alla
lingua latina, e ne determinò la maniera di essere, il carattere e lo spirito,
di modo che la lingua e letteratura latina, quando anche fossero nate, formate e
cresciute senza la greca, non sarebbero certamente state quelle che furono, ma
altre veramente, e in grandissima parte diverse per natura e per indole e forma,
e per qualità generali e particolari, e sì nel tutto, sì nelle parti maggiori o
minori, da quelle che furono; stante, dico, tutto questo, la letteratura greca
(oltre lo studio immediato fattone da' formatori delle nostre lingue, come da
quelli della latina) viene a esser veramente la madre e l'origine prima delle
nostre lingue, come la latina n'è la madre immediata; le quali lingue (anche la
francese che insieme colla sua letteratura è la più allontanata dalla sua
origine, e dalla forma latina, e dall'indole della latina, e quindi eziandio
della greca) non sarebbero assolutamente tali quali sono, ma altre e in
grandissima parte diverse sì nello spirito, sì in cento e mille cose
particolari, se non traessero primitivamente origine in grandissima parte dal
greco per mezzo del latino. E veramente la lingua greca mediante la sua
letteratura è prima (quanto si stende la nostra memoria dell'antichità) e vera
ed efficacissima causa dell'esser sì la lingua e letteratura latina, sì le
nostre lingue e letterature, anche la francese, tali quali elle sono,
3948 e non altre; chè per natura elle ben potrebbero
essere diversissime in molte e molte cose, anche essenziali ed appartenenti allo
spirito ed all'indole ec. e alquanto diverse più o meno in altre molte cose più
o meno essenziali o non essenziali. E forse non mancano esempi di altre
letterature e lingue antiche o moderne, anche meridionali ec., che non essendo
venute dal greco, sono diversissime, anche per indole ec. e nel generale ec. non
meno o poco meno che ne' particolari, dalla latina e dalle nostrali. E ne può
esser prova il vedere quanto la francese si è allontanata, anche di spirito,
dalla latina e dalla greca alle quali era pur conformissima nel 500 ec. (vedi la
p. 3937.), senz'aver mutato
clima ec. Certo i tempi nostri son diversissimi da quelli de' greci {e de' latini,} quando anche il clima sia conforme,
diversissime sono state e sono le nostre nazioni, {#1. loro governi, opinioni, costumi, avvenimenti e
condizioni qualunque,} sì tra loro, {#2. sì ciascuna di esse da se medesima in diversi
tempi,} sì dalla greca, e dalla latina eziandio. Nondimeno le loro
lingue e letterature sono state conformi, massime fino agli ultimi secoli, e tra
loro, e tra' vari lor tempi, e colla greca e latina ec. Sicchè tal conformità
non si deve attribuire nè solamente nè principalmente al clima, nè ad altre
circostanze naturali o accidentali, ma all'accidente di esser derivate
effettivamente dal greco e latino, chè ben potevano non derivar da nessuno, o
derivare d'altronde ec. ec.
[3988,1]
3988 Bello non assoluto. I greci e i romani (erano
nazioni di buon gusto?) pregiavano, almeno nelle donne, la fronte bassa, e
l'alta stimavano difettosa, per modo che le donne se la coprivano ec. V. le note
del De Rogati alla sua traduzione di
Anacr.
od. 29.
sopra Batillo. Sul coprire o mostrar
la fronte il che {+e la quale} ha tanta parte nel differenziare
le fisonomie, nè gli antichi nè i moderni, nè la moda oggidì è mai
d'accordo con se stessa. Non è dubbio che quella nazione di cui parla Ippocrate (v. la p. 3960.[3961]),
avvezza a non vedere che teste lunghe, benchè tali essi ed esse a dispetto della
natura, pur contuttociò naturalmente avrebbe e avrà sentita una mostruosità e bruttezza notabilissima e,
secondo lei, incontrastabile ogni volta che avrà veduto teste, non dico piatte,
ma discrete ec. Così dite degli altri barbari di cui p. 3962. E così di cento mila altri usi contro
natura, selvaggi o civili, antichi {(greci, romani ec.)} o moderni ec. spettanti alla conformazione o
reale o apparente (come quella de' guardinfanti ec.) del corpo umano. p. 1078
(16. Dec. 1823.).
[4001,2] Delle colonie greche in
italia, sicilia ec. e antico
commercio ec. greco in italia, avanti il dominio de'
romani, la diffusione o formazione di quella lingua latina, che noi conosciamo,
cioè romana ec. e del grecismo che per tali cagioni può esser rimasto nel
volgare latino {in} quelle parti, e quindi ne' volgari
moderni {+in quelle parti,} e
quindi nel comune italiano eziandio, massime che la formazione e letteratura di
questo ebbe principio in Sicilia e nel
4002 regno, come mostra il Perticari nell'Apologia, ec. ec., discorrasene proporzionatamente nel
modo che altrove s'è discorso pp. 1014-16
p. 2655 delle Colonie greco - galliche, di
Marsiglia ec. in rispetto ai grecismi della lingua
francese non comuni al latino noto ec. (24. Dec. 1823. Vigil. del S.
Natale.).
[4050,8] Della superiorità della lingua latina sulla greca
per certe parti e qualità, del che ho detto in proposito dei continuativi di cui
i greci mancano p. 1117
p. 2142
pp. 2784-86, cioè non ne hanno un genere determinato, si può dire lo
stesso
4051 rispetto agl'incoativi, di cui i greci non
hanno un genere e forma così determinata e assegnata come i latini, sebbene si
servono molto spesso, a significar l'incoazione, di verbi in ίζω fatti da quelli
che significano l'azione o passione positiva, o aggiungono a' temi in άω, έω ec.
il ζ, facendone άζω, έζω ec. Ma queste forme non sono così precisamente
determinate alla significazione incoativa, perchè infiniti verbi così formati ne
hanno tutt'altra, infiniti significano lo stesso che il primo tema (del che
altrove pp. 2825-26
pp.
3284. sgg., sebben forse in origine potranno avere avuto diverso
senso), infiniti non hanno altro tema, almen noto, e non significano cosa
incoativa ec. sia che questi e i sopraddetti abbiano perduta col tempo siffatta
significazione, e confusala ec. sia che mai non l'abbiano avuta, il che, di
moltissimi almeno, è certo, perchè molte volte la desinenza in ίζω o ζω è
frequentativa. Anche de' frequentativi determinati ec. mancano i greci, mentre
gli hanno non solo i latini ma gl'italiani (e moltissimi generi, come pure in
latino ve n'è più d'uno), i francesi ec. Mancano ancora de' {verbi} disprezzativi, vezzeggiativi ec. ec. che i latini e
gl'italiani ec. hanno, e più d'un genere. (21. Marzo. 1824.).
[4088,5]
Nei frammenti delle poesie di Cic. massime in quelli delle sue
traduzioni di Arato, che si
trovano principalmente citati da lui, come
nei libri de Divinat. ec., sono
abbondantissimi i composti, e in particolari[particolare] quelli fatti di più nomi, alla greca (come mollipes), gran parte de' quali, se non la massima,
non debbono avere esempio anteriore, e mostrano essere coniati da lui ad esempio
del greco, e forse per corrispondere a quelli appunto che traduceva. (15.
Maggio. 1824.).
[4090,6] S'è veduto altrove pp. 1659-60
pp. 2458-63
pp.
2869. sgg.
pp. 2884-85
pp.
3959-60
p.
3964 come la irregolarità e i vizi palpabili delle ortografie
straniere vengano in gran parte dall'aver voluto accomodare le loro scritture
alla latina. Ora egli è pur curioso che gli stranieri vogliano poi pronunziare
la scrittura latina nel modo in cui pronunziano la propria. Questa non
corrisponde alla parola pronunziata perchè l'hanno voluta scrivere alla latina,
e le parole latine le vogliono poi pronunziare
4091
colla stessa differenza dalla scrittura, che usano nel pronunziar le loro
parole, perchè sono male scritte. Ma se esse sono male scritte, le latine sono
scritte bene; però s'hanno a pronunziar come sono scritte e non altrimenti; e
gli stranieri mostrano di non ricordarsi che essi non pronunziano diversamente
da quel che scrivono, se non perchè vollero scrivere alla latina, e che
l'origine di questa differenza tra il loro scritto e il parlato, e della loro
scrittura falsa, fu l'aver voluto scrivere alla latina mentre parlavano in altro
modo, e l'aver voluto seguitare materialmente la scrittura latina, non falsa ma
vera. Ora avendola malamente voluta prendere per modello, e con ciò falsificata
la loro scrittura, pretendono poi per questa cagione medesima che quella sia
falsa come la loro, e perchè la loro è falsa perciocchè segue quella; il che è
ben lepido. (21. Maggio. 1824.). Quelli poi che non hanno tolta
l'ortografia loro da' latini (sebben tutti in parte l'han tolta o immediatamente
o mediatamente), e quelli che l'han tolta, in quelle cose in cui la loro non
deriva da quella, ma è pur viziosa manifestamente perchè ripugna al lor proprio
alfabeto, tralascia lettere e sillabe che s'hanno a profferire, ne scrive che
non s'hanno a pronunziare; come mai, dico, questi tali hanno da credere che
l'ortografia latina sia e viziosa perchè la loro lo è, e macchiata di quei vizi
appunto che ha la loro, diversissimi poi in ciascuna, di modo che ciascuna
nazione straniera pronunzia il latino diversamente? (21. Mag.
1824.).
[4117,11] Delle idee concomitanti annesse a certe parole,
del che dico altrove pp. 109-11
pp. 1701-706
pp. 1234-36
pp. 3952-54 , v. Thomas, Essai sur les Éloges,
ch. 9. fin. p. 78. œuvres t. 1. Amst.
1774. Dell'influenza della letteratura e filosofia sulla lingua, e
della formazione della lingua latina. ib. p. 112-6. chap. 10. (25.
Agosto. Festa di S. Bartolomeo Apostolo. 1824.). e {{p. 214-15.}}
[4173,8]
Magnum videlicet
illis
*
(Athenaei) temporibus videbatur, duabus
linguis posse loqui: quod in nescio quo habitum loco miraculi refert
Galenus: δίγλωττóς
τις, inquit, ἐλέγετο πάλαι, καὶ ϑαῦμα τοῦτ᾽ ἦν, ἄνϑρωπος εἷς,
ἀκριβῶν διαλέκτους δύο
*
. Bilinguis olim quidam dicebatur: eratque res
miraculo mortalibus, homo unus duas exacte linguas
tenens.
*
Haec Galenus in secundo de Differentiis
pulsuum.
*
Casaub.
Animadv. in Athenae. lib. 1. cap.
2. (Bologna 14. Aprile.
1826.).
[4214,3] I francesi non hanno lingua poetica perchè hanno
rigettata la lingua antica, perchè non sopportano l'antico nel verso niente più
che nella prosa: e senza l'antico non vi può esser lingua poetica. I Latini che ebbero pochissima antichità
di lingua, perchè il progresso della loro letteratura fu rapidissimo, e che
rigettarono, ad eccezione di pochissime {e
piccolissime} parti conservate nel verso, quella poca antichità che
avevano, non ebbero lingua poetica propriamente, nè avrebbero avuto dicitura e
stile poetico se non avessero usato nella poesia costruzioni ardite, e nuovi
significati e metafore di parole, che i francesi non sopportano nella loro.
{#(1) Notisi quindi che presso i latini
ciascun poeta era artefice della sua lingua poetica; la lingua poetica dei
latini era opera individuale del poeta, e se il poeta non se la facea, non
l'aveva: dove in italiano e in greco ella era cosa universale, e il poeta
l'avea già prima di porsi a comporre. E da ciò forse può nascere l'abuso e
la soverchia copia del verseggiare e dei verseggiatori ec. ec.} Del
resto l'avere i latini e i francesi a differenza dei greci e degl'italiani,
rigettata ne' loro buoni {e perfetti} secoli
l'antichità della lingua, venne, fra l'altre cose, dal non aver essi avuto nelle
loro lingue antiche scrittori veramente sommi, a differenza dei greci, che
ebbero Omero, Esiodo, Archiloco, Ippocrate, Erodoto ec. e degl'italiani, ch'ebbero
Dante, Petrarca, Boccaccio, insomma {(come i greci)} la
letteratura già stabilita, {fissata} e formata prima
della lingua e della maturità della civilizzazione.
(Bolog. 12. Ott. 1826.).
[4237,2] Tenacità dei Greci verso la loro lingua, e loro
ignoranza delle altre, in ispecie della latina. V. Dati, pref. alle prose fiorentine,
nella Raccolta
di prose ad uso delle regie scuole di
Torino, Torino
1753. p. 620. segg.
[4237,3] Universalità della lingua greca anticamente. V. Dati, loc. citato qui sopra, p. 627. fin. e segg.
[4243,3] Disprezzo e ignoranza dei greci per la letteratura
latina. V. Speroni
Diall. ed.
Ven. 1596. p. 420. - Si potrebbero in ciò i
greci assomigliare ai francesi.
[4263,2]
Alla p. 4249.
fin. Il medesimo Chesterfield
nota più volte come pregi
distintivi e dei principali della letteratura nostra, e come di quelli che
principalmente la possono far degna della curiosità degli stranieri, l'aver
degli eccellenti storici, e delle eccellenti traduzioni dal latino e dal greco,
mostrando poi di aver l'occhio particolarmente a quelle della Collana. Va bene il primo capo. Il secondo non può
servire ad altro che a mostrar l'ignoranza grande dei forestieri circa le cose
nostre. Perchè se la nostra letteratura è povera in alcuno articolo, lo è
certamente in quel delle buone traduzioni dal latino e dal greco. Di quelle
specialmente della Collana non ve n'è {appena} una che si possa leggere, quanto alla lingua e
allo stile, e per se; e che non dica poi, almeno per la metà, il rovescio di
quel che volle dire e disse l'autor greco e latino. Tutte le letterature
(eccetto forse la tedesca da poco in qua) sono povere di traduzioni veramente
buone: ma l'italiana in questo, se non si distingue dall'altre come più povera,
non si distingue in modo alcuno. Solamente è vero che noi cominciammo ad aver
traduzioni dal latino e dal greco classico (non buone, ma traduzioni
semplicemente), molto
4264 prima di tutte le altre
nazioni. Il che è naturale perchè anche risorse prima in
Italia che altrove, la letteratura classica, e lo
studio del vero latino, e del greco. E n'avemmo anche in gran copia. E queste
furono forse le cagioni che produssero tra gli stranieri superficialmente acquainted with le cose nostre quella opinione, che
ebbe tra gli altri il Chesterfield.
{Scriveva il Chester. quelle cose circa il 1750: il Tradutt. ital. del Maff. furon pubblicati del 1720.}
Nondimeno in quel medesimo tempo, {anzi alquanto
innanzi,} avveniva al Maffei in Baviera, dov'ei si trovava, quel
ch'egli scrive nella prefazione de' suoi Traduttori
italiani ossia notizia de' Volgarizzamenti d'antichi scrittori
latini e greci, che sono in luce indirizzata a una
colta Signora, da lui frequentata colà. Vostro costume era d'antepor la
*
(lingua) francese alle altre, per
l'avvantaggio di goder per essa gli antichi autori latini e greci,
della lettura de' quali sommamente vi compiacete, avendogli
traslatati i francesi. Qui io avea bel dire, che questo piacere
potea conseguirsi ugualmente con l'italiana, e che già fin dal
felice secolo del 1500 la maggior parte de' più ricercati antichi
scrittori era stata in ottima volgar lingua presso di noi recata,
che suscitandomisi contra tutti gli astanti, e gl'italiani prima
degli altri, restava fermato, che solamente in francese queste
traduzioni si avessero.
*
Ed ecco dagli stranieri
{negato agl'italiani formalmente, e} trasferito
alla letteratura francese quel medesimo pregio (e {circa} il medesimo tempo) che altri stranieri come il Chesterfield attribuivano alla
italiana. Nella qual
prefazione il Maffei afferma
aver gl'Italiani tradotto
prima, più, e meglio delle altre nazioni.
*
Per
provar la qual proposizione, assunse di comporre, e compose quel suo catalogo
dei nostri volgarizzatori. E quanto a me concedo {e credo
vere} le due prime parti di essa proposizione, almen relativamente al
tempo in cui il Maffei la scriveva.
Concederò anche la terza, relativamente allo stesso tempo, purchè quel meglio delle altre, non escluda il male e il pessimamente
assoluto. (Recanati. 27. Marzo. 1827.).
{{V. p.
4304. fine.}}
[4273,2]
Nella version latina di quel passaggio del
Riccio rapito di Pope (Canto 1.) che contiene la descrizione della
toilette, fatta dal Dr. Parnell (versione assai bizzarra, e che
parrebbe piuttosto fatta nell'ottavo secolo che nel decimottavo, poichè
consiste di versi dei quali ogni mezzo verso rima coll'altro mezzo, p. e.
Et nunc dilectum speculum, pro
more retectum, Emicat in mensa, quae splendet pyxide
densa,
*
che sono i primi), trovo questi due versi, di
séguito: Induit arma ergo Veneris
pulcherrima virgo: Pulchrior in praesens tempus de tempore
crescens,
*
dove, come si vede, ergo fa rima con virgo, e
praesens con crescens.
Che dicono gl'italiani di questa pronunzia?
(Recanati. 5. Aprile. 1827.). {{V. p.
4497.}}
[4280,4] Dico altrove p. 965
pp. 2869-75 che la
moderna pronunzia francese distrugge ed annulla bene spesso l'imitativo che
aveva il suono della parola in latino, {+e in cui spesso consisteva tutta la ragione di essa parola.} Il
simile si dee dire di altre voci che la lingua francese ha da altre lingue che
la latina, ovvero sue proprie ed originali. Miauler,
miaulement
{parole} espressive della voce del gatto, nella lor
forma scritta (e però primitiva) hanno una perfettissima imitazione, nella
pronunziata che ne rimane? Ognuno che abbia udito una sola volta il verso del
gatto, sa che esso è mià e non miò; e dirà imitativo l'italiano miagolare
(o sia questo originato dal francese, o viceversa, o l'
4281 uno e l'altro nati indipendentemente dalla natura), e corrotto
affatto il franc. miauler, miaulement (noi diciamo miao o gnao, come anche gnaulare, e
non già gnolare). Gli spagnuoli maullar o mahullar, maullido, maullamiento, mau. (16. Aprile. Lunedì di Pasqua. 1827.).
[4284,2] Una delle cause della imperfezione e confusione
delle ortografie moderne, si è che esse si sono quasi interamente ristrette
all'alfabeto latino, avendo esse molto più suoni, massime vocali, che non ha
quell'alfabeto. Ciò si vede specialmente nell'inglese, dove per conseguenza uno
stesso segno vocale deve esprimere ora uno ora un altro suono, senza regola
fissa, e servire a più suoni. I caratteri dell'alfabeto latino non bastano a
molte lingue moderne. E generalmente si vede che le ortografie sono tanto più
imperfette, quanto le lingue sono più
4285 distanti per
origine e per proprietà dal latino, sulla ortografia del quale tutte, malgrado
di ogni repugnanza, furono architettate.
[988,1] I latini erano veramente δίγλωττοι rispetto alla
lingua loro e alla greca 1. perchè parlavano l'una come l'altra, ma non così i
greci generalmente, anzi ordinariamente: 2. perchè scrivendo citavano del
continuo parole e passi greci, in lingua e caratteri greci, ovvero usavano
parole o frasi greche nella stessa maniera; ma non i greci viceversa, del che
vedi p. 981.
{{e p. 1052. capoverso
3.}}
{{e p.
2165.}}
[999,2] In prova di quanto la lingua greca, fosse universale,
e giudicata per tale, ancor dopo il pieno stabilimento, e durante la maggiore
estensione del dominio romano e de' romani pel mondo; si potrebbe addurre il
Nuovo Testamento, Codice della nuova religione sotto i primi
imperatori, scritto tutto in greco, quantunque da scrittori {Giudei (così tutti chiamano gli Ebrei di que' tempi),} quantunque
l'Evangelio di S. Marco si creda scritto in
Roma e ad uso degl'italiani, {+giacchè è rigettata da' {tutti i} buoni critici l'opinione che
quell'Evangelio fosse scritto originariamente in
latino;}
(Fabric.
B. G. 3. 131.) quantunque v'abbia
un'Epistola
di S. Paolo cittadino Romano,
diretta a' Romani, un'altra agli
Ebrei; quantunque v'abbiano le
Epistole dette Cattoliche, cioè universali, di S. Giacomo, e di S. Giuda Taddeo. Ma senza entrare nelle
quistioni intorno alla lingua originale del nuovo testamento, o delle diverse
sue parti, osserverò quello che dice il Fabric.
B. G. edit. vet. t. 3. p. 153. lib. 4. c.
5. §. 9 parlando dell'Epistola di S.
Paolo a' Romani: graece scripta est, non latine, etsi Scholiastes
Syrus notat scriptam esse Romane ומאבח, quo vocabulo Graecam
1000 linguam significari,
Romę tunc et in omni fere Romano imperio
vulgatissimam, Seldenus ad
Eutychium
observavit.
*
E p. 131. nota (d.) §. 3. parlando delle testimonianze Orientalium recentiorum
*
che
dicono essere stato scritto il Vangelo di S. Marco in lingua romana,
dice che furono o ingannati, o male intesi dagli altri, nam per Romanam linguam etiam ab illis Graecam
quandoque intelligi observavit Seldenus.
*
Intendi l'Opera di Giovanni Selden intitolata: Eutychii
Aegyptii Patriarchae Orthodoxorum Alexandrini Ecclesię suae Origines
ex eiusdem Arabico nunc primum edidit ac Versione et Commentario
auxit Joannes Seldenus. {+Per lo contrario Giuseppe Ebreo nel proem. dell'Archeol. §.
2. principio e fine, chiama Greci tutti coloro che non erano
Giudei, o sia gli Etnici, compresi per cons. anche i romani. E così nella Scrittura Ἕλληνες passim opponuntur
Iudaeis, et vocantur ethnici, a Christo
alieni
*
(Scapula). Così ne' Padri antichi. Il che pure
ridonda a provare la mia proposizione. E Gioseffo avendo detto di scrivere per tutti i Greci (cioè i non ebrei), scrive in
greco. V. anche il Forcell.
v. Graecus in
fine.}
[1025,1] La cognizione stessa che i greci di qualunque tempo,
ebbero de' padri e teologi latini ec. soli scrittori latini ch'essi
conoscessero, non fu {(se non forse ne' più barbari secoli di
mezzo)} paragonabile a quella che ebbero i latini dei padri, ed autori
ecclesiastici greci, massime nei primi secoli del cristianesimo, e negli ultimi
anni dell'impero greco
(Andrès loc. cit. da me p.
1023. t. 3. p. 55.), quando la dimostrarono principalmente
in occasione del concilio di Firenze. (ivi) (9.
Maggio 1821.).
[1518,1] Da queste osservazioni si deduce che dopo che i
costumi greci furono radicati in Roma; dopo che i romani
andavano ad imparar le maniere del bel vivere in grecia,
come si va ora a Parigi; dopo che la moda, la bizzarria,
l'ozio derivato dalla monarchia, l'influenza della letteratura greca ec. ebbe
grecizzati i costumi e la conversazione di Roma; dopo che
le case de' nobili eran piene di filosofi, di medici, di precettori, di
domestici e uffiziali greci d'ogni sorta;
1519 dopo che
la letteratura Romana fu definitivamente modellata sulla greca, come la russa,
la svedese, la inglese del secolo d'Anna sulla francese; dopo tutto ciò la lingua romana
doveva necessariamente (quando anche non si sapesse di fatto) imbarbarire a
forza di grecismo, sì quanto ai particolari, sì quanto all'indole. E bisogna
attentamente osservare che il grecismo di que' tempi, non era già quello d'Erodoto o di Senofonte, e perciò la lingua e stile romano non fu
mai semplice nè inartifiziato; ma quello di Luciano, di Polibio ec.
cioè contorto, lavorato, elegante artifiziosamente, e similissimo all'andamento
del latino. (v. p.
1494-6. ) Il quale andamento molto si sbaglierebbe chi lo credesse
passato dal latino nel greco. Fu tutto l'opposto, e derivò dall'influenza del
greco di allora, il quale nè allora nè mai fu soggetto all'influenza del latino.
E se {+la lingua} e lo stile latino
classico fu sommamente più artifiziato per indole, che il greco classico, ciò si
deve attribuire all'indole della grecità contemporanea al classico latino.
(18. Agos. 1821.)
[1363,2] I greci ponevano nella stessa
roma iscrizioni greche, quali sono le famose Triopee
fatte porre da Erode Attico, benchè
trattino di oggetti, si
1364 può dir, tutti e del tutto
romani. (21. Luglio 1821.).
[2165,1]
{I latini aveano pur forse delle parole
proprie o già usate o nuove da sostituire a queste scritte in greco, o prese
dal greco. Di più esse non erano in uso nel linguaggio latino in quelle
materie (come georgica per agricultura ec.), e neppur credo che esistesse
poema greco con tal titolo, ec. almeno famoso.}
Alla p. 988.
Fino i titoli delle loro opere i latini gli scrivevano bene spesso, non solo con
parole, ma con elementi greci ancora, come l'ἀποκολοκύντωσις di Seneca, parecchi libri logistici o
satirici di Varrone
(v. Fabric., B. lat. t. 1. p. 88.
e 428. not. d.), cioè nello stesso secolo aureo della latinità;
lasciando i titoli interamente greci per origine, per terminazione ancora ec.
come Metamorphoseon, Epodon di Orazio, Georg. e Bucol. ed Eclog. di
Virgilio, Ephemeris di Ausonio, ed altri veramente infiniti in tutti
2166 i secoli della latinità. Le quali cose non
ardiremmo noi (nè forse i tedeschi, i russi ec.) di far col francese, malgrado
l'inondazione del francesismo, la sommersione che questo ha prodotta delle
lingue native ec. (al che certo non arrivò la greca rispetto alla latina);
l'esser la lingua e le parole francesi, almen tanto generalmente intese in
ciascuna nazione civili[civile], ed in tutte
insieme, quanto la greca a quei tempi nella nazion latina, e nelle altre (anzi
nelle altre assai meno che il francese oggidì): e malgrado che gli elementi
francesi non differiscano dagl'italiani ec. come differivano i greci da' latini,
il che doveva rendere assai più strano {e discordante e
barbaro} un titolo forestiero ad un'opera nazionale, un titolo greco a
un'opera latina. (25. Nov. 1821.).
[2166,1] Può far meraviglia molto ragionevole che Marcaurelio scrivesse i suoi libri τῶν εἰς
2167 ἑαυτόν, delle considerazioni di se
stesso
come lo chiama il Menagio, piuttosto in greco che in latino,
essendo romano, non allevato in grecia (nè credo che mai
ci fosse), ed avendo posto molto e felice studio nelle lettere e nella lingua
nativa, come apparisce sì da altre notizie che danno di lui gli Storici, sì
massimamente da ciò ch'egli scrive a Frontone e Frontone a
lui. Non poteva aver egli di mira, cred'io, la maggior diffusione del
suo lavoro, scrivendolo in una lingua più divulgata. Ma io credo certissimo che
egli non fosse indotto a preferir la lingua greca alla latina se non per la
maggiore libertà di quella. Della quale libertà egli aveva bisogno in un'opera
profondamente ed intimamente filosofica, e attenente alla scienza della vita e
del cuore umano, ed alle sottili speculazioni psicologiche. Non dubito ch'egli
non disperasse di potere riuscire
2168 a trattare un
tale argomento in latino, a parlare a se stesso, e di se stesso, cioè del cuor
suo ec. (non delle sue cose pubbliche come fa Cic.) in latino. Questa lingua aveva già avuto un Cic. e un Seneca, e un Tacito, eppure ancor non bastava a una certa filosofia veramente
intima. La lingua greca aveva avuto scrittori filosofici profondi, ma senza ciò,
la sua pieghevolissima e liberissima indole, si prestava a qualsivoglia genere
di argomento, grado di filosofia, {ec.} ancorchè nuovo.
La lingua latina per lo contrario: ed oltracciò quello era un tempo, dove, come
accade dopo una decisa corruzione e licenza, che richiamandosi gl'istituti umani
alla buona strada, essi cadono nell'eccesso contrario; la lingua latina e il
gusto di quel tempo (come oggi in italia) peccava di
servilità, timidità (in
vitium ducit culpę fuga
*
), come si può vedere nelle opere
di Frontone, e come dicevano i maestri
di devozione,
2169 che le anime recentemente
convertite, sogliono patire di scrupoli, e sarebbe anzi mal segno se non ne
patissero. Questo durò poco, perchè la lingua e letteratura colle cose latine
tornò a precipitare indietro ben presto. Ma in quel tempo lo stile di Seneca, e altri tali stili filosofici si
condannavano altamente dai letteratori latini, come oggi dagli italiani quello
di Cesarotti ec. e ciò serviva
d'impaccio e di spauracchio a chi volesse scrivere filosoficamente in latino,
come oggi volendo scriver buon italiano, nessuno s'impaccia più di pensare. Marcaurelio pertanto dovè sentire questo
pericolo, disperare di poter essere profondo filosofo nella lingua nativa voluta
dal suo tempo, e senza violare il gusto corrente, e dar nel naso ai critici, i
quali già lo riprendevano di cattiva {e negligente}
lingua, e di licenza dopo ch'egli s'era dato alla filosofia, e dallo studio
delle parole a quello delle cose,
2170 come apertamente
lo riprende Frontone
de
Orationibus. Trovossi adunque obbligato per esprimere
i suoi più intimi sentimenti, a sceglier la lingua greca, a creder più facile di
esprimere le cose sue più proprie, in una lingua forestiera ed altrui, che nella
propria e nativa. (Il qual bisogno pur troppo si farebbe molte volte sentire
agl'italiani rispetto al francese, se gl'italiani pensassero, ed avessero cose
proprie da dire.)
[2609,1] L'immenso francesismo che inonda i costumi e la
{letteratura e la} lingua degl'italiani e degli
altri europei, non è bevuto se non dai libri francesi, e dall'influenza delle
loro mode, e coll'andarli a trovare in casa loro, il che per quanto sia
frequente, non può mai esser gran cosa. Laddove Roma e
l'italia da' tempi del secondo Scipione in poi, e massime sotto i primi
imperatori, era piena di greci (greci proprii, o nativi d'altri paesi
grecizzati); n'eran piene le case de' nobili, dove i greci erano chiamati e
ricevuti e collocati stabilmente in ogni genere di uffici, da quei della cucina,
fino a quello di maestro di filosofia ec. ec. (V. Luciano
περὶ τῶν ἐπὶ μισϑῷ συνόντων,
2610 e l'epig. di
Marziale del graeculus esuriens ec. ec.); n'eran pieni i
palazzi e gli offici pubblici: oltre che tutti i ricchi mandavano i figli a
studiare in grecia, e questi poi divenivano i principali
in Roma e in italia, nelle
cariche, nel foro ec. Quindi si può stimar quale e quanto dovesse
necessariamente essere il grecismo de' costumi, e letteratura, e quindi della
lingua in italia a quei tempi. Aggiunto che anche le
donne avevano a sapere il greco, lo studio che tutti più o meno facevano de'
loro libri, e il piacere che ne prendevano, e le biblioteche che ne componevano
ec. ec. (18. Agosto. Domenica. 1822.).
[4173,8]
Magnum videlicet
illis
*
(Athenaei) temporibus videbatur, duabus
linguis posse loqui: quod in nescio quo habitum loco miraculi refert
Galenus: δίγλωττóς
τις, inquit, ἐλέγετο πάλαι, καὶ ϑαῦμα τοῦτ᾽ ἦν, ἄνϑρωπος εἷς,
ἀκριβῶν διαλέκτους δύο
*
. Bilinguis olim quidam dicebatur: eratque res
miraculo mortalibus, homo unus duas exacte linguas
tenens.
*
Haec Galenus in secundo de Differentiis
pulsuum.
*
Casaub.
Animadv. in Athenae. lib. 1. cap.
2. (Bologna 14. Aprile.
1826.).
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. (1827) (36)
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Latinisti italiani del cinquecento ec. (1827) (2)
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Francese (pronunzia) distrugge il suono imitativo originario di molte voci, latine e non latine. (1827) (1)
. Benefizio da lui fatto all' e allo spirito umano coll'applicare il volgare alla letteratura. (1827) (1)
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. Sua lirica. (1827) (1)
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Tecniche o scientifiche (voci). (1827) (1)
Poesia. (1827) (1)
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. . (1827) (1)
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