Filosofia antica, e Filosofia moderna.
Ancient and modern philosophy.
231,1 249,1 264,1 520,1 1347,1 1359-60 1465,1 1467,1.2 1468,1 2292,1 2705,3 2712,1 4096,3 4206,4[231,1]
231
Ἔλεγε δὲ
*
(Socrate) καὶ ἓν μόνον ἀγαθὸν εἶναι, τὴν ἐπιστήμην· καὶ ἓν μόνον
κακὸν, τὴν ἀμαθίαν
*
dice il Laer. in Socr. l. 2. segm.
31. Oggidì possiamo dire tutto l'opposto, e questa considerazione può
servire a definire la differenza che passa tra l'antica e la moderna
sapienza.
[249,1]
249 Gli Egesiaci (ramo della setta Cirenaica) dicevano
secondo il Laerzio (in Aristippo l. 2.
segm. 95.) τόν τε σοϕὸν ἑαυτοῦ ἕνεκα πὰντα
πράξειν
*
. Questa potrebb'esser la divisa di tutti i
sapienti moderni, in quanto sapienti.
[264,1] Anticamente il cercare e istruirsi in diverse scuole
non serviva come ora ad imparar sempre più, giacchè tutte le scuole seguono gli
stessi principii, e non si diversificano se non per la diversa disciplina che
professano. Ma allora per imparare le dottrine di una scuola, bisognava
disimparare quelle
265 dell'altra, e scegliere quale si
voleva seguire, giacchè ciascuna contraddiceva alle altre. E perciò gli uomini
di un certo ingegno mediocre si attaccavano ad una setta, imparavano i dogmi di
una sola scuola, di quelli erano contenti, e si chiamavano col nome della loro
setta. Altri un poco maggiori d'ingegno o di presunzione introducevano qualche
cangiamento nelle dottrine de' loro maestri, o vi aggiungevano qualche cosa, e
si facevano capi di un nuovo ramo della setta stessa. Gl'ingegni superiori, non
si servivano della istruzione che prendevano in diverse scuole se non per
isceglierne il meglio, o quello che credessero tale, e fondere insieme i dogmi
scelti da varie sette, per formare o di essi soli, o di altri che
v'aggiungessero del proprio, o di un nuovo sistema cavato dalle varie e
discordanti idee acquistate, una nuova scuola e setta, come fece Platone che amò d'istruirsi in varie
scuole, e ascoltò Socrate, (altri due subito dopo la sua morte, nominati dal Laerzio nel principio della vita di Platone), i Pitagorici, gli Egiziani, e voleva
anche ascoltare i maghi di Persia, ma non potè a cagione
delle guerre d'Asia. E
266 delle
varie dottrine imparate e scelte da queste sette compose il suo nuovo sistema.
(6. Ottobre 1820.).
[520,1]
520 L'intiera filosofia è del tutto inattiva, e un
popolo di filosofi perfetti non sarebbe capace di azione. In questo senso io
sostengo che la filosofia non ha mai cagionato nè potuto cagionare alcuna
rivoluzione, o movimento, o impresa ec. pubblica o privata; anzi ha dovuto per
natura sua piuttosto sopprimerli, come fra i Romani, i greci ec. Ma la mezza
filosofia è compatibile coll'azione, anzi può cagionarla. Così la filosofia avrà
potuto cagionare o immediatamente o mediatamente la rivoluzione di
Francia, di Spagna ec. perchè
la moltitudine, e il comune degli uomini anche istruiti, non è stato nè in
Francia nè altrove mai perfettamente filosofo, ma
solo a mezzo. Ora la mezza filosofia è madre di errori, ed errore essa stessa;
non è pura verità nè ragione, la quale non potrebbe cagionar movimento. E questi
errori semifilosofici, possono esser vitali, massime sostituiti ad altri errori
per loro particolar natura mortificanti, come quelli derivati da un'ignoranza
barbarica e diversa dalla naturale; anzi contrari ai dettami ed alle
521 credenze della natura, o primitiva, o ridotta a
stato sociale ec. Così gli errori della mezza filosofia, possono servire di
medicina ad errori più anti-vitali, sebben derivati anche questi in ultima
analisi dalla filosofia, cioè dalla corruzione prodotta dall'eccesso
dell'incivilimento, il quale non è mai separato dall'eccesso {relativo} dei lumi, dal quale anzi in gran parte deriva. E infatti la
mezza filosofia è la molla di quella poca vita e movimento popolare d'oggidì.
Trista molla, perchè, sebbene errore, e non perfettamente ragionevole, non ha la
sua base nella natura, come gli errori e le molle dell'antica vita, o della
fanciullesca, o selvaggia ec.: ma anzi finalmente nella ragione, nel sapere, in
credenze o cognizioni non naturali e contrarie alla natura: ed è piuttosto
imperfettamente ragionevole e vera, che irragionevole e falsa. E la sua tendenza
è parimente alla ragione, e quindi alla morte, alla distruzione, e all'inazione.
E presto o tardi, ci
522 deve arrivare, perchè tale è
l'essenza sua, al contrario degli errori naturali. E l'azione presente non può
essere se non effimera, e finirà nell'inazione come per sua natura è sempre
finito ogni impulso, ogni cangiamento operato nelle nazioni da principio e
sorgente filosofica, cioè da principio di ragione e non di natura inerente
sostanzialmente e primordialmente all'uomo. Del resto la mezza filosofia, non
già la perfetta filosofia, cagionava o lasciava sussistere l'amor patrio e le
azioni che ne derivano, in Catone, in
Cic. in Tacito, {Lucano, Trasea Peto, Elvidio Prisco,} e negli altri antichi filosofi e patrioti
allo stesso tempo. Quali poi fossero gli effetti de' progressi {e perfezionamento} della filosofia presso i Romani è ben
noto.
[1347,1] Io non avendo mai letto scrittori metafisici, e
occupandomi di tutt'altri studi, e null'avendo imparato di queste materie alle
scuole (che non ho mai vedute), aveva già ritrovata la falsità delle idee
innate, indovinato l'Ottimismo
1348 del Leibnizio, e scoperto il principio, che
tutto il progresso delle cognizioni consiste in concepire che un'idea ne
contiene un'altra; il quale è la somma della tutta nuova scienza ideologica. Or
come ho potuto io povero ingegno, senza verun soccorso, e con poche riflessioni,
trovar da me solo queste profondissime, e quasi ultime verità, che ignorate per
60. secoli, hanno poi mutato faccia alla metafisica, e quasi al sapere umano?
Com'è possibile che {di} tanti sommi geni, in tutto il
detto tempo, nessuno abbia saputo veder quello, ch'io piccolo spirito, ho veduto
da me, ed anche con minori cognizioni in queste materie, di quelle che molti di
essi avranno avuto?
[1359,2] Dividersi perpetuamente i letterati e i poeti, da'
filosofi. L'odierna filosofia che riduce la metafisica, la morale ec. a forma e
condizione quasi matematica, non è più compatibile con la letteratura e la
poesia, com'era {compatibile} quella de' tempi ne'
quali fu formata la lingua nostra, la latina, la greca. (Ho già detto p.
110
pp.
190-91
pp.
373-75
pp.
1226-27 che la francese non ha vera letteratura nè poesia {+eccetto quella letteratura epigrammatica
e di conversazione, ch'è loro propria, e dove riescono assai bene; che il
resto è piuttosto filosofia che letteratura.)} La filosofia di Socrate poteva e
potrà sempre
1360 non solo comparire, ma infinitamente
servire alla letteratura e poesia, e gioverà pur sempre agli uomini più
dell'odierna (v. p. 1354.), dalla
quale non negherò che non possa ricevere qualche miglioramento, quasi
accessorio, o quasi rifiorimento. Ma la filosofia di Locke, di Leibnizio ec. non potrà mai stare colla letteratura nè colla vera
poesia. {+La filosofia di Socrate
partecipava assai della natura, ma questa nulla ne partecipa, ed è tutta
ragione. Perciò nè essa nè la sua lingua è compatibile colla letteratura, a
differenza della filosofia di Socrate, e della di lei lingua. La qual filosofia è
tale che tutti gli uomini un poco savi ne hanno sempre partecipato più o
meno in tutti i tempi e nazioni, anche avanti Socrate. È una filosofia poco
lontana da quello che la natura stessa insegna all'uomo sociale.} Si
dividano dunque le lingue, e la nostra che tante ne contiene, e così diverse
anche dentro uno stesso genere, potrà ben contenere allo stesso tempo una lingua
bella, e una lingua filosofica. Ed allora avrà una filosofia, e seguirà ad avere
quella poesia, e quella letteratura nella quale ha sempre superato tutte le
moderne.
[1465,1] Le pazze filosofie degli antichi, la stessa
scolastica, lasciando tutto il resto, hanno sommamente, e forse principalmente
giovato al progresso dello spirito umano, in che? riguardo ai nomi. Le profonde
meditazioni, le acutissime sofisticherie, il lambiccarsi il cervello, circa le
astrazioni, le qualità occulte, ed altri sogni, ci hanno dato la denominazione e
quindi la fissazione d'idee prime, elementari, secretissime, difficilissime
1466 a concepire, a definire, ad esprimere, ma tanto
necessarie, usuali ec. che senza tali nomi la filosofia non sarebbe ancor nulla.
Astratto, {e}
concreto, essenza, sostanza e accidente, e tali altri termini
d'ontologia, logica ec. Che sarebbe il pensiero dell'uomo s'egli non avesse idea
chiara di tali ripostissime, ma universalissime cose? e come l'avrebbe senza i
nomi? i quali dopo sì piene rivoluzioni della filosofia ec. sono e saranno pur
sempre in bocca de' filosofi. Ma certo la difficoltà d'inventarli è stata somma,
e tale che la filosofia moderna forse non ne sarebbe stata capace. E mentre le
{idee} più difficili a concepirsi chiaramente,
definirsi col pensiero, e nominarsi, sono le più elementari, certo è che la
filosofia qualunque, non potrà mai concepire nè significare idee più elementari
di queste. Utilissima per questo lato, è stata la stessa teologia, che ha
maggiormente diffuse e popolarizzate
tali parole, ed altre ne ha trovate, assuefacendo, ed affezionando, ed eccitando
lo spirito umano alle astrazioni, con tali stimoli,
1467 che nessun'altra disciplina avrebbe potuto altrettanto, nè verun'altra
circostanza come quella delle dispute teologiche, dove prendevano parte i
principi e le nazioni, e degli studi teologici che interessarono per sì lungo
tempo tutta la vita umana, e tutto lo stato del mondo civile. E quanto ho detto
altrove [pp. 641-43]
[pp. 1317-18] circa
l'utilità che si può cavare dal linguaggio scolastico de' filosofi ec. intendo
pur dirlo del teologico, d'ogni specie, dommatico, morale, scolastico, ec.
(7. Agos. 1821.).
[1468,1] La detta applicazione non credo che sia stata mai
fatta, almeno sufficientemente. Quando il Cartesio imprese la riforma della vecchia filosofia, dovette, secondo
la qualità di que' tempi (e pur troppo di tutti i tempi) entrare in guerra
aperta colle scuole d'allora: e il mondo avrebbe stimato ch'egli prevaricasse, o
desse indizio di povertà o fiacchezza, se avesse voluto servirsi più che tanto
del linguaggio de' suoi nemici. Così appoco appoco, prevalendo la nuova
dottrina, non più a causa della ragione, che della novità, e dismessa la vecchia
filosofia, nessuno ebbe cura bastante di cernere il buono dal cattivo, e
gittando questo, conservare o richiamar quello, massime circa il linguaggio. In
ordine alla teologia molto peggio. La teologia s'è abbandonata {+da chiunque ora influisce cogli studi
sullo spirito d'europa ec.} non per migliorarla
o rinnovarla, ma del tutto, come scienza vecchia, e
1469 quasi come l'alchimia. Ora quanto sia il numero degli scrittori e pensatori
teologici diversissimi di tempo, di paese, di lingua, di opinioni ancora e di
sistemi e di sette, e conseguentemente quanta debba esser la ricchezza del
linguaggio di questa scienza, linguaggio tutto astratto perchè la scienza è
tale, linguaggio che s'è tutto abbandonato e dimenticato insieme con lei,
facilmente si comprende. (8. Agos. 1821.).
[2292,1]
2292 Chi deve governare gli uomini, dovrebbe conoscerli
più che alcun altro mai. I principi per lo contrario, cresciuti fra
l'adulazione, e vedendo gli uomini sempre diversi da quello che sono, (per le
infinite simulazioni della corte) e da giovani avendo poca voglia, più tardi
poco tempo di attendere agli studi, non possono conoscer gli uomini nè come li
conoscono i filosofi, nè come li conosce chi ha praticato e sperimentato il
mondo qual egli è. Quindi nella cognizione degli uomini, dote in essi di prima
necessità per il bene de' sudditi, i principi non solo non sono superiori, ma
necessariamente inferiori ai più meschini e ignoranti che vivono nel mondo. A
questo gran difetto rimedierebbero gli studi: e infatti quanti principi sono
stati studiosi o in gioventù o in seguito, quanti principi sono stati filosofi,
tanti sono stati buoni principi, avendo appreso dai libri a conoscer quel mondo
e
2293 quelle cose che avevano a governare. Marcaurelio, Augusto, Giuliano ec. Parrebbe questo un grandissimo pregio e un vero trionfo
della filosofia, e dimostrazione della sua utilità. Ma io dico che la filosofia
non ha fatto nè farà mai questo buon effetto di darci dei buoni principi, se non
fino ch'ella fu, o quando ella è imperfetta: allo stesso modo che solo in questo
caso ella può darci de' buoni privati, e ce ne diede e ce ne dà. Vengo a dire
che la filosofia moderna (la quale può dirsi che nella sua natura, cioè in
quanto filosofia, o scienza della ragione e del vero, sia perfetta) non farà de'
buoni principi, come non farà mai de' buoni privati; anzi ne farà dei pessimi,
perchè la perfezione della filosofia, non è insomma altro che l'egoismo; e però
la filosofia moderna non farà de' principi (come
2294
vediamo de' privati) se non de' puri e perfetti egoisti. Tanto peggiori de'
principi ignoranti, quanto che in questi l'egoismo ha una base meno salda; la
natura che lo cagiona, v'aggiunge molti lenitivi e modificativi; le illusioni
della virtù della grandezza d'animo, della compassione, della gloria non sono
irrevocabilmente chiuse per loro, come per un principe filosofo moderno: e se
non altro in quelli la coscienza e l'opinione ripugna al costume, e al vizio; in
questi li rassoda, li protegge (essendo un filosofo moderno, necessariamente
egoista, e {quindi} malvagio, per principii), anzi li
comanda, e condannerebbe il principe se non fosse egoista dopo aver conosciute
le cose e gli uomini. Così che anche un principe inclinatissimo alla virtù,
divenendo filosofo alla moderna, diverrebbe quasi per forza e suo malgrado
vizioso,
2295 come accade ne' privati. Volete una prova
di fatto? Volete conoscere che cosa sia un principe filosofo moderno? Osservate
Federico II. e paragonatelo con
M. Aurelio. Di maniera che è da
desiderarsi sommamente oggidì che un principe non sia filosofo, il che tanto
sarebbe, quanto freddo e feroce e inesorabile egoista, ed un egoista che ha in
mano, e può disporre a' suoi vantaggi una nazione, è quanto dire un tiranno.
Ecco il bel frutto e pregio della filosofia moderna, la quale finisce
d'impossibilitare i principi ad esser virtuosi (siccome fa ne' privati), e a
conoscer gli uomini, senza il che non possono esser buoni principi. Ma siccome
questo effetto della filosofia moderna, non è in quanto moderna, ma in quanto
vera e perfezionata filosofia (giacchè niente di falso le possiamo imputare), e
siccome le cose si denno considerare e giudicare nella
2296 loro perfezione cioè nella pienezza del loro essere, e delle loro
qualità e proprietà, così giudicate che cosa sia per essenza la filosofia, la
sapienza, la ragione, la cognizione del vero, tanto riguardo al regolare le
nazioni, cioè riguardo a' principi, quanto assolutamente parlando. (27.
Dic. 1821.).
[2705,3] È pur doloroso che i filosofi e le persone che
cercano di essere utili o all'umanità o alle nazioni, sieno obbligate a spendere
nel distruggere un errore o nello spiantare un abuso quel tempo che avrebbono
potuto dispensare nell'insegnare o propagare una nuova verità, o nell'introdurre
o divulgare una buona usanza. E veramente a prima vista può parer poco degno di
un grande
2706 intelletto, e poco utile, o se non
altro, di seconda o terza classe nell'ordine de' libri utili, un libro, tutta la
cui utilità si riduca a distruggere uno o più errori. (Tali sono p. e. i due Trattati di Perticari, e tutta la Proposta di Monti). Ma se guarderemo più sottilmente, troveremo che i
progressi dello spirito umano, e di ciascuno individuo in particolare,
consistono la più parte nell'avvedersi de' suoi errori passati. E le grandi
scoperte per lo più non sono altro che scoperte di grandi errori, i quali se non
fossero stati, nè quelle (che si chiamano, scoperte di grandi verità) avrebbero
avuto luogo, nè i filosofi che le fecero avrebbero alcuna fama. Così dico delle
grandi utilità recate ai costumi, alle usanze ec. Non sono, per lo più, altro se
non correzioni di grandi abusi. Lo spirito umano è tutto pieno di errori, la
vita umana di male usanze. La maggiore e la principal parte delle utilità che si
possono recare agli uomini, consiste nel disingannarli e nel correggerli,
piuttosto che nell'insegnare
2707 e nel bene
accostumare, benchè quelle operazioni bene spesso, anzi ordinariamente, ricevano
il nome di queste. La maggior parte de' libri, chiamati universalmente utili,
antichi o moderni, non lo sono e non lo furono, se non perchè distrussero o
distruggono errori, gastigarono o gastigano abusi. In somma la loro utilità non
consiste per lo più nel porre, ma nel togliere, o dagl'intelletti o dalla vita.
Grandissima parte de' nostri errori scoperti o da scoprirsi, sono o furono così
naturali, così universali, così segreti, così propri del comune modo di vedere,
che a scoprirli si richiedeva o si richiede un'altissima sapienza, una somma
finezza e acutezza d'ingegno, una vastissima dottrina, insomma un gran genio.
Qual è la principale scoperta di Locke,
se non la falsità delle idee innate? Ma qual perspicacia d'intelletto, qual
profondità ed assiduità di osservazione, qual sottigliezza di raziocinio non era
2708 necessaria ad avvedersi di questo inganno
degli uomini, universalissimo, naturalissimo, antichissimo, anzi nato nel genere
umano, e sempre nascente in ciascuno individuo, insieme colle prime riflessioni
del pensiero sopra se stesso, e col primo uso della logica? E pure che infinita
catena di errori nascevano da questo principio! Grandissima parte de' quali
ancor vive, e negli stessi filosofi, ancorchè il principio sia distrutto. Ma le
conseguenze di questa distruzione, sono ancora pochissimo conosciute (rispetto
alla loro ampiezza e moltiplicità), e i grandi progressi che dee fare lo spirito
umano in séguito e in virtù di questa distruzione, non debbono consistere essi
medesimi in altro che in seguitare a distruggere.
[2712,1] Ho detto che la filosofia moderna, in luogo degli
errori che sterpa, non pianta nessuna
2713 verità
positiva. Intendo verità semplicemente nuove; verità di cui vi fosse alcun
bisogno, che avessero alcun valore, alcuno splendore, che meritassero di essere
annunziate e affermate, che non fossero al tutto frivole e puerili, che non
fossero manifestissime e conseguenti per se medesime, se gli errori contrarii
non avessero avuto luogo, o non esistessero oggidì nelle menti degli uomini. Per
esempio la filosofia moderna afferma che tutte le idee dell'uomo procedono dai
sensi. Questa può parere una proposizione positiva. Ma ella sarebbe frivola, se
non avesse esistito l'errore delle idee innate; come sarebbe frivolo l'affermare
che il sole riscalda, perchè niuno ha creduto che il sole non riscaldasse, o
affermato che il sole raffredda. Ma se questo fosse avvenuto, allora neanche
quella verità o proposizione, che il sole riscalda, sarebbe tenuta frivola. Di
più l'intenzione e lo spirito di quella proposizione che tutte le nostre idee
vengono dai
2714 sensi, è veramente negativo, ed essa
proposizione è come se dicesse, L'uomo non riceve nessuna idea se non per
mezzo dei sensi; perch'ella mira espressamente ed unicamente ad
escludere quell'{antica} proposizione positiva che
l'uomo riceve alcune idee per altro mezzo che per quello dei sensi; ed è stata
dettata dalla sottile speculazione di chi ben guardando nel proprio intelletto
s'avvide che niuna idea gli era mai pervenuta fuori del ministerio dei sensi.
Questo è un procedere affatto negativo, sì nella scoperta, sì ancora
nell'enunciazione, perchè infatti da principio quella verità fu annunziata come
negazione dell'errore contrario che allora sussisteva. Così discorrete
d'infinite altre proposizioni o dogmi ec. della filosofia moderna, che hanno
aspetto di positivi, ma che nello spirito, nella sostanza, nello scopo, e nel
processo che il filosofo ha tenuto per iscoprirli, sono, o certo originalmente
2715 furono, negativi. (22. Maggio
1823.).
[4096,3] Chi vuol vedere la differenza che passa tra l'antica
filosofia e la moderna, e quel che di questa ci possiamo promettere, le
consideri ambedue sul trono, cioè ἐξουσίαν
4097
λαβούσας, la quale non hanno i filosofi privati. Ora se egli è vero che la
qualità d'ogni cosa non d'altronde si conosca meglio e più veramente che dagli
effetti, da quelli de' principi filosofi si dovrà giudicare delle due filosofie
meglio che da' privati, i quali hanno per necessità più parole che effetti, o
effetti più deboli, e più desiderii e progetti che esecuzioni, perchè quel che
vogliono, massime in cose grandi e rilevanti, nol possono. Paragoninsi dunque
fra loro Marcaurelio e Federico, ambedue, si può dire, perfetti
nella rispettiva filosofia, ambedue filosofi in parole e in opere, e
corrispondenti ne' loro fatti alle loro massime. E si troverà quello in un
secolo inclinante alla barbarie essere stato il padre de' suoi popoli ed esempio
di virtù {morali} d'ogni genere anche a' privati ed a
tutti i tempi. Questo in un secolo sommamente civile essere stato il maggior
despota possibile, il più freddo egoista verso i suoi popoli, il più
indifferente al loro bene e curante del proprio, e solito e determinato ad
antepor questo a quello, il maggior disprezzatore {#1. dico ne' fatti e in parte eziandio ne' detti.}
della morale in quanto morale, della virtù in quanto virtù, e del giusto come
giusto; in somma, se non il più vizioso (chè egli non l'era per calcolo), certo
il men virtuoso principe del suo tempo, e forse di tutti i tempi, perchè non
avendo niuna delle virtù che vengono, o vogliamo dir venivano dalla forza della
mente, mancava anche di quelle che nascono dalla debolezza (come {n'}erano in Luigi
XV.). Fu anche disaffezionato stranamente alla sua patria, come gli è
stato
4098 agramente rimproverato dai Tedeschi e fra
gli altri da Klopstock, decisamente
vago delle cose straniere, e solito d'antepor gli stranieri ai suoi
nell'affetto, nella inclinazione e nei fatti. (1. Giugno.
1824.).
[4206,4] È chiaro e noto che l'idea e la voce spirito non si può in somma e in conclusione definire
altrimenti che sostanza che non è materia, giacchè
niuna sua qualità positiva possiamo noi nè conoscere, nè nominare,
4207 nè anco pure immaginare pp. 1635-36
p.
4111. Ora il nome e l'idea di materia, idea e nome anch'essa astratta,
cioè ch'esprime collettivamente un'infinità di oggetti, tra se differentissimi
in verità (e noi poi non sappiamo se la materia sia omogenea, {+e quindi una sola sostanza
identica,} o {vero} distinta in elementi,
{+e quindi in altrettante
sostanze,} di natura ed essenza differentissimi, com'ella è distinta
in diversissime forme), l'idea dico ed il nome di materia abbraccia tutto quello
che cade o può cader sotto i nostri sensi, tutto quello che noi conosciamo, e
che noi possiamo conoscere e concepire; ed essa idea ed esso nome non si può
veramente definire che in questo modo, o almeno questa è la definizione che più
gli conviene, in vece dell'altra dedotta dall'enumerazione di certe sue qualità
comuni, come divisibilità, larghezza, lunghezza, profondità e simili. Per tanto
il definire lo spirito, sostanza che non è
materia, è precisamente lo stesso che definirla sostanza che non è di quelle che noi conosciamo o possiamo
conoscere o concepire, e questo è quel solo che noi venghiamo a dire e
a pensare ogni volta che diciamo spirito, o che
pensiamo a questa idea, la quale non si può, come ho detto, definire altrimenti.
Frattanto questo spirito, non essendo altro che quello che abbiam veduto, è
stato per lunghissimo spazio di secoli creduto contenere in se tutta la realtà
delle cose; e la materia, cioè quanto noi conosciamo e concepiamo, e quanto
possiamo conoscere e concepire, è stata creduta non essere altro che apparenza,
sogno, vanità appetto allo spirito. È impossibile non deplorar la miseria
dell'intelletto umano considerando un così fatto delirio. Ma se pensiamo poi che
questo delirio si rinnuova oggi completamente; che nel secolo 19.° risorge da
tutte le parti e si ristabilisce radicatamente lo spiritualismo, forse anche più
spirituale, per dir così, che in addietro; che i filosofi più illuminati della
più illuminata nazione moderna, si congratulano di riconoscere per
caratteristica di questo secolo, l'essere esso éminemment
4208
religieux,
*
cioè spiritualista; che può fare un
savio, altro che disperare compiutamente della illuminazione delle menti umane, e gridare: o Verità, tu sei sparita
dalla terra per sempre, nel momento che gli uomini incominciarono a
cercarti
*
. Giacchè è manifesto che questa e simili
innumerabili follie, dalle quali pare ormai impossibile e disperato il guarire
gl'intelletti umani, sono puri parti, non mica dell'ignoranza, ma della scienza.
L'idea chimerica dello spirito non è nel capo nè di un bambino nè di un puro
selvaggio. Questi non sono spiritualisti, perchè sono pienamente ignoranti. E i
bambini, e i selvaggi puri, e i pienamente ignoranti sono per conseguenza a
mille doppi più savi de' più dotti uomini di questo secolo de' lumi; come gli
antichi erano più savi a cento doppi per lo meno, perchè più ignoranti de'
moderni; e tanto più savi quanto più antichi, perchè tanto più ignoranti.
(Bologna. 26. Sett. 1826.). {{V. p.
4219.}}
Related Themes
Progressi dello spirito umano. (1827) (4)
Scienza e Ignoranza. (1827) (3)
Filosofia perfetta, e mezza Filosofia. (1827) (2)
Lingue. (pnr) (2)
Tecniche o scientifiche (voci). (1827) (2)
Vocabolario universale, proposto all'. (1827) (2)
Antichi. (1827) (2)
. (1827) (2)
Principe. (1827) (2)
Sapienza umana. Sua vanità e stoltezza. (1827) (2)
Civiltà. Incivilimento. (1827) (1)
Secolo decimonono. (1827) (1)
Illusioni. (1827) (1)
Religione. Culto. (1827) (1)
Della natura degli uomini e delle cose. (pnr) (1)
Memorie della mia vita. (pnr) (1)
Paradossi. (1827) (1)
Modo in cui le grandi verità si scuoprono. (1827) (1)
Ideologia. (1827) (1)
Idee innate. (1827) (1)
Egoismo. (1827) (1)
Spirito. Spiritualità dell'anima, ec. (1827) (1)