20. Luglio 1821.
[1356,2] È cosa già nota che la letteratura e poesia vanno a
ritroso delle scienze. Quelle ridotte ad arte isteriliscono, queste prosperano;
quelle giunte a un certo segno, decadono, queste più s'avanzano, più crescono;
quelle sono sempre più grandi più belle più maravigliose presso gli antichi,
queste presso i moderni; quelle più s'allontanano dai loro principii, più
deteriorano, finchè si corrompono, queste più son vicine ai loro principii più
sono imperfette, deboli, povere, e spesso stolte. La cagione è che il principal
fondamento di quelle è la natura, la quale non si perfeziona (fuorchè ad un
certo punto) ma si corrompe; di queste la ragione la quale ha bisogno del tempo
per crescere, ed avanza in proporzione de' secoli, e dell'esperienza. La qual
esperienza è maestra della ragione, nutrice, {educatrice} della ragione, e omicida della natura. Così dunque accade
rispetto alle lingue.
1357 Quelle qualità loro che
giovano per l'una parte alla ragione, e per l'altra da lei dipendono, si
accrescono e perfezionano col tempo; quelle che dipendono dalla natura,
decadono, si corrompono, e si perdono. Quindi le lingue guadagnano in
precisione, allontanandosi dal primitivo, guadagnano in chiarezza, ordine,
regola ec. Ma in efficacia, varietà ec. e in tutto ciò ch'è bellezza, perdono
sempre quanto più s'allontanano, da quello stato che costituisce la loro
primitiva forma. La combinazione della ragione colla natura accade quando elle
sono applicate alla letteratura. Allora l'arte corregge la rozzezza della
natura, e la natura la secchezza dell'arte. Allora le lingue sono in uno stato
di perfezione relativa. Ma qui non si fermano. La ragione avanza, e avanzando la
ragione, la natura retrocede. L'arte non è più contrabbilanciata. La precisione
predomina, la bellezza soccombe. Ecco la lingua che avendo perduto il suo
primitivo stato di natura, e l'altro più perfetto di natura regolata, o vogliamo
dire formata, cade
1358 nello stato geometrico, nello
stato di secchezza, e di bruttezza. (La lingua francese nella sua formazione, si
accostò fin d'allora, per le circostanze del tempo, a quest'ultimo stato, perchè
prevalse in essa la ragione, e l'equilibrio fra l'arte e la natura, nella lingua
francese non vi fu mai, o non mai perfetto.) I filosofi chiamano questo stato,
stato di perfezione, i letterati, stato di corruzione.
[1358,1] Nessuno ha torto. Quelli che hanno a cuore la
bellezza di una lingua, hanno ragione di essere malcontenti del suo stato
moderno, e saviamente la richiamano a' suoi principii; voglio dire al tempo
della sua formazione, e non più là, che questo pazzamente si pretende, e volendo
rigenerare la lingua, anche quanto alla bellezza, si fa l'opposto, perchè si
caccia da un estremo ad un altro: e negli estremi la bellezza non può stare,
bensì nel mezzo, e in quel punto in cui ella è formata e perfezionata. Quelli a'
quali preme che la lingua serva agl'incrementi della ragione, raccomandano la
precisione, promuovono la ricchezza de' termini, fuggono e scartano le voci e frasi ec. che son belle ed
eleganti con danno della sicurezza
1359 e chiarezza e
facilità ec. della espressione; ed odiano l'antica forma, insufficiente e
dannosa allo stabilimento e comunicazione delle profonde e sottili verità.
[1359,1] Come dunque faremo? L'andamento delle cose umane, è
questo; questo l'andamento delle lingue. {+La perfezione filosofica di una lingua può sempre
crescere; la perfezione letterata, dopo il punto che ho detto, non può
crescere (eccetto ne' particolari) anzi non può se non guastarsi e
perdersi.} Tutti due hanno ragione, e grandissima. Converrebbe
accordarli insieme. La cosa è difficile, ma non impossibile. Una lingua, massime
come la nostra (non così la francese), può conservare o ripigliare le antiche
qualità, ed assumere le moderne. Se gli scrittori saranno savi, ed avranno vero
giudizio, il mezzo di concordia è questo.
[1359,2] Dividersi perpetuamente i letterati e i poeti, da'
filosofi. L'odierna filosofia che riduce la metafisica, la morale ec. a forma e
condizione quasi matematica, non è più compatibile con la letteratura e la
poesia, com'era {compatibile} quella de' tempi ne'
quali fu formata la lingua nostra, la latina, la greca. (Ho già detto [p.
110]
[pp.
190-91]
[pp.
373-75]
[pp.
1226-27] che la francese non ha vera letteratura nè poesia {+eccetto quella letteratura epigrammatica
e di conversazione, ch'è loro propria, e dove riescono assai bene; che il
resto è piuttosto filosofia che letteratura.)} La filosofia di Socrate poteva e
potrà sempre
1360 non solo comparire, ma infinitamente
servire alla letteratura e poesia, e gioverà pur sempre agli uomini più
dell'odierna (v. p. 1354.), dalla
quale non negherò che non possa ricevere qualche miglioramento, quasi
accessorio, o quasi rifiorimento. Ma la filosofia di Locke, di Leibnizio ec. non potrà mai stare colla letteratura nè colla vera
poesia. {+La filosofia di Socrate
partecipava assai della natura, ma questa nulla ne partecipa, ed è tutta
ragione. Perciò nè essa nè la sua lingua è compatibile colla letteratura, a
differenza della filosofia di Socrate, e della di lei lingua. La qual filosofia è
tale che tutti gli uomini un poco savi ne hanno sempre partecipato più o
meno in tutti i tempi e nazioni, anche avanti Socrate. È una filosofia poco
lontana da quello che la natura stessa insegna all'uomo sociale.} Si
dividano dunque le lingue, e la nostra che tante ne contiene, e così diverse
anche dentro uno stesso genere, potrà ben contenere allo stesso tempo una lingua
bella, e una lingua filosofica. Ed allora avrà una filosofia, e seguirà ad avere
quella poesia, e quella letteratura nella quale ha sempre superato tutte le
moderne.
[1360,1] Conosco bene che l'età del vero non è quella del
bello: e che un secolo {o un terreno} fecondo di grandi
intelletti, difficilmente sarà fecondo di grandi immaginazioni e sensibilità,
perchè gl'ingegni degli uomini si modificano secondo le circostanze. In tal caso
sarà sempre costante che siccome questa è l'età del vero, bisogna che la lingua
nostra assuma le qualità che servono al vero, e ch'ella non ebbe mai. Quando
però l'italia, terra del bello e del grande, possa pur continuare
1361 a produrre ingegni atti alla letteratura e alla
poesia, l'unico mezzo di fare che anche questi abbiano o seguano ad avere una
lingua, e non pregiudicata dalla natura del secolo, è quello che ho detto.
(20. Luglio 1821.)