Francesi.
The French.
Vedi polizzine a parte, intitolate Francesi. See separate slips, entitled French. 9,1 92,1 119,2 160,1 208,1 217,1 231,3 236,1 237,1 246,1 313,2 319,2 321,1 324,1 343,1 373,1 474,1.2 522,2 684,3 685,1 708 752 758 761 768-71 773 787-8 838,1 870,1 911 923,12 962,1 990,1 1001,2 1014,1 1022,1 1023,1 1029,3 1043,1 1045,2 1046,2 1086,2 1094 1098,2 1174,2 1232,1 1243,3 1248 1253,1 1344,1 1358 1359 1366 1415,2 1417,2 1418,2 1497,1 1499,2 1513,1Francesi. Carattere, lingua ec. ec.
The French. Character, language, etc.
1683,1 1688,2 1728,2 1768,1 1812,2 18611862,1 1887,1 1932,2 1955 1962,1 1970,1 1985,1 1993,2 1999,2 2014 2025,1 2037,2 2057,1 2065,1 2067,1 2068,1 2079 2089,1 2095-7 2126,1 2127,12128,1 2130,2 2134,1 2166 2170 2174 2181,1 2197,3 2236,1 2312,3 2326 2334-5 2399 2417 2427,1 2462,2 2498,1 2546 2581 2589 2595 2608,1 2609,1 2613,1 2616,1 2619,1 2622,1 2634 2666,1 2699 2715,3 2782-3 2869,1 2906,2 2989,1 3066,1 3192,1 3252-3 3326 3366,1 3389,1 3428,1 3546,1 3562 3572,1 3633,1 3672,2 3747,1 3816,5 3818,1 3863,2 3866,1 3937,3 3946,2 3972,1 3980,4 4001,2 4031,1 4050,5.6.7 4118,3 4214,3 4243,3 4261,2 4265,1 4293,1[9,1] I francesi hanno certe esagerazioni familiari così usitate
che sono vere frasi proprie della lingua e non di questo o di quello scrittore o
parlatore; le quali danno un'idea della {sempiterna}
affettazione e del tuono esaltato quando in uno quando in altro modo, con cui
sono scritti si può dir tutti i loro libri. Giammai persona non fu più fedele
al suo re.
Nessun altro fu sì ricordevole del benefizio. (Aucun ne fut ec.)
Non si vide mai tanto amore nè tanta costanza. E nota che questo
medesimo lo diranno a un bisogno di due o tre persone o più in uno stesso libro.
Troverai spessissimo che parlando di qualche scrittore dozzinale ti diranno per
esempio: egli ha tutta la tenerezza di Racine e tutto lo spirito di Voltaire, egli è sublime come Corneille e semplice come La
Fontaine, egli stringe come Bourdaloue, commuove come Massillon, trasporta come Bossuet: e ti maraviglierai come uno scrittore in cui si trovano
unite le qualità principali di più altri (secondo loro) grandi, che ne hanno
ciascheduno, una sola, non sia più grande di questi, nè celebre presso tutta la
nazione, e forse tu ne legga il nome per la prima volta.
[92,1] La società francese la quale fa che l'esprit naturel se tourne en
épigrammes plutôt qu'en poésie
*
, dice la Staël, (vedila, Corinne, liv. 15, chap. 9. p. 80. t.
3. edizione citata da me alla p.
87) rende ancora epigrammatica tutta la loro scrittura, ed abituati
come sono a dare a tutti i loro detti nella conversazione, une tournure che li
renda gradevoli, un'aria di novità, una grazia ascitizia, un garbo proccurato
ec. ponendosi a scrivere, e stimando naturalmente che la scrittura non {li} disobblighi da quello a cui gli obbliga la
raffinatezza della conversazione, (naturale nel paese dove lo spirito di società
è così grande, anzi è l'anima e lo scopo e il tutto della vita) e per lo
contrario credendo che quest'obbligo sia maggiore nello scrivere che nel parlare
(e con ragione avuto riguardo al gusto de' lettori nazionali che altrimenti li
disprezzerebbero) si abbandonano a quello stesso studio che adoprano nella
conversazione per renderla aggradevole e piccante ec. e però il loro stile è
così diverso da
93 quello de' greci e de' latini e
degl'italiani, non essendo possibile ch'essi accettino quella prima frase che si
presenta naturalmente e da se a chi vuole esprimere un sentimento. E però le
grazie naturali sono affatto sbandite dal loro stile, anzi è curioso il vedere
quello ch'essi chiamino naturalezza e semplicità, {come} p. e. in La Fontaine tanto decantato per queste doti. In luogo
della[delle] grazie naturali il loro stile è
tutto composto delle grazie di società e di conversazione, e quando queste sono
conseguite essi chiamano il loro stile, semplice, come fanno sempre anche in
astratto quando paragonano lo stil francese all'italiano p. e. o al latino ec.
parte avuto riguardo alla collocazione materiale delle parole e alla costruzione
del periodo, e divisione del discorso ec. paragonata con quella delle altre
lingue, parte alla mancanza delle ampollosità delle gonfiezze, delle figure
troppo evidenti, dei giri e rigiri per dire una stessa cosa ec. ec. che si
trovano nei cattivi stili delle altre lingue, e che nel francese sono affatto
straordinari e sarebbero fischiati. E questa chiamano purezza di gusto, ed hanno
ragione da un lato, ma dall'altro non conoscono quella semplicità così
intrinseca come estrinseca dello stile che non ha niente di comune coll'eleganza
la politezza la tournure la raffinatezza il limato il ricercato della
conversazione, ma sta tutta nella natura, nella pura espressione de' sentimenti
che è presentata dalla cosa stessa, e che riceve novità {e
grazia}
piuttosto dalla cosa, se ne ha, che da se medesima e dal lavoro dello
scrittore, quella schiettezza di frase le cui grazie sono ingenite e
non ascitizie, quel modo di parlare che non viene dall'abitudine della
conversazione e che par naturale solamente a chi vi è accostumato (cioè ai
francesi e agli altri nutriti sempre di cose francesi) ma dalla natura
universale, e dalla stessa materia, quello insomma ch'era
94 proprio dei greci, e con una certa proporzione, de' latini, e
degl'italiani, di Senofonte di Erodoto de' trecentisti ec. i quali sono
intraducibili nella lingua francese. Cosa strana che una lingua di cui essi
sempre vantano la semplicità non abbia mezzi per tradurre autori semplicissimi,
e di uno stile il più naturale, libero, inaffettato, disinvolto, piano, facile
che si possa immaginare. E pur la cosa è rigorosamente vera, e basta osservar le
traduzioni francesi da classici antichi per veder come stentino a ridurre nel
loro stile di società e di conversazione ch'essi chiamano semplice (e ch'è
divenuto inseparabile dalla loro lingua anzi si è quasi confuso con lei) quei
prototipi di manifesta e incontrastabile semplicità; e come esse sieno lontane
dal conservare in nessun modo il carattere dello stile originale. Qui comprendo
anche le Georgiche di Delille intese da orecchie non francesi, e quella generale
osservazione fatta anche dalla Staël nella Biblioteca italiana che le traduzioni francesi da
qualunque lingua hanno sempre un carattere nazionale e diverso dallo stile {originale} e anche dalle parti più essenziali di esso, e
anche da' sentimenti. E basta anche notare come le traduzioni e lo stile d'Amyot veramente semplicissimo (e non
però suo proprio ma similissimo a quello de' suoi originali, e tra le lingue
moderne, all'italiano) si allontanino dall'indole della presente lingua
francese, non solo quanto alle parole e ai modi antiquati, ma principalmente
nelle forme sostanziali, e nell'insieme dello stile, che ora di francese non può
avere altro che il nome, e che sarebbe chiamato barbaro in un moderno, levato
anche ogni vestigio d'arcaismo. E scommetto ch'egli riesce più facile a
intendere agl'italiani, che ai francesi non dotti, massime nelle lingue
classiche.
[119,2] È osservabile come i francesi mentre sono la nazione
più moderna del mondo per costumi ec. abbiano tuttavia quella disposizione
antica che ora tutte le nazioni civili hanno abbandonata, voglio dire il
disprezzo e quasi odio degli stranieri. Il quale non può tornar loro a nessuna
lode, perchè contrasta assurdamente coll'eccessivo moderno di tutte le altre
loro opinioni costumi ec. Ed è tanto più ridicola, quanto nei greci finalmente
era ragionevole, perchè non avendo conosciuto i romani se non tardissimo, {+V. Montesquieu
Grandeur ec. Ch. 5. p. 48. e la nota} non
c'era effettivamente altra nazione che gli uguagliasse di grandissima lunga. E
quanto ai Romani è noto che non ostante il loro sommo amor patrio, furono sempre
imparzialissimi
120 nel giudicare degli stranieri, anzi
ebbero per istituto di adottar sempre tutte quelle novità forestiere che
giudicavano utili, quando anche per adottar queste bisognasse lasciare {o correggere} le loro proprie usanze.
[160,1] Applicate le cose dette nel pensiero che incomincia
Anche la stessa negligenza ec. (p. 50) alle produzioni francesi
riputate da quella nazione, modelli di semplicità naïveté ec. p. e. al Tempio di Gnido di Montesquieu{{, sebbene in
questo il male deriva piuttosto dal contrasto della semplicità delle cose
col ricercato e manierato dello stile.}}
[208,1] La grazia appena io credo che possa esser concepita
dai francesi con idea vera. Certo i loro scrittori non la conoscono. Lo confessa
pienamente Thomas
Essai sur les Eloges ch. 9. Infatti
manca loro cette sensibilité
tendre et pure,
*
cioè inaffettata e naturale,
(l'avrebbero per natura, ma la società non vuole che la conservino: l'avevano i
loro antichi scrittori) e cet instrument facile et
souple
*
vale a dire una lingua come la greca e l'italiana.
Vedi senza fallo quel passo di Thomas.
(13. Agosto 1820.).
[217,1] Ripetono tutto giorno i francesi che Bossuet ha soggiogato la sua lingua al
suo genio. Io dico che il suo genio è stato soggiogato dalla lingua costumi
gusti del suo paese. I francesi che scrivono sempre come conversano, timidissimi
per conseguenza, o piuttosto codardi, come dev'esser quella nazione presso cui
un tratto di ridicolo scancella qualunque più grave e seria impressione, e fa
più romore degli affari e pericoli di Stato, si maravigliano d'ogni minimo
ardire, e stimano sforzi da Ercole
quelli che in italia e nel resto
d'europa sono {soltanto}
deboli argomenti d'ingegno robusto, libero, inventore e originale. E per una
parte hanno ragione, perchè l'osar poco in francia, dove
la regola è di vivre et faire comme tout monde, costa
assai più che l'osar molto altrove. Ma in fatti poi cercando in Bossuet questo grande ardire, e questa
robustissima eloquenza, trovate piuttosto impotenza che forza, e vedrete che
appena alzato si abbassa. Questo senza fallo è il
218
sentimento ch'io provo sempre leggendolo; appena mi ha dato indizio di un
movimento forte, sublime, e straordinario, ed io son tutto sulle mosse per
seguitarlo, trovo che non c'è da far altro, e ch'egli è già tornato a parler comme tout le monde. Cosa che produce una
grande pena e disgusto e secchezza nella lettura. Questo non ha che fare colle
inuguaglianze proprie dei grandi geni. Nessun genio si ferma così presto come
Bossuet. Si vede propriamente
ch'egli è come incatenato, e fa sforzi più penosi che grandiosi per liberarsi. E
il lettore prova appunto questo medesimo stato. E perciò volendo convenire che
Bossuet sia stato veramente un
genio, bisogna confessare che tentando di domar la sua lingua e la sua nazione,
n'è stato domato. Me ne appello a tutti gli stranieri e italiani. Se non che la
voce di tutta la francia ha tanta forza, che forma il
giudizio d'europa. E il ridirsi è quasi impossibile.
Sicchè queste parole intorno a Bossuet
sieno dette inutilmente. (20. Agosto 1820.).
[231,3]
C'est que cela me donnera un battement de coeur, répondit - elle
naïvement; et je suis si heureuse
quand le coeur me bat!
*
dice Lady Morgan (France. l. 3. 1818. t. 1 p. 218.) di una Dama francese
232 e civetta. Queste naïvetés negli scrittori francesi, come per esempio nel tempio di
Gnido, contrastano in maniera col carattere del loro
stile, della loro lingua quale è ridotta presentemente, (giacchè nel francese
antico avrebbero fatto diversissima figura) e anche col carattere nazionale, che
sono piuttosto affettazioni che naturalezze, e non fanno verun buono effetto, ma
semplicemente risaltano, come una singolarità ricercata, nello stesso modo che
p. e. nello stile greco risalterebbero le eleganze e il manierato del francese,
e contrasterebbero col rimanente.
[236,1] Tutto quello che ho detto in parecchi luoghi p.
208 dell'affettazione dei francesi, della loro impossibilità di esser
graziosi ec. bisogna intenderlo relativamente alle idee che le altre nazioni o
tutte o in parte, o riguardo al genere, o solamente ad alcune particolarità,
hanno dell'affettazione grazia ec. perchè riflette molto bene Morgan
France l. 3. t. 1. p. 257. Il faut pourtant accorder beaucoup à
la différence des manières nationales; et celles de la femme
françoise la plus amie du naturel doivent porter avec elle ce qu'un
Anglois, dans le premier moment, jugera une teinte d'affectation,
jusqu'à ce que l'expérience en fasse mieux juger.
*
(9 7bre. 1820.).
[237,1]
237 Anche l'affettazione è relativa, e la tal cosa parrà
affettazione in un paese e in un altro no, in una lingua e in un[un'] altra no, o maggiore in questa e minore in quella,
dipendendo dalle abitudini, opinioni ec. L'espressione del sentimentale
conveniente in francia sarà affettata per noi, quella
conveniente per noi, sarebbe parsa affettazione agli antichi. La grazia francese
affettata per noi, non lo sarà per loro. Tuttavia è certo che la naturalezza ha
un non so che di determinato e di comune, e che si fa conoscere e gustare da
chicchessia, ma com'ella si conosce quando si trova, così le assuefazioni ec.
impediscono spessissimo di essere choqués della sua
mancanza, e di avvedercene. V. p. 201.
fine.
[246,1]
246 I francesi non solamente non sono atti al sublime,
nè avvezzi a sentirlo dai loro nazionali, o a produrlo in qualunque forma
(applicate questa osservazione ch'è anche letteralmente di Lady Morgan, e universale, ai miei pensieri sopra
Bossuet
pp.
217-18) ma disublimano ancora le cose veramente sublimi, come nelle
traduzioni ec.
[313,2] La letteratura francese si può chiamare originale per
la sua somma e singolare inoriginalità.
[319,2]
Dice Quintiliano l. 10. c. 1. Quid ego commemorem
Xenophontis iucunditatem
illam inaffectatam, sed quam nulla possit affectatio
consequi?
*
E certo ogni bellezza principale nelle arti e nello
scrivere deriva dalla natura e non dall'affettazione o ricerca. Ora il
traduttore necessariamente affetta, cioè si sforza di esprimere il carattere e
lo stile altrui, e ripetere il detto di un altro alla maniera e gusto del
medesimo. Quindi osservate quanto sia difficile una buona traduzione in genere
di bella letteratura,
320 opera che dev'esser composta
di proprietà che paiono discordanti e incompatibili e contraddittorie. E
similmente l'anima e lo spirito e l'ingegno del traduttore. Massime quando il
principale o uno de' principali pregi dell'originale consiste {appunto} nell'inaffettato, naturale e spontaneo, laddove
il traduttore per natura sua non può essere spontaneo. Ma d'altra parte
quest'affettazione che ho detto è così necessaria al traduttore, che quando i
pregi dello stile non sieno il forte dell'originale, la traduzione inaffettata
in quello che ho detto, si può chiamare un dimezzamento del testo, e quando essi
pregi formino il principale interesse dell'opera, (come in buona parte degli
antichi classici) la traduzione non è traduzione, ma come un'imitazione
sofistica, una compilazione, un capo morto, o se non altro un'opera nuova. I
francesi si sbrigano facilmente della detta difficoltà, perchè nelle traduzioni
non affettano mai. Così non hanno traduzione veruna (e lasciateli pur vantare il
Delille, e credere che possa mai
essere un Virgilio), ma quasi relazioni
del contenuto nelle opere straniere; ovvero opere originali composte de'
pensieri altrui.
[321,1]
321 Una delle prime cagioni della universalità della
lingua francese, è la sua unicità. Perchè la lingua italiana (così sento anche
la tedesca, e forse più) è piuttosto un complesso di lingue che una lingua sola,
potendo tanto variare secondo i vari soggetti, e stili, e caratteri degli
scrittori ec. che quei diversi stili paiono quasi diverse lingue, non avendo
presso che alcuna relazione scambievole. Dante - Petrarca e Parini ec. Davanzati - Boccaccio, Casa ec.
V. p. 244. Dal che come seguono infiniti e
principalissimi vantaggi, così anche parecchi svantaggi. 1. che lo straniero
trova la nostra lingua difficilissima, e intendendo un autore, e passando a un
altro, non l'intende. {(così nei
greci)} 2. che potendosi scrivere o parlare italiano senza essere
elegante ec. ec. ec. lo scrittore italiano volgare scrive ordinariamente
malissimo; così il parlatore ec. Al contrario del francese, dove la strada
essendo una, e chiusa da parte e parte, non parla francese chi non parla bene; e
perciò quasi tutti i francesi scrivono e parlano elegantemente, ma sempre di una
stessa eleganza, e quanto al più e il meno, le differenze sono così piccole,
322 che se i francesi le sentono nei loro diversi
scrittori, agli esteri son quasi impercettibili. Laddove le differenze de' buoni
stili italiani, saltano agli occhi di chicchessia. Così anche dei greci.
[324,1]
324 Dalle sopraddette considerazioni osserverai quanto
sia giusta la maraviglia e degna la lode di quelli che dicono che in
Francia da Luigi
14. in poi non si disputa più della lingua, e si scrive bene, laddove
in italia si disputa sempre della lingua e si scrive
male. Prima di Luigi 14. quando la
lingua francese non era ancora geometrizzata, e ridotta a una processione di
collegiali, come dice Fénélon, {sic}come si poteva scriver meglio di adesso, così anche
si potea scriver male.
[343,1] La lingua italiana non si è mai tolto il potere di
adoperar quelle parole, frasi, modi, che sebbene antichi e non usati, sieno però
intesi da tutti senza difficoltà, e possano
344 cadere
nel discorso senza affettazione: i quali sono infiniti per chi conosce la
lingua, ma bene a fondo; e questi sono pochissimi o nessuno. La lingua francese
si è spogliata affatto di questa facoltà, e ammettendo facilmente vocaboli {e modi} nuovi (intorno ai quali si sgridano gl'italiani
perchè non gli ammettono) non si è legate le mani se non per gli antichi, cioè
per quelli ch'ella già possedeva, e ha creduto di far progressi quando ha
perduto l'infinito che aveva (giacchè veramente era ricca), e guadagnato il poco
che non aveva. Nel che 1. io non vedo come una lingua si possa accrescere,
perchè anche in parità di partite, se quanto si guadagna, tanto si perde, la
lingua sarà sempre stazionaria in fatto di ricchezza e varietà. 2. se, com'è
certissimo, infinite cose che non si sono potute esprimere se non con parole
nuove, forestiere ec. si potevano esprimere colle antiche, io non vedo perchè
queste dovessero esser posposte. Il caso è lo stesso in
italia, chi ben considera la ricchezza immensa de'
nostri antichi scrittori. 3. Le parole e modi che maggiormente conferiscono alla
evidenza, efficacia, forza, grazia ec. delle lingue sono sempre, e
incontrastabilmente le antiche, siccome quelle che erano cavate più da presso
dalla natura, e dall'oggetto significato (come deve necessariamente accadere
nella formazione delle lingue), e però lo rappresentavano al
345 vivo, e ne destavano più fortemente, sensibilmente, facilmente e
prontamente l'idea, secondo però 1o. i diversi aspetti o parti {più o meno vivi, principali, caratteristici,
esprimibili;} il diverso numero di aspetti, parti, o relazioni della
{cosa,} considerato dagl'inventori della parola:
2o. la diversa forza d'immaginazione, sentimento, delicatezza ec. nei detti
inventori: 3o. la diversa loro facoltà di applicare il suono alia cosa: 4o. il
diverso carattere della nazione, clima, circostanze naturali, morali, politiche,
geografiche intellettuali ec.: la dolcezza, o l'asprezza, la ruvidezza o
gentilezza ec. {5o. la diversa impressione prodotta dagli
stessi oggetti ne' diversi popoli o individui.} Solamente quella
grazia che non deriva dalla naturalezza, semplicità ec. {l'eleganza ec.} può guadagnare; ma quella che deriva dai detti fonti,
(massime nelle frasi e modi) ed è la principale, e più solida e durevole; la
forza poi assolutamente, l'evidenza e l'efficacia, non possono altro che perdere
infinitamente coll'abolizione delle parole antiche, e peggio colla sostituzione
delle nuove. Qui ancora ha luogo la grande inferiorità dell'arte e della ragione
alla natura, in tutto il bello, il grande, il forte, il grazioso ec. (21.
Nov. 1820.).
[373,1] La poesia e la prosa francese si confondono insieme, e
la francia non ha vera distinzione di prosa e di poesia,
non solamente perchè il suo stile poetico non è distinto dal prosaico, e
perch'ella non ha vera lingua poetica, e perchè anche relativamente alle cose, i
suoi poeti (massime moderni) sono più scrittori, e pensatori e filosofi che
poeti, e perchè Voltaire p. e. nell'Enriade, scrive con quello stesso enjouement, con quello stesso esprit, con
quella stess'aria di conversazione, con quello stesso tour e giuoco di parole di frasi di maniere e di sentimenti e
sentenze, che adopra nelle sue prose: non solamente, dico, per tutto questo, ma
anche perchè la prosa francese, oramai è una specie di poesia. Filosofi,
oratori, scienziati, scrittori d'ogni sorta, non sanno essere e non si chiamano
eleganti, se non per uno stile enfatico, similitudini, metafore, insomma stile
continuamente poetico, e montato principalmente sul tuono lirico. E ciò
massimamente è accaduto dopo l'introduzione de' poemi in prosa, siano poemi
propriamente detti, siano romanzi, opere descrittive, sentimentali ec. Ma
374 i francesi che si credono i soli maestri e modelli e
conservatori, e zelatori dello scriver classico a' tempi moderni, non so in qual
classico antico abbiano trovato questo costume, per cui non si sa essere
elegante nè eloquente, senza andare a quella perpetua, dirò così, traslazione
{e μετεωρία}
{e concitazione} di stile, ch'è propria della poesia.
(L'eloquenza di Bossuet, è appunto di
questo tenore; tutta Biblica, tutta in un gergo di convenzione; e lo stile
biblico, e questo gergo forma l'eloquenza e l'eleganza ordinaria d'ogni sorta di
scrittori francesi oggidì.) Non mai sedatezza, non mai posatezza, non
semplicità, non familiarità. Non dico semplicità nè familiarità distintiva di
uno stile o di uno scrittore particolare, ma dico quella ch'è propria
universalmente e naturalmente della prosa, che non è uno scrivere ispirato. Osservino Cicerone, osservino gli scrittori più energici
dell'antichità, e mi dicano se c'è uomo così cieco che non distingua {subito} come quella è prosa non poesia; se ridotta
questa prosa in misura, avrebbe mai niente di comune colla poesia (come
accadrebbe nelle loro prose); se la prosa antica la più elegante, eloquente,
energica, consiste, o no, in uno stile separatissimo dal poetico. Anche i loro
scrittori de' buoni secoli, sebbene la lingua francese ha sempre inclinato a
questo difetto,
375 nondimeno hanno un gusto {e un sapore} di prosa molto maggiore e più distinto
(eccetto pochi), {hanno non dico austerità, neanche gravità
{nè verecondia} (pregi ignoti ai francesi) ma
pur tanta posatezza {+e
castigatezza} di stile quanta è indispensabile alla prosa:}
come la Sévigné, Mm̃e Lambert, Racine e Boileau nelle
prose, Pascal ec. Anzi letto Pascal, e passando ai filosofi e
pensatori moderni, si nota e sente il passaggio e la differenza in questo punto.
(2. Dic. 1820.)
{{V. p. 477. capoverso 1.}}
[522,2]
Nisi quod magnae indolis
signum est, sperare
523 semper.
*
Floro IV. 8.
[684,3]
Alla p.
241....che il mondo, o qualche buona parte del mondo sia quello che in
greco si dice diglottos, e noi possiamo dire bilingue.
Come veramente oggidì quasi tutto il mondo civile è bilingue, cioè parla tanto
le sue lingue particolari, quanto, al bisogno, la francese. Eccettuato la stessa
francia, la quale non è bilingue, non solamente
rispetto al grosso della nazione, ma anche de' letterati e dotti, pochi sono
685 quelli che intendono bene, o sanno veramente parlare
altra lingua fuori della propria loro. Il che se derivi da superbia nazionale, o
da questo che usandosi la loro favella per tutto il mondo, non hanno bisogno
d'altra per ispiegarsi con chicchessia, o vero, quanto alla intelligenza ed uso
de' libri forestieri, dalla facilità e copia delle traduzioni che hanno, questo
non è luogo da ricercarlo. (23. Feb. 1821.).
[685,1] La lingua italiana porta pericolo, non solo quanto
alle voci o locuzioni o modi forestieri, e a tutto quello ch'è barbaro, ma
anche, (e questo è il principale) di cadere in quella timidità povertà,
impotenza, secchezza, geometricità, regolarità eccessiva che abbiamo considerata
più volte nella lingua francese. In fatti da un secolo e più, ella ha perduto,
non solamente l'uso, ma quasi anche la memoria di quei tanti e tanti idiotismi,
e irregolarità felicissime della lingua nostra, nelle quali principalmente
consisteva la facilità, l'onnipotenza, la varietà,
686
la volubilità, la forza, la naturalezza, la bellezza, il genio, il gusto la
proprietà (ἰδιώτης), la pieghevolezza sua. Non parlo mica di quelle inversioni e
trasposizioni di parole, e intralciamenti di periodi alla latina,
sconvenientissimi alla lingua nostra, e che dal Boccaccio e dal Bembo in fuori, e più moderatamente dal Casa, non trovo che sieno stati adoperati e
riconosciuti da nessun buono scrittore italiano. Ma parlo di quella libertà, di
quelle tante e diversissime figure della dizione, per le quali la lingua nostra
si diversificava dalla francese dell'Accademia, era suscettibile di tutti gli
stili, era così lontana dal pericolo di cadere nell'arido, nel monotono, nel
matematico, e in somma di quelle che la rendevano similissima nel genio,
nell'indole, nella facoltà, nel pregio alle lingue antiche, e specificatamente
alla greca, alla quale si accostava da vicino anche nelle forme particolari e
speciali, cioè non solamente nel genere, ma anche nella specie: siccome alla
latina si accosta sommamente per la qualità individuale de' vocaboli e delle
frasi. Ma oggidì ella va a perdere, anzi ha già perduto presso
687 il più degli scrittori, le dette qualità che sono sue vere,
proprie, intime, e native; e dico anche presso quegli scrittori che a gran
fatica arrivano pure a preservarsi dai barbarismi. (e qui riferite quello che ho
detto altrove p. 111, come in detti scrittori facciano pessima
comparsa le parole e modi italiani, in una tessitura di lingua che per quanto
non sia barbara, non è l'italiana: {e gli antichi accidenti
in una sostanza tutta moderna e diversa.}) E così anche la lingua
nostra si riduceva ad essere una processione di collegiali, come diceva, se non
erro, il Fénélon, della francese. Del
che mi pare che bisogni stare in somma guardia, tanto più, quanto la
inclinazione, lo spirito, l'andamento dei tempi, essendo tutto geometrico, la
lingua nostra corre presentissimo rischio di geometrizzarsi stabilmente e per
sempre, di inaridirsi, di perdere ogni grazia nativa (ancorchè conservi le
parole e i modi, e scacci i barbarismi), di diventare unica come la francese,
laddove ora ella si può chiamare un aggregato di più lingue, ciascuna adattata
al suo soggetto, o anche a questo
688 e a quello
scrittore; e così divenuta impotente, in luogo di contenere virtualmente tutti
gli stili (secondo la sua natura, e quella di tutte le belle e naturali lingue,
come le antiche, non puramente ragionevoli), ne contenga uno solo, cioè il
linguaggio magrissimo ed asciuttissimo della ragione, e delle scienze che si
chiamano esatte, e non sia veramente adattata se non a queste, che tale infatti
ella va ad essere, e lo possiamo vedere in ogni sorta di soggetti, e fino nella
poesia italiana moderna de' volgari poeti. Come appunto è accaduto alla lingua
francese, perchè ancor ella da principio, ed innanzi all'Accademia, e massime al
secolo di Luigi 14 non era punto unica,
ma {l'indole sua primitiva e propria} somigliava
moltissimo all'indole della vera lingua italiana, e delle antiche; era piena
d'idiotismi, e di belle e naturalissime irregolarità; piena di varietà; subordinatissima allo scrittore (notate
questo, che forma la difficoltà dello {scrivere, come pure
dell'intendere la} nostra lingua a differenza della francese) e
suscettibile di prendere quella forma e quell'abito che il soggetto richiedesse,
o il carattere dello scrittore, o che questi volesse darle; adattata
689 a diversissimi stili; piena di nerbo, o di grazia,
di verità, di proprietà, di evidenza, di espressione; coraggiosa; niente schiva
degli ardiri com'è poi divenuta;
parlante ai sensi ed alla immaginativa, e non solamente, come oggi,
all'intelletto; (sebbene anche al solo intelletto può parlare la lingua
italiana, se vuole) pieghevole, robusta, o delicata secondo l'occorrenza; piena
di sève, di sangue e di colorito ec. ec. Delle quali
proprietà qualche avanzo se ne può notare nella Sévigné, e nel Bossuet e in altri scrittori di quel tempo. Talmente che s'ella fosse
rimasta quale ho detto, non sarebbe mai stata universale, con che vengo a dir
tutto. E s'ella prima della sua mortifera riforma, avesse avuto tanto numero di
cultori quante[quanto] n'ebbe l'italiana, che
l'avessero condotta secondo il suo carattere primitivo, e d'allora, alla
perfezione, come fu condotta la nostra, sarebbe anche più evidente questo ch'io
dico
690 della prima e originale natura della lingua
francese, la quale ben si congettura efficacemente dalla considerazione de' loro
antichi scrittori, ma non si può pienamente sentire, perch'ella non ebbe
scrittore perfetto in quel primo genere, o non ne ebbe quanto basta. Nè quel
primo genere prese mai stabilità, ma quando le fu data forma stabile e
universale nella nazione, fu ridotta, quale oggi si trova, ad essere in ogni
possibile genere di scrittura, piuttosto una serie di sentenze e di pensieri
esattissimamente esposti {e ordinati,} che un discorso.
Dove l'intelletto {e l'utilità} non desidera nulla, ma
l'immaginazione il bello, {il dilettevole} la natura, i
sensi ec. desiderano tutto. (24. Feb. 1821.).
[707,1] Perchè in fatti il secol d'oro di una lingua o di
qualunque altra disciplina, non è quello che la prepara, ma quello che l'adopra,
la compone de' materiali già pronti, e la forma; giacchè realmente quel secolo
che formò e determinò la lingua italiana fu più veramente il cinquecento che il
trecento, lasciando stare che i primi precetti della lingua nostra furono dati,
s'io non erro, in quel secolo, dal Bembo. Ma il cinquecento
708 formò e
determinò la lingua italiana in maniera ch'ella guadagnando nella coltura e
nell'ordine, non perdè nulla affatto nella naturalezza, nella copia, nella
varietà, nella forza, e neanche nella libertà, (quanta è compatibile colla
chiarezza e bellezza, e colla necessità di essere intesi, e quindi
convenientemente ordinati nel favellare): in somma e soprattutto, non mutò in
verun conto l'indole e natura sua primitiva, come la cambiò interamente la
francese, nella formazione e determinazione fattane dall'Accademia e dal secolo
di Luigi 14. (1. Marzo
1821.).
[746,1] Da qualunque origine derivasse la lingua e la
letteratura e filosofia e sapienza greca, certo è che la
grecia, se non fu l'inventrice delle sue lettere,
scienze, ed arti, le ricevè informi, ed instabili, e imperfette, e
indeterminate, e così ricevute, le formò, stabilì, perfezionò, determinò essa
medesima, e nel suo proprio seno, e di sua propria mano ed ingegno, così che
vennero la sua letteratura ed il suo sapere ad essere sue proprie, ed opera si
può dir sua: quindi non ebbe bisogno di ricorrere ad altre lingue per esprimere
le sue cognizioni (se non se, come tutte le lingue, nei primordi, e nelle
primissime derivazioni delle sue radici, giacchè nessuna lingua è nata
coll'uomo, ma derivata l'una dall'altra più o meno anticamente, finchè si arriva
ad una lingua assolutamente madre e primitiva, che nessuno conosce): non ebbe
dico bisogno di queste, ma formando le sue cognizioni, formò insieme la lingua;
e
747 quindi pose sempre a frutto, e coltivò il suo
proprio fondo, e trasse da se stessa tutto il tesoro della favella. Ma ai latini
non accadde lo stesso. La loro letteratura, le loro arti, le loro scienze
vennero dalla grecia, e tutto in un tratto, e belle e
formate. Essi le ricevettero già ordinate, composte, determinate, provvedute
intieramente del loro linguaggio, trattate da scrittori famosissimi: in somma i
latini non ebbero e non fecero altra opera che traspiantare di netto le scienze,
arti, lettere greche nel loro terreno. Quindi era ben naturale che quelle
discipline ch'essi non avevano formate, portassero seco anche un linguaggio non
latino, perchè dovunque le discipline si formano, e ricevono ordine e corpo
stabile e determinato, quivi se ne forma il linguaggio, e questo passa
naturalmente alle altre nazioni insieme con esse discipline. Non avendole dunque
i latini nè create nè formate, ma ricevute quasi per
manus belle e fatte, neanche ne crearono nè formarono,
748 ma riceverono parimente il linguaggio. Lucrezio volendo trattar materie
filosofiche s'era lagnato della novità delle cose e della povertà della lingua,
come potremmo far noi oggidì, volendo trattare la moderna filosofia. Cicerone, da grande e avveduto uomo, il quale benchè
gelosissimo della purità della favella, conosceva che alla novità delle cose era
necessaria la novità delle parole, e che
queste non sarebbero 1. intese e chiare, 2. inaffettate e naturali, se non
fossero appresso a poco quelle medesime che erano in comune e confermato uso
in quelle tali discipline; fu ardito, e trattando materie {si può dir} greche popolò il latino di parole greche,
certo di essere inteso, e di non riuscire affettato, perchè la lingua greca era
divulgatissima e familiare fra' suoi, come appunto oggi la francese, e quelle
parole notissime, e usitatissime anzi proprie di quelle discipline, come oggi le
francesi nelle {moderne} materie filosofiche e simili.
E di più erano necessarie. Così dunque la lingua latina si pose in grado di
discorrer delle
749 cose, e di essere scritta, ma vi si
pose per mezzi alieni e non propri. Bisogna anche osservare che non questa o
quella disciplina, ma si può dir tutte le discipline, e cognizioni umane, tutto
quello che scrivendo si può trattare, anzi anche conversando urbanamente, cioè
tutta la coltura tutti i soggetti regolati e ordinati, erano venuti dalla
grecia in Roma, immediatamente
e interamente. Quindi successe quel che doveva, che la lingua latina, affogata
ed oppressa tutto in un tratto dalla copia delle cose nuove, disperata di
poterla subito (come sarebbe bisognato) pareggiare colla novità delle parole
tirate dal proprio fondo, abbandonò il suo terreno, abbracciò la suppellettile
straniera di linguaggio, che trovava già pronta, e da tutti intesa ed usata: e
così la facoltà generativa della lingua latina, rimase o estinta o indebolita, e
si trasformò nella facoltà adottiva. Cicerone ne aveva usato
750 da suo pari con
discrezione e finissimo giudizio e gusto, non lasciando in nessun modo di
coltivare il fondo della sua lingua, di accrescerla, e di cavarne quanto era era
possibile in quella strettezza, in quella tanta copia di nuove cose,
accompagnate da parole straniere già divulgate ed usitate. Ma dopo Cicerone si passarono i limiti: parte
perch'essendo (com'è oggi relativamente al francese) molto più facile il tirar
dalla lingua greca già ben provveduta di tutto, e a tutti nota, le parole e modi
occorrenti, di quello che dalla latina che non le dava senza studio, e profonda
cognizione di tutte le sue risorse; quelli che non erano così periti della loro
lingua (perizia ben rara e difficile trattandosi di una tal lingua, come della
nostra oggidì: e pochi o nessuno la possedè così a fondo come Cicerone) senza troppo curare di accertarsi s'ella
avesse o non avesse come esprimere convenientemente e pianamente il bisognevole,
751 davan sacco alla lingua greca che l'aveva tutto
alla mano. Parte perchè non la sola necessità, o la difficoltà dell'uso del
latino in quei casi, o finalmente l'ignoranza della propria lingua, ma anche il
vezzo spingeva i romani (come oggi ec.) ad usare le parole {e
modi} greci in iscambio delle parole e modi latini, e mescolarli
insieme, come che quelli dessero grazia e spirito alla favella gentile, e in
somma ci entrò di mezzo oltre la letteratura e la filosofia, anche la moda. Orazio già avea dato poco buon esempio.
Uomo in ogni cosa libertino e damerino e cortigiano, in somma tutto l'opposto
del carattere Romano, {e nelle opere tanto seguace della sapienza
fra' cortigiani, quanto Federigo
II tra i re.} Non è maraviglia se la lingua
romana gli parve inferiore alla sua propria eleganza e galanteria. Sono noti e
famosi quei versi della poetica, dov'egli difende e ragiona su questo suo
costume. Egli però come uomo di basso ma sottile ingegno, se nocque
coll'esempio, non pregiudicò grandemente colla pratica; {+anzi io non voglio contendere s'egli, quanto a se,
giovasse piuttosto o pregiudicasse alla sua lingua, perchè i suoi ardimenti
paiono a tutti, e li credo anch'io, se non altro, in massima parte,
felicissimi;} ma poco
752 tempo dopo la sua
morte, cioè al tempo di Seneca ec. per
ambedue le dette ragioni la cosa era ita tant'oltre che la lingua latina {impoveriva dall'un canto e
dall'altro} imbarbariva effettivamente per grecismo come
oggi l'italiana per francesismo. Ed è curioso come tristo l'osservare che {siccome} la lingua latina rendè poi con usura il
contraccambio di questo danno e di questa barbarie {alla greca,} quando già mezzo barbara
le si riversò tutta, per così dire, nel seno, sotto Costantino e successori, così oggidì la lingua francese
rende con eccessiva usura alla nostra quella corruttela che ne ricevè al tempo
dei Medici [(Caterina, Maria)] in Francia
ec. La lingua latina fu (per poco spazio) restituita, se non all'antica indole,
certo a uno splendore somigliante all'antico (insieme colla letteratura
parimente corrotta) da parecchi scrittori del secolo tra Nerva e Marcaurelio, fra' quali Tacito ec. del che non è ora luogo a parlare. Solamente
noterò per incidenza, e perchè fa a questo discorso delle lingue, un parallelo
curiosissimo che si può fare tra Frontone e i presenti ristoratori della lingua italiana.
753 Il qual Frontone, come apparisce {ora} dalle
reliquie de' suoi scritti ultimamente scoperte, merita un posto distinto, fra i
ristauratori e zelatori della purità come della letteratura così della lingua
latina. Nel qual pregio egli forse e senza forse, cred'io, è l'ultimo di tempo,
che si conosca, o abbia almeno qualche distinta rinomanza. Ma egli (colpa della
nostra natura) volendo riformare il troppo libertinaggio, e {castigare} la viziosa novità della lingua, cadde, come appunto gran
parte de' nostri, nell'eccesso contrario. Giacchè una riforma di questa natura,
deve consistere nel mondar la lingua dalle brutture, distoglierla dal cattivo
cammino, e rimetterla sul buono. Non già ricondurla a' suoi principii, e molto
meno voler che di quivi non si muova. Perchè la lingua e naturalmente e
ragionevolmente cammina sempre {finch'è viva,} e come è
assurdissimo il voler ch'ella stia ferma, contra la natura delle cose, così è
pregiudizievole e porta discapito il volerla riporre più indietro che non
bisogna, e obbligarla a rifare quel cammino
754 che avea
già fatto {dirittamente e} debitamente. Laddove bisogna
riporla nè più nè meno in quel luogo che conviene al tempo e alle circostanze,
osservando solamente che questo luogo sia proprio suo e conveniente alla sua
natura. Ma Frontone in luogo di
purificare la lingua, la volle antiquare, richiamando in uso parole e modi, per
necessaria vicenda delle cose umane, dimenticati, ignorati e stantii, e fino
come pare, l'antica ortografia, volendo {quasi}
immedesimare, in dispetto della natura {e del vero,} il suo tempo
coll'antico. Come che quei secoli che son passati, e quelle mutazioni che sono
accadute e nella lingua, e in tutto quello che la modifica, dipendesse dalla
volontà dell'uomo {il fare} che non fossero passati e
non fossero accadute, e il cancellare tutto l'intervallo {di tempo ed altro} che sta fra
il presente e l'antico. Nè osservò che siccome la lingua cammina sempre,
perch'ella segue le cose le quali sono istabilissime e variabilissime, così ogni
secolo anche il più buono e casto ha la sua lingua modificata in una maniera
propria, la quale allora solo è cattiva,
755 quando è
contraria all'indole della lingua, scema o distrugge 1. la sua potenza e
facoltà, 2. la sua bellezza e bontà naturale e propria, altera perde guasta la
sua proprietà, la sua natura, il suo carattere, la sua essenziale struttura e
forma ec. Fuori di questo, com'è altrettanto vano, che dannoso e micidiale
l'assunto d'impedire ch'ella si arricchisca, così è impossibile e dannoso
l'impedire che si modifichi secondo i tempi e gli uomini e le cose, dalle quali
la lingua dipende e per le quali è fatta, non per qualche ente immaginario, come
la virtù o la giustizia ch'è immutabile o si suppone. E perchè Cic. non iscrisse come il vecchio Catone ec. non perciò resta ch'egli non
sia, come in ordine a tutto il rimanente, così pure alla lingua, il sommo
scrittor latino: nè {che}
Virgilio non sia il primo poeta latino,
e {limpidissimo specchio di latinità} (riconosciuto
dallo stesso Frontone negli Exempla elocutionum), perciò che la sua lingua è ben
diversa
756 da quella di Ennio di Livio
Andronico, ec. e anche di Lucrezio. Bisogna però ch'io renda giustizia a Frontone, perchè se egli cadde in quel difetto che ho
notato, vi cadde con molto più discrezione giudizio e discernimento sì nelle
massime o nella ragione, che nella pratica, di quello che facciano molti degli
odierni italiani, avendo anche molto riguardo a fuggir l'affettazione, per la
quale massimamente e per la oscurità si rende assurdo e barbaro l'uso di molte
parole antiquate; e possedendo la sua lingua veramente, e quindi, sebben
peccasse nella troppa imitazione degli antichi, non però cercando, come fanno i
nostri, di dar colore di antichità a' suoi scritti, col solo materiale e
parziale uso delle parole e modi vecchi, senza osservare se la scrittura sapesse
poi veramente di antico, e se quelle parole e modi vi cadessero acconciamente e
naturalmente, o forzatamente, e dissonando dal corpo della composizione. {Frontone non sognò neppure la
massima di vietare la conveniente e giudiziosa novità e formazione delle
parole o modi, anzi egli stesso ne dà esempio di tratto in tratto.} Il
che
757 fanno i nostri per impotenza, ignoranza,
povertà, e niun possesso di lingua; credendo di esser buoni scrittori italiani
quando hanno imparato e usato a sproposito e come capita, un certo numero di
parole e modi antichi, non curandosi poi, o non sapendo vedere se corrispondano
al resto e all'insieme del colorito e dell'andamento, e testura del discorso,
ovvero sieno come un ritaglio di porpora cucito sopra un panno vile, o certo
d'altro colore ed opera. Ma conviene ch'io dica quello ch'è vero, che non mi è
riuscito mai di trovare negli antichi scrittori latini o greci, per difettosi
che sieno, tanta goffaggine, {e incapacità,} e
piccolezza di giudizio, e debolezza e scarsezza di mezzi, {e decisa insufficienza alle imprese, agli
assunti ec.} quanto negli odierni italiani: e Frontone del resto non fu niente povero
d'ingegno. {+Il suo peccato si può ridurre all'aver considerato come modelli di buona
lingua, piuttosto Ennio che Virgilio e che lo stesso Lucrezio (che tanto l'arricchì nella
parte filosofica) piuttosto Catone
che Tullio; all'aver creduto che in
quelli e non in questi fosse la perfezione della lingua latina, all'avere
attinto più da quelli che da questi, e consideratili come fonti più ricchi o
più sicuri ec.; o certo aver loro attribuita senza veruna ragione (conforme
però all'ordinario rispetto per l'antico) maggiore autorità in fatto di
lingua. ec. ec.} Questo sia detto in trascorso e per digressione.
[757,1] Tornando al proposito, cioè all'arricchire
758 la lingua del prodotto delle sue proprie sostanze, e
dalla greca e latina, passando alle vive, questa è sempre stata e {sarà} sempre facoltà
inseparabile dalla vita delle lingue, e da non finire se non colla loro morte.
Tutte le lingue vive la conservano, eccetto quelli che vorrebbero che la
italiana la deponesse. La francese, la quale a differenza dell'italiana, si è
spogliata {della
facoltà} di usare quelle delle sue parole e modi antichi e
primitivi, che {le}
potessero tornare in acconcio (come ho detto altrove p. 344
pp. 688-90); parimente a differenza di ciò che si esigerebbe dalla
italiana, ha conservato sempre ed usato la facoltà di mettere a frutto e
moltiplico il suo {presente} tesoro. E la stessa lingua latina, la quale per
le ragioni che ho detto pp. 750-52, perdè in parte questa
facoltà dopo Cicerone, non la perdè, se
non in quanto a quella felicissima ed immensa facoltà di composti {e sopraccomposti} o
con preposizione o particella, ovvero di più parole insieme; facoltà che la
metteva quasi
759 (cioè in proporzione della quantità
delle radici e de' semplici) al paro della greca; facoltà che si può vedere e
nelle primitive parole latine composte nei detti modi, o con avverbi (come propemodum e mille altre), in somma come le greche, e
che sono durate nell'uso della latinità sino alla fine, ma non però imitate nè
accresciute; e in quelle che poi caddero dall'uso, e si possono veder ne' più
antichi latini (come in Plauto
lectisterniator, legirupus, lucrifugae e mille altre,
e prendo le primissime che ho incontrate subito), e servono a far conoscere la
primitiva costituzione, forma, usanza, e potenza di quella lingua: facoltà in
fine, ch'è la massima e più ricca sorgente della copia delle parole, e della
onnipotenza di tutto esprimere, ancorchè nuovissimo; il che si ammira nel greco,
e si potè una volta notare anche nel latino. p. 48
pp. 740. sgg.
pp.
2078-79
pp.
2876-79
{+I primi
scrittori latini, il loro linguaggio sacro o governativo ec. antico (come
lectisternium antica festa romana) abbondano
siffattamente di parole composte alla greca di due o più voci, che non si
può forse leggere un passo di detti autori ec. senza trovarne, ma la più
parte andate in disuso. Spesso eran proprie di quel solo che le inventava.
Talvolta anche di eccessiva lunghezza, come clamydeclupetrabracchium parola di antico poeta riferita da Varrone (De L. L. lib. 4.) (p. 3. della mia
edizione del 400.} Quest'uso ottimo e felicissimo, e questa
facoltà, fu o trascurata, o comunque
760 lasciata
trasandare, abbandonare, dismettere, dimenticare alla lingua latina, che era per
forza d'essa facoltà così bene istradata alla onnipotenza, ne' suoi principii.
Ma la facoltà di arricchire la propria lingua col prodotto delle sue proprie
radici in ogni altro genere, coi derivati ec. non fu mai abbandonata finch'ella
visse, e non poteva esserlo, stante ch'ella vivesse. Non solamente i cattivi o
mediocri, ma anche i buoni ed ottimi scrittori dopo Cicerone, se ne prevalsero tutti, e tutti scrivendo
aumentarono il tesoro della lingua, e questa non lasciò mai di far buoni e
dovuti progressi, finchè fu adoperata da buoni e degni scrittori.
[760,1] Così deve tenersi per fermissimo, ch'è indispensabile
di fare a tutte le lingue finch'elle vivono. La facoltà de' composti pur troppo
non è propria delle nostre lingue. Colpa non già di esse lingue, ma
principalmente dell'uso che non li sopporta, non riconosce nelle nostre lingue
meridionali
761 (delle settentrionali non so) questa
facoltà, delle orecchie o non mai assuefatteci, o dissuefattene da lungo tempo.
Perchè del resto 1. le nostre preposizioni, massimamente {nella lingua} italiana, sarebbero per la più parte, appresso a poco
non meno atte alla composizione di quello che fossero le greche e latine, e
{noi} non manchiamo di particelle attissime allo
stesso uso, anzi molte ritrovate espressamente per esso (come ri, o re, {tra o stra, arci,}
dis, o s, in negativo {o privativo,} e affermativo {mis, di, de
ec.}
{+E di queste
abbondiamo anzi più de' latini, e forse anche dei greci stessi, e credo
certo anche de' francesi e degli spagnuoli.)}
{V. il Monti,
Proposta alla voce Nonuso, e se vuoi p. 2078.} 2. anche ai composti
di più parole la lingua massimamente italiana, sarebbe dispostissima, come già
si può vedere in alcuni ch'ella usa comunemente ({valentuomo, passatempo,
tuttavolta, tagliaborse,}
capomorto, capogatto,
{beccafico, falegname,
granciporro,} e molti e molti altri) {v. p. 1076. e Monti
Proposta ec. v. guardamacchie.} ed
anche la lingua francese (emportepièce, {gobemouche,
fainéant coi derivati} ec.). 3. non manchiamo
neppure di avverbi atti a servire alla composizione. 4. la nostra lingua benchè
non si pieghi e non ami in questo genere la novità, ha però non poco in questo
genere, come i composti colla preposizione {in,}
tra, fra, oltra,
762
sopra, su, sotto, contra, anzi ec. ec. e Dante fra gli altri antichi aveva introdotto subito nel quasi creare
la nostra lingua, la facoltà, il coraggio, ed anche l'ardire de' composti, de'
quali egli abbonda (come indiare, intuare, immiare, disguardare ec. ec.) massime con preposizioni avverbi, e particelle. E
così gli altri antichi nostri. Ma a noi pure è avvenuto, come ai latini, che
questa onnipotente facoltà, propria della primitiva natura della nostra lingua,
{+(sebbene allora pure in minor grado
che, non solo della greca, ma anche della latina)} s'è lasciata
malamente e sfortunatamente perdere quasi del tutto, ancorchè si conservino
{buona parte di} quelli che si sono trovati in uso,
e si adoprino come recentissimi, {attestando continuamente la
primiera facoltà e natura della nostra lingua;} ma de' veramente nuovi
e recenti non si gradiscono. E tutto questo appresso a poco è avvenuto anche
alla lingua francese. {V. p. 805.} Dei
composti dunque, gli scrittori di oggidì non hanno gran facoltà, ma non però
nessuna (tanto in italiano che in francese): anzi ce ne resta ancor tanta da
potere, senza
763 la menoma affettazione formare e
introdurre molti nuovi composti chiarissimi, facilissimi, naturalissimi,
mollissimi per l'una parte; e per l'altra utilissimi; specialmente con
preposizioni e particelle ec. Quanto poi ai derivati d'ogni specie (purchè sieno
secondo l'indole e le regole della lingua, e non riescano nè oscuri nè
affettati) e a qualunque parola nuova che si possa cavare dalle esistenti nella
nostra lingua, che stoltezza è questa di presumere che una parola di origine e
d'indole italianissima, di significazione chiarissima, di uso non affettata nè
strana ma naturalissima, {di suono finalmente non disgrata
all'orecchio,} non sia italiana ma barbara, e non si possa nè
pronunziare ne scrivere, per questo solo, che non è registrata nel
Vocabolario? {+(E
quello che dico delle parole dico anche delle locuzioni e modi, e dei nuovi
usi qualunque delle parole o frasi ec. già correnti, purchè questi abbiano
le dette condizioni.)} Quasi che la lingua italiana sola, a differenza
di tutte le altre esistenti, e di qualunque ha mai esistito, si debba, mentre
ancor vive nell'uso quotidiano della nazione, considerar come morta {e morire vivendo, ed essere a un tempo viva e morta.}
Converrebbe che anche questa nazione vivesse come morta, cioè che nella sua
esistenza non
764 accadesse mai novità, divario,
mutazione veruna, nè di opinioni, nè di usi, nè di cognizioni (come, e più di
quello che si dice della China, la cui lingua in tal caso
potrà essere immobile): e di più che sia in tutto e per tutto conforme alla vita
e alle condizioni de' nostri antichi, {e di que'
secoli} dopo i quali non vogliono che sia più lecita la novità delle
parole.
[766,1] Osservo anche questo. Noi ci vantiamo con ragione
della somma ricchezza, {copia,} varietà, potenza della
nostra lingua, della sua pieghevolezza, trattabilità, attitudine a rivestirsi di
tutte le forme, prender abito diversissimo secondo qualunque soggetto che in
essa si voglia trattare, adattarsi a tutti gli stili; insomma della quasi
moltiplicità di lingue contenute o possibili a contenersi nella nostra favella.
Ma da che cosa stimiamo noi che sieno derivate in lei queste qualità? Forse
dalla sua primitiva ed ingenita natura ed essenza? Così ordinariamente si dice,
ma c'inganniamo di gran lunga. Le dette qualità, le lingue non
767 le hanno mai per origine nè per natura. Tutte a presso a poco sono
disposte ad acquistarle, e possono non acquistarle mai, e restarsene poverissime
e debolissime, e impotentissime, e uniformi, cioè senza nè ricchezza, nè copia,
nè varietà. Tale sarebbe restata la lingua nostra, senza quello ch'io dirò.
Tutte lo sono nei loro principii, e non intendo mica nei loro primissimi
nascimenti, ma finattanto che non sono coltivate, e con molto studio ed impegno,
e da molti, e assiduamente, e per molto tempo. Quello che proccura alle lingue
le dette facoltà e buone qualità, è principalmente (lasciando l'estensione, il
commercio, la mobilità, l'energia, la vivacità, {gli
avvenimenti, le vicende, la civiltà, le cognizioni,} le circostanze
politiche, morali, fisiche delle nazioni che le parlano) è, dico, principalmente
e più stabilmente e durevolmente che qualunque altra cosa, la copia e la varietà
degli scrittori che l'adoprano e coltivano. {v. p.
1202.} Questa siccome, per ragione della maggior
durata, e di altre molte circostanze, fu maggiore nella
grecia che nel Lazio, perciò
la lingua greca possedè le dette
768 qualità, in maggior
grado che la latina; ma non prima le possedè che fosse coltivata e adoperata da
buon numero di scrittori, e sempre (come accade universalmente) in proporzione
che il detto numero e la varietà o de' soggetti o degli stili o degl'ingegni
degli scrittori, fu maggiore, e s'accrebbe. La lingua latina similmente non le
possedè (sebben meno della greca, pure in alto grado) se non quando ebbe copia
{e varietà} di scrittori. Tutte le lingue antiche e
moderne che hanno mancato di questo mezzo, hanno anche mancato di queste
qualità. Per portare un esempio (oltre le lingue Europee meno colte) la lingua
Spagnuola nobilissima, e di genio al tutto classico, e somigliantissima poi alla
nostra particolarmente, sì per lo genio, come per molti altri capi, {e sorella nostra non meno di ragione che di fatto, e di
nascita che di sembianza, costume, indole,} non è inferiore alla
nostra nelle dette qualità, se non perchè l'è inferiore principalmente nella
copia e varietà degli scrittori. Se la lingua francese, non ostante la gran
quantità degli scrittori, e degli
769 ottimi scrittori,
si giudica ed è tuttavolta inferiore alla nostra ed alle antiche per questo
verso, ciò è avvenuto per le ragioni particolari che ho più volte accennate. La
riforma di essa lingua, la regolarità prescrittale, la figura datale, avendo
uniformato tutti gli stili, la poesia alla prosa; impedita la varietà e
moltiplicità della lingua, secondo i vari soggetti e i vari ingegni; tolta la
libertà, e la facoltà inventiva agli scrittori, in questo particolare; tolto
loro l'ardire, anzi rendutinegli affatto schivi e timidi ec. ec. la
Francia è venuta a mancare della varietà degli
scrittori, non ostante che n'abbia la copia, ed abbia la varietà de' soggetti,
perchè tutti i soggetti da tutti gl'ingegni si trattano, possiamo dire, in un
solo modo. E ciò deriva anche dalla natura e forza della eccessiva civiltà di
quella nazione, e della influenza della società: così stretta e legata, che
tutti gl'individui francesi fanno quasi un solo individuo. E laddove
770 nelle altre nazioni, si cerca ed è pregio il
distinguersi, in quello è pregio e necessità il rassomigliarsi anzi
l'uguagliarsi agli altri, e ciascuno a tutti e tutti a ciascuno. Queste ragioni
rendendogli timidi dell'opinione del ridicolo ec. e scrupolosi osservatori delle
norme prescritte e comuni nella vita, li rende anche superstiziosi, timidi,
schivi affatto di novità nella lingua. Ma tutto ciò quanto {alle sole forme e} modi, perchè questi soli, sono stati fra loro
determinati, e prescritti i termini (assai ristretti) dentro i quali convenga
contenersi, e fuor de' quali sia interdetto ogni menomo passo. {+E così quanto allo stile uniforme si può
dire in tutti, e in tutti i generi di scrittura, anche nelle traduzioni ec.
tirate per forza allo stile comune francese, ancorchè dallo stile il più
renitente e disperato; e quanto in somma all'unità del loro stile, e del
loro linguaggio che ho notata altrove p.
321.} Ma non quanto alle parole, nelle quali, restata libera in
francia la facoltà inventiva, e il derivare
novellamente dalle proprie fonti, sempre aperte sinchè la lingua vive; la lingua
francese cresce di parole ogni giorno e crescerà. Che se le cavassero sempre
dalle proprie fonti, o con quei rispetti che si dovrebbe, non avrei luogo a
riprenderli, come ho fatto altrove p. 50
pp. 110-11
p. 344, e della corruzione e dell'aridità a cui {vanno} portando la loro lingua.
771 La quale
inoltre, da principio, era, come la nostra, attissima alla novità ed al
bell'ardire, anche nei modi, secondo che ho detto altrove pp. 688-90
p. 758. La lingua tedesca, rimasa per tanti secoli impotente ed
umile, ancorchè parlata da tanta e sì estesa moltitudine di popoli, non per
altro che per avere avuto nell'ultimo secolo e ne' pochi anni di questo, immensa
copia e varietà di scrittori, è sorta a si[sì]
alto grado di facoltà e di ricchezza e potenza.
[773,1] Vogliamo noi dunque ridurre la lingua italiana e nelle
parole e nei modi, a quella stessa paura, scrupolosità, superstizione,
schiavitù, grettezza, uniformità della lingua francese nei soli modi? Almeno i
francesi hanno una scusa nella natura della loro nazione, a cui la società è
vita, alimento, diletto, e spavento, {sanguisuga,}
tormento, morte.
774 A noi manca questa scusa, se {già} non vogliamo infrancesire interamente anche nei
costumi, usi, vita, gusti, idee, inclinazioni ec. e perdere fino alla sembianza,
aspetto forma d'italiani, come abbiamo più che incominciato.
[785,1] Tutto quello che ho detto della derivazione di nuove
parole o modi ec. dalle proprie radici, o dei nuovi usi delle parole o modi già
correnti, lo voglio estendere anche alle nuove radici, non già straniere, non
già prese dalle lingue madri, ma italiane, e non già d'invenzione dello
scrittore, ma venute in uso nel linguaggio della nazione, o anche nelle
scritture anche più rozze ed impure, purchè quelle tali radici abbiano le
condizioni dette di sopra in ordine ai nuovi derivati ec. E queste nuove radici
possono esser nuove in due sensi, o nuove nella scrittura, ma antiche nell'uso
quotidiano; o nuove ancora in questo. {V. p. 800.
fine.} Qui non voglio entrare nelle antichissime
quistioni, qual popolo d'italia, qual classe ec. abbia
diritto di somministrar nuovi incrementi alla lingua degli scrittori. Osserverò
solamente 1. quel luogo di Senofonte
circa la lingua attica che ho citato p.
741. in marg. notando che la grecia si trovava
appunto nella circostanza dell'italia per la varietà dei
dialetti, e che quello che prevalse
786 fu quello che
tutti gli abbracciò (come dice quivi Senofonte) cioè l'attico, come quello che fra noi si chiama
propriamente italiano. Giacchè c'è gran differenza tra quell'attico usitato da'
buoni scrittori greci, divulgato per tutto, quello di cui parla Senofonte ec. ec. e l'attico proprio.
Nello stesso modo fra il toscano proprio, e il toscano sinonimo d'italiano.
{V. p. 961. capoverso 1.} 2. Che
senza entrare in discussioni è ben facile il distinguere (almeno agli uomini
giudiziosi, perchè già senza buon giudizio non si scriverà mai bene per nessun
verso) se una parola usitata in questa o quella parte
d'italia, non però ammessa ancora o nelle scritture o
nel vocabolario, ec. abbia le dette condizioni, cioè sia chiara, facile,
inaffettata, di sapore di suono di forma italiana. (Giacchè di origine italiana,
è sempre ch'ella è usata in italia da molti, purchè non
sia manifestamente straniera, e questo di recente venuta; mentre infinite sono
le antiche parole straniere domiciliate, e fatte cittadine della nostra
lingua.). In questo caso qualunque sia la parte d'italia
che la usa, una voce, una frase qualsivoglia sarà sempre
787 italiana, e salva quanto alla purità, restando che per usarla
nelle scritture si considerino le altre qualità necessarie {oltre la purità} ad una voce o frase per essere ammessa nelle
scritture, e in questo o quel genere di scrittura, in questa o quella occasione
ec. 3. Che tutte le lingue crescono in questo modo, cioè coll'accogliere, e
porre nel loro tesoro le nuove voci create dall'uso della nazione; e che come
quest'uso è sempre fecondo, così le porte della scrittura e della cittadinanza,
sono sempre aperte, per diritto naturale, a' suoi novelli parti, in tutte le
lingue, fuorchè nella nostra, secondo i pedanti. E questa è una delle massime, e
più naturali e legittime e ragionevoli fonti, della novità, e degl'incrementi
necessari della favella. Perchè cogl'incrementi delle cognizioni, e col
successivo variar degli usi, opinioni, idee, circostanze intrinseche o
estrinseche ec. ec. crescono le parole {e il tesoro della
lingua} nell'uso quotidiano, e da quest'uso debbono passare nella
scrittura, se questa ha da parlare ai contemporanei, e da contemporanea, e delle
cose del tempo ec. Così cresce ogni momento di parole proprissime e
francesissime
788 la lingua francese, mediante quel
fervore e quella continua vita di società e di conversazione, che non lascia
esser cosa bisognosa di nome, senza nominarla; massime se appartiene all'uso del
viver civile, o alle comuni cognizioni della parte colta della nazione: e per
l'altra parte mediante quella debita e necessaria libertà, che non fa loro
riguardare come illecita una parola in ogni altro riguardo buona, e francese, ed
utile, e necessaria, per questo solo che non è registrata nel
Vocabolario, o non anche adoperata sia nelle scritture in
genere, sia nelle riputate e classiche. 4. Ripeterò quello che ho detto della
necessità di ammettere la giudiziosa novità a fine appunto di impedire che la
lingua non diventi barbara. Perchè la novità delle cose necessitando la novità
delle parole, quegli che non avrà parole proprie e riconosciute dalla sua
lingua, per esprimerle; forzato dall'imperioso bisogno ricorrerà alle straniere,
e appoco appoco si romperà ogni riguardo, e trascurata la purità della lingua,
si cadrà del tutto nella barbarie.
789 Il che si può
vedere, oltre l'esempio nostro, per quello della lingua latina, perchè questa
parimente, dopo Cicerone, mancata, o per
trascuraggine e ignoranza, come ho detto altrove pp. 750-51, e per
non trovarsi nè così perfetti possessori, e assoluti padroni della lingua, nè
così industriosi, oculati, giudiziosi, solerti, artifiziosi coltivatori del di
lei fondo, e negoziatori della sua merce e capitali, come Cicerone; o per timidità, scoraggimento, falsa e
dannosa opinione che la ricchezza della lingua fosse già perfetta, o ch'ella in
quanto a se non fosse più da crescere nè da muovere, nè da toccare; o per
superstizione di pedanti che sbandissero le nuove voci tratte dall'uso, o dalle
radici della lingua, come mancanti di autorità competente di scrittori (il che
veramente accadeva, come si vede in Gellio); o anche per falsa
opinione che le radici o l'uso, o insomma il capitale proprio della lingua non
avessero effettivamente più nulla da dare, che facesse al caso, o convenisse
alle scritture ec. ec: mancata dico per tutte queste ragioni alla lingua latina
la debita libertà, e la
790 giudiziosa novità, ebbe
ricorso, per bisogno, allo straniero, e degenerò in barbaro grecismo. E come,
per fuggir questo male, è necessario dar giusta e ragionata (non precipitata, e
illegittima, e ingiudicata e anarchica) cittadinanza anche alle parole
straniere, se sono necessarie, molto più bisogna e ricercare con ogni diligenza,
e trovate accogliere con buon viso, e ricevere nel tesoro della buona e
scrivibile e legittima favella, sì i derivati delle buone e già riconosciute
radici, sì le radici che non essendo ancora riconosciute, vanno così vagando per
l'uso della nazione, senza studio nè osservazione, di chi le fermi, le cerchi,
le chiami, le inviti, e le introduca a far parte delle voci o modi riconosciuti,
e a partecipare degli onori dovuti ai cittadini della buona lingua. 5. In ultimo
osserverò che non si hanno da avere per forestiere quelle voci o frasi, che
benchè tali di origine hanno acquistato già stabile e comune domicilio nell'uso
quotidiano, e molto più se nelle scritture di vaglia. Queste voci o frasi sono
791 come naturalizzate, e debbono partecipare ai
diritti e alle considerazioni delle sopraddette. Altrimenti siamo da capo,
perchè una grandissima parte delle nuove voci e frasi di cui s'accresce l'uso
quotidiano, vengono dallo straniero. E tutte le lingue ancorchè ottime, ancorchè
conservate nella loro purità, ancorchè ricchissime, si accrescono col commercio
degli stranieri, e per conseguenza con una moderata partecipazione delle loro
lingue. Le cognizioni, le cose di qualunque genere che ci vengono dall'estero, e
accrescono il numero degli oggetti che cadono nel discorso, o scritto o no, e
quindi i bisogni della denominazione e della favella, portano naturalmente con
se, i nomi che hanno presso quella nazione da cui vengono, e da cui le
riceviamo. Come elle son nuove, così nella lingua nostra, non si trova bene
spesso come esprimerle appositamente e adequatamente in nessun modo. L'inventar
di pianta nuove radici nella nostra lingua, è impossibile all'individuo, e
difficilissimamente e rarissimamente accade nella nazione, come si può
facilmente osservare:
792 e questo in tutte le lingue,
perchè ogni nuova parola deve aver qualche immediata e precisa ragione per
venire in uso, e per esser tale e non altra, e per esser subito e generalmente e
facilmente intesa {e applicata a quel tale oggetto, e
ricevuta in quella tal significazione;} il che non può avvenire
mediante il capriccio di un'invenzione arbitraria. Di più, c'è forse lingua che
ne' suoi principii e di mano in mano non sia stata composta di voci straniere e
d'altre lingue? Quante ne ha la lingua nostra prese dal francese, dallo
Spagnuolo, dalle lingue settentrionali, e tuttavia riconosciute, e
necessariamente, e legittimamente divenute da gran tempo italiane? Come in fatti
si formerebbe una lingua senza ciò? colla sola invenzione a capriccio, o
mediante un trattato, un accordo fatto espressamente, e individuo per individuo,
da tutta la nazione? Perchè dunque quello ch'era lecito anzi necessario ne'
principii e dopo, non sarà lecito ora nel caso della stessa necessità
relativamente a questa o quella parola? Così fa tuttogiorno la lingua francese,
così
793 hanno fatto e fanno necessariamente e per
natura tutte le lingue antiche e moderne. E sebbene la lingua greca fosse così
schiva d'ogni foresteria, anche per carattere nazionale, come si è veduto
dall'aver essa mantenuta la sua purità forse più lungo tempo di tutte le altre,
e anche in mezzo alla corruzione totale della {sua}
letteratura, ec. e alla schiavitù straniera della nazione, al commercio ai
viaggi antichi e moderni, alla dimora di tanti suoi nazionali in
Roma ec. ec. (come Plutarco) nondimeno la lingua attica, riconosciuta più universalmente
di qualunque altra dagli scrittori per lingua propriamente greca, e fra le
greche elegantissima, bellissima e purissima, attesta Senofonte
nel luogo citato da me p. 741. ch'era un misto non solo
di ogni sorta di voci greche, ma anche prese da ogni sorta di barbari, mediante
il commercio marittimo degli Ateniesi, e la cognizione ed uso di oggetti
stranieri, che questo commercio proccurava loro, come dice pure Senofonte. Che se la necessità,
naturale come ho
794 detto, e comune a tutte le lingue,
porta a ricevere per buone anche le voci straniere, entrate recentemente
nell'uso quotidiano, o non ancora entratevi nemmeno (purchè siano
intelligibili), tanto più quelle che colla molta dimora fra noi, si sono
familiarizzate e domesticate co' nostri orecchi, ed hanno quasi perduto l'abito,
e il portamento, e la sembianza, e il costume straniero, o certo l'opinione di
straniere. Anzi queste pure vanno cercate sollecitamente, ed accolte, e
preferite, per sostituirle, quanto sia possibile alle intieramente estranee.
Giacchè ripeto che con ogni cura bisogna arricchir la lingua del bisognevole, e
farlo con buon giudizio, ed esplorate le circostanze e la necessità ec. ec.
acciocchè non sia fatto senza giudizio, e senza previo esame, ma alla ventura e
illegittimamente; perocchè quella lingua che
non si accresce, mentre i soggetti della lingua moltiplicano, cade
inevitabilmente, e a corto andare nella barbarie.
[838,1] Quanto più l'indole, la struttura, l'andamento di una
lingua, è conforme alle regole naturali, semplice, diritto ec. tanto più quella
lingua è adattata alla universalità. E per lo contrario tanto meno, quanto più
ella e[è] figurata, composta, contorta, quanto
più v'ha nella sua forma di arbitrario, di particolare e proprio suo, o de' suoi
scrittori ec. non della natura comune delle cose. Le prime qualità spettano per
eccellenza alla lingua francese, quantunque la lingua italiana le possieda molto
più della latina, anzi senza confronto; tuttavia in esse (e felicemente) cede
alla francese, come tutte le lingue moderne {Europee,}
quantunque nessuna di queste ceda in esse qualità alla latina, anzi la vinca di
gran lunga, e neppure alla greca.
[870,1] Intorno alla ragione proclamata, e alla tentata
geometrizzazione del mondo, nella rivoluzione francese v. anche parecchie cose
notabili, e qualche notizia e fatto nell'Essai sur
l'indifférence en matière de Religion, nell'ultima
parte del capo 10. (che abbraccierà una 20.na[ventina] di pagg.) dove riduce le dottrine che ha esposte,
all'esempio formale della rivoluzione francese, da quel periodo che
incomincia Esisteva, sono già
trent'anni, una nazione governata da una stirpe antica di
re
*
ec. sino alla fine del capo.
(26. Marzo 1821.).
[910,1] 6. Non solamente le virtù pubbliche, come ho
dimostrato, ma anche le private, e la morale e i costumi delle nazioni, sono
distrutti dal loro stato presente. Dovunque ha esistito vero e caldo amor di
patria, e massime dove più, cioè ne' popoli liberi, i costumi sono stati sempre
quanto fieri, altrettanto gravi, fermi, nobili, virtuosi, onesti, e pieni
d'integrità. Quest'è una conseguenza naturale dell'amor patrio, del sentimento
che le nazioni, e quindi gl'individui hanno di se stessi, della libertà, del
valore, della forza delle nazioni, della rivalità che hanno colle straniere, e
di quelle illusioni grandi e costanti e persuasive che nascono da tutto ciò, e
che vicendevolmente lo producono: ed ella è cosa evidente che la virtù non ha
fondamento se non se nelle illusioni, e che dove mancano le illusioni, manca la
virtù, e regna il vizio, {nello stesso modo che} la
dappocaggine e la viltà. Queste son cose evidenti nelle storie, ed osservate da
tutti i filosofi, e politici. Ed è tanto vero; che le virtù private si trovano
sempre in proporzione coll'amor patrio, e colla forza e magnanimità di una
nazione; e l'indebolimento di queste
911 cose, colla
corruttela dei costumi; e la perdita della morale si trova {nella storia} sempre compagna della perdita dell'amor patrio, della
indipendenza, delle nazioni, della libertà interna, e di tutte le antiche {e moderne} repubbliche: influendo sommamente e con
perfetta scambievolezza, la morale e le illusioni che la producono, sull'amor
patrio, e l'amor patrio sulle illusioni e sulla morale. È cosa troppo nota qual
fosse la depravazione interna de' costumi in Francia da
Luigi 14. il cui secolo, come ho
detto, fu la {prima} epoca vera della perfezione del
dispotismo, ed estinzione e nullità delle nazioni e della moltitudine, sino alla
rivoluzione. La quale tutti notano che ha molto giovato alla {perduta} morale francese, quanto era possibile 1. in questo secolo
così illuminato, e munito contro le illusioni, e quindi contro le virtù: 2.
secondo in tanta, e tanto radicata e vecchia depravazione, a cui la
Francia era assuefatta: 3. in una nazione {particolarmente} ch'è centro dell'incivilimento, e
quindi del vizio: 4. col mezzo di una rivoluzione operata in gran parte dalla
filosofia, che volere o non volere, in ultima analisi è nemica mortale della
virtù, perch'è amica anzi quasi la stessa cosa colla ragione, ch'è nemica della
natura, sola sorgente della virtù. (30. Marzo - 4. Aprile
1821.)
[923,2] Siccome l'amor patrio o nazionale non è altro che una
illusione, ma facilmente derivante dalla natura, posta la società, com'è
naturale l'amor proprio nell'individuo, e posta la famiglia, l'amor di famiglia,
che si vede anche ne' bruti; così esso non si mantiene, e non produce buon
frutto senza le illusioni e i pregiudizi che naturalmente ne derivano, o che
anche ne sono il fondamento. L'uomo non è sempre ragionevole, ma sempre
conseguente in un modo o nell'altro. Come dunque amerà
924 la sua patria sopra tutte, e come sarà disposto nei fatti, a tutte le
conseguenze che derivano da questo amore di preferenza, se effettivamente egli
non la crederà degna di essere amata sopra tutte, e perciò la migliore di tutte;
e molto più s'egli crederà le altre, o qualcun'altra, migliore di lei? Come sarà
intollerante del giogo straniero, e geloso della nazionalità per tutti i versi,
{e disposto a dar la vita e la roba per sottrarsi al
dominio forestiero,} se egli crederà lo straniero uguale al
compatriota, e peggio, se lo crederà migliore? Cosa indubitata: da che il
nazionale ha potuto {o voluto} ragionare sulle nazioni,
e giudicarle; da che tutti gli uomini sono stati uguali nella sua mente; da che
il merito presso lui non ha dipenduto dalla comunanza della patria ec. ec.; da
che egli ha cessato di persuadersi che la sua nazione fosse il fiore delle
nazioni, la sua razza, la cima delle razze umane; dopo, dico, che questo ha
avuto luogo, le nazioni sono finite, e come nella opinione, così nel fatto, si
sono confuse insieme; passando inevitabilmente la indifferenza dello spirito e
del giudizio e del concetto, alla indifferenza del sentimento, della
inclinazione, e dell'azione. E questi pregiudizi che si rimproverano alla
Francia, perchè offendono l'amor proprio degli
stranieri, sono la somma salvaguardia della sua nazionale indipendenza, come lo
furono presso gli antichi;
925 la causa di quello
spirito nazionale che in lei sussiste, di quei sacrifizi che i francesi son
pronti a fare ed hanno sempre fatto, per conservarsi nazione, e per non
dipendere dallo straniero; e il motivo per cui quella nazione, sebbene così
colta ed istruita (cose contrarissime all'amor patrio), tuttavia serba ancora,
forse più che qualunque altra, la sembianza di nazione. E non è dubbio che dalla
forza di questi pregiudizi, come preso[presso]
gli antichi, così nella Francia, doveva seguire quella
preponderanza sulle altre nazioni d'europa, ch'ella ebbe
finora, e che riacquisterà verisimilmente. (6. Aprile 1821.).
[962,1]
Sono
perciò rare tra' francesi le buone traduzioni poetiche; eccetto
le Georgiche volgarizzate dall'abate De-Lille. I nostri traduttori
imitan bene; tramutano in francese ciò che altronde pigliano, cosicchè
nol sapresti discernere, ma non trovo opera di poesia che faccia
riconoscere la sua origine, e serbi le sue sembianze forestiere: credo
anzi che tale opera non possa mai farsi. E se degnamente ammiriamo
la georgica dell'abate De-Lille, n'è cagione quella maggior
somiglianza che la nostra lingua tiene colla romana onde nacque, di cui
mantiene la maestà e la pompa. Ma le moderne lingue sono tanto disformi
dalla francese, che se questa volesse conformarsi a quelle, ne
perderebbe ogni decoro.
*
Staël, B. Ital. Vol. 1. p.
12. Esaminiamo.
[990,1] Le stesse cose appresso a poco si possono notare
avvenute a noi riguardo al francese. Giacchè fino a tanto che la nostra
letteratura prevalse o per merito reale, o per continuazione di fama e di
opinione generale, e la nostra lingua era per tutti i versi più studiata, più
conosciuta, più dilatata fra i francesi ed altrove, e la nostra letteratura
parimente, sì nella nazione, che fra' suoi letterati e scrittori; e si trovarono
di quei francesi che scrivevano in ambedue le lingue francese e italiana. Ora
accade tutto l'opposto: e si trovano degl'italiani, come anche {non pochi} d'altre nazioni, che scrivono e stampano così
nella lingua francese, come nella loro: libri, parole, testi francesi si
allegano continuamente in tutti i paesi di europa: non
così viceversa in Francia, dove difficilmente si troverà
un francese che sappia scrivere altra lingua che la sua, e scrivendo a'
forestieri scriveranno in francese, e riceveranno risposta nella stessa lingua;
e dove è più necessario che in qualunque altro paese colto, che i passi o parole
che si citano di libri forestieri, (e massime italiani) si citino in francese,
{o se n'aggiunga la traduzione.}
[1001,2] Quello che ho detto pp. 970-73 della difficoltà naturale che
hanno e debbono avere i francesi a conoscere e molto più a gustare le altrui
lingue, cresce se si applica alle lingue antiche, e fra le moderne Europee e
colte, alla lingua nostra. Giacchè la lingua
1002
francese è per eccellenza, lingua moderna; vale a dire che occupa l'ultimo degli
estremi fra le lingue {nella cui indole ec.}
signoreggia l'immaginazione, e quelle dove la ragione. (Intendo la lingua
francese qual è ne' suoi classici, qual è oggi, qual è stata sempre da che ha
preso una forma stabile, e quale fu ridotta dall'Accademia). Si giudichi dunque
quanto ella sia propria a servire d'istrumento per conoscere e gustare le lingue
antiche, e molto più a tradurle: e si veda quanto male Mad. di Staël (v. p. 962.) la creda più atta ad esprimere la lingua romana che le
altre, perciocch'è nata da lei. Anzi tutto all'opposto, se c'è lingua
difficilissima a gustare ai francesi, e impossibile a rendere in francese, è la
latina, la quale occupa forse l'altra estremità o grado nella detta scala delle
lingue, ristringendoci alle lingue Europee. Giacchè la lingua latina è quella
fra le dette lingue (almeno fra le {ben} note, {e colte,} per non parlare adesso della Celtica poco nota
ec.) dove meno signoreggia la ragione. Generalmente poi le lingue antiche sono
tutte suddite della immaginazione, e però estremamente separate dalla lingua
francese. Ed è ben naturale che le lingue antiche fossero signoreggiate
dall'immaginazione più che qualunque moderna, e quindi siano senza contrasto, le
meno adattabili alla lingua francese, all'indole sua; ed alla conoscenza e molto
più al gusto de' francesi.
1003 Nella scala poi e
proporzione delle lingue moderne, la lingua italiana, {(alla
quale tien subito dietro la Spagnuola)} occupa senza contrasto
l'estremità della immaginazione, ed è la più simile alle antiche, ed al carattere antico. Parlo delle
lingue moderne colte, se non altro delle Europee: giacchè non voglio entrare
nelle Orientali, e nelle incolte regna sempre l'immaginazione più che in
qualunque colta, e la ragione vi ha meno parte che in qualunque lingua formata.
Proporzionatamente dunque dovremo dire della lingua francese rispetto
all'italiana, quello stesso che diciamo rispetto alle antiche. E il fatto lo
conferma, giacchè nessuna lingua {moderna colta,} è
tanto o ignorata, o malissimo e assurdamente gustata dai francesi, quanto
l'italiana: di nessuna essi conoscono meno lo spirito e il genio, che
dell'italiana; di nessuna discorrono con tanti spropositi non solo di teorica,
ma anche di fatto e di pratica; non ostante che la lingua italiana sia sorella
della loro, e similissima ad essa nella più gran parte delle sue radici, e nel
materiale delle lettere componenti il radicale delle parole (siano radici, o
derivati, o composti); e non ostante che p. e. la lingua inglese e la tedesca,
nelle quali essi riescono molto meglio, (anche nel tradurre ec. mentre una
traduzione francese dall'italiano dal latino o dal greco non è riconoscibile)
appartengano a tutt'altra famiglia di lingue. (1 Maggio 1821).
{{V. p. 1007. capoverso 1.}}
[1014,1] La vantata duttilità
*
della lingua
francese, (Spettatore di
Milano. Quaderno 93. p. 115. lin.
14.) oltre alle qualità notate in altro pensiero p. 30
pp.
787-88
p.
838, ha questa ancora, che non è punto compagna della varietà: e la
lingua francese benchè duttilissima, è sempre e in qualunque scrittore
paragonato cogli altri, uniforme e monotona. Cosa che a prima vista non par
compatibile colla duttilità, ma in vero questa è una qualità diversissima dalla
ricchezza, dall'ardire, e dalla varietà. (5. Maggio 1821.).
[1022,1] Quanto la natura abbia proccurata la varietà, e
l'uomo e l'arte l'uniformità, si può dedurre anche da quello che ho detto della
naturale, necessaria e infinita varietà delle lingue, p. 952. segg. Varietà maggiore di quello
che paia a prima vista, giacchè non solo produce p. e. al viaggiatore, una
continua novità rispetto alla sola lingua, ma anche rispetto agli uomini,
parendo diversissimi quelli che si esprimono diversamente; cosa favorevolissima
alla immaginazione, considerandosi quasi come esseri di diversa specie quelli
che non sono intesi da noi, nè c'intendono: perchè la lingua è una cosa somma,
principalissima, caratteristica degli uomini, sotto tutti i rapporti della vita
sociale. Per lo contrario, lasciando le altre cure degli uomini per uniformare,
stabilire, regolare ed estendere le diverse lingue; oggi, in tanto e così vivo
commercio di tutte, si può dir, le nazioni insieme, si è introdotta, ed è
divenuta necessaria, una lingua comune, cioè la francese; la quale
1023 stante il detto commercio, e l'andamento presente
della società, si può predire che non perderà più la sua universalità, nemmeno
cessando l'influenza o politica, o letteraria, o civile, o morale ec. della sua
nazione. E certo, se la stessa natura non lo impedisse, si otterrebbe appoco
appoco che tutto il mondo parlasse quotidianamente il francese, e l'imparasse il
fanciullo come lingua materna; e si verificherebbe il sogno di una lingua
strettamente universale. (8. Maggio 1821.).
[1023,1] In proposito di quello che ho detto altrove pp.
343-44, che la lingua italiana non si è mai spogliata della facoltà di
usare la sua ricchezza antica, e la francese all'opposto, v. Andrès, Stor. d'ogni
letteratura. Venez.Vitto. t. 3. p. 95. fine
- 99. principio, cioè Parte 1. c. 3. e t. 4. p. 17. cioè Parte II.
introduzione.
(8. Maggio 1821.).
[1029,3]
{Alla p. 245.} La lingua
francese si mantiene e si manterrà lungo tempo universale, a cagione della sua
struttura ed indole. È certo però che l'introduzione di questa lingua nell'uso
comune, e il principio materiale della sua universalità, si deve ripetere e
dalla somma influenza politica della francia nel tempo
passato; e dalla sua influenza morale come la più civilizzata nazione del mondo,
e per conseguenza dalle sue mode, ec. o vogliamo dire dalla moda di esser
francese,
1030 dal regno e dittatura della moda, che la
francia ha tenuto e tiene ec.; e principalissimamente
ancora dalla sua letteratura, dalla estensione di lei, e dalla superiorità ed
influenza che ella ha acquistata sopra le altre letterature, non per altro, se
per essere esclusivamente e propriamente moderna, e perchè la letteratura
precisamente moderna è nata (a causa delle circostanze politiche, morali, civili
ec.) prima che in qualunque altra nazione, in Francia, e
quivi è stata coltivata più che in qualunque altro luogo, e più modernamente o
alla moderna che in qualunque altro paese. Ma la durata di questa universalità,
quando anche cessino le dette ragioni, (come in parte sono cessate) essa la
dovrà alla sua propria indole; laddove quella tal quale universalità acquistata
{già} dalle lingue spagnuola, italiana ec. sono
finite insieme colle ragioni estrinseche che la producevano, non avendo esse lingue disposizione
intrinseca alla universalità. Con
queste osservazioni rettifica quello che ho detto p. 240 - 245. E in quanto alla letteratura, ed alla
influenza morale ec. ec. è certo che queste furono le ragioni estrinseche della universalità della
lingua greca, la quale però ne aveva anche le sue ragioni intrinseche, mancanti affatto alla latina, che perciò
non fu mai veramente universale,
1031 nè durò, come la
greca ancor dura, non ostante che abbondasse delle ragioni estrinseche di universalità. (11. Maggio
1821.). {{V. p. 1039.
fine.}}
[1043,1]
L'inghilterra in dispetto del suo clima, della sua
posizione geografica, credo anche dell'origine de' suoi abitanti, appartiene
oggi piuttosto al sistema meridionale che al settentrionale. Essa ha del
settentrionale tutto il buono (l'attività, il coraggio, la profondità del pensiero e dell'immaginazione, {l'indipendenza,} ec. ec.) senz'averne il cattivo. E così del
meridionale ha la vivacità, {la politezza, la sottigliezza
(attribuita già a' Greci: v. Montesquieu
Grandeur etc. ch. 22. p. 264.} raffinatezza
di civilizzazione e di carattere (a cui non si trova simile se non in
Francia o in italia), ed anche
bastante amenità e fecondità d'immaginazione, e simili buone qualità,
senz'averne il torpore, la inclinazione all'ozio o alla inerte voluttà, la
mollezza, l'effeminatezza, {la corruzione debole, sibaritica,
vile, francese;} il genio pacifico ec. ec. Basta paragonare un soldato
inglese a un soldato tedesco o russo ec. per conoscere l'enorme differenza che
passa fra il carattere inglese e il settentrionale. E siccome
l'italia non ha milizia, e la
spagna non la sa più adoperare, ec. non v'è milizia
in europa più somigliante alla francese dell'inglese, più
competente colla francese, per l'ardore e la vita individuale, la forza morale,
1044 la suscettibilità ec. del soldato, e non la
semplice forza materiale, come quella de' tedeschi, de' russi ec. {{V. p. 1046.}}
[1045,2] La Francia è per geografia la
più settentrionale delle regioni {Europee} che si
comprendono sotto la categoria delle meridionali. Così dunque la sua lingua
partecipa di quella esattezza, di quella, per così dire, pazienza, {di quella monotonia, di quella regolarità,} di quella
rigorosa ragionevolezza che forma parte del carattere settentrionale. E così
pure la sua letteratura in gran parte filosofica, e generalmente il suo gusto
letterario, sebben ciò derivi in gran parte dall'epoca della sua lingua e
letteratura; epoca moderna, e per conseguenza epoca di ragione. Come per lo
contrario l'inghilterra ch'è per carattere la regione
meno settentrionale di tutte le settentrionali, {(v. p. 1043.)} ha una
lingua delle
1046 più libere
d'europa
{colta} per indole; e per fatto la più libera di tutte
(Andrès, t. 9. 290 - 291. 315 - 316.); e
parimente la letteratura forse più libera d'europa, e il
gusto letterario ec. Parlo della sua letteratura propria, {cioè della moderna, e dell'antica di Shakespeare ec.} e non di quella {intermedia} presa da lei in prestito dalla
Francia. E parlo ancora delle letterature formate e
stabilite {ed adulte;} e non delle informi o nascenti.
(13. Maggio 1821.).
[1046,2] Principalissime cagioni dell'essersi la lingua greca
per sì lungo tempo mantenuta incorrotta (v. Giordani nel fine della Lettera sul Dionigi) furono indubitatamente la sua
ricchezza, e la sua libertà d'indole e di fatto. La qual libertà produce in
buona parte la ricchezza; la qual libertà è la più
1047
certa, anzi necessaria, anzi unica salvaguardia della purità di qualunque
lingua. La quale se non è libera primitivamente e per indole, stante
l'inevitabile mutazione e novità delle cose, deve infallibilmente declinare
dalla sua indole primitiva, e per conseguenza alterarsi, perdere la sua
naturalezza e corrompersi: laddove ella conserva l'indole sua primitiva, se fra
le proprietà di questa è compresa la libertà. E quindi si veda quanto bene
provveggano alla conservazione della purità del nostro idioma, coloro che
vogliono togliergli la libertà, che per buona fortuna, non solo è nella sua
indole, ma ne costituisce una delle principali parti, e uno de' caratteri
distintivi. E ciò è naturale ad una lingua che ricevè buona parte di formazione
nel trecento, tempo liberissimo, perchè antichissimo, e quindi naturale, e
l'antichità e la natura non furono mai soggette alle regole minuziose e
scrupolose della ragione, e molto meno della matematica. Dico antichissimo,
rispetto alle lingue moderne, nessuna delle quali data da sì lontano tempo il
principio vero di una formazione molto inoltrata, e di una notabilissima
coltura, ed applicazione alla scrittura: nè può {di gran
lunga} mostrare in un secolo così remoto sì grande universalità e
numero di scrittori e di parlatori ec. che le servano anche oggi di modello. E
questa antichità
1048 di formazione e di coltura,
antichità unica fra le lingue moderne, è forse la cagione per cui l'indole
primitiva della lingua italiana formata, è più libera forse di quella d'ogni
altra lingua moderna colta (siccome pure dell'esser più naturale, più
immaginosa, più varia, più lontana dal geometrico ec.).
[1086,2]
Siccome la perfezione gramaticale di una lingua
dipende dalla ragione e dal genio
*
(la lingua francese è perfetta dalla parte
della ragione, ma non da quella del genio), così ella può servire di scala per misurare il
grado della ragione e del genio ne' vari
popoli.
*
(Con questa scala il genio francese sarà
trovato così scarso e in così basso grado, come in alto grado la ragione di
quel popolo.) Se per esempio non
avessimo altri monumenti che attestassero il genio felice de' Greci, la loro lingua pur
basterebbe.
*
(Lo stesso potremo dire degl'italiani avuto
riguardo alla proporzione de' tempi moderni, che
1087 non sono quelli del genio, coi tempi antichi.) Quando una lingua, generalmente
parlando,
*
{+(cioè non di una o più frasi, di
questa o quella finezza in particolare, ma di tutte in grosso)}
è insufficiente a rendere in una
traduzione le finezze di un'altra lingua, egli è una prova sicura
che il popolo per cui si traduce ha lo spirito men coltivato che
l'altro.
*
(Che diremo dunque dello spirito de'
francesi dalla parte del genio? La cui lingua è insufficiente a rendere le
finezze non di una sola, ma di tutte le altre lingue? Che la
Francia non abbia avuto mai, {+v. p. 1091.} nè sia disposta per
sua natura ad avere geni veri ed onnipotenti, e grandemente sovrastanti al resto
degli uomini, non è cosa dubbia per me, e lo viene a confessare implicitamente
il Raynal. Dico geni sviluppati,
perchè nascerne potrà certo anche in
Francia, ma svilupparsi non già, stante le
circostanze sociali di quella nazione.) Sulzer ec. l. cit. qui
dietro. p. 97.
(25. Maggio 1821.).
[1093,1] La letteratura di una nazione, la quale ne forma la
lingua, e le dà la sua impronta, e le comunica il suo genio, corrompendosi,
corrompe conseguentemente anche la lingua, che le va sempre a fianco e a
seconda. E la corruzione della letteratura non è mai scompagnata dalla
corruzione della lingua, influendo vicendevolmente anche questa sulla corruzione
di quella, come senza fallo, anche lo spirito della lingua contribuisce a
determinare e formare lo spirito della letteratura. Così è accaduto alla lingua
latina, così all'italiana nel 400, nel 600, e negli ultimi tempi, così pure nel
600, e negli ultimi tempi alla spagnuola: tutte corrotte al corrompersi della
rispettiva letteratura. Eppure la lingua greca, con esempio forse unico,
corrotta, anzi, dirò, imputridita la letteratura, si mantenne incorrotta
1094 più secoli, e molto altro spazio poco alterata,
come si può vedere in Libanio, in Imerio, in S. Gregorio Nazianzeno, e altri tali sofisti più antichi o più moderni di
questi, che sono corrottissimi nel gusto, e non corrotti {o
leggermente corrotti} nella lingua. Tanta era per una parte la
libertà, la pieghevolezza, e dirò così la capacità della lingua greca formata, che poteva anche essere applicata a pessimi
stili, senza allontanarsi dall'indole della sua formazione, e senza perdere le
sue forme proprie, e il suo naturale; ed essere adoperata da una letteratura
guasta senza guastarsi essa stessa, adattandosi tanto al buono come al cattivo,
e ricevendo nella immensa capacità delle sue forme, e nella sua {varietà,} copia e ricchezza, sì l'uno come l'altro.
Simile in ciò all'italiana, dove si può scrivere purissimamente cose di pessimo
gusto, ed usare un pessimo stile, in ottima o non corrotta lingua, come ho detto
altrove pp. 243-45
p.
321
pp.
686. sgg.
pp.
766-67. Dal che nasce la difficoltà di scriver bene in italiano, a
differenza del francese, che avendo una sola
lingua, ha anche un solo
stile, e chiunque scrive in francese, non può non iscrivere in istile appresso a poco, buono. E
però non dobbiamo farci maraviglia di quello che dicono, che tutti i francesi
più o meno scrivono bene.
[1098,2] La formazione intera e principale della lingua
latina, accade in un tempo similissimo (serbata la proporzione de' tempi) a
quello della francese, cioè nel secolo più civile ed artifiziato di
Roma, e (dentro i limiti della civiltà) più corrotto:
dico nel secolo tra Cic. e Ovidio. Ecco la cagione per cui la lingua
latina, come la francese, perdè nella formazione la sua libertà, ed ecco la
cagione di tutti gli effetti di questa mancanza, simili nelle dette due lingue
ec. (28. Maggio 1821.).
[1174,2] Ho detto più volte p. 1030
pp.
1039-40 che la letteratura francese è precisamente letteratura
moderna, ed è quanto dire che non è letteratura. Perchè considerando bene
vedremo che i tempi moderni hanno filosofia, dottrina, scienze d'ogni sorta, ma
non hanno propriamente letteratura, e se l'hanno, non è moderna, ma di carattere
antico, ed è quasi un innesto dell'antico sul moderno. L'immaginazione ch'è la
base della letteratura strettamente considerata,
1175
sì poetica come prosaica, non è propria, anzi impropria de' tempi moderni, e se
anche oggi si trova in qualche individuo, non è moderna, perchè non solamente
non deriva dalla natura de' tempi, ma questa l'è sommamente contraria, anzi
nemica e micidiale. E vedete infatti che la letteratura francese, {nata e formata} in tempi moderni, è la meno immaginosa
non solo delle antiche, ma anche di tutte le moderne letterature. E per questo
appunto è letteratura pienamente moderna, cioè falsissima, perchè il predominio
{odierno} della ragione quanto giova alle scienze,
e a tutte le cognizioni del vero e dell'utile (così detto), tanto nuoce alla
letteratura e a tutte le arti del bello e del grande, il cui fondamento, la cui
sorgente e nutrice è la sola natura, bisognosa bensì di un mezzano aiuto della
ragione, ma sommamente schiva del suo predominio che l'uccide, come pur troppo
vediamo nei nostri costumi, e in tutta la nostra vita d'oggidì. (16.
Giugno 1821.).
[1232,1] La trattabilità e facilità della lingua francese,
ond'ella è così agevole a scriver bene e spiegarsi bene sì {per lo} straniero che l'adopra o l'ascolta, sì pel nazionale, non
deriva dall'esser ella uno strumento pieghevole e souple (qualità negatale espressamente dal Thomas)
ec. ma dall'essere un piccolo strumento, e quindi manuale, εὐμεταχείριστος,
maneggiabile,
1233 facile a rivoltarsi per tutti i
versi, e ad adoprare in ogni cosa. ec. (27. Giugno 1821.).
[1243,3] 1. Il non aver noi mai rinunziato alle nostre
1244 ricchezze di quantunque antico possesso, a
differenza della lingua francese, a cui non gioverebbe neppure l'avere avuta
altrettanta copia di scrittori e di secoli letterati, quanti noi. Neppure alla
varietà, ed anche a quella ricchezza che serve precisamente all'esatta
espressione delle cose, gioverebbe alla lingua francese l'avere avuto in questi
due secoli dopo la sua rigenerazione, tanti e più scrittori quanti noi in cinque
secoli. Non le gioverebbe dico, quanto giova alla nostra lingua la moltitudine
dei secoli, e quindi la maggior varietà degli scrittori, delle opinioni, de'
gusti, degli stili, delle materie da loro trattate; varietà che non si può
trovare nello stesso grado in due secoli soli, benchè fossero più copiosi di
scrittori, che questi 5. insieme: e varietà che serve infinitamente alla
ricchezza di una lingua, ed alla esattezza e minutezza del suo poter esprimere,
giacch'è stata applicata ad esprimere tanto più diverse cose, da tanto più
diversi ingegni, e più diversamente disposti; e in tanto più diversi modi.
Neppure la lingua tedesca ha rinunziato alle sue antiche ricchezze e
possedimenti, come si vede nel Verter, abbondante di studiati e
begli ed espressivi arcaismi.
[1247,2] 3. Gridino a piacer loro i mezzi filosofi. Ricchezza
che importi varietà, bellezza, espressione, efficacia, forza, {brio, grazia, facilità, mollezza,} naturalezza, non
l'avrà mai, non l'ebbe e non l'ha veruna lingua, che non abbia moltissimo,
1248 e non da principio soltanto, ma continuamente
approfittato ed attinto al linguaggio popolare, non già scrivendo come il popolo
parla, ma riducendo ciò ch'ella prende dal popolo, alle forme alle leggi
universali della sua letteratura, e della lingua nazionale. La precisione
filosofica non ha punto che fare con veruna delle dette qualità: e la ricchezza
filosofica {e logica,} cioè di parole precise ec. e di
modi geometrici ec. serve bensì al filosofo, è una ricchezza, ed è necessaria,
ma non importa veruna delle dette qualità, anzi serve loro di ostacolo, e bene
spesso, com'è avvenuto al francese, ne spoglia quasi affatto quella lingua, che
già le possedeva. Tutte le dette qualità sono principalissimamente proprie
dell'idioma popolare; e se la lingua italiana {{scritta,}} si distingue in ordine ad esse qualità, fra tutte le altre
moderne; se è ricca {fra tutte le moderne, ed anche le
antiche} di quella ricchezza che produce e contiene le dette qualità;
ciò proviene dall'aver la lingua italiana scritta (forse perchè poco ancora
applicata alla filosofia, e generalmente poco moderna), attinto più, e più
durevolmente che qualunque altra, al linguaggio popolare. Le ragioni per cui
questo linguaggio, abbia sempre, e massime in un popolo vivacissimo, {sensibilissimo, e suscettibilissimo,} le dette qualità,
più
1249 che qualunque altro linguaggio, sono
abbastanza manifeste da se. Quella ricchezza proprissima della lingua italiana,
e maggiore in lei che nella stessa greca e latina, della quale ho parlato pp. 1240-42. non da altro deriva che
dall'idioma popolare, giudiziosamente e discretamente applicato dagli scrittori
alla letteratura.
[1253,1] Da quanto abbiamo detto sulla differenza essenziale
della lingua poetica e letterata dalla scientifica, risulta che la lingua
francese, che nei suoi modi quasi geometrici si accosta alla qualità di quelle
voci che noi chiamiamo termini, e di più, massimamente oggi, abbonda quasi più
di termini, o pressochè termini, che di parole, è di sua natura incapace di vera
poesia, e di veramente bella letteratura: mancando del linguaggio di queste, che
non può non essere sostanzialmente segregato da quello delle scienze. Termini o
quasi termini, chiamo io anche le voci di conversazione, e d'altri tali generi,
di cui la lingua francese, è sì ricca, e che esprimono in qualsivoglia materia,
un'idea nuda, o quasi nuda, secca, precisa, e precisamente. (30. Giugno
1821.).
[1344,1]
Alla p. 1246
marg. Ho detto altrove pp. 321-24
pp.
688. sgg.
che la lingua francese è universale, anche perchè lo scritto differisce poco
dal parlato, a differenza dell'italiano. Questo non si oppone alle presenti
osservazioni: 1. perchè ciò s'intende, ed è vero, massimamente nel gusto, nella
costruzione nella forma, e nel corpo intero della lingua e dello stile francese
scritto, che pochissimo varia dal parlato: ma non s'intende delle particolari
parole e locuzioni e costruzioni volgari. 2. perchè la lingua francese polita
differisce dalla popolare assai meno dell'italiana. E ciò, primo, per le
circostanze politiche e sociali ec. diverse assai nell'una nazione rispetto
all'altra: secondo,
1345 perchè la lingua italiana
essendo divisa in tanti dialetti popolari, ha un dialetto comune e polito
necessariamente diviso assai da tutte le favelle popolari; dico un dialetto
comune, non solo scritto, ma parlato da tutte le colte persone
d'italia, in ogni circostanza conveniente ec. Ora la
singolarità della lingua italiana scritta consiste appunto nell'aver preso più
di qualunque altra, dalla favella popolare sì divisa dalla colta, e massime da
un particolare dialetto vernacolo, ch'è il toscano; e nell'aver saputo
servirsene, e nobilitare, e accomodare alla letteratura quanto n'ha preso. Ma la
lingua francese scritta, poco si differenzia da quella della conversazione ec:
dove però questa si differenzia da quella del volgo, quella del volgo non
influisce e non somministra nulla alla lingua letterata francese. 3. Ho già
detto p. 1021
p.
1304 che da principio, cioè quando la lingua italiana {scritta} seguiva principalmente questo costume di
attingere dalla favella popolare, costume che ora ha quasi, e malamente,
abbandonato, allora anch'ella era effettivamente assai simile alla parlata. ec.
Anche ora ella si accosta al
1346 parlar polito, e vi
si accosta più di quello che mai facesse il latino scritto ec. ma non si accosta
al parlar popolare, che tanto fra noi differisce dal polito. (19. Luglio
1821.).
[1358,1] Nessuno ha torto. Quelli che hanno a cuore la
bellezza di una lingua, hanno ragione di essere malcontenti del suo stato
moderno, e saviamente la richiamano a' suoi principii; voglio dire al tempo
della sua formazione, e non più là, che questo pazzamente si pretende, e volendo
rigenerare la lingua, anche quanto alla bellezza, si fa l'opposto, perchè si
caccia da un estremo ad un altro: e negli estremi la bellezza non può stare,
bensì nel mezzo, e in quel punto in cui ella è formata e perfezionata. Quelli a'
quali preme che la lingua serva agl'incrementi della ragione, raccomandano la
precisione, promuovono la ricchezza de' termini, fuggono e scartano le voci e frasi ec. che son belle ed
eleganti con danno della sicurezza
1359 e chiarezza e
facilità ec. della espressione; ed odiano l'antica forma, insufficiente e
dannosa allo stabilimento e comunicazione delle profonde e sottili verità.
[1359,1] Come dunque faremo? L'andamento delle cose umane, è
questo; questo l'andamento delle lingue. {+La perfezione filosofica di una lingua può sempre
crescere; la perfezione letterata, dopo il punto che ho detto, non può
crescere (eccetto ne' particolari) anzi non può se non guastarsi e
perdersi.} Tutti due hanno ragione, e grandissima. Converrebbe
accordarli insieme. La cosa è difficile, ma non impossibile. Una lingua, massime
come la nostra (non così la francese), può conservare o ripigliare le antiche
qualità, ed assumere le moderne. Se gli scrittori saranno savi, ed avranno vero
giudizio, il mezzo di concordia è questo.
[1365,1] La grazia bene spesso non è altro che
1366 un genere di bellezza diverso dagli ordinari, e
che però non ci par bello, ma grazioso, o bello insieme e grazioso (che la
grazia è sempre nel bello). A'[A] quelli a'
quali quel genere non riesca straordinario, parrà bello ma non grazioso, e
quindi farà meno effetto. Tale è p. e. quella grazia che deriva dal semplice,
dal naturale ec. che a noi in tanto par grazioso, in quanto, atteso i nostri
costumi e assuefazioni ec., ci riesce straordinario, come osserva appunto Montesquieu. Diversa è l'impressione che a noi produce la
semplicità degli scrittori greci, v. g. Omero, da quella che produceva ne' contemporanei. A noi par graziosa,
{+(V. Foscolo nell'articolo
sull'Odiss. del Pindemonte; dove parla della sua propria traduzione del
1. Iliade)} perchè divisa da' nostri costumi, e
naturale. Ai greci contemporanei, appunto perchè naturale, pareva bella, cioè
conveniente, perchè conforme alle loro assuefazioni, ma non graziosa, o certo
meno che a noi. Quante cose in questo genere paiono ai francesi graziose, che a
noi paiono soltanto belle, o non ci fanno caso in verun conto! A molte cose può
estendersi questo pensiero. (21. Luglio 1821.)
[1415,2] I tempi, costumi, opinioni, climi, razze ec. ec.
diversificano il giudizio e il gusto degli uomini intorno alla semplicità niente
meno che intorno al bello e al grazioso ec. Ho detto p. 1413 che la
letteratura italiana, la più semplice delle moderne, è universalmente preferita.
Nondimeno è certo che i francesi, come eccessivamente civilizzati, differiscono
sommamente dalle altre nazioni nel giudizio di che cosa sia semplice, ed essendo
semplice sia naturale, ed essendo naturale sia bella; quantunque si accordino
con tutte le nazioni di buon gusto nel giudicare che il semplice e naturale è
bello, cioè conveniente. Ai francesi producono l'effetto di somma semplicità,
naïveté, (e
1416 quindi o
grazia o bellezza) mille cose che a noi italiani (se conserviamo il gusto italiano, o l'antico) e anche agli altri, paiono o
affettate o certo ricercate, artifiziate, studiate; o finalmente assai meno
vicine alla natura di quello che paiono ai francesi, e quindi vi sentiamo assai
meno grazia e bellezza, o nessuna, o anche bruttezza; ovvero le riponiamo nel
numero delle bellezze d'artifizio ec. Esempi, La Fontaine, modello di semplicità per li francesi, Fénélon di grazia, Bossuet di sublimità ec. Ma i francesi tanto lontani
dalla natura sono colpiti da quello che n'è più vicino, benchè riguardo al
nostro stato ne sia per anche troppo lontano. Viceversa quello che a noi
italiani par semplice, naturale, bello, grazioso, ai francesi pare così
eccessivamente semplice, che non par loro naturale, (giudicando, come sempre
accade, della natura, dalla condizione in cui essi si trovano) nè vi sentono
grazia o bellezza, ma viltà, bassezza e deformità. Ed è cosa ordinarissima e
frequentissima che la grazia, la semplicità, la naturalezza
1417 francese, sia affettazione, artifizio, ricercatezza per noi, e la
semplicità ec. italiana, sia rozzezza per li francesi, intollerabile e ridicola.
E pur tutti conveniamo nel giudicar bello e grazioso il semplice {e naturale,} come tutti ci accordiamo nel giudicar bello
il conveniente, senza accordarci nel giudicare della convenienza.
[1417,2] I tempi differiscono assai di più. Lasciamo stare la
letteratura classica greca paragonata
colla classica latina, che pur si formò su di quella. I trecentisti ci piacciono
assai anche oggi, ma {oggi} chi scrivesse precisamente
come loro, in questa lingua, ch'è pur la stessa, sarebbe giudicato barbaro, e
quella semplicità ec. ec. parrebbe eccessiva, {cioè}
sconveniente, inverisimile, e non più naturale oggidì, quantunque
1418 la natura in quanto all'essenziale non si muti. I
francesi gustano i latini e i greci, ma si guarderebbero bene dall'imitarne
molte cose, che in quelli non li disgustano, anzi paiono loro bellezze, perchè
le giudicano convenienze relativamente alle circostanze della loro natura, de'
tempi ec. Del resto non mancano francesi che anche quanto al bello, antepongano
la loro letteratura alle antiche, segno di falso gusto, cioè allontanato dalla
natura, più gradi, che non ne sono allontanati gli altri gusti. I francesi di buon gusto cioè più naturale,
gusteranno anche gl'italiani classici, sebbene tanto opposti alla loro maniera.
Li gusteranno però meno di quello che facciano (ed effettivamente lo fanno) le
altre nazioni, e saranno offesi di molte che a noi e agli altri paiono
naturalezze. Non dico niente delle letterature e gusti orientali, o selvaggi ec.
ec.
[1418,2] Ho notato altrove pp. 231-32
certe naïvetés francesi che mi paiono affettatissime,
non relativamente,
1419 cioè perch'elle non sieno naïvetés per noi, ma (dirò così) assolutamente,
perch'essendo naivetés[naïvetés] anche per noi, e vere naïvetés, risaltano e contrastano sopramodo colla maniera e lo stile ec. di quella nazione, e producono
il senso della sconvenienza, almeno in noi che in questo punto, e nel giudizio
della naturalezza (che è tutto ciò che si chiama finezza di gusto, e che si
venera {e si consulta} negli antichi maestri ec.),
siamo più delicati. Ed ecco come la {stessa assoluta}
semplicità {o naturalezza,} che si considera per
assolutamente bella, possa molte volte esser brutta, perchè sconveniente,
secondo le circostanze, le assuefazioni, le opinioni ec. Il che si avvera in
milioni di casi, come ho dimostrato. Insomma tante sono le naturalezze quante le
assuefazioni, e quindi lo stesso buon gusto si divide in tanti gusti, quante
sono le assuefazioni ec. de' tempi e luoghi ec: e quanto ai particolari non c'è
regola generale intorno al bello di letteratura, arti ec.
[1497,1] Dovunque prevale la sinonimia quivi la proprietà
soffre assai. Gli scrittori italiani possono rassomigliarsi ai greci nel
riguardo che ho detto, sì come ho notato altre volte pp. 244-45
p. 321. Nè solo gli scrittori ma la lingua eziandio. La latina può
rassomigliarsi per questo lato, come ho pur detto altrove p. 322
p.
1098, alla francese. Quella fra le antiche, questa fra le moderne,
sono forse le più scarse di vera sinonimia. Quindi anche allo scrittor francese
è necessario il posseder bene e interamente la sua lingua, cosa non necessaria
agl'italiani, non dico per iscriver bene, ma per poter pur scrivere in
italiano.
[1499,2] Dalla teoria che abbiamo dato dei sinonimi si
deducono alcune osservazioni intorno alla
1500
diramazione e diversità delle lingue nate da una stessa madre, massime da una
madre già formata, colta, ricca, letterata ec. Nata appoco appoco la sinonimia
nella lingua madre, e quindi diffusa questa in diverse parti, non tutti i
sinonimi passano a ciascuna lingua figlia, ma solamente alcuni a questa, altri a
quella. E questa è pur una delle cagioni della maggior ricchezza e proprietà
delle lingue antiche. Le lingue figlie di una madre già formata, per lo più sono
meno ricche di lei. Il tempo dopo aver soppresso le differenze de' significati
(sia prima della diffusione, e presso la nazione originariamente partecipe di
quella lingua, sia molto più dopo, e presso le nazioni che sempre corrottamente
la ricevono e sempre mancante e povera, per la ignoranza e la difficoltà
d'imparare una lingua nuova, e l'impossibilità di ricevere e praticar tutta
intera una {tal} lingua ricca ec. ec.), il tempo, dico,
sopprime quindi naturalmente una buona parte de' sinonimi, conservandone solo
uno o due per significato, che prevalendo appoco appoco nell'uso, fanno
dimenticar gli altri ec. Così le lingue perdono
1501
appoco appoco necessariamente di ricchezza e di proprietà, a causa della
sinonimia. Oltre che le lingue figlie, nascendo da corruzione, e dagli stessi
danni che il tempo reca alla sostanza materna, non la possono mai di gran lunga
ereditar tutta intera. {+E così il fondo
delle lingue si va sempre scemando se per altra parte non si accresce, e le
lingue che nascono sono sempre più povere di
quelle che le producono, almeno nei principii.}
[1513,1] I costumi delle nazioni cambiano bene spesso
d'indole, massime coll'influenza del commercio, de' gusti, delle usanze ec.
straniere. E siccome l'indole della favella è sempre il fedelissimo ritratto
dell'indole della nazione,
1514 e questa è determinata
principalmente dal costume, ch'è la seconda natura, e la forma della natura;
perciò mutata l'indole de' costumi, inevitabilmente si muta, non solo le parole
e modi particolari che servono ad esprimerli individualmente, ma l'indole, il
carattere, il genio della favella. Pur troppo è certissimo che l'indole de'
costumi italiani essendo affatto cambiata, massime dalla rivoluzione in poi, ed
essendo al tutto francese, è perduta quasi effettivamente la stessa indole della
lingua italiana. Si ha un bel dire. Una conversazione del gusto,
dell'atteggiamento, della maniera, della raffinatezza, {della
leggerezza, dell'eleganza} francese, non si può assolutamente fare in
lingua italiana. Dico italiana di carattere; e piuttosto la si potrebbe tenere
con parole purissime italiane, che conservando il carattere essenziale di questa
favella. Così dico dell'indole dello scrivere che oggi piace universalmente. È
troppo vero che non si può maneggiare in lingua italiana, e meno quanto
all'indole che quanto alle parole. È {{troppo}} vero che
l'influenza generale del
1515 costume francese in
europa, deve ed ha realmente mutata l'indole di tutte
le lingue colte, e le ha tutte francesizzate, ancor più nel carattere, che nelle
voci. E in tutta europa si travaglia a richiamar le
lingue e letterature alla loro proprietà nazionale. Ma invano. Nelle parole ch'è
il meno importante si potrà forse riuscire: ma nell'indole, ch'è il tutto, è
impossibile, se ciascheduna nazione non ripiglia il suo proprio costume e
carattere; e se noi italiani massimamente (che siamo più soggetti all'influenza,
e a pigliar l'impronta straniera, perchè non siamo nazione, e non possiamo più
dar forma altrui) non torniamo italiani. Il che dovremmo pur fare: e coloro che
ci gridano, parlate italiano, ci gridano in
somma siate italiani, che se tali non saremo,
parleremo sempre forestiero e barbaro. Ma non essendo nazione, e perdendo il
carattere nazionale, quali svantaggi derivino alla società tutta intera, l'ho
spiegato diffusamente altre volte pp. 865-66.
[1683,1] Perciò appunto che la lingua francese non ammette se
non il suo proprio (unico) stile, esso è ammissibile (non però senza guastarlo,
quando si faccia senza giudizio), o certo più universalmente facile ad essere
ammesso in tutte le lingue, che qualunque altro. Perch'ella è incapace di
traduzioni, ella è più facilmente di qualunque altra, traducibile in tutte le
lingue colte. Viceversa per le contrarie ragioni
1684
accade proporzionatamente alle altre lingue, e sopra tutte le moderne
all'italiana, perch'ella sovrasta a tutte nella moltiplicità degli stili, e
capacità di traduzioni. Le altre lingue contengono in certo modo lo stile
francese, come un genere, il qual genere nella lingua francese è tutto. Vero è
che in questo tal genere ella primeggia di gran lunga su tutte le antiche e
moderne. Sviluppate e dichiarate questo pensiero: ed osservate che infatti le
bellezze le più minute della lingua francese si ponno facilmente rendere; e
com'ella abbia corrotto facilmente quasi tutte le lingue
d'europa, ed insinuatavisi; laddove ella {(quale ora è ridotta)} non sarebbe stata certo
corrompibile {da niun'altra,} nemmeno in qualsivoglia
circostanza si possa immaginare. (12. Sett. 1821.).
[1688,2] Si parla tuttogiorno di convenienze. E si crede
ch'elle sieno fisse, universali, invariabili, e su di loro si fonda tutto il
buon gusto. Or quante cose che sono convenienti, e quindi belle, e quindi di
buon gusto in italia, non lo sono in
Francia, ne' costumi, nel tratto, nello scrivere, nel
teatro, nell'eloquenza, nella poesia ec. Dante non è egli un
1689 mostro per li
francesi nelle sue più belle parti; un Dio per noi? Così discorrete, e su questo
esempio ragionate di tutte le possibili convenienze in ordine al confronto delle
idee che noi o altre nazioni ne hanno, con quelle che ne hanno i francesi.
(13. Sett. 1821.).
[1728,2]
Il me semble que nous
avons tous besoin les uns des autres; la littérature de chaque pays
découvre, à qui sait la connaître, une nouvelle sphère d'idées. C'est
Charles-Quint lui-même qui
a dit qu'un homme qui sait quatre langues vaut
quatre hommes. Si ce grand génie politique en jugeait ainsi
pour les affaires, combien cela n'est-il pas plus vrai pour les lettres?
Les étrangers savent tous le français, ainsi leur point de vue est plus
étendu que celui des Français qui ne savent pas les langues étrangères.
Pourquoi
1729 ne se donnent-ils pas plus
souvent la peine de les apprendre? Ils conserveraient ce qui les
distingue, et découvriraient ainsi quelquefois ce qui peut leur
manquer.
*
Corinne liv. 7. ch. 1. dernieres
lignes.
(18. Sett. 1821.).
[1768,1] Ho lodato l'italia appetto
alla Francia
pp.
343-45
pp. 1243-44 perchè non ha rinunziato alla sua lingua antica, ed ha
voluto ch'ella fosse composta di cinque secoli, in vece di un solo. Ma la
biasimerei sommamente se per conservare l'antica intendesse di rinunziare alla
moderna, mentre se l'antica è utile, questa è necessaria; e molto più se in
luogo di compor la sua lingua di 5 secoli, la componesse come i francesi di un
solo, ma non di quello che parla (il che alla fine è comportabile), bensì di
quello che
1769 parlò quattro secoli fa: ovvero anche
se la volesse comporre de' soli secoli passati, escludendo questo, il quale
finalmente è l'unico che per essenza delle cose non si possa escludere. Certo è
lodevole che non si sradichi la pianta, conservando i germogli, e
trapiantandoli, ma perchè s'ha da conservare il solo tronco spogliandolo de'
germogli, delle foglie, de' rami; anzi la sola radice tagliando il tronco, e
guardando bene che non torni a crescere, e che le radici se ne stieno senza
produr nulla? E sarebbe ben ridicolo che conservando sulla nostra favella
l'autorità agli antichi che più non parlano, la si volesse levare a noi che
parliamo: e sarebbe questa la prima volta che le cose de' vivi fossero proprietà
intera de' morti. {+Sarebbe veramente
assurdo che mentre una parola {o frase} superflua
nuovamente trovata in uno scrittore antico, si può sempre
incontrastabilmente usare quanto alla purità, una parola o frase utile o
necessaria, e che del resto abbia tutti i numeri, nuovamente introdotta da
un moderno, non si possa usare senza impurità.} Anzi quanto più la
nostra lingua è diligente nel non voler perdere (cosa ottima), tanto più per
necessaria conseguenza, dev'essere industriosa nel guadagnare, per non
somigliarsi al pazzo avaro che {+per amor
del danaio} non mette a frutto il danajo, ma
1770 si contenta di non perderlo, e guardarlo senza pericoli.
(22. Sett. 1821.).
[1812,2] Tutto ciò dimostra che la lingua francese, la quale
ha dalla sua prima formazione rinunziato alle sue ricchezze antiche,
1813 e a tutto ciò che fosse rimoto dall'uso volgare, e
segue a rinunziarvi tutto giorno, onde oggi non possiede neppur quello che
possedevano gli scrittori del primo tempo dell'Accademia, e del secolo di Luigi 14. deve necessariamente esser poco
suscettibile di eleganza, e soprattutto priva di lingua poetica, non avendo
quasi parola, frase, forma che non sia necessaria all'uso quotidiano del
discorso, o della scrittura in prosa, {o che non abbia luogo
frequentemente in detto uso;} e quindi non potendo assolutamente
elevarsi al disopra del parlar comune. Quindi lo stile della poesia francese non
si diversifica (eccetto alcune poche, {uniformi, rare,}
e timide inversioni, {+e l'uso della
misura (ben plebea e pedestre) e delle rime,)} dal discorso
giornaliero e dalla prosa; e talvolta è propriamente ridicolo a vedere imagini e
sentenze e affetti sublimi, e rimoti o dall'opinione o dall'uso volgare, e
superiori al comune modo ec. di pensare, espressi ne' versi francesi al modo che
si esprimerebbe una dimostrazione geometrica, o si direbbe una facezia in
conversazione; giacchè in ambedue queste occasioni,
1814 come in tutte le altre, la lingua francese è appresso a poco la stessa.
[1862,1] Ho detto pp. 1350. sgg.
p. 1609 che i greci furono i più filosofi e profondi tra gli antichi,
perchè la loro lingua si presentava mirabilmente (sì come si presta ancora forse
meglio di ogni altra) alla filosofia ed alla precisione, come ad ogni altra cosa
e qualità. Bisogna osservare che questo pregio non l'ebbe ella dalla filosofia,
così che questo si debba attribuire alla filosofia de' greci, piuttosto che
questa al detto pregio. Poichè la lingua greca fu formata, e resa onnipotente
assai prima che i greci avessero filosofia, e prima ancora che si fosse
intrapresa l'analisi delle lingue, e creata la gramatica, nelle quali cose i
greci furono poi sottilissimi specialmente intorno alla lingua loro. Ma la
lingua greca era tal quale noi la vediamo, e l'ammiriamo, assai prima della
gramatica, inventata, si può dire, dagli stessi greci, ne' tempi in cui la loro
lingua o aveva già perduto, o stava per perdere (forse anche in forza delle
regole ritrovate o osservate) il suo nativo
1863 colore
ec. Anzi la lingua greca, dopo che fu analizzata, e ridotta a regole, dopo le
circoscrizioni, le dispute, gli scrupoli de' gramatici, divenne forse meno atta
alla filosofia, come ad ogni altra cosa, perchè meno libera, e meno capace
(secondo il parere e il desiderio de' pedanti) di novità. Altrettanto nè più nè
meno si può dire della lingua italiana. La libertà è la prima condizione di una
lingua sì filosofica, che qualunque. I francesi l'hanno quanto alle parole. Ma
ridotta ad arte, ogni lingua perde la sua libertà e fecondità. Allora ella varia
quanto alle forme che riceve, secondo che alla sua formazione presiede la
ragione o la natura ec. Primitivamente l'indole di tutte le lingue è appresso a
poco la stessa, almeno dentro una stessa categoria di climi e caratteri
nazionali. (7. Ott. 1821.).
[1887,1] Ho detto pp. 343-45
pp. 1243-44
p. 1768
p. 1807 che la lingua italiana non ha mai rinunziato alle sue
ricchezze antiche. Ecco come ciò si deve intendere. Tutte le nazioni, tutte le
lingue del mondo antiche e moderne, formate ed informi, letterate e illetterate,
civili e barbare, hanno sempre di mano {in mano}
rinunziato, e di mano in mano incessantemente rinunziano alle parole e frasi
antiche, come, e perciò, {ed in proporzione} che
rinunziano ai costumi antichi, opinioni ec. Quelle ricchezze alle quali io dico
che la lingua italiana non ha mai rinunziato, sono le ricchezze sue {più o meno} disusate, che sono infinite e bellissime, e
ponno esserle ancora d'infinito uso; ma non propriamente le voci e locuzioni
antiche, cioè quelle che oggi o non si ponno facilmente e comunemente intendere,
o comunque intese non ponno aver faccia di naturali, e spontanee, e non pescate
nelle Biblioteche de' classici. A queste l'italia come
tutte le altre nazioni nè più nè meno, intende di avere rinunziato; e i soli
pedanti
1888 lo negano, o non riconoscono per buona
questa rinunzia, e le protestano contro, e non vi si conformano, nè
l'ammettono.
[1932,2] La lode di se stesso la quale ho detto pp. 1740-41 non esser
altro che naturalissima all'uomo, e in tanto solo condannata nella società, e
divenuta oggetto di una certa ripugnanza all'individuo (che par naturale e non
è) in quanto l'uomo odia l'altro uomo; è sempre tanto più o meno in uso ec.
quanto la società è più o meno stretta, e la civiltà più
1933 o meno avanzata. Presso gli antichi ella non fu mai così deforme,
nè soggetta al ridicolo come oggi. Esempio di
Cicerone. Oggi la modestia
è tanto più minuziosa e scrupolosa nelle sue leggi quanto la nazione è più
civile e socievole. Quindi in Francia queste leggi sono
nell'apice del rigore, e in francia riescono
intollerabili gli antichi quando si lodano da se come Cic. e Orazio
(v. l'apologia che fa Thomas di Cic. in tal proposito; nell'Essai sur les
Éloges), ed è proibito sotto pena del più gran
ridicolo, a chi scrive e a chi parla il mostrare di far conto di se o delle cose
sue, il parlar di se senza grand'arte, il non affettar disprezzo di se e delle
proprie cose. ec. Questi effetti nelle altre nazioni sono proporzionati al più o
meno di francese che si trova ne' loro costumi, o in quelli de' loro individui.
(La Francia non ha differenza d'individui, essendo tutta
un individuo). I tedeschi
1934 che certo non sono
incivili, pur si vede ne' loro scrittori, che parlano volentieri di se, e danno
a se stessi, alle loro azioni, famiglie, casi, scritti ec. un certo peso, e in
un certo modo che riuscirebbe ridicolo in Francia ec.
(17. Ott. 1821.). {{Similmente possiamo
discorrere degl'italiani.}}
[1955,1] Così accade infatti. Le lingue perfettamente formate
e di carattere decisamente proprio, non sogliono esser libere, e par che queste
due qualità ripugnino. La lingua francese infatti, sola fra le moderne (esclusa
l'italiana e la spagnola) che si possa dire perfettamente formata, ha perduto
colla sua formazione la libertà ed è divenuta inflessibile, e inadattabile a
tutto ciò che non l'è assolutamente proprio. La lingua inglese ha conservata la
sua libertà
1956 col sacrifizio di una originalità
decisa. Essa si modellò prima sulla francese, e divenne quasi francese. Oggi
talora è francese, talora non si sa che, ma perfettamente inglese mai, e gli
stessi scrittori inglesi riconoscono il danno della loro libertà di lingua, e
com'essa non sussiste che per mancanza o insufficienza di legislazione, e quindi
di deciso carattere {e gusto, e genio proprio, e sapor
nazionale ec.} Così accade nel tedesco. La lingua italiana è l'unica
fra l'europee, dopo la greca, che abbia conservata la sua libertà nella sua
indole, dopo essersi perfettamente formata questa indole, e perfettamente
propria; e deve questo vantaggio all'antichità della sua formazione.
[1962,1]
Un des grands avantages
des dialectes germaniques en
poésie, c'est la variété et la beauté de leurs épithètes. L'allemand
sous ce rapport aussi, peut se comparer au grec; l'on sent dans un seul
1963
mot plusieurs images, comme, dans la note fondamentale d'un
accord, on entend les autres sons dont il est composé, ou comme de
certains couleurs réveillent en nous la sensations de celles qui en
dépendent. L'on ne dit en français
que ce qu'on veut dire, et l'on ne voit point errer autour des
paroles ces nuages à mille formes, qui entourent la poésie des langues
du nord, et réveillent une foule de souvenirs. A la liberté de former une seule épithète de deux
ou trois, se joint celle d'animer le langage en faisant avec
les verbes des noms:
*
(proprietà egualmente del greco, dell'italiano, e dello spagnuolo) le vivre, le vouloir, le sentir, sont des expressions
moins abstraites que la vie, la volonté, le sentiment; et tout ce qui
tend à changer la pensée en action donne toujour plus de mouvement au
style. La facilité de renverser à son gré la construction
1964 de la phrase
*
(ho detto altrove
pp. 109-11
pp.
950-52
pp. 1226-28 che come le parole, così le frasi e costruzioni ec.
possono esser termini, e che quella
lingua che più abbonda di termini,
{in pregiudizio delle parole,} suole per
analogia esser matematica nella frase ec., e che la francese è tutta un gran
termine) est aussi très-favorable à la poésie, et permet d'exciter, par les
moyens variés de la versification, des impressions analogues à celles de la peinture et de la
musique
*
. (impressioni vaghe.) Enfin l'esprit général des dialectes teutoniques, c'est l'indépendance:
les écrivains cherchent avant tout à
transmettre ce qu'il sentent; ils diroient volontiers à la
poésie comme Héloïse à son amant: S'il
y a un mot plus vrai, plus tendre, plus profond encore pour exprimer
ce que j'éprouve, c'est celui-là que je veux choisir. Le
souvenir des convenances de société poursuit en
France le talent
*
1965
jusques dans ses émotions les plus intimes; et la
crainte du ridicule est l'épée de Damoclès, qu'aucune fête
de l'imagination ne peut faire oublier.
*
De l'Allemagne, tome 1. 2.de part. ch. 9.
vers la fin.
(21. Ott. 1821.).
[1970,1]
1970 La minuziosità della punteggiatura usata da'
francesi, corrisponde, ed è analoga, conseguente e conveniente all'indole delle
loro parole, costruzioni ec. e di tutta la loro lingua, e scrittura. (22.
Ott. 1821.).
[1985,1] La lingua francese è propriamente, sotto ogni
rapporto, per ogni verso, la lingua della mediocrità. {+Ella non è nè sarà mai la lingua della grandezza in
nessun genere, nè della originalità. (Qual è la lingua tali sono sempre i
sentimenti, e gli scrittori.)} E non per altra cagione, ella è oggi
universale; non per altra si adatta all'intelligenza, ed all'uso pratico de'
forestieri d'ogni genere; non per altra si adatta così bene all'uso de' meno
colti nazionali, ed è ben parlata e scritta da quasi tutti i francesi; non per
altra l'andamento, il tour di essa lingua è preferito
dalla gente comune, in tutte le lingue d'europa, a quello
della propria lingua; non per altra una donna, un cavaliere italiano
mezzanamente colto, che s'imbarazza e cade in dieci spropositi, non dico contro
la purità, ma contro la gramatica, se nello scrivere o nel parlare s'impegna in
un periodo all'italiana, riesce facilmente e scampa da ogni pericolo, usando il
periodo francese. ec. ec. Vero
1986 periodo, andamento,
genio, indole, spirito della mediocrità. Ed a che altra categoria che alla
mediocrità poteva appartenere la lingua della ragione e della società? Nè la
lingua francese sarebbe divenuta universale, e sarebbe stata così celebrata ed
esaltata sopra tutte, se non nel secolo della mediocrità cioè della ragione,
qual è il nostro; nè un tal secolo potrebbe preferire alcuna lingua alla
francese, o alcun genio ed indole di favella a quello della francese, anche
nelle proprie rispettive lingue.
[1993,2] La lingua francese ricevette una certa forma, e
venne in onore prima dell'italiana, e forse anche della spagnuola, mercè de'
poeti provenzali che la scrivevano ec. Onde sulla fine stessa del ducento, e
principio di quel trecento che innalzò la lingua italiana su tutte le vive
d'allora, si stimava in italia
la
parlatura francesca
*
esser la più dilettevole e comuna di tutti gli altri
linguaggi parlati
*
;
1994
si scriveva in quella piuttosto che nella nostra, stimandola più bella e
migliore
*
ec. v. Perticari, del 300. p.
14-15. Ma la buona fortuna dell'italia volle
che nel 300, cioè prima {assai} che in nessun'altra
nazione, sorgessero in essa tre grandi scrittori, giudicati grandi anche poscia,
indipendentemente dall'età in cui vissero, i quali applicarono la nostra lingua
alla letteratura, togliendola dalle bocche della plebe, le diedero stabilità,
regole, andamento, indole, tutte le modificazioni necessarie per farne una
lingua non del tutto formata, ch'era impossibile a tre soli, ma pur tale che già
bastasse ad esser grande scrittore adoperandola; la modellarono sulla già
esistente letteratura latina ec. Questa circostanza, indipendente affatto dalla
natura della lingua italiana, ha fatto e dovuto far sì che l'epoca di essa
lingua si pigli necessariamente
1995 d'allora in poi,
cioè da quando ell'ebbe tre sommi scrittori, che l'applicarono decisamente alla
letteratura, {all'altissima poesia,} alle grandi e
nobili cose, alla filosofia, alla teologia (ch'era allora il non plus ultra, e
perciò Dante col suo magnanimo ardire,
pigliando quella linguaccia greggia ed informe dalle bocche plebee, e volendo
innalzarla fin dove si può mai giungere, si compiacque, anche in onta della
convenienza e buon gusto poetico, di applicarla a ciò che allora si stimava la
più sublime materia, cioè la teologia). Questa circostanza ha fatto che la
lingua italiana contando oggi, a differenza di tutte le altre, cinque interi
secoli di letteratura, sia la più ricca
di tutte; questa che la sua formazione e la sua indole sia decisamente antica,
cioè bellissima e liberissima, con gli altri infiniti vantaggi delle lingue
antiche (giacchè i cinquecentisti che poi decisamente la formarono, oltre
1996 che sono antichi essi stessi, e che si modellarono
sugli antichi classici latini e greci seguirono ed in ciò, e in ogni altra cosa
il disegno e le parti di quella tal forma che la nostra lingua ricevette nel
300. e ch'essi solamente perfezionarono, compirono, e per ogni parte regolarono,
uniformarono, ed armonizzarono); questa circostanza ha fatto che la
nr̃a[nostra] lingua non abbia mai
rinunziato alle parole, modi, forme antiche, ed all'autorità degli antichi dal
300 in poi, non potendo rinunziarvi se non rinunziando a se stessa, perchè
d'allora in poi ell'assunse l'indole che la caratterizza, e fu splendidamente
applicata alla vera letteratura. Questa circostanza è unica nella lingua
italiana. La spagnuola le tenne dietro più presto che qualunqu'altra, ma solo
due secoli dopo. Dal 500. dunque ella prende la sua epoca, ed ella è la più
antica di fatto e d'indole, dopo
1997 l'italiana. La
lingua francese non ebbe uno scrittore assolutamente grande e da riconoscersi
per tale in tutti i secoli, prima del secolo di Luigi 14. o in quel torno. (Montagne nel 500. o non fu tale, o non bastò, o non
era tale da formare e fissare bastantemente una lingua.) Quindi la sua epoca non
va più in là, ella conta un secolo e mezzo al più, l'autorità degli antichi è e
dev'esser nulla per lei. Dove comincia la vera e propria letteratura di una
nazione quivi comincia l'autorità de' suoi scrittori in punto di lingua.
[1999,2] Lo spirito, il costume della nazione francese è, fu,
e sarà precisamente moderno rispetto a ciaschedun tempo successivamente, e la
nazione francese sarà (come oggi vediamo che è) sempre considerata come il tipo,
l'esemplare,
2000 lo specchio, il giudice, il
termometro di tutto ciò ch'è moderno. La ragione si è che la nazione francese è
la più socievole di tutte, la sede della società, e non vive quasi che di
società. Ora, lasciando stare che lo spirito umano non fa progressi generali o
nazionali se non per mezzo della società, e che dove la società è maggiore per
ogni verso, quivi sono maggiori i
progressi del nostro spirito; e quella tal nazione si trova sempre, almeno
qualche passo, più innanzi delle altre, e quindi in istato più moderno;
lasciando questo, osservo che la società e la civiltà tende essenzialmente e
sempre ad uniformare. Questa tendenza non si può esercitare se non su di ciò che
esiste, e l'uniformità che deriva sempre dalla civiltà, non può trovarsi nè
considerarsi che in quello che successivamente esiste in ciaschedun tempo.
Quindi è che la nazione francese essendo sempre più
2001 d'ogni altra uniformata nelle sue parti, in virtù della eccessiva società, e
quindi civiltà di cui gode, ella non può esser mai in istato antico, perchè
altrimenti non sarebbe uniforme a se stessa. Cioè que' francesi che in ciascun
tempo esistono sono sempre uniformi tra loro, e non agli antichi, altrimenti non
sarebbero uniformi agli altri francesi contemporanei. E così ogni novità di
costumanze o di opinioni, ogni progresso dello spirito umano divien subito
comune ed universale in Francia, mercè della società che
in un attimo equilibra fra loro, e diffonde, e uniforma, e generalizza e
pareggia il tutto.
[2014,1] La mancanza di libertà alla lingua latina, venne
certo o dall'esser ella stata perfettamente applicata ne' suoi buoni tempi a
pochi generi di scrittura, ad altri imperfettamente e poco e da pochi, ad altri
punto;
2015 o dall'esser ella, come lingua formata, la
più moderna delle antiche, ed essere stata la sua formazione contemporanea ai
maggiori incrementi dell'arte che si vedessero tra gli antichi ec. ec.; o
dall'aver ella avuto in Cicerone uno
scrittore e un formatore troppo vasto
per se, troppo poco per lei, troppo eminente sopra gli altri, alla cui lingua
chi si restrinse, perdette la libertà della lingua, chi ricusollo, perdette la
purità, ed avendo riconquistata la libertà colla violenza, degenerolla in
anarchia. Perocchè la libertà e ne' popoli e nelle lingue è buona quando ella è
goduta pacificamente e senza contrasto relativo ad essa, e come legittimamente e
per diritto, ma quando ella è conquistata colla violenza, è piuttosto mancanza
di leggi, che libertà. Essendo proprio delle
cose umane dapoi che son giunte
2016
ad una estremità, saltare alla contraria,
poi risaltare alla prima, e non sapersi mai più fermare nel mezzo, dove la
natura sola nel primitivo loro andamento le aveva condotte, e sola potrebbe
ricondurle. Un simile pericolo corse la lingua italiana nel 500. quando
alcuni volevano restringerla, non al 300. come oggi i pedanti, ma alla sola
lingua e stile di Dante, Petr. e Bocc. per la eminenza di questi scrittori, anzi la prosa alla sola
lingua e stile del Boccaccio, la lirica
a quello del solo Petrarca ec. contro i
quali combatte il Caro nell'Apologia.
[2025,1] Gli antichi poeti e proporzionatamente gli scrittori
in prosa, non parlavano mai delle cose umane e della natura, se non per
esaltarle, ingrandirle, quando anche parlassero delle miserie {+e di argomenti, e in istile
malinconico.} ec. Così che la grandezza costituiva il loro modo di
veder le cose, e lo spirito della loro poesia. Tutto al contrario accade ne'
poeti, e negli
2026 scrittori moderni, i quali non
parlano nè possono parlare delle cose umane e del mondo, che per deprimerne,
impiccolirne, avvilirne l'idea. Quindi è che i linguaggi antichi sempre
innalzano e ingrandiscono, massime quelli de' poeti, i moderni sempre
impiccoliscono e abbassano {e annullano} anche quando
sono poetici. {+Anzi appunto in ciò
consiste lo spirito poetico d'oggidì (che ha sempre, e massime oggi, grandi
rapporti col filosofico di ciascun tempo). Gli antichi si distinguevano dal
volgo coll'inalzare le cose al di sopra dell'opinione comune; i moderni
poeti col deprimerle al di sotto di essa. In ciò pure v'è grandezza, ma del
contrario genere.} Onde avviene che gli scritti moderni tradotti p. e.
in latino, o le cose moderne trattate in latino, suonano tutt'altro da quello
che intendono, e ne segue un effetto discordante tra la grandezza e l'altezza
del linguaggio, e la strettezza e bassezza delle idee, ancorchè fra noi
poeticissime. (Come accaderebbe trasportando le nostre letterature in
Oriente). E viceversa traducendo gli antichi
negl'idiomi moderni, o trattando in questi le cose antiche.
[2037,2] La semplicità bene spesso non è altro
2038 che quella cosa, quella qualità, quella forma,
quella maniera alla quale noi siamo assuefatti, sia naturale o no. Altra cosa,
forma, ec. benchè assai più semplice in se, o più naturale ec. se non ci par
semplice, perchè ripugna, o è lontana dalle nostre assuefazioni.
[2057,1] La poca libertà {+e la somma determinazione e precisazione del carattere e
della forma} della lingua latina che può parere strana 1. in una
lingua antica, 2. in una lingua parlata {e scritta} da
tanta moltitudine e diversità di gente e di nazioni, 3. in una lingua d'un
popolo liberissimo, e formata e ridotta a letteratura, nel tempo che la sua
libertà era anzi sì eccessiva da degenerare in anarchia, oltre le cagioni dette
altrove pp. 2014-15, ebbe certo fra le principali la
seguente.
[2065,1] Le dette circostanze della lingua latina, rendendola
poco libera, siccome necessariamente accade a tutte le lingue scritte, e
letterature che sono strettamente influite dalla società, il che le rende strette suddite dell'uso, come in
Francia, dovevano render la lingua latina {scritta, e la letteratura,} come la francese,
facilissima a corrompersi, ossia a degenerare, o perdere l'indole sua primitiva,
o quella della sua formazione; perocchè l'uso cambia continuamente, massime
cambiandosi le circostanze dei popoli, come accadde in
Roma; e la lingua scritta, e letteratura latina,
dipendendo
2066 in tutto da quest'uso, doveva per
necessità cambiar presto di faccia, come ho predetto alla francese, e l'evento
della lingua e letteratura latina, conferma la mia predizione. E le circostanze
avendo portato che gli scrittori che succedettero al secolo di Cic. e di Aug. non fossero gran cosa, perciò noi (come quelli che
in quei tempi furono di buon gusto) chiamiamo questo cambiamento (per altro
inevitabile) della lingua e letteratura latina, corruzione, e molto più quello,
parimente inevitabile, che accadde, e venne continuamente accadendo ne'
successivi tempi. In somma la lingua latina {scritta}
doveva per necessità, cambiar di forma di secolo in secolo continuamente, e così
fece, ma siccome i secoli seguenti furono corrotti, e poveri o scevri di buoni
scrittori e letterati, {(dico buoni per se stessi, come un
Cic. o un Virg.)} perciò i cambiamenti ch'ella
inevitabilmente dovea soffrire e soffrì, si chiamano
2067 e furono corruzioni. (7. Nov. 1821.).
[2067,1] Come la lingua così la letteratura francese è
schiava, e la più schiava di quante sono o furono (qualità naturale in una
letteratura d'indole moderna) e nemica o poco adattabile all'originalità, e
quindi alla vera poesia, e quindi anche ella appena può dirsi letteratura,
essendo serva dell'uso e della società, non della sola immaginazione ec. come
dovrebbe. Nè poteva accadere che la lingua fosse schiava e la letteratura no,
siccome non poteva e non può in nessun luogo {o tempo}
accadere viceversa. Dico la letteratura, la quale sola, insieme coi costumi
(parimente schiavi della società, e dell'uniformità in
Francia, e nemici di originalità) segue o accompagna
l'andamento della lingua, e ne ha tutte le qualità; non la filosofia, la quale
non è in questo caso in Francia, nè per se stessa in
verun luogo, poich'ella ha un
2068 tipo e una ragione
indipendente da ogni circostanza, cioè la verità, incapace d'essere influita, e
sempre libera ec. {+Così dico delle
scienze ec.}
(7. Nov. 1821.).
[2068,1] Del resto le sopraddette considerazioni provano che
mentre la lingua francese, (come fu la latina) la letteratura, e i costumi
francesi, sono nemici della novità per natura, giacchè escludono l'originalità,
ed esigono l'uniformità, nondimeno, e perciò stesso, detta lingua (come la
latina) letteratura e costumi, sono più soggetti di qualunque altro alla novità,
e mutabili fino all'ultimo grado, come abbiam veduto nel fatto quanto alla
lingua latina, e come vediamo parimente in tutto ciò che spetta alla nazione
francese, la più mutabile delle esistenti, {(nel carattere
generale come nell'individuale, e in questi come in tutto il resto)} e
continua maestra e fonte di novità alle altre nazioni colte. Così che v'ha una
contraddizione essenziale nella natura di essa nazione, lingua, letteratura ec.
ossia un principio elementare che necessariamente produce due
2069 contrarii effetti. Fonte inevitabile d'inconvenienti, di
corruzione, d'istabilità ec. (7. Nov. 1821.).
[2079,2]
Les écrivains français
ont besoin d'animer et de colorer leur style par toutes les hardiesses
qu'un sentiment naturel peut leur inspirer, tandis que les Allemands, au
contraire, gagnent à se
restreindre. La réserve ne sauroit détruire en eux
l'originalité; ils ne courent risque
de la perdre que par l'excés[l'excès] même de l'abondance.
*
(De l'Allemagne. t. 1. 2. part. ch. 9. p.
244.)
2080 Ciò non vuol dir altro se non che la lingua
tedesca non è ancora abbastanza formata; e perciò solo le sue ricchezze e
facoltà non hanno limiti, tutto ciò ch'è possibile in fatto di lingua, è
possibile a lei, e tutto ciò ch'è possibile a tutte le lingue insieme, ed a
ciascuna separatamente; ell'è come una pasta molle suscettibile d'ogni figura,
{{d'ogni impronta,}} e di cangiarla a piacere di chi
la maneggia; simile appunto al fanciullo prima dell'educazione, il quale è
suscettibile d'ogni sorta di caratteri e di facoltà, e non si può ancor dire
qual sia precisamente la sua indole, a quali facoltà la natura l'abbia disposto,
perciocchè la natura include in ciascun individuo delle disposizioni maggiori o
minori bensì, ma per qualunque indole e facoltà possibile.
[2089,1]
Il est très-facile
d'écrire dans
2090 cette langue
*
(tedesca) avec la simplicité de la grammaire française,
tandis qu'il est impossible en français d'adopter la période allemande,
et qu'ainsi donc il faut la considérer comme un moyen de plus.
*
l. c. p. 247.
[2126,1] La gran libertà, varietà, ricchezza della lingua
greca, ed italiana, (siccome oggi della tedesca) qualità proprie del loro
carattere, oltre le altre cagioni assegnatene altrove pp. 2060-65 , riconosce come una delle
principali cause la circostanza contraria a quella che produsse le qualità
contrarie nella lingua latina e francese; cioè la mancanza di capitale, di
società nazionale, di unità politica, e di un centro di costumi, opinioni,
2127 spirito, letteratura e lingua nazionale. Omero e Dante (massime Dante) fecero
espressa professione di non volere restringere la lingua a veruna o città o
provincia d'italia, e per lingua cortigiana l'Alighieri, dichiarandosi di adottarla,
intese una lingua altrettanto varia, quante erano le corti e le repubbliche e
governi d'italia in que' tempi. Simile fu il caso d'Omero e della
Grecia a' suoi tempi e poi. Simile è quello
dell'italia anche oggi, e simile è stato da Dante in qua. Simile pertanto dev'essere
assolutamente la massima fondamentale d'ogni vero filosofo linguista italiano,
come lo è fra' tedeschi. (19. Nov. 1821.).
[2127,1] Vien pure accagionato il Sig. Botta di alcuni termini familiari, che parvero
non comportabili dalla dignità storica ..... Si mise in campo a sua discolpa
l'osservazione, esser pregio particolare della lingua italiana, l'adattarsi a
tutti i tuoni, anche ne'
2128 più gravi argomenti. Di
fatti, chi ben guardi addentro la materia, non è forse vero, che questo idioma
non si formò già nelle corti, bensì in una repubblica tempestosa, nella quale
esprimere l'energia de' sentimenti popolari, non già fornire occorreva locuzioni
temperate a gente placida, o simulata. Da questa impronta originaria ricevette
la lingua mentovata il privilegio d'essere per l'appunto in modo singolare sì
acconcia a descrivere rivoluzioni politiche. Pref. del Sig. L. di Sevelinges alla sua traduzione della
Storia ec. di C. Botta, in francese, volgarizzata
dal Cav. L. Rossi.
Milano, Botta
Storia ec. 1819. 3.za edizione t. 1. p. LXI.-II.
[2130,2] Pare sproposito, e pure è certo che una lingua è
tanto più atta alla più squisita eleganza e nobiltà del parlare il più elevato,
e dello stile più sublime, quanto la sua indole è più popolare, quanto ella è
più modellata sulla favella domestica e familiare
2131
e volgare. Lo prova l'esempio della lingua greca e italiana e il contrario
esempio della Francese. La ragione è, che sola una tal lingua è suscettibile di
eleganza, la quale non deriva se non dall'uso peregrino e ardito e figurato e
non logico, delle parole e locuzioni. Ora quest'uso è tutto proprio della
favella popolare, proprio per natura, proprio in tutti i climi e tempi, ma
soprattutto ne' tempi antichi, o in quelle nazioni che più tengono dell'antico,
e ne' climi meridionali. Quindi è che lo stesso esser popolare per indole, dà ad
una lingua la facoltà e la facilità di dividersi totalmente dal volgo e dalla
favella parlata, e di non esser popolare, e di variar tuono a piacer suo, e di
essere energica, nobile, sublime, ricca, bella, tenera ogni
volte[volta] che le piace. Insomma l'indole
popolare di una lingua rinchiude tutte le qualità delle quali una lingua umana
possa esser capace (siccome la natura rinchiude tutte le qualità e facoltà di
cui l'
2132 uomo o il vivente è suscettibile, ossia le
disposizioni a tutte le facoltà possibili); rinchiude il poetico come il logico
e il matematico ec. (siccome la natura rinchiude la ragione): laddove una lingua
d'indole modellata sulla conversazione civile, o sopra qualunque gusto,
andamento ec. linguaggio ec. di convenzione, non rinchiude se non quel tale
linguaggio e non più (siccome la ragione non rinchiude la natura, nè vi dispone
l'uomo, anzi la esclude precisamente), secondo che vediamo infatti nella lingua
latina, e molto più nella francese, proporzionatamente alle circostanze che asservissent e legano quest'ultima al suo modello ec.
molto più che la latina ec. (20. Nov. 1821.).
[2134,1] La perfezion della traduzione consiste in questo,
che l'autore tradotto, non sia p. e. greco in italiano, greco o francese in
tedesco, ma tale in italiano o in tedesco, quale egli è in greco o in francese.
Questo è il difficile, questo è ciò che non in
2135
tutte le lingue è possibile. In francese è impossibile, tanto il tradurre in
modo che p. e. un autore italiano resti italiano in francese, quanto in modo che
egli sia tale in francese qual è in italiano. In tedesco è facile il tradurre in
modo che l'autore sia greco, latino italiano francese in tedesco, ma non in modo
ch'egli sia tale in tedesco qual è nella sua lingua. Egli non può esser mai tale
nella lingua della traduzione, s'egli resta greco, francese ec. Ed allora la
traduzione per esatta che sia, non è traduzione, perchè l'autore non è quello,
cioè non pare p. e. ai tedeschi quale nè più nè meno parve ai greci, o pare ai
francesi, e non produce di gran lunga nei lettori tedeschi quel medesimo effetto
che produce l'originale nei lettori francesi ec.
[2165,1]
{I latini aveano pur forse delle parole
proprie o già usate o nuove da sostituire a queste scritte in greco, o prese
dal greco. Di più esse non erano in uso nel linguaggio latino in quelle
materie (come georgica per agricultura ec.), e neppur credo che esistesse
poema greco con tal titolo, ec. almeno famoso.}
Alla p. 988.
Fino i titoli delle loro opere i latini gli scrivevano bene spesso, non solo con
parole, ma con elementi greci ancora, come l'ἀποκολοκύντωσις di Seneca, parecchi libri logistici o
satirici di Varrone
(v. Fabric., B. lat. t. 1. p. 88.
e 428. not. d.), cioè nello stesso secolo aureo della latinità;
lasciando i titoli interamente greci per origine, per terminazione ancora ec.
come Metamorphoseon, Epodon di Orazio, Georg. e Bucol. ed Eclog. di
Virgilio, Ephemeris di Ausonio, ed altri veramente infiniti in tutti
2166 i secoli della latinità. Le quali cose non
ardiremmo noi (nè forse i tedeschi, i russi ec.) di far col francese, malgrado
l'inondazione del francesismo, la sommersione che questo ha prodotta delle
lingue native ec. (al che certo non arrivò la greca rispetto alla latina);
l'esser la lingua e le parole francesi, almen tanto generalmente intese in
ciascuna nazione civili[civile], ed in tutte
insieme, quanto la greca a quei tempi nella nazion latina, e nelle altre (anzi
nelle altre assai meno che il francese oggidì): e malgrado che gli elementi
francesi non differiscano dagl'italiani ec. come differivano i greci da' latini,
il che doveva rendere assai più strano {e discordante e
barbaro} un titolo forestiero ad un'opera nazionale, un titolo greco a
un'opera latina. (25. Nov. 1821.).
[2166,1] Può far meraviglia molto ragionevole che Marcaurelio scrivesse i suoi libri τῶν εἰς
2167 ἑαυτόν, delle considerazioni di se
stesso
come lo chiama il Menagio, piuttosto in greco che in latino,
essendo romano, non allevato in grecia (nè credo che mai
ci fosse), ed avendo posto molto e felice studio nelle lettere e nella lingua
nativa, come apparisce sì da altre notizie che danno di lui gli Storici, sì
massimamente da ciò ch'egli scrive a Frontone e Frontone a
lui. Non poteva aver egli di mira, cred'io, la maggior diffusione del
suo lavoro, scrivendolo in una lingua più divulgata. Ma io credo certissimo che
egli non fosse indotto a preferir la lingua greca alla latina se non per la
maggiore libertà di quella. Della quale libertà egli aveva bisogno in un'opera
profondamente ed intimamente filosofica, e attenente alla scienza della vita e
del cuore umano, ed alle sottili speculazioni psicologiche. Non dubito ch'egli
non disperasse di potere riuscire
2168 a trattare un
tale argomento in latino, a parlare a se stesso, e di se stesso, cioè del cuor
suo ec. (non delle sue cose pubbliche come fa Cic.) in latino. Questa lingua aveva già avuto un Cic. e un Seneca, e un Tacito, eppure ancor non bastava a una certa filosofia veramente
intima. La lingua greca aveva avuto scrittori filosofici profondi, ma senza ciò,
la sua pieghevolissima e liberissima indole, si prestava a qualsivoglia genere
di argomento, grado di filosofia, {ec.} ancorchè nuovo.
La lingua latina per lo contrario: ed oltracciò quello era un tempo, dove, come
accade dopo una decisa corruzione e licenza, che richiamandosi gl'istituti umani
alla buona strada, essi cadono nell'eccesso contrario; la lingua latina e il
gusto di quel tempo (come oggi in italia) peccava di
servilità, timidità (in
vitium ducit culpę fuga
*
), come si può vedere nelle opere
di Frontone, e come dicevano i maestri
di devozione,
2169 che le anime recentemente
convertite, sogliono patire di scrupoli, e sarebbe anzi mal segno se non ne
patissero. Questo durò poco, perchè la lingua e letteratura colle cose latine
tornò a precipitare indietro ben presto. Ma in quel tempo lo stile di Seneca, e altri tali stili filosofici si
condannavano altamente dai letteratori latini, come oggi dagli italiani quello
di Cesarotti ec. e ciò serviva
d'impaccio e di spauracchio a chi volesse scrivere filosoficamente in latino,
come oggi volendo scriver buon italiano, nessuno s'impaccia più di pensare. Marcaurelio pertanto dovè sentire questo
pericolo, disperare di poter essere profondo filosofo nella lingua nativa voluta
dal suo tempo, e senza violare il gusto corrente, e dar nel naso ai critici, i
quali già lo riprendevano di cattiva {e negligente}
lingua, e di licenza dopo ch'egli s'era dato alla filosofia, e dallo studio
delle parole a quello delle cose,
2170 come apertamente
lo riprende Frontone
de
Orationibus. Trovossi adunque obbligato per esprimere
i suoi più intimi sentimenti, a sceglier la lingua greca, a creder più facile di
esprimere le cose sue più proprie, in una lingua forestiera ed altrui, che nella
propria e nativa. (Il qual bisogno pur troppo si farebbe molte volte sentire
agl'italiani rispetto al francese, se gl'italiani pensassero, ed avessero cose
proprie da dire.)
[2173,3] Lo spirito della lingua {e dello
stile} latino è più ardito e poetico che quello della greca (non solo
in verso ma anche in prosa), e nondimeno egli è meno libero assai. Queste due
qualità si accordano benissimo. La lingua greca aveva la facoltà di non essere
ardita, la lingua latina non l'aveva. La lingua greca poteva non solo essere
ardita
2174 e poetica quanto la latina (come lo fu bene
spesso), non solo più della latina (come pur lo fu), ma in tutti i possibili
modi, laddove la latina non poteva esserlo se non dentro un determinato modo,
genere, gusto, indole di ardiri. La libertà di una lingua si misura dalla sua
maggiore o minore adattabilità a' diversi stili, dalla maggiore o minore quasi
quantità di caratteri ch'essa contiene in se stessa, o a' quali dà luogo. {ec.} Ma ch'ella sia di un tal carattere ardito, ch'ella
[abbia] per proprietà un certo tal genere
di ardire, ciò non prova ch'ella sia libera. Ci può dunque essere una lingua
serva ed ardita, come una lingua timida e serva, (tale è la francese) una lingua
libera e non ardita, come una lingua ardita e libera. Bensì da che una lingua è
libera, non dipende che dallo scrittore ec. il renderla ardita. L'ardire dello
spirito proprio della lingua latina formata e letterata, venne dalla
2175 natura {poetica} dei
popoli meridionali, da quella degli scrittori che la formarono, dall'energia e
vivacità degl'istituti politici e dei costumi e dei tempi romani. La poca
libertà della medesima lingua venne dall'uso sociale che la strinse, l'uniformò,
le prescrisse e determinò quella tale strada, quel tal carattere e non altro. La
lingua greca sebbene in mano di popoli vivacissimi per clima, carattere,
politica, costumi, opinioni ec. nondimeno inclinò più a far uso dello stile
semplice che dell'ardito, e ciò per la natura dei tempi candidi ne' quali essa
principalmente fiorì, e fu applicata alla letteratura. Ma dai soli scrittori
dipendeva il farla ardita più della latina, e in qualunque genere, come fecero
infatti ogni volta che vollero. Laddove non dipendeva dagli scrittori latini
dopo che la lingua fu formata, il ridurla al semplice, al candido, al piano, al
riposato della
2176 lingua greca, se non fino a un
certo segno. Onde accade alle frasi latine trasportate in greco, o viceversa,
quello appresso appoco che ho detto p.
2172. ma più nel caso di trasportare le frasi greche in latino, le
quali vi riescono troppo semplici, di quello che nel caso contrario, perchè la
lingua greca si presta a tutto.
[2181,1] La lingua greca rassomiglia certo alla latina
(generalmente però e complessivamente parlando) più che all'italiana, com'è
naturale di due sorelle. Ma sebbene
2182 di queste due
sorelle la sola latina ci è madre, nondimeno l'italiana e la spagnola somigliano
più alla greca che alla latina. Siccome la lingua francese benchè figlia della
latina e sorella delle due sopraddette, somiglia più all'inglese, che a queste
altre ec. ec. (28. Nov. 1821.).
[2197,3] Quello che altrove ho detto della lingua del Bartoli
pp.
1313-15, dimostra quanto la nostra lingua si presti all'originalità
dello stile e degli stili individuali, in tutti i generi, e in tutta
l'estensione del termine. Originalità
2198 strettamente
vietata dalla lingua francese allo stile ec. dell'individuo, se non pochissima,
che a' francesi pare gran cosa, come la lingua di Bossuet. Perocchè è molto una piccola differenza, in
una nazione, in una letteratura, in una lingua, avvezza, e necessariamente
conducẽte[conducente] all'uniformità, che
non può essere alterata se non se menomamente, senza dar bruttamente negli
occhi, e uscir de' limiti del lecito. Laddove nella lingua italiana lo scrittore
individuo può essere uniforme agli altri, e difforme se vuole, anzi tutt'altro,
e nuovissimo, e originalissimo, senza lasciar di essere e di parere italiano, e
ottimo italiano, e insigne nella lingua. Ciascuno colla lingua italiana si può
aprire una strada novissima, propria, ignota, e far maravigliare i nazionali di
parlare una lingua che si possa esprimere in modo si[sì] differente dal loro, e da loro non mai pensato,
2199 benchè benissimo l'intendano, per nuovo che sia.
(30. Nov. 1821.).
[2236,1] Spessissimo anzi quasi sempre, dalle voci latine
comincianti per ex noi abbiamo tolto la e, e il c, e cominciatele
per s, specialmente, anzi propriamente allora quando
la ex era seguita da consonante, sicchè la nostra s
viene ad essere impura. Nel qual caso che cosa soglian fare gli spagnuoli e i
francesi, l'ho detto altrove pp. 812-14 parlando della s iniziale impura. Parrà che costoro, solendo
conservare la e, si accostino
2237 più di noi al latino, e nondimeno chi vuol vedere che l'antico
volgare latino, ed anche gli scrittori più antichi, usavano di far nè più nè
meno quel che facciamo noi, osservi il Forc. in Stinguo (e forse
anche in molti altri luoghi), verbo che anche noi anticamente dicemmo per estinguo, e così stremo per
estremo,
{+sperimento,
esperimento; sperto, esperto; spremere da
exprimere da cui pure abbiamo esprimere, sclamare da exclamare, onde pure esclamare;} e
così altre tali voci che hanno {{pur}} conservata la e, la perdono o a piacer dello scrittore, o nei nostri
antichi, o nella bocca del popolo ec. E forse l'avere gli spagnoli e i francesi
la e in tali parole, non è tanto conservazione, quanto
maggiore {e doppia} corruzione; vale a dire che,
secondo me, essi volgarmente da principio dissero come noi, cioè colla s impura iniziale, e poi per proprietà ed inclinazione
de' loro organi, che mal la soffrivano, o a cui riusciva poco dolce ec.
v'aggiunsero, non
2238 prendendola dal latino ma del
loro, la e iniziale. Infatti essa si trova sempre o
quasi sempre nelle parole che anche nel latino scritto, e dell'aureo secolo, e
per loro natura ed etimologia ec. cominciano colla s
impura, siccome pur fanno sempre in italiano. {{V. p.
2297.}}
[2312,3] I greci conoscevano la letteratura latina appresso a
poco come i francesi conoscono oggidì le letterature straniere (specialmente
l'italiana), e com'essi le hanno conosciute da poi che la lingua letteratura e
costumi loro sono stati
2313 pienamente formati.
Eccetto quella differenza che è prodotta dalla diversità de' tempi e del
commercio fra le nazioni, per cui la Francia conosce
certo più le letterature forestiere, di quel che la
Grecia conoscesse la latina. Ma parlo
proporzionatamente. E non è questa la sola somiglianza (estrinseca però) che
passa fra lo spirito, il costume, la letteratura francese, e la greca. (31
Dic. 1821.).
[2326,1]
Alla p. 2315.
È proprio, appunto per queste ragioni, de' mediocri o infimi
dram̃atici[drammatici], il sopraccaricare
d'intreccio le loro opere, l'abbondare di episodi ec. Il contrario è proprio de'
sommi. E la ragione è che questi trovano sempre come tener vivo l'interesse
dello spettatore (anche in una azione di poca importanza) colla naturalezza dei
discorsi, la vivezza, l'energia, collo sviluppo continuo delle passioni, o col
ridicolo ec. Quelli non sono mai contenti neppur dopo che hanno trovato o
immaginato un caso complicatissimo,
2327 stranissimo,
curiosissimo. Esauriscono in un batter d'occhio tutto ciò che il soggetto offre
loro. Cioè non sapendone cavare il
partito che possono e devono, il soggetto non basta loro se non per poche scene.
Fatte o disposte queste; dopo di esse, o nelle scene di mezzo si trovano colle
mani vote (per ridondante di passione, di ridicolo ec. che il soggetto possa
essere), e non trovano altra via di tener vivo l'interesse e la curiosità, che
quella di andare a cercar nuovi episodi, nuove fila, nuovi soggetti insomma, per
esaurirli poi essi pure in un momento. Non possono insomma trovarsi un solo
istante senza qualche cosa da raccontare, qualche filo da aggiungere alla tela,
qualche soggetto ancor fresco, altrimenti non hanno nulla da dire. E quanti
autori sono di questo genere? quanti drammi? 999. per mille. (4. Gen.
1822.).
[2333,1] In questo catalogo delle nazioni dominanti ne'
diversi tempi, dove io ho detto l'Asia, tu devi dividere
e porre successivamente le diverse nazioni dell'Asia
ch'ebbero impero: gl'indiani forse, e prima di tutti; gli Assiri, i Medi, i
Persiani, forse
2334 anche i Fenici, e i loro coloni
Cartaginesi ec. E l'impero francese (nato, vissuto e
morto in vent'anni, il che serve di prova di fatto a ciò che dico sulla fine
della pagina precedente) merita anch'esso un posto fra questo genere d'imperi.
Perocchè sebbene la nazion francese è la più civile del mondo, pure ella non
conseguì questo impero, se non in forza di una rivoluzione, che mettendo sul
campo ogni sorta di passioni, e ravvivando ogni sorta d'illusioni, ravvicinò la
francia alla natura, spinse indietro l'incivilimento
(del che si lagnano infatti i bravi filosofi monarchici), ritornò la
francia allo stato di nazione e di patria (che aveva
perduto sotto i re), rese, benchè momentaneamente, più severi i loro
dissolutissimi costumi, aprì la strada al merito, sviluppò il desiderio,
l'onore, la forza della virtù e dei sentimenti naturali; accese gli odi e ogni
sorta di passioni vive, e in somma se non ricondusse la mezzana civiltà degli
antichi, certo fece poco meno (quanto comportavano i tempi), e non ad altro si
debbono attribuire quelle azioni dette barbare, di cui fu sì feconda
2335 allora la Francia. Nata
dalla corruttela, la rivoluzione la stagnò per un momento, siccome fa la
barbarie nata dall'eccessiva civiltà, che per vie stortissime, pure riconduce
gli uomini più da presso alla natura. (6. Gen. dì dell'Epifania.
1822.).
[2397,2] Il Vocab. della
Crusca non ha interi due terzi delle voci, {o significati e vari usi loro,} e nè pure un decimo dei
modi di quegli stessi autori e libri che registra nell'indice. E questi non sono
appena una terza o quarta parte di quegli autori e libri italiani de' buoni
secoli che secondo ogni ragione vanno considerati e sono autentici nella lingua,
anche nella pura lingua antica. Aggiungeteci ora i libri moderni bene scritti, e
le voci e modi che usati o non usati ancora da buoni scrittori, sono
necessarissimi a chi vuole scriver
2398 (com'è dovere)
delle cose presenti, e a' presenti o futuri, massime le spettanti alle scienze
immateriali o materiali, e che tutti mancano al Vocabolario; si
può far ragione che questo non contenga più d'una quarantesima parte della
lingua italiana in genere (a dir molto); e non più d'una trentesima dell'antica
in particolare, ossia di quella che s'ha per classica. Del che non si può far
carico ai compilatori, se non quanto alle mancanze relative agli autori de'
quali professano d'aver fatto spoglio e formatone il vocabolario. Perchè del
resto nessuna lingua viva ha, nè può avere un vocabolario che la contenga tutta,
massime quanto ai modi, che son sempre (finch'ella vive) all'arbitrio dello
scrittore. E ciò tanto più nell'italiana (per indole sua). La quale molto meno
può esser compresa in un vocabolario, quanto {ch'}ella
è più vasta di tutte le viventi: mentre veggiamo che nè pur la greca ch'è morta,
s'è potuta mai comprendere in un Vocabolario nè men quanto alle voci, che ogni
nuovo scrittore, ne porta delle nuove.
2399
{+Molto meno quanto ai modi ne' quali
ell'è infinita e a disposizione degli scrittori, come appunto la nostra, e
ciascuno scrittor greco ne forma de' nuovi a suo piacere, e in gran
numero.} Or non è cosa ridicolissima che mentre nessun'altra nazione
stima che la sua lingua sia determinata e prescritta dal suo vocabolario, non
ostante che questo sia molto meglio fatto, molto più esteso (relativamente) del
nostro, e che la lingua loro possa più facilmente o meglio esser compresa in un
vocabolario; noi la cui lingua è impossibile (sopra qualunque altra) che vi si
possa comprendere, che di più, abbiamo un vocabolario inesattissimo nelle cose
stesse che porta, molto più inferiore alla ricchezza della nostra lingua di
quello che le convenga o se le debba perdonare di essere, fatto sopra un piano
sopra cui nessun altro è fatto, cioè sopra il piano dell'antico, mentre noi
siamo moderni, e della pura autorità quando la lingua è viva; noi dico vogliamo
che un vocabolario così ridondante d'imperfezioni, e poco proprio della lingua
nostra {(e d'ogni lingua viva),} abbia su di questa una
virtù, {un'autorità} e un dominio, che i più perfetti
vocabolari delle altre nazioni (anche nazioni unite come la francese e
l'inglese) nè si arrogano, nè sognano, nè pensano che
2400 sia menomamente proprio dell'essenza loro, nè compatibile colla
natura delle lingue vive, e che nessuno s'immagina mai di riconoscere in essi.
(29. Marzo. Venerdì dell'Addolorata. 1822.).
[2415,3] Una lingua non è bella se non è ardita, e in ultima
analisi troverete che in fatto di lingue, bellezza è lo stesso che ardire. E che altro sarebb'ella? L'armonia ec. del suono delle parole?
Quest'è una bellezza affatto esterna, e della quale poco o nulla si può
convenire, essendo diversissime in questo genere le opinioni e i gusti, secondo
le nazioni e i secoli. Per noi è bruttissimo il suono delle parole orientali, e
per gli orientali altrettanto sarà delle nostre. E parlando esattamente che cosa
intendiamo noi dell'armonia della lingua greca che pur chiamiamo bellissima? Che
sentimento, che gusto
2416 ne proviamo noi, se non, per
dir poco, incertissimo, confusissimo, e superficialissimo? Certo è che l'armonia
della lingua nostra, qualunque ella sia, ed ancorchè asprissima, ci diletta, ed
è sentita da noi molto più che quella della lingua greca, e quindi non avremmo
alcuna ragione di preferir questa lingua per la bellezza, neppure alla tedesca,
o alla russa. Forse la bellezza consisterà nella ricchezza? Ricchezza di frasi e
di modi non si dà se non in una lingua ardita, perchè di forme esatte e
matematiche, tutte le lingue ne sono o ne possono essere egualmente ricche nè
più nè meno: e questa ricchezza non può molto stendersi, essendo limitatissima
per natura sua: giacchè la dialettica poco può variare, anzi derivando da
principii uniformi e semplicissimi, tende e produce naturalmente somma
uniformità e semplicità di dicitura. La ricchezza poi di parole puramente, giova
alla bellezza, ma non basta di gran lunga; ed anch'essa è una qualità quasi
estrinseca, e senza quasi accidentale alla lingua, la quale senza punto punto
alterarsi, o scomporsi in niun
2417 modo può essere ed
è, oggi più abbondante di parole, domani meno, secondo le circostanze nazionali,
commerciali, politiche, scientifiche ec. Infatti la lingua francese è in verità
ricchissima di parole, massime in filosofia, scienze, conversazione,
manifatture, e in ogni uso e materia di società, di commercio ec. ec. e non per
questo è bella, nè più bella dell'italiana, e neanche della spagnuola. La vera e
non accidentale, ma essenziale bellezza di una lingua, quella che non si può
perdere, se la lingua non si corrompe formalmente, è una bellezza intrinseca, e
spetta all'indole della lingua; e questa non può consistere in altro che
nell'ardire. Or questo ardire che cos'è, fuorchè la libertà di non essere esatta
e matematica? Giacchè quanto all'esattezza, torno a dire, tutte le lingue ne
sono egualmente capaci, e tutte per mezzo suo posson divenire, e diverrebbero
uniformi affatto nell'indole, essendo la ragione, una; e non trovandosi varietà
se non se nella natura. Quindi se lingua
bella è lingua ardita e libera, ella è parimente lingua
non esatta, e non obbligata
2418 alle regole
dialettiche delle frasi, delle forme, e generalmente del discorso.
Osservate tutte le lingue chiamate belle, antiche e moderne, greca, latina,
italiana, spagnuola: in tutte troverete non altra bellezza propriamente che
ardire, e questo ardire non posto in altro che nelle cose sopraddette. Osservate
anche gli scrittori chiamati belli ed eleganti in ciascuna di tali lingue, e
paragonateli con quelli che non lo sono. Osservate per se, ciascuna frase, forma
ec. chiamata bella ed elegante, e paragonatela ec. Non v'è lingua bella che non
sia lingua poetica, cioè non solo capace, anzi posseditrice d'una lingua
distintamente poetica (come l'hanno tutte le suddette, e come non l'ha la
francese), ma poetiche, generalmente parlando, eziandio nella prosa, benchè
senza affettazione; vale a dir poetiche in quanto lingue, e non quanto allo
stile, come sono sconciamente, e discordantissimamente poetiche tutte le prose
francesi. Or lingua poetica, è lingua non matematica,
2419 anzi contraria per indole allo spirito matematico. (La sascrita,
riputata bellissima fra le orientali, è notatamente arditissima e
poeticissima.)
[2427,1] La lingua francese si trova nel caso detto di sopra:
poich'ella in quanto alla forma, esattamente parlando, non ha proprietà, vale a
dir che non ha qualità sua propria, ma tutte le ha comuni con tutte le lingue, e
colla ragione universale della favella. Il che quanto noccia alla originalità,
anzi l'escluda, e quanto per conseguenza favorisca la mediocrità, anzi la
richieda e la sforzi, resta chiaro per se stesso. (Bossuet, scrittore non mediocre, ebbe bisogno di
domare, come gli stessi francesi dicono, la sua lingua; e come dico io, fu
domato e forzato alla mediocrità dello stile, dalla sua lingua. E così lo sono
tutti {quegli} scrittori francesi
2428 che hanno sortito un ingegno naturalmente superiore al mediocre.
Nè più nè meno di quello che la società, e lo spirito della nazion francese,
sforzi alla mediocrità in ogni genere di cose gli uomini i più elevati della
nazione, e gli spiriti più superiori all'ordinario. Essendo la mediocrità non
solo un pregio, ma una legge in quella nazione, dove il {supremo} dovere dell'uomo civile, è quello d'esser come gli
altri).
[2462,2] Cagioni di questo vantaggio furono l'infinita
capacità, acutezza e buon gusto d'infinite persone in quel secolo, e l'altre
circostanze ch'ho notate altrove pp. 1659-60. Alle quali si può e si
dee forse aggiungere che i suoni della lingua latina, e generalmente la
pronunzia e l'uso di essa, sopra la cui ortografia si formava naturalmente la
nostra, era molto meno diverso dall'uso e pronunzia nostra e spagnuola, di quel
che sia dal francese.
2463 Quindi essendo tutte tre
queste ortografie formate da principio egualmente sulla latina, le due prime che
poco avevano da mutarla per conformarla all'uso loro, facilmente la corressero
(massime l'italiana) e ve l'uniformarono; ma la francese che avrebbe dovuto
quasi trovare una nuova maniera di scrivere (essendo nella pronunzia, come in
ogni altra parte, la più degenere figlia della latina), ed anche trovare in
parte un nuovo alfabeto (come per le e mute ec.), fu
incorrigibile.
[2498,1] L'estrema possibile semplicità o naturalezza dello
stile, dello scrivere o del parlar francese civile, è sempre di quel genere
ch'essi medesimi (in altre occasioni) chiamano maniéré. {+Anche il Salvini lo chiama ammanierato. V. la definizione di maniéré ne' Diz. francesi, dove lo
diffiniscono per un'abitudine
viziosa che deforma tutto, e fa proprio al caso.}
V. p. e. il Tempio di Gnido, e le Favole di
La
Fontaine. (26. Giugno. 1822.).
[2545,1] Gli uomini semplici e naturali sono molto più
dilettati e trovano molto più grazioso il colto, lo studiato e anche l'affettato
che il semplice e il naturale. Per lo contrario non v'è qualità nè cosa più
graziosa per gli uomini civili e colti che il semplice e il naturale, voci che
nelle nostre lingue e ne' nostri discorsi sono bene spesso sinonime di grazioso,
e confuse con questa, come si confonde la grazia colla naturalezza e semplicità,
credendo che sieno essenzialmente, e per natura, e per se stesse,
2546 qualità graziose. Nel che c'inganniamo. Grazioso
non è altro che lo straordinario in quanto straordinario, appartenente al bello,
dentro i termini della convenienza. Il troppo semplice non è grazioso. Troppo
semplice sarà una cosa per li francesi, e non lo sarà per noi. Lo sarà anche per
noi, e contuttoquesto[con tutto questo] sarà
ancora al di qua del naturale. (Tanto siamo lontani dalla natura, e tanto ella
ci riesce straordinaria). Viceversa dico del civile rispetto ai selvaggi,
naturali, incolti ec. Del resto possiamo vedere anche nelle nostre contadine che
sono molto poco allettate dal semplice e dal naturale, o per lo meno sono tanto
allettate dal nostro modo artefatto, quanto noi dalla loro naturalezza, o reale,
o dipinta ne' poemi ec. (4. Luglio 1822.).
[2580,1] Di tali aberrazioni n'hanno tutte le lingue quando
si cominciano a scrivere, e tutte nel séguito ne conservano più o meno, sotto il
nome di proprietà loro, benchè non sieno
2581 in
origine e in sostanza, se non errori de' loro primi scrittori e letterati,
perpetuati nell'uso della scrittura nazionale. Meno d'ogni altra fra le antiche,
n'ebbe o ne conservò la lingua latina, per la detta ragione, fra l'altre. Meno
di tutte fra l'antiche e le moderne, ne conserva la lingua francese, non per
altro se non perch'ella ha rinunziato e derogato e fatta assolutamente irrita
l'autorità de' suoi scrittori antichi, i quali abbondarono di tali aberrazioni o
quanto gli altri, o più ancora. Parlo dei veramente antichi, cioè del sec. 16.o
e non del 17.o quando {lo spirito,} la società {e la conversazione} francese era già in un alto grado di
perfezione.
[2589,1] La letteratura greca fu per lungo tempo (anzi
lunghissimo) l'unica del mondo (allora ben noto): e la latina (quand'ella sorse)
naturalissimamente non fu degnata dai greci, essendo ella derivata in tutto
dalla greca; e molto meno fu da essi imitata. Come appunto in[i] francesi poco degnano di conoscere e neppur pensano
d'imitare la letteratura russa o svedese, o l'inglese del tempo d'Anna, tutte nate
dalla loro. Così anche, la lingua greca fu l'unica formata e colta nel mondo
allora ben conosciuto (giacchè p. e. l'india non era ben
conosciuta). Queste ragioni fecero naturalmente che la letteratura e lingua
greca si conservassero tanto tempo incorrotte, che d'altrettanta durata non si
conosce altro esempio. Quanto alla lingua n'ho già detto altrove p.
996,1
pp.
1093-94
pp.
2408-10. Quanto alla letteratura, lasciando stare Omero, è prodigiosa la durata della letteratura greca
non solo incorrotta, ma nello stato di
creatrice. Da Pindaro, Erodoto, Anacreonte, Saffo, Mimnermo, gli altri
lirici ec. ella dura senza interruzione fino a Demostene; se non che, dal tempo di Tucidide a Demostene, ella si restringe alla sola
Atene per
2590 circostanze
ch'ora non accade esporre. V. Velleio lib. 1. fine. Nati,
anzi propagati e adulti i sofisti e cominciata la letteratura greca {(non la lingua)} a degenerare, (massime per la perdita
della libertà, da Alessandro, cioè da
Demostene in poi), ella con
pochissimo intervallo risorge in Sicilia e in
Egitto, e ancora quasi in istato di creatrice. Teocrito, Callimaco, Apollonio Rodio ec. Finito il suo stato di creatrice, e dichiaratasi
la letteratura greca imitatrice e figlia di se stessa, cioè ridotta (come sempre
a lungo andare interviene) allo studio e imitazione de' suoi propri classici
antichi, l'esser questi classici, suoi, e questa imitazione, di se stessa, la
preserva dalla corruzione, e purissimi di stile e di lingua riescono Dionigi Alicarnasseo, Polibio, e tutta la ϕορά di scrittori greci
contemporanei al buon tempo della letteratura latina; i quali appartengono alla
classe, e sono in tutto e per tutto una ϕορά d'imitatori dell'antica letteratura
greca, e di quella ϕορά durevolissima di scrittori greci classici, ch'io chiamo
ϕορά creatrice. Corrotta già
2591 la letteratura
latina, e sfruttata e indebolita, la greca sopravvive alla sua figlia ed alunna,
e s'ella produce degli Aristidi, degli
Erodi attici, e altri tali retori
di niun conto nello stile (non barbari però, e nella lingua purissimi), ella pur
s'arricchisce d'un Arriano, d'un Plutarco, d'un Luciano, {ec.} che
quantunque imitatori, pur sanno così bene scrivere, e maneggiar lo stile e la
lingua antica o moderna, che quasi in parte le rendono la facoltà creatrice.
Aggiungi che in tal tempo la grecia, colla sua
letteratura e lingua incorrotta, era serva, e l'Italia
signora colla sua letteratura e lingua imbastardita e impoverita. (30.
Luglio 1822.).
[2594,1] Ho detto altrove p. 111
pp. 950-52
pp. 1704 che le voci greche nelle lingue nostre non sono altro che
termini (in proporzione però del tempo da ch'elle vi sono introdotte: p. e. filosofia e tali altre voci greche venuteci mediante
il latino, sono alquanto più che termini), cioè ch'elle non esprimono se non se
una pura idea, senz'alcun'altra concomitante. Per questa ragione appunto, oltre
le altre notate altrove, le voci greche sono infinitamente a proposito nelle
nostre scuole e scienze, perocch'elle rappresentano costantemente e
schiettamente quella nuda, secca e semplicissima idea alla quale sono state
appropriate; e perciò servono alla precisione
2595
molto meglio di quello che possano mai fare le voci tolte dalle proprie lingue,
le quali voci benchè fossero formate, composte ec. di nuovo, sempre porterebbero
seco qualche idea concomitante. Ma per questa medesima ragione le voci greche
sono intollerabili nella bella letteratura (barbare poi nella poesia, benchè i
francesi si facciano un pregio, un vezzo e una galanteria d'introdurcele), dove
intollerabili sono le idee secche e nude, o la secca e nuda espressione delle
idee. (6. Agosto 1822.).
[2608,1]
2608 Si può scrivere in italiano senza scrivere in
maniera italiana, laddove non si può quasi scrivere in francese che non si
scriva alla maniera francese. E si può scrivere e parlare in italiano e non
all'italiana: scrivere un italiano non italiano ec. (16. Agosto, dì di S.
Rocco. 1822.).
[2609,1] L'immenso francesismo che inonda i costumi e la
{letteratura e la} lingua degl'italiani e degli
altri europei, non è bevuto se non dai libri francesi, e dall'influenza delle
loro mode, e coll'andarli a trovare in casa loro, il che per quanto sia
frequente, non può mai esser gran cosa. Laddove Roma e
l'italia da' tempi del secondo Scipione in poi, e massime sotto i primi
imperatori, era piena di greci (greci proprii, o nativi d'altri paesi
grecizzati); n'eran piene le case de' nobili, dove i greci erano chiamati e
ricevuti e collocati stabilmente in ogni genere di uffici, da quei della cucina,
fino a quello di maestro di filosofia ec. ec. (V. Luciano
περὶ τῶν ἐπὶ μισϑῷ συνόντων,
2610 e l'epig. di
Marziale del graeculus esuriens ec. ec.); n'eran pieni i
palazzi e gli offici pubblici: oltre che tutti i ricchi mandavano i figli a
studiare in grecia, e questi poi divenivano i principali
in Roma e in italia, nelle
cariche, nel foro ec. Quindi si può stimar quale e quanto dovesse
necessariamente essere il grecismo de' costumi, e letteratura, e quindi della
lingua in italia a quei tempi. Aggiunto che anche le
donne avevano a sapere il greco, lo studio che tutti più o meno facevano de'
loro libri, e il piacere che ne prendevano, e le biblioteche che ne componevano
ec. ec. (18. Agosto. Domenica. 1822.).
[2613,1] Lo scriver francese tutto staccato, dove il periodo
non è mai legato col precedente (anzi è vizio la collegazione e congiuntura de'
periodi, come
2614 nelle altre lingue è virtù), il cui
stile non si dispiega mai, e non sa nè può nè dee mai prendere quell'andamento
piano, modesto disinvoltamente, unito e fluido che è naturale al discorso umano,
anche parlando, e proprio di tutte le altre nazioni; questo tale scrivere, dico
io, fuor del quale i francesi non hanno altro, è una specie di Gnomologia. E
queste qualità gli convengono necessariamente, posto quell'avventato del suo
stile, di cui non sanno fare a meno i francesi, e senza cui non trovano degno
alcun libro di esser letto. Per la quale avventatezza lo scrittore e il lettore
hanno di necessità ogni momento di riprender fiato. E par proprio così, che lo
scrittore parli con quanto ha nel polmone, e perciò gli convenga spezzare il suo
{dire,} e fare i periodi corti, per fermarsi a
respirare. (28. Agosto 1822.). {{ Effettivamente
il tuono di qualunque scrittura francese fin dalla prima sillaba è quello di
uno che parla ad alta voce. Tale riesce almeno per chi non
2615 è francese, e per chi non è assuefatto durante
tutta la sua vita a letture francesi ec. Quel tuono moderato del discorso
naturale, col qual tuono gli antichi aprivano {anche} le loro Orazioni, {e fra
queste, anche} più veementi e passionate, è una qualità eterogenea
{anche alle lettere familiari de'} francesi.
(28. Agosto 1822.).}}
[2616,1] La niuna società dei letterati tedeschi, e la loro
vita ritirata e indefessamente studiosa e di gabinetto, non solo rende le loro
opinioni e i loro pensieri indipendenti dagli uomini (o dalle opinioni altrui),
ma anche dalle cose. Laonde le loro teorie, i loro sistemi, le loro filosofie,
sono per la più parte (a qualunque genere spettino: politico, letterario,
metafisico, morale, ec. {ed anche fisico}) poemi della ragione. In fatti delle
grandi e vere e sode scoperte sulla
natura {e la teoria} dell'uomo, {+de' governi ec. ec. la fisica generale ec.} n'han
fatto gl'inglesi (come {Bacone, Newton,}
Locke), i francesi (come Rousseau, Cabanis) e anche qualche italiano (come {Galilei,}
Filangieri ec.), ma i tedeschi
nessuna, benchè tutto quello che i loro
2617 filosofi
scrivono, sia, per qualche conto, nuovo, e benchè i tedeschi abbondino
d'originalità in ogni genere sopra ogni altra nazion letterata: (ma non sanno
essere originali se non sognando): e benchè la nazion tedesca abbia tanti
metafisici, computando anche i soli moderni, quanti non ne hanno le altre
nazioni tutte insieme, computando i moderni e gli antichi: e bench'ella sia
profondissima d'intelletto per natura, e per abito. Di più i letterati tedeschi
hanno appunto in sommo grado quello che si richiede al filosofo per non esser
sognatore, e per non discostarsi dal vero andandone in cerca: il che i filosofi
delle altre nazioni non sogliono avere. Vale a dir che i tedeschi hanno un
sapere immenso, una cognizione quasi (s'egli è possibile) intera e perfetta di
tutte le cose che sono e che furono. Ed essendo essi così padroni della realtà
per forza del loro studio, e gli altri letterati essendo così poco padroni de'
fatti, è veramente maraviglioso, come certissimo, che
2618 laddove l'altre nazioni oramai {tutte}
filosofano anche poetando, i tedeschi poetano filosofando. E si può dir con
verità che il menomo e il più superficiale de' filosofi francesi (così leggieri
{{e volages}} per natura e per abito) conosce meglio
l'uomo {effettivo} e la realtà delle cose, di quel che
faccia il maggiore e il più profondo de' filosofi tedeschi (nazione sì
riflessiva). Anzi la stessa profondità nuoce loro: e il filosofo tedesco tanto
più s'allontana dal vero, quanto più si profonda o s'inalza; all'opposto di ciò
che interviene a tutti gli altri. (29. Agosto. 1822.). {{I tedeschi incontrano molto meglio e molto più spesso nel
vero quando scherzano, o quando parlano con una certa leggerezza e guardando
le cose in superficie, che quando ragionano: e {questo o
quel} romanzo di Wieland
contiene un maggior numero di verità solide, o nuove, o nuovamente dedotte,
o nuovamente considerate, {sviluppate} ed espresse,
{anche di genere
astratto,} che non ne contiene la Critica della ragione di Kant. (30. Agosto 1822.).}}
{{Vedi l'abbozzo del mio discorso sopra i
costumi presenti degl'italiani.}}
[2619,1]
2619 È curioso l'osservare come l'universalità sia
passata dalla lingua greca ch'è la più ricca, vasta, varia, libera, ardita,
espressiva, potente, naturale di tutte le lingue colte, alla francese ch'è la
più povera, limitata, uniforme, schiava, timida, languida, inefficace,
artifiziale delle medesime. E più curioso che l'una e l'altra lingua abbiano
servito all'universalità appunto perchè possedevano in sommo grado le predette
qualità, che sono contrarie direttamente fra loro. E pur tant'è, ed anche oggidì
dalla lingua francese in fuori, non v'è, e mancando la lingua francese, non vi
sarebbe lingua meglio adattata all'universalità della greca, ancorchè morta,
(2. Settem. 1822.)
{{ed ancorch'ella sia precisamente l'estremo opposto alla
lingua francese. (2. Sett. 1822.).}}
[2622,1] Le nazioni civili dell'Asia,
dopo la conquista d'Alessandro erano
veramente δίγλωττοι cioè parlavano e scrivevano la lingua greca, non come
propria, ma come lingua colta, e nota universalmente,
2623 e letta da per tutto (e così deve intendersi il luogo di Cic.
pro
Archia), e come noi o gli svedesi o i russi o gli olandesi
scrivono il francese: noi (più di rado) per cagione della sua universalità;
quegli altri, come anche i polacchi, e al tempo di Federico i prussiani, per non aver lingua che sia
{o fosse} ancora abbastanza capace ec. Nè si dee
credere che le lingue patrie di quelle nazioni, fossero spente, neanche diradate
dall'uso, e sostituita loro la greca nella conversazione quotidiana, come
accadde della latina, nelle nazioni latinizzate. Restano anche oggi le lingue
asiatiche antiche, o dialetti derivati da quelle, o composti di quelle e d'altre
forestiere, come dell'arabica ec. E v. ciò che s'è detto altrove pp.
1000-1001 di Giuseppe Ebreo,
e Porfirio
Vit.
Plotini c. 17. nel Fabric.
B. G. t. 4. p. 119.-20. (e quivi la nota)
κατὰ μὲν πάτριον
διάλεκτον
*
. Di questi δίγλωττοι che scrivevano in lingua
non loro, e pure scrivevano anche egregiamente, fu Luciano da Samosata, {+v. le sue opp., dove fa cenno della sua
lingua patria,} e tali altri di que' tempi; anzi tutti gli Asiatici
2624 che scrissero in greco (eccetto quelli delle
Colonie, come Arriano, Dionigi Alicarnasseo ec.), alcuni Galli
non Marsigliesi nè d'altra colonia greco-gallica (come Favorino), alcuni Africani, massime Egiziani (perchè
nel resto dell'Affrica, {esclusa la Cirenaica,} trionfò la lingua latina, ma
come lingua de' letterati e del governo ec. non come popolare, per quanto
sembra), alcuni italiani (come M.
Aurelio) ec. ec. (9. Sett. 1822.). {+Questo appunto fu quello che la lingua latina non
ottenne mai, o quasi mai, cioè d'esser bene intesa, parlata, letta, scritta
da quelli che non la usavano quotidianamente come propria, e così si deve
intendere il citato luogo di Cic.
latina suis finibus, exiguis
sane, continentur.
*
Pur non erano tanto
ristretti neppur allora, quanto all'uso quotidiano, essendo già stabilito il
latino in Affrica ec.}
[2633,1]
2633 Dalle suddette cose si può conoscere che l'immensa
ricchezza della lingua greca, non pregiudicava alla facilità di scriverla, e
quindi non s'opponeva alla sua universalità, non essendo necessaria più che
tanta ricchezza (o usata o conosciuta e posseduta) non solo per iscrivere e
parlar greco, ma eziandio per iscriverlo e parlarlo egregiamente; e bastando
poche radici per questo; poichè restavano liberi i composti all'arbitrio dello
scrittore, o quando anche non restassero liberi, infiniti composti e derivati
portava seco ciascuna radice, onde lo scrittore pratico di poche radici veniva
subito ad avere una lingua molto sufficiente a tutti i suoi bisogni. Il che
scemava infinitamente la difficoltà che si prova nelle lingue, perchè un
vocabolario sufficientissimo
2634 allo scrittore o
parlatore si riduceva sotto pochi elementi, e procedeva da pochi principii ossia
radici, e quindi era molto più facile ad impararlo ed impratichirsene, che se
esso senza essere niente maggiore, avesse contenuto tutta la lingua, ma fosse
proceduto da più numerose e diverse radici. Tutte queste circostanze siccome
quelle notate nel pensiero precedente non si trovavano nella lingua latina, che
meno ricca della greca, era però per la sua ricchezza più difficile a scrivere e
a parlare che la greca non fu, perchè la ricchezza (ancorchè minore) della
latina, bisognava averla tutta in contanti, a volere scrivere e parlar latino, e
massimamente a farlo bene. E l'orecchie latine erano delicatissime come le
francesi, circa il vero e
2635 proprio andamento {(e la purità)} della loro lingua, che rispetto alla
greca era liberissimo, cioè sommamente vario, ed in gran parte ad arbitrio.
(8. Ottobre. 1822.).
[2666,1]
2666 La prosa francese (nazione e lingua la più
impoetica fra le moderne, che sono le più impoetiche del mondo) è molto più
poetica della stessa prosa antica scritta nelle lingue le più poetiche
possibili. Lo stesso mancare affatto di linguaggio poetico distinto dal prosaico
fa che lo scrittor francese confonda quello ch'è proprio dell'uno con quel ch'è
proprio dell'altro, e che come il poeta francese scrive prosaicamente così il
prosatore scriva poeticamente, e che la lingua francese manchi non solo di
linguaggio e stile poetico distinto per rispetto al prosaico, ma anche di
linguaggio e stile veramente prosaico, e ben distinto e circoscritto e definito
per rispetto al poetico. Questa è l'una delle cagioni della poeticità della
prosa francese. Altre ancora se ne potranno addurre, ma fra queste, una che ha
del paradosso e pure è verissima. La prosa francese è poetica perchè la lingua
francese è poverissima. Quindi la necessità di metafore di metonimie di
catacresi di mille figure di dizione che rendono poetica la lingua della prosa,
e secondo il nostro gusto,
2667 gonfia, concitata ed
aliena da quella semplicità, riposatezza, calma, sicurezza ed equabilità e
gravità di passo che s'ammira nelle prose latina e greca, le più poetiche lingue
dell'occidente. P. e. non avendo i francesi una
parola che significhi unitamente il padre e la madre, (come noi, che diciamo i genitori), sono obbligati a dire spesso les auteurs de ses jours, des
jours de quelqu'un, de celui-là etc. Queste
tali frasi necessarie e forzate, obbligano poi lo scrittor prosaico francese a
formar loro un contorno conveniente, a seguire una forma di dire, uno stile,
dove queste frasi, figure ec. non disdicano, e quindi a innalzare il tuono della
sua prosa, e dargli un color poetico tanto nello stile quanto nella lingua: e
così la povertà della lingua francese rende poetica la sua prosa, e per le
figure che l'obbliga ad usare in cambio delle parole che le mancano, e per le
figure che queste medesime figure forzate richiedono intorno a se, e quasi
portano con se, e per lo stile e il linguaggio {e il
tuono} che queste figure forzate
2668
domandano per non disdire. (2. Feb. 1823.).
[2699,1] Al contrario le lingue non bene o sufficientemente
organizzate e regolate, variano continuamente e in breve si spengono quasi
affatto, e fanno luogo a lingue quasi nuove, anche durando il medesimo stato
della nazione, sia di civiltà (se pur vi fu mai civiltà non accompagnata da
lingua illustre), sia di maggiore o minore barbarie. La lingua provenzale benchè
scritta da tanti in poesia ed in prosa, pure perchè non ordinata sufficentemente
nè ridotta a grammatica, è tutta morta dopo brevissima vita. E degli stessi
trecentisti italiani, quelli che più s'accostarono al dir plebeo e provinciale,
fosse fiorentino o qualunque, siccome tanti scrittori fiorentini o toscani di
cronichette o d'altro, sono già da gran tempo scrittori di lingua per
grandissima
2700 parte morta; giacchè infinite delle
loro voci, frasi, forme e costruzioni più non s'intendono nelle stesse loro
provincie, o vi riescono strane, insolite, affettate, antiquate e invecchiate.
Vedi Perticari
Apologia di Dante, capo 35,
e specialmente p. 338-45. (17. Maggio. 1823.).
[2715,3] Ho detto altrove pp. 787. sgg. che
la lingua francese, povera di forme, è tuttavia ricchissima e sempre più si
arricchisce di voci. Distinguo. La lingua francese è povera di sinonimi, ma
ricchissima di voci denotanti ogni sorta di cose e di idee, e ogni menoma parte
di ciascuna cosa e di ciascuna idea. Non può molto variare nella espressione
d'una cosa medesima, ma può variamente esprimere le più varie e diverse cose. Il
che non possiamo noi, benchè possiamo ridire
2716 in
cento modi le cose dette. Ma certo è sempre varia quella scrittura che può esser
sempre propria, perchè ad ogni nuova cosa che le occorre di significare, ha la
sua parola diversa dalle altre per significarla. Anzi questa è la più vera, la
più sostanziale, la più intima, la più importante, ed anche la più dilettevole
varietà di lingua nelle scritture. E quelle scritte in una lingua soprabbondante
di sinonimi, per lo più sono poco varie, perchè la troppa moltitudine delle voci
fa che ciascheduno scrittore per significare ciaschedun oggetto, scelga fra le
tante una sola o due parole al più, e questa si faccia familiare e l'adoperi
ogni volta che le occorre di significare il medesimo oggetto; e così ciascheduno
scrittore in quella lingua abbia il suo vocabolarietto diverso da quel degli
altri, e limitato: come altrove ho detto pp. 244-45
pp.
2386-87
pp.
2397-400
pp. 2630-32 accadere
agli scrittori greci ed italiani. E osservo che sebbene
2717 la lingua greca è molto più varia della latina, nondimeno per la
detta ragione le scritture greche, massime quelle degli ottimi e originali, sono
meno varie delle latine per ciò che spetta ai vocaboli e ai modi. (23.
Maggio 1823.). {{V. p. 2755.}}
[2869,1] Non è maraviglia che la scrittura francese sia così
diversa dalla pronunzia. Come altrove ho detto pp. 2462-63 , a tutte le ortografie delle
lingue figlie della latina, ed anche, almeno in parte, della inglese e della
tedesca, servì
2870 di modello e di guida la scrittura
latina, che apparteneva all'unica letteratura che si conoscesse quando prima si
cominciarono a formare e regolare le moderne ortografie, anzi era altresì quasi
l'unica scrittura nota, perchè le lingue moderne poco fino allora s'erano
scritte, e quando conveniva scrivere, s'era per lo più scritto in latino, benchè
barbaro. Ora la pronunzia francese, è tra le pronunzie delle lingue nate dalla
latina, quella che più s'è discostata dal latino. Ond'è che la lingua francese è
altresì fra queste lingue la più diversa dalla madre, così di spirito, di
costruzioni, di maniere, di frasi, {e di assai
vocaboli,} come di suoni. {#(1.) V. p.
2989.} Egli è certissimo che da principio la
lingua francese si pronunziava nel modo stesso che si scriveva, ossia la
pronunzia delle sillabe nelle parole francesi corrispondeva al valore che
avevano nell'alfabeto le lettere con cui esse parole si scrivevano. I versi che
si trovano ancora de' poeti provenzali, pronunziavansi indubitatamente in questo
modo {o con poca differenza,} come ne fa fede la loro
misura, le loro rime ec. che si perderebbero l'une e l'altra pronunziando quei
versi altramente, o alla moderna. Ma le irruzioni e i commerci de'
settentrionali
2871 avendo cangiata la pronunzia
francese, e diradata di vocali e inspessita di consonanti e resa più aspra, e
così diversificatala dalla lingua provenzale, e poi col mezzo della francese,
mutata eziandio la provenzale, (v. Perticari
Apologia di Dante cap. 11.
principio, p. 106. fine - 108. principio, e cap. 12. principio, p. 111. 112.
e ivi fine, p. 119. e Capo 16. fine, p. 158.) la lingua francese si
allontanò sommamente dalla latina, sì per li nuovi vocaboli e forme che acquistò
da popoli che non avevano mai parlato latino, sì per li suoni di cui vestì, e
con cui pronunziò quegli stessi vocaboli tolti dal latino ch'ella aveva, e che
tuttora conserva. Quindi per due ragioni la pronunzia francese dovette riuscir
diversa dalla scrittura. Primo, per la sopraddetta, cioè perchè non avendovi
scrittura nota, o almeno scrittura appartenente a lingua letterata e formata,
fuori della latina, l'ortografia francese dovette pur prendere, come l'altre,
per suo modello la latina, ed essendo già la pronunzia francese fatta
diversissima dalla latina, e certo assai più diversa che non erano o non furono
poi la spagnuola e l'italiana,
2872 perciò la scrittura
francese dovette molto più differire dalla pronunzia, che non differiscono la
spagnuola e l'italiana che presero e usarono lo stesso modello. Secondo: questa
diversificazione e settentrionalizzazione di pronunzia, avendo avuto luogo, o
acquistato forza ed estensione in Francia piuttosto
tardi, e di più trovandosi che i poeti di cui la Provenza
abbondò, scrivevano il provenzale, stato già tutt'uno col francese, ed allora
tuttavia analogo, ma più latino, (v. Perticari l. c. p. 107. principio) lo scrivevano, dico, in
modo simile ed analogo al latino; ed essendo così vero come naturale che i primi
che scrissero qualche cosa in francese, riguardarono ai provenzali, e se li
proposero per guide, come quelli ch'erano in quei tempi i più dotti {forse} della Francia, ed avevano
contribuito a spargere in essa il gusto della poesia volgare e dello scrivere in
volgare; da tutto questo ne seguì che la scrittura francese si accostò al
latino, come ci si accostava e la scrittura pronunzia provenzale; ci si accostò
dico, non ostante che la pronunzia francese ogni dì più se ne scostasse, con che
si venne anche a scostare dalla scrittura.
2873
Perciocchè veramente si può dire che la pronunzia francese da se, e movendosi
essa, si allontanò {{e divise}} dalla scrittura,
piuttosto che la scrittura dalla pronunzia. Benchè veramente sia debito de'
buoni e filosofi ortografi di far che la scrittura in qualunque modo tenga
sempre dietro alla universale pronunzia, regolata, o riconosciuta per regolare;
e non far che la scrittura stia ferma, e lasci andare questa tal pronunzia al suo viaggio, senza darsene alcun
pensiero. Ma questi discorsi non si potevano nè fare nè seguire in quei primi e
confusi tempi e ignoranti, nè dopo fatti, sono stati effettuabili, avendo preso
piede l'usanza contraria in modo che non si potea più scacciare nè mutare;
abbisognando ella di troppe e troppe grandi ed essenziali mutazioni, non di
poche e lievi e quasi accidentali come ne abbisognò e ne ricevette l'usanza
italiana.
[2906,2] In tutte le lingue tanto gran parte dello stile
appartiene ad essa lingua, che in veruno scrittore l'uno senza l'altra non si
può considerare. La magnificenza, la forza, la nobiltà, l'eleganza, la grazia,
la varietà, {la semplicità, la
naturalezza.} tutte o quasi tutte le qualità dello stile, sono così
legate alle corrispondenti qualità della
2907
{{lingua,}} che nel considerarle in qualsivoglia
scrittura è ben difficile il conoscere e distinguere e determinare quanta e qual
parte di esse (e così delle qualità contrarie) sia propria del solo stile, e
quanta e quale della sola lingua; o vogliamo piuttosto dire, quanta e qual parte
spetti e derivi dai soli sentimenti, e quanta e quale dalle sole parole; giacchè
rigorosamente parlando, l'idea dello stile abbraccia {così} quello che spetta ai sentimenti come ciò che appartiene ai
vocaboli. Ma tanta è la forza e l'autorità delle voci nello stile, che mutate
quelle, o le loro forme, il loro ordine ec. tutte o ciascuna delle predette
qualità si mutano, o si perdono, e lo stile di qualsivoglia autore o scritto,
cangia natura in modo che più non è quello nè si riconosce. {+1. Veggasi la p. 3397-9.}
[2989,1]
Alla p. 2870.
Come la nazion francese è tra tutte quelle {europee}
che si chiamano meridionali quella che più partecipa del settentrionale sì per
clima, come per indole, costumi ec. {Si
può vedere la p. 3252. sg.
3400. sgg.} così la
lingua francese è di tutte le figlie della latina, {+o vogliamo dire delle meridionali colte,} quella
che ha più del settentrionale sì per la natura, asprezza ec. dei suoni, come per
2990 la proprietà ed indole della dicitura, forma,
struttura ec. E si può dire che per l'uno e per l'altro rispetto essa lingua,
siccome la nazione che la parla tenga il mezzo, e sia quasi un grado e un anello
fra le meridionali e le settentrionali europee colte. Dico per l'uno e per
l'altro rispetto, cioè per li suoni e per l'indole. Le quali due cose sono
sempre analoghe e corrispondenti fra loro, cioè tale è sempre l'indole di una
lingua perfetta qual è quella de' suoni materiali ch'ella adopera. E la varietà
medesima che si trova fra i suoni di due lingue d'una medesima classe, o di due
lingue di classi diverse, o delle lingue di due classi (come settentrionale e
meridionale), si troverà sempre fra i caratteri e i geni delle medesime lingue o
classi, purch'elle sieno perfette, e ben corrispondenti all'indole della
nazione, il che sempre accade quando una lingua è perfettamente sviluppata, e
senza di che non può essere che una lingua, ancorchè
2991 colta, abbia perfettamente sviluppato, o conservi, il suo vero, conveniente,
naturale e proprio carattere. (19. Luglio 1823.).
[3066,1] Che la lingua italiana mediante la letteratura sia
stata per più secoli divulgatissima in europa, e più
divulgata che niun'altra moderna a quei tempi, o certo per più lungo spazio
(perchè la lingua spagnuola per un certo tempo lo fu forse altrettanto, e in
italia nel 600 trovo stampate le
Novelle di Cervantes
in ispagnuolo, mentre oggi in tanta diffusione della lingua francese, che niuno
è che non la intenda, è ben difficile che tra noi si ristampi un libro francese
di letteratura o divertimento in lingua francese), raccogliesi da parecchi
luoghi e notizie da me segnate qua e là p. 242
pp. 1581-83, e da molte altre che si possono facilmente raccorre.
Vedi in particolare
Andrès, Stor. della letterat. parte
2. l. 1. poesia inglese, ed. Ven. del Loschi, t. 4. p. 116. 117.
119., la Vita di Milton, l'Orazione di Alberto Lollio in lode della lingua toscana, nelle
prose
fiorentine, part. 2. vol. 6. ed. Ven.
1730-43. p. 38-39, dov'è un passo molto interessante a questo
proposito. Ma si noti che in altre edizioni come in quella
3067 della Raccolta di prose ad uso delle regie
scuole, ed. 3.a Torino, 1753. p. 309. questo
passo, siccome tutta l'orazione, è notabilissimamente mutato; e
veggasi la prefazione al citato vol. delle
prose fior. p. X-XI.
{#1. Veggasi ancora Speroni Oraz. in morte del Bembo nelle Orazioni stampate in
Ven. 1596. p. 44-5.}
La
Canzone de' Gigli del Caro, mandata in Francia, e fatta
apposta per colà, come anche il Commento alla medesima secondo che
dice il Caro in una delle sue lettere al Varchi, il conto fattone in
Francia ec. (v. la Vita del Caro); la
Canzone del Filicaia per la liberazione di
Vienna, mandata in
Germania, e credo anche in
Polonia, e colà molto lodata, come si vede nelle lettere del Redi; {#2. V. p.
3816.}
i poemi dell'Alamanni fatti in
Francia ad istanza di quei principi ec. e colà
stampati (v. Mazzucchelli, Vita
dell'Alamanni), siccome molti altri libri italiani
originali o tradotti si pubblicavano allora o si ristampavano fuor
d'Italia, nella quale certo niun libro francese,
inglese, tedesco si pubblicava o ristampava originale, e ben pochissimi tradotti
(francesi o spagnuoli); tutte queste cose, e cento altre simili {notizie e indizi} di cui son pieni
3068 i libri del 500, del 600, e anche de' principii del 700,
dimostrano quanto la lingua italiana fosse divulgata. Nondimeno ella ha lasciato
ben poche o niuna parola agli stranieri (eccetto alcune tecniche, militari, di
belle arti ec. che spettano ad altro discorso) mentre la lingua francese tanti
vocaboli e frasi e modi e forme ha comunicato e comunica a tutte le lingue colte
d'europa, e in esse le {ha}
radicate e naturalizzate per sempre, e continuamente ne radica e naturalizza.
Segno che la letteratura è debol fonte e cagione e soggetto di universalità per
una lingua, perocchè una lingua universale per la sola letteratura (e per questo
lato fu veramente universale l'italiana a que' tempi, quanto mai lo sia stato
alcun'altra fra le nazioni civili) non rende διγλώττους le nazioni in ch'ella si spande, e non è mai se non materia
di studio e di erudizione (παιδείας). Quindi poco profonde radici mettono
nell'altre lingue le sue parole: e terminata l'influenza della sua letteratura
3069 termina la sua universalità (non così,
terminata l'influenza della nazion francese è terminata nè terminerà
l'universalità della sua lingua, nè così della greca ec.), e si dimenticano e
disusano ben presto quelle parole e modi che lo studio e l'imitazione della sua
letteratura aveva forse introdotto nelle letterature straniere, ma non più oltre
che nelle letterature. Quando in Francia a tempo di Caterina de' Medici, la nostra lingua
si divulgò per altro che per la letteratura, allora l'italianismo nel francese
non appartenne alla letteratura sola, e in questa medesima {eziandio} fu maggiore assai che negli altri tempi o circostanze,
onde, non so qual degli Stefani,
scrisse quel dialogo satirico del quale ho detto altrove più volte.
[3192,1] Per li nostri pedanti il prender noi dal francese o
dallo spagnuolo voci o frasi utili o necessarie, non è giustificato dall'esempio
de' latini classici che altrettanto
faceano dal greco, come Cicerone
massimamente e Lucrezio, nè
dall'autorità di questi due e di Orazio nella Poetica, che espressamente difendono e lodano il farlo.
Perocchè i nostri pedanti coll'universale dei dotti e degl'indotti tengono la
lingua greca per madre della latina. Ma hanno a sapere ch'ella non fu madre
della latina, ma sorella, nè più nè meno che la francese e la spagnuola sieno
sorelle dell'italiana. Ben è vero che la greca letteratura e
3193 filosofia fu, non sorella, ma propria madre della {+letteratura e filosofia} latina.
Altrettanto però deve accadere alla filosofia italiana, e a quelle parti
dell'italiana letteratura che dalla filosofia debbono dipendere o da essa
attingere, per rispetto {alla} letteratura e filosofia
francese. La quale dev'esser madre della nostra, perocchè noi non l'abbiamo del
proprio, stante la singolare inerzia d'italia nel secolo
in che le {altre} nazioni
d'europa sono state e sono più attive che in
alcun'altra. E voler creare di nuovo e di pianta la filosofia, e quella parte di
letteratura che affatto ci manca (ch'è la letteratura propriamente moderna);
oltre che dove sono gl'ingegni da questa creazione? ma quando anche vi fossero,
volerla creare dopo ch'ella è creata, e ritrovare dopo trovata ch'ell'è da più
che un secolo, e dopo cresciuta e matura, e dopo diffusa e abbracciata e
trattata continuamente da tutto il resto d'europa del
pari; sarebbe cosa, non sola[solo] inutile, ma
stolta e dannosa, mettersi a bella posta lunghissimo tratto addietro degli
3194 altri in una medesima carriera, volersi collocare
sul luogo delle mosse quando gli altri sono già corsi tanto spazio verso la
meta, ricominciare quello che gli altri stanno perfezionando; e sarebbe anche
impossibile, perchè nè i nazionali nè i forestieri c'intenderebbono se volessimo
trattare in modo affatto nuovo le cose a tutti già note e familiari, e noi non
ci cureremmo di noi stessi, e lasceremmo l'opera, vedendo nelle nostre mani
bambina e schizzata, quella che nelle altrui è universalmente matura e colorita;
e questo vano rinnovamento piuttosto ritarderebbe e impaccerebbe di quel che
accelerasse e favorisse gli avanzamenti della filosofia, e letteratura moderna e
filosofica. Erano ben altri ingegni tra' latini al tempo che s'introdussero e
crebbero gli studi nel Lazio; ben altri ingegni, dico,
che oggi in italia non sono. Nè però essi vollero
rinnovare nè la filosofia nè la letteratura (la quale essendo allora poco
filosofica, si potea pur variare passando a nuova nazione), ma trovando l'una e
l'altra in alto stato, e grandissimamente avanzate e mature appresso i
3195 greci, da questi le tolsero, e gli altrui
ritrovamenti abbracciarono e coltivarono; e ricevuti e coltivati che gli ebbero,
allora, secondo l'ingegno di ciascheduno e l'indole della nazione, de' costumi,
del governo, del clima, della lingua, delle opinioni romane, modificarono ed
ampliarono le cose da' greci trovate, e diedero loro abito e viso e attitudini
domestiche e nuove. Se vuol dunque l'italia avere una
filosofia ed una letteratura moderna e filosofica, le quali finora non ebbe mai,
le conviene di fuori pigliarle, non crearle da se; e di fuori pigliandole, le
verranno principalmente dalla Francia (ond'elle si sono
sparse anche nelle altre nazioni, a lei molto meno vicine e di luogo e di clima
{e di carattere} e di genio e di lingua ec. che
l'italiana), e vestite di modi, forme, frasi e parole francesi (da tutta
l'europa universalmente accettate, e da buon tempo
usate): dalla Francia, dico, le verrà la filosofia e la
moderna letteratura, come altrove ho ragionato pp. 1029-30, e
volendole ricevere, nol potrà altrimenti che ricevendo {altresì} assai parole e frasi {di là,} ad
esse intimamente e indivisibilmente spettanti e fatte proprie;
3196 siccome appunto convenne fare ai latini {delle voci e frasi greche} ricevendo la greca
letteratura e filosofia; e il fecero senza esitare. E noi colla stessa
giustificazione, ed anche col vantaggio della stessa facilità il faremo, essendo
la lingua lingua francese sorella dell'italiana siccome della latina il fu la
greca, e producendo la filosofia e la filosofica letteratura francese una
letteratura moderna ed una filosofia italiana, siccome già la greca nel
Lazio. E tanto più saremo fortunati degli altri
stranieri che dal francese attinsero voci e modi per la filosofia e letteratura,
quanto che noi nel francese avremo una lingua sorella, e non, com'essi, aliena e
di diversissima origine. (18. Agos. 1823.). {Noi sappiamo bene qual {e che
cosa} sia questa lingua latina madre dell'italiana, e possiamo
definitamente additarla, e mostrarla tutta intera. Ma dir che la teutonica o
la slava o simili è madre della tedesca o della russa ec., è quasi un dire
in aria, benchè sia vera, nè quelli possono definitamente additarci quale
individualmente sia questa lor lingua madre, nè, se non confusamente e per
laceri avanzi, mostrarcela.}
[3251,1]
3251 Tornando al proposito {debbono} esser, come ho detto, cose osservate queste proporzioni che
passano tra le diverse nature dei climi e i diversi caratteri delle rispettive
pronunzie e geni delle rispettive lingue, ed altresì il modo di queste
proporzioni, cioè il modo in che il clima opera sulle favelle, e da quali
proprietà del clima quali proprietà derivino alle pronunzie e alle lingue. Ma
forse non sarà stato egualmente notato che {trovandosi}
in un medesimo clima {e paese} essere stati in diversi
tempi diversi caratteri di pronunzia e di lingua, queste diversità
corrispondettero sempre alle qualità fisiche degli uomini che ciascuna d'esse
pronunzie e lingue, l'una dopo l'altra usarono, le quali fisiche qualità
variarono secondo le diverse circostanze morali, politiche, religiose,
intellettuali {ec.} che in diverse generazioni in quel
medesimo clima e paese ebber luogo. Ond'è che sebbene il clima meridionale
naturalmente ispira dolcezza ne' caratteri delle pronunzie e de' suoni, tuttavia
suono della lingua greca, e quello della lingua romana, certo più molle che non
era a quel tempo, e che adesso non è, il suono delle
3252 lingue settentrionali, pur fu {molto} men delicato
{e più forte} di quello che oggi si sente nella
nuova lingua dello stesso Lazio e di
Roma e d'italia. E ciò non per
altra {cagione fisica immediata,} se non perchè, stante
le loro circostanze morali e politiche e il lor genere di vita e di costumi, gli
antichi Greci e Romani (il che anche per mille altri segni e notizie si prova)
furono di corpo molto più forti che i moderni italiani non sono. {La stessa pronunzia della
moderna lingua francese (e così delle altre) si è addolcita coi costumi
della nazione, come dice Voltaire ec. giacchè un dì si pronunziava come oggi si scrive
ec.} Ond'è che siccome la pronunzia francese per la
geografica posizione e natural qualità del suo clima, ch'è mezzo tra meridionale
e settentrionale, tiene quasi tanto delle pronunzie del sud quanto di quelle del
nord, {#1.
pendendo però più al sud.} ed è un temperamento dell'une e
dell'altre e un anello che queste a quelle congiunge, {#2. Puoi vedere la pp. 2989 -
91.,} così il carattere delle pronunzie greca e latina,
tiene, non dirò già il proprio mezzo tra il settentrionale e il meridionale, ma
tra il carattere dell'italiana, ch'è l'uno estremo delle moderne pronunzie
meridionali, e l'estremo assoluto della dolcezza; e quello della pronunzia
settentrionale meno aspra e che più
3253 s'accosti a
dolcezza, e sia per questa parte l'estremo delle pronunzie settentrionali, alle
meridionali più vicino. O volessimo piuttosto dire che le pronunzie greca e
latina sieno medie tra l'italiana {+ch'è
la più meridionale,} e la francese, che non è nè {ben} meridionale nè {per anco}
settentrionale. {+Le lingue orientali,
{la greca moderna, la turca,} quelle de'
selvaggi e indigeni d'America sotto la zona, parlate
e scritte in climi assai più meridionali che quel
d'italia o di Spagna, sono
tuttavia molto men dolci dell'italiana e della spagnuola, e taluna anche
delle settentrionali europee. Ciò per la rozzezza o per la acquisita
barbarie de' popoli che l'usano o che l'usarono, per li costumi aspri e
crudeli ec. antiche o moderne ch'esse lingue si considerino.}
(23. Agos. 1823.).
[3326,1] Or questo ai francesi fu facile, perchè la loro
letteratura non fu interrotta per alcun tempo, da Luigi in poi; laonde la loro lingua fu sempre
continuata naturalmente e senza sforzo, e sempre {successivamente} modificandosi secondo i tempi, fu in ciascun tempo
moderna, ma una in tutti i tempi considerati insieme. A noi bisogna far forza
alle cose, {e} quasi scancellare {e
annullare o nascondere} il fatto, cioè governarci in modo che quel che
fu, apparisca non essere stato, e la lingua italiana sembri non essere stata per
alcun tempo interrotta, ma continuamente avanzata e modificata sino a divenir
propria {e conforme e conveniente} all'odierna
italia ed alla sua moderna letteratura.
[3366,1] La lingua latina s'introdusse, si piantò e rimase in
quelle parti d'europa nelle quali entrò anticamente e si
stabilì la civilizzazione. Ciò non fu che nella Spagna e
nelle Gallie. Quella fino dagli antichi tempi produsse i
Seneca, Quintiliano, Columella, Marziale ec. poi
Merobaude, S. Isidoro ec. e altri moltissimi di mano in mano, i
quali divennero letterati e scrittori latini, senza neppure uscire, come quei
primi, dal loro paese, o quantunque in esso educati, e non, come quei primi, in
Roma. Le Gallie produssero
Petronio Arbitro, {Favorino ec.}
poi Sidonio, S. Ireneo ec. La civiltà v'era già innanzi i romani
stata introdotta da coloni greci. Di più la corte latina v'ebbe sede per alcun
tempo. La Germania benchè soggiogata anch'essa da'
Romani, e parte dell'impero latino, non diede mai adito a
civiltà nè a lettere, nè a' buoni nè a' mediocri nè a' cattivi tempi di
quell'impero. Ella fu sempre barbara. Non si conta fra gli scrittori latini di
veruna latinità
3367 (se non dell'infimissima) niuno
che avesse origine germanica o fosse nato in Germania,
come si conta pur quasi di tutte l'altre provincie e parti
dell'impero romano. Quindi è che la
Germania benchè suddita latina, benchè vicina
all'italia, anzi confinante, come la
Francia, e più vicina assai che la
Spagna, non ammise l'uso della lingua latina, e non
parla latino {(cioè una lingua dal latino derivata),}
ma conserva il suo antico idioma. (Forse anche fu cagione di ciò e delle cose
sopraddette, che la Germania non fu mai intieramente
soggiogata, nè suddita pacifica, come la Spagna e
le Gallie, sì per la naturale ferocia della nazione,
sì per esser ella sui confini delle romane conquiste, e prossima ai popoli
d'europa non conquistati, e nemici de' romani, e
sempre inquieti e ribellanti, onde ad essa ancora nasceva e la facilità, e lo
stimolo, e l'occasione, e l'aiuto e il comodo di ribellare). Senza ciò la lingua
latina avrebbe indubitatamente spento la teutonica, nè di essa resterebbe
maggior notizia o vestigio che della celtica e dell'altre che la lingua latina
spense affatto in Ispagna e in
3368
Francia. Delle quali la teutonica non doveva mica esser
più dura nè più difficile a spegnere. Anzi la celtica doveva anticamente essere
molto più colta e perfetta o formata che la teutonica, il che si rileva sì dalle
notizie che s'hanno de' popoli che la parlarono, e delle loro istituzioni (come
de' Druidi, de' Bardi, cioè poeti ec.), e della loro religione, costumi,
cognizioni ec. sì da quello che avanza pur d'essa lingua celtica, e de' canti
bardici in essa composti ec. L'inghilterra par che
ricevesse fino a un certo segno l'uso della lingua latina, certo, se non altro,
come lingua letterata e da scrivere. {Il latino si stabilì in
Inghilterra a un di presso come il greco
nell'alta Asia, e l'italiano in Dalmazia, nell'isole
greche e siffatti dominii de' Veneziani: cioè come lingua di qualunque
persona colta e della scrittura, ma non parlata dal popolo, benchè forse
intesa. Così il turco in grecia ec.}
Ella ha pure scrittori non solo dell'infima, ma anche della media latinità, come
Beda ec. Ma era già troppo tardi,
sì perchè la lingua latina era già corrotta e moribonda per tutto, anche in
italia sua prima sede, sì perchè l'impero
latino era nel caso stesso. Quindi i Sassoni facilmente
distrussero la lingua latina in inghilterra, ancora
inferma e mal piantata, propria solo dei dotti (com'io credo), e le sostituirono
la
3369 teutonica, trionfando allo stesso tempo (almeno
in molta parte dell'isola) anche dell'idioma nazionale, indigeno, ἐπιχώριος e
volgare, cioè del celtico ec., al qual trionfo doveva pure aver già contribuito
la lingua latina, soggiogata poi anch'essa, e più presto ed interamente
dell'indigena, da quella de' conquistatori. Laddove nelle
Gallie i Franchi non poterono mica introdurre la
lingua loro, benchè conquistatori, nè estirpar la latina, ben radicata, e per
lunghezza di tempo, e perchè insieme con essa erano penetrati e stabiliti nelle
Gallie, i costumi, la civiltà, le lettere, la
religione latina, e perchè {quivi} detta lingua non era
già propria ai soli dotti, ma comune al volgo, ond'essi conquistatori
l'appresero, e parlata ec. Così dicasi de' Goti, Longobardi ec. in
italia; de' Vandali {ec.} in
Ispagna. Che se la lingua latina in
italia, in Francia, in
ispagna, trionfò delle lingue germaniche benchè
parlate da' conquistatori, può esser segno ch'ella ne avrebbe pur trionfato
nella Germania ov'elle parlavansi da' conquistati, se non
l'avessero impedito le cagioni dette di sopra. Perocchè si vede che la lingua
latina trionfava
3370 dell'altre, non tanto come lingua
di conquistatori e padroni, superante quella de' conquistati e de' servi, nè
come lingua indigena o naturalizzata, superante le forestiere, avventizie e
nuove; quanto come lingua colta e formata, superante le barbare, incolte,
informi, incerte, imperfette, povere, insufficienti, indeterminate. Altrimenti
non sarebbe stato, come fu, impossibile ai successivi conquistatori
d'Italia, Francia,
Spagna, il far quello che i latini ne' medesimi
paesi, conquistandoli, avevano fatto; cioè l'introdurre le proprie lingue in
luogo di quelle de' vinti. Nel mentre che i Sassoni in
inghilterra, certo nè più civili nè più potenti de'
Franchi, de' Goti, {de' mori,} ec., i Sassoni, dico, in
inghilterra, e poscia i Normanni, trionfavano pur
senza pena delle lingue indigene di quell'isola, perchè mal formate ancor esse,
benchè non affatto barbare, ed {anzi} (p. e. la
celtica) più colte ec. delle loro. Ma queste vittorie della lingua latina sì
nell'introdursi fra' conquistati, e forestiera scacciare le lingue indigene; sì
nel mantenersi malgrado i conquistatori, e in luogo di cedere, divenir propria
anche di questi, si dovettero, come ho detto, in grandissima parte, alla civiltà
dei
3371 costumi latini e alle lettere latine con essa
lingue[lingua] introdotte o conservate: di
modo che detta lingua non riportò tali vittorie, solamente come colta e perfetta
per se, ma come congiunta ed appartenente ai colti e civili costumi, opinioni e
lettere latine. Perocchè, come ho detto, sempre ch'ella ne fu disgiunta, cioè
dovunque la civiltà e letteratura latina, e l'uso del viver latino, o non
s'introdusse, o non si mantenne, o scarsamente s'introdusse o si conservò; nè
anche s'introdusse la lingua latina, come in Germania, o
non si mantenne, come accadde in Inghilterra. E ciò si
vede non solo in queste parti d'europa, che non ammisero
la civiltà latina per eccesso di barbarie, o che non ammettendola, restarono
barbare; ma eziandio in quelle dove una civiltà ed una letteratura indigena
escluse la forestiera, in quelle che non ammettendo i costumi nè le lettere
latine, restarono però, quali erano, civili e letterate, cioè nelle nazioni
greche. Le quali non ricevendo l'uso del viver latino, non ricevettero neppur la
lingua, benchè la sede dell'
3372
impero romano, e Roma e il
Lazio, per così dire, fossero trasportate e
lunghissimi secoli dimorassero nel loro seno. Ma la
Grecia contuttociò non parlò mai nè scrisse latino,
ed ora non parla nè scrive che greco. Ed essa era pur la parte più civile
d'europa, non esclusa la stessa
Roma, al contrario appunto della
Germania. Sicchè da opposte, ma analoghe e
corrispondenti e ragguagliate e proporzionate, cagioni, nacque lo stesso
effetto.
[3389,1] La lingua spagnuola, secondo me, può essere agli
scrittori italiani una sorgente di buona e bella ed utile novità ond'essi
arricchiscano la nostra lingua, massimamente di locuzioni e di modi.
[3428,1]
Alla p. 3417.
In francia siccome la prosa segue l'uso del parlar
quotidiano assai più che altrove, e l'è sempre assai più conforme, così i poeti
non hanno creduto potersi scostare gran fatto dall'uso medesimo e dalla prosa,
nè lasciar di seguire da vicinissimo l'uno e l'altra nelle continue mutazioni
ch'esse naturalmente e inevitabilmente subiscono. Sì ne' poeti che ne' prosatori
ciò nasce dalla natura di quella nazione e di quella società. I poeti francesi
non hanno dunque antichità di linguaggio da usare. Tutto e sempre di mano in
mano nella lingua francese è moderno. E tutto è ancor nazionale; perchè
guardigli il cielo dall'arricchire la loro lingua di qualche voce tolta {nuovamente} dal latino, benchè totalmente analoga e
affine ad altre voci francesi. La lingua loro è dunque in tutto e sempre priva e
incapace sì dell'antico,
3429 si ancora del pellegrino
(se non di quello che introdotto in una lingua, o usato da uno scrittore è
libertinaggio e barbarie, non eleganza o nobiltà ec.). Da ciò viene che la
lingua francese non è capace di eleganza ec. (del che mi pare aver detto altrove
p.
1813
p.
2014), e che la francia non ha e non può avere
lingua propria della poesia. E non avendola, e però i termini tra questa e
quella della prosa non essendo certi, anzi non avendovene alcuno, perocchè il
campo {dell'una e dell'altra} è un solo e indiviso, la
francia non ha neppur lingua propria espressamente
della prosa, e nella più impoetica lingua del mondo, qual è la francese, non si
trova quasi prosa che non sappia di poesia per lo stile, più o meno, ma certo
più di tutte le classiche prose scritte nelle più poetiche lingue come la greca
e la latina. Del che veggasi la p.
3420-1. Del resto è ben naturale che ove non è distinzion di lingua (tra poesia e prosa) quivi non
possa essere vera distinzion di stile.
{#1. Secondo il detto a pp. 3397-9. e 2906.}
(13. Sett. 1823.)
[3546,1] In una città piccola, massime dove sia poca
conversazione, non essendo determinato il tuono della società, {+(neppur un tuono proprio particolarmente
d'essa città, qual sempre sarebbe in una città piccola, quando veggiamo che
anche le grandi hanno sempre notabilissime nuances
di tuono lor proprio, e differenze da quello dell'altre, anche dentro una
stessa nazione)} ciascun fa tuono da se, e la maniera di ciascuno,
qual ch'ella sia, è tollerata e giudicata per buona e conveniente. Così a
proporzione in una nazione, dove non v'abbia se non pochissima società, come in
italia. Il tuono sociale di questa nazione non
esiste: ciascuno ha il suo. Infatti non v'è tuono di società che possa dirsi
italiano. Ciascuno italiano ha la sua maniera di conversare, o naturale, o
imparata dagli stranieri, o comunque acquistata. Laddove in una nazione
socievole, e così a proporzione in una città grande, non è, non solo stimato, ma
neppur tollerato, chi non si
3547 conforma alla maniera
comune di trattare, e chi non ha il tuono degli altri, perchè questa maniera
comune esiste, e il tuono di società è determinato, più o meno strettamente, e
non è lecito uscirne senza esser messo, nella società ec., fuor della legge, e
considerato come da men degli altri, perchè dagli altri diverso, diverso dai
più. (28. Sett. 1823.).
[3561,1]
Alla p. 3413.
Infatti la scrittura dello Speroni è
tutta sparsa e talor quasi tessuta, non pur di vocaboli, o d'usi metaforici ec.
di parole, tutti propri di Dante e di
Petrarca, ma di frasi intere e
d'interi emistichi di questi poeti, dall'autore dissimulatamente appropriatisi e
convertiti all'uso della sua prosa. Nè tali voci, frasi ec. riescono in lui
punto poetiche, ma convenientissimamente prosaiche. Altrettanto fanno più o meno
molti altri autori del cinquecento, massime i più eleganti, ma lo Speroni singolarmente. Or andate e
ditemi che altrettanto potessero fare, non pur i prosatori greci con Omero, o altro lor poeta, ma i latini con
Virgilio ec. benchè il latino non
abbia linguaggio poetico distinto. Che
vuol dir ciò dunque, se non che il linguaggio di Dante e Petrarca era poco o nulla distinto da quel della prosa? Onde i
prosatori potevano farne lor pro, anche a sazietà, senza dar nel poetico. {#1. Le voci e frasi {e
significati più poetici ed eleganti} di Petr.
Dante ec. tengono come un luogo di
mezzo tra il prosaico e il poetico, onde in una prosa alta, com'è quella
dello Speroni, ci stanno
naturalissimamente. P. e. talento in quel
significato Che la ragion sommettono al
talento.
*
Non si sa ben dire se sia più del verso
che della prosa. Vedilo benissimo usato dallo Speroni
ne' Diall.
Ven. 1596. p. 69. fine.} Altri, e non
pochi, prosatori del 500, siccome nel 300 il Boccaccio, davano nel poetico sconveniente
3562 alla prosa, adoperando a ribocco e senza giudizio le voci, le
significazioni, le metafore, le frasi, gli ornamenti, l'epitetare ec. sì di Dante e Petrarca sì de' poeti del 500. stesso. E ciò per la medesima ragione
per cui i detti poeti adoperavano le frasi e voci ec. della prosa, come a pagg. 3414. segg. Ciò era perchè i
termini fra il linguaggio della poesia e della prosa non erano ancora ben
stabiliti nella nostra lingua. Onde come noi non avevamo ancora un linguaggio
propriamente poetico bene stabilito e determinato, (p. 3414.
3416.), così nè anche un linguaggio
prosaico. Nella stessa guisa (ma però molto meno) che i francesi non hanno quasi
altra prosa che poetica, perchè appunto non hanno lingua propriamente poetica,
distinta e determinata, e assegnata senza controversia alla poesia
(veggãsi[veggansi] le p. 3404-5. 3420-1. 3429. e il pensiero
seguente ). Nessun buon autore del seicento, del sette e
dell'ottocento dà nel poetico come molti buoni
{{e classici
del}} 500 (non ostante nel 600 la gran peste dello stile derivata
appunto dal cercare il florido, il sublime, il metaforico, lo straordinario modo
di parlare e di esprimere checchessia, il fantastico, l'immaginoso, l'ingegnoso;
e consistente in queste qualità ec. peste
3563 che nel
500 ancor non regnava; eppur tanto regnava il florido e il poetico nella prosa,
quanto non mai nelle buone e classiche prose del 600: segno che quel vizio nel
500. veniva da altra cagione, e ciò era quella che si è detta). Nessuno oggi (nè
nei due ultimi secoli) per poco che abbia, non pur di giudizio, ma sol di
pratica nelle buone lettere sarebbe capace di peccare, scrivendo in prosa, per
poeticità di stile e linguaggio, altrettanto quanto nell'ottimo ed aureo secolo
del 500 (mentre il nostro è ferreo) peccavano gli ottimi ingegni nelle classiche
prose, sì nel linguaggio, sì nello stile, che quello si tira dietro (p. 3429. fine). E come ho detto a
pagg. 3417-9. che il linguaggio
{propriamente} poetico in
italia non fu pienamente determinato, stabilito, e
distinto e separato dal prosaico, se non dopo il cinquecento, e massime in
questo e nella fine dell'ultimo secolo; così si deve dire del linguaggio
prosaico, quanto all'essere così esattamente determinato ch'ei non possa mai
confondersi col poetico, nè dar nel poetico senza biasimo ec. Il che non ha
potuto perfettamente essere finchè i termini fra questi due linguaggi non sono
stati fermamente posti, e chiaramente precisamente
3564
incontrovertibilmente segnati, tirati, descritti. Onde il linguaggio
perfettamente proprio e particolare della prosa, e il perfettamente proprio e
particolare della poesia sono dovuti venire in essere a un medesimo tempo, e non
prima l'uno che l'altro (o non prima esser perfetto ec. ec. l'uno che l'altro, e
crescer del pari quanto alla loro prosaicità e poeticità); perchè ciascun de'
due è rispettivo all'altro ec. ec. (30. Sett. 1823.).
[3572,1]
Alla p. 3077.
È da notare che gli argomenti ch'io traggo da tali participii spagnuoli a
dimostrare
3573 gli antichi participii latini regolari
ec. (e così sempre che dallo spagnuolo io argomento all'antico latino, al
volgare ec.), sono tanto più valevoli, quanto siccome la lingua francese è
nell'estrinseco e nell'intrinseco, fra tutte le figlie della latina, la più
remota e alterata dalla lingua madre (secondo ho detto altrove pp. 965.
sgg.
pp. 1499. sgg.
pp. 2989-90
p. 3395), così la spagnuola è nell'estrinseco la più vicina, {#1. V. p. 3818.} mentre però nell'intrinseco lo è la italiana,
come altrove ho distinto pp.
1499-504. Ma dell'intrinseco poco ha che fare il nostro discorso. La
lingua spagnuola che per la forma esteriore delle parole ha più di tutte le sue
sorelle ereditato dalla latina, e che più di tutte {le
lingue,} a sentirla leggere o a vederla scritta, rappresenta l'esterna
faccia e il suono della latina e può con essa esser confusa; dev'esser
considerata come speciale e principale conservatrice dell'antichità, della
latinità, del volgar latino ec. quanto alla material forma delle parole e alla
proprietà delle loro inflessioni ec. che è quello che ora c'importa. La qual
conformità particolare col latino si può notar nello spagnuolo da per tutto, ma
nominatamente e singolarmente
3574 e forse più
ch'altrove, nelle coniugazioni de' verbi, il che fa appunto al nostro caso. AMO,
AMAS, AMAt, AMAMVS (lo spagn. muta l'u in o, e questa è la sola mutazione in tutto questo tempo), AMAtIS, AMANt.
Leggansi le sole maiuscole, e s'avrà la coniugazione spagnuola. La quale in
questo tempo è tutta latina, salvo l'omissione del t
in tre soli luoghi, {#1. È naturale agli
organi degli spagn. di non amare la pronunzia del t, onde nelle voci venute dal lat. spessissimo lo mutano in d ch'è più dolce (come fanno anche gl'italiani in
alcuni luoghi intorno alle voci italiane), spessissimo lo tralasciano, come
in questo nostro caso fanno, in parte anche gl'italiani e i francesi}
e la mutazione dell'u in o
in un luogo, mutazione pur tutta latina (vulgus -
volgus ec. ec. ec.) e propria senz'alcun dubbio, {anche in questo caso,} o di tutto l'antico volgo che parlò latino, o
di molte parti e dialetti di esso. Infatti tal mutazione non solo è propria e
dell'italiano e del francese in questo medesimo caso sempre, ma ordinarissima e
quasi perpetua (massime nell'italiano) in quasi tutti o nella più parte degli
altri casi, sì nelle desinenze, sì nel mezzo delle parole o nel principio. V-u-lg-u-s - V-o-lg-o. {#2. Sicché amamos p. amamus non si
dee neppure chiamar mutazione quanto allo spagnuolo, non essendo stata fatta
da esso ma nel latino medesimo, anzi non essendo stata neppur in latino
altro che un'[un] accidente, una qualità,
una maniera di pronunzia. Insomma amamos è latino;
e lo spagn. in questa voce è puro (ed antico e non men che moderno) latino
conservato nel lat. volgare. ec.} La congiugazione italiana è ben più
mutata, e molto più dell'italiana la francese. Basta a noi che le regole e le
inflessioni della coniugazione latina sieno specialmente conservate nella
spagnuola, ancorchè gli elementi del verbo che non toccano l'inflessione
3575 e la regola della coniugazione sieno alterati, o
soppressi ec. Come leo è mutato da lego. Ma la coniugazione di quello essendo similissima
alla coniugazione di questo, l'omissione del g, in cui
consiste l'alterazione di quello, non indebolisce punto l'argomento che dal suo
participio leido si cava a dimostrare il latino
corrispondente legitus. E così discorrete degli altri
casi e argomenti, o sieno dintorno a' participii, o a checchessia ch'appartenga
alle forme generali della congiugazione o d'altro ec.
[3633,1] Scriveva Voltaire al Principe Reale di Prussia, poi Federico II. in proposito di una frase di Orazio e del modo in cui Federico l'aveva renduta traducendo in
francese l'ode in ch'ella si trova: Ces expressions sont bien plus nobles en français:
elles ne peignent pas comme le latin, et c'est-là le grand malheur
de notre langue qui n'est pas assez accoutumée aux
détails.
*
(Lettres du Prince Royal de Prusse et de M.
3634 de Voltaire, Lettre
118. le 6 avril 1740. Oeuvres complettes de Frédéric II, roi de Prusse. 1790.
tome 10, p. 500.) Aveva detto Voltaire che l'espressione latina serait très-basse en
français.
*
[3672,2] La impotenza e strettezza della lingua francese e la
sua inferiorità per rispetto all'altre di qui facilmente si può comprendere, che
l'altre lingue possono, sempre che vogliono,
3673
agevolmente vestire la forma {e lo stile} della
francese (com'effettivamente hanno fatto o fanno tutte le lingue colte
d'europa, o per un certo tempo massimamente, come
l'inglese e la tedesca, o anche oggidì, come l'italiana, la spagnuola, la russa,
la svedese, la olandese ec.; e bene avrebbero potuto farlo e potrebbero farlo
sufficientemente anche senza corrompersi e senza violentare dirittamente la loro
propria e caratteristica indole); laddove la francese non può per niun modo
prendere la forma {nè lo stile} dell'altre lingue, nè
altra forma alcuna che la sua propria. E non pur dell'altre lingue che da lei
sono aliene, per così dire, di famiglia e di sangue, come l'inglese, la tedesca,
la russa ec. le quali pur possono vestire ed hanno vestito o vestono la forma
della francese; ma neanche delle cognate, nè delle sorelle, come dell'italiana
{e} della spagnuola; nè della lingua stessa sua
madre, come della latina. (12. Ott. Domenica. 1823.).
[3747,1]
3747 Come la lingua francese illustre è dominata,
determinata e regolata quasi interamente dall'uso, e certo più che alcun'altra
lingua illustre, così, perocchè l'uso è variabilissimo e inesattissimo, essa
lingua illustre non solo non può esser costante, nè molto durare in uno essere,
come ho notato altrove pp. 1999. sgg.
pp. 3633-35 , ma
veggiamo eziandio che la proprietà delle parole in essa lingua è trascurata più
che nell'altre illustri, e trascurata per regola, cioè presso gli ottimi
scrittori costantemente, non meno che nel parlare ordinario. Voglio dir che gli
usi di moltissime parole e modi ec. anche presso gli ottimi scrittori, sono più
lontani dall'etimologia e dall'origine e dal valor proprio d'esse parole ec.
{+meno corrispondenti ec.} che
non sogliono esser gli usi de' vocaboli nell'altre lingue illustri presso, non
pur gli ottimi, ma i buoni scrittori, e in maggior numero di voci ec. che nelle
altre lingue illustri non sono. {+Che
vuol dir ch'essi usi e significati sono più corrotti ec. E non
potrebb'essere altrimenti perchè l'uso corrente cotidiano e volgare e
generalmente la lingua parlata, anche dai colti, (che è quella cui segue il
francese scritto) corrompe ed altera ogni cosa e non mai non cessa di
rimutare e logorare ec.} P. e. per dire il materiale e lo spirituale,
o il sensibile e l'intellettuale, i francesi dicono il fisico e il morale. (le physique et le moral, le physique et
le moral de l'homme, le monde physique et le
3748 monde moral
{etc.}). Qual cosa più impropria di queste
significazioni, o che si considerino in se stesse o nella loro scambievole
opposizione e in rispetto l'una all'altra? Fisico
propriamente significa forse materiale o sensibile? E il fisico, che
vuol dir naturale, è forse l'opposto dello spirituale o intelligibile?
Quasi che questo ancora non fosse naturale, ma fuori della natura, e vi potesse
pur esser cosa non naturale e fuori della natura, che
tutto abbraccia e comprende, secondo il valor di questa parola e di questa idea,
e che si compone di tutto ch'esiste o può esistere, o può immaginarsi ec. E il
morale com'è l'opposto del naturale? Sia che riguardiamo la propria significazione di morale sia la francese. E che hanno che far l'idee,
l'intelletto, lo spirito umano, gli altri spiriti, il mondo e le cose astratte
ec. coi costumi, ai quali soli propriamente appartiene la voce morale? e gli appartiene pure anche in francese, e
anche nel parlare e scriver francese ordinario (la morale, moralité, etc.). Così
dite degli avverbi physiquement o moralement ec.
[3816,5]
Alla p. 3067.
Non altrimenti, al tempo di Voltaire e
in quei contorni (quando l'unica letteratura d'europa
era, si può dir, la francese, benchè già ben decaduta; essendo spenta l'italiana
e la spagnuola; la tedesca non ancor nata, o bambina, o tutta francese;
l'inglese quasi interrotta, o francese anch'essa, ma già priva de' capi di
quella scuola anglo - gallica, cioè Pope, Addisson, ec.: e
parlo qui della letteratura non delle scienze e filosofia, dove gl'inglesi anche
allora fiorivano), le epistole e poesie indirizzate o da Voltaire medesimo o dagli altri poeti francesi ai
principi di Svezia, di Russia,
d'Alemagna ec. o composte in loro lode, o {su} di loro, o sui loro affari, o sugli avvenimenti ec.
si leggevano, si applaudivano, si ricercavano, si diffondevano, davano materia
di discorso nelle rispettive corti e capitali, e nell'altre corti
d'europa ec. e da' rispettivi principi ec. (lasciando
anche da parte il re e la corte
3817 e capitale, e
quasi tutto il regno, di Prussia, ch'era tutta francese
ec.). Così anche l'altre opere in versi o in prosa, di francesi o scritte in
francese, di letteratura e di poesia, non che di filosofia ec. Sicchè la lingua
italiana occupava nel sopraddetto tempo il grado che la francese non solo occupa
presentemente, ma quello ancora che occupò quando essa letteratura francese era
unica; sì per universalità e diffusione, sì per riputazione, dignità, gusto e
cura diffusane generalmente ec. come si vede anche per questa somiglianza
d'esser ella in quei tempi così {e sopra tutte} gradita
nelle corti, come lo fu nel 700, oltre la lingua, che ancor lo è sopra tutte,
anche la letteratura francese, che or non lo è più se non di pari coll'altre moderne (dal qual numero l'italiana
{d'oggidì} è fuori niente meno che la spagnuola).
(2. Nov. dì de' morti. 1823.).
[3818,1]
Alla p. 3573.
Questa proposizione è molto azzardata. Bisogna intenderla lassamente. Per
rispetto alla lingua francese è vera, parlando generalmente. Ma per rispetto
all'italiana, dubito che sia vero neppur generalmente, ben compensate che sieno
insieme le conformità estrinseche che hanno le lingue italiana e spagnuola colla
latina. Il suono della lingua spagnuola ha più del latino, ma questa è quasi
un'illusione de' sensi. Perchè quei tali suoni latini non sono nello spagnuolo a
quei luoghi in cui erano nel latino. Per esempio la moltitudine degli s contribuisce, e forse principalmente, a
rassomigliare il suon dell'una lingua a quello dell'altra. Ma lo spagn. abbonda
di s, principalmente perchè in essa
3819 lingua tutti i plurali terminano in quella lettera. Non così in
latino. (Vero è però che in latino la terminazione in s è propria di tutti gli accusativi plurali non neutri. Ora, secondo
Perticari, i nomi latini
trasportati nelle lingue figlie, son tutti fatti dagli accusativi delle
declinazioni rispettive latine. Quindi che nello spagn. la terminazione in s sia caratteristica de' plurali, potrebb'esser preso
dal latino, e cosa anch'essa latina. E quest'osservazione può essere di non poco
peso a confermare l'opinione di Perticari; {(sebben ei parla solamente de'
singolari, i quali fatti dall'accusativo latino generano poi i plurali al
modo nostro)} mentre altri con più apparenza di ragione, ma forse men
verità, vogliono che i nostri nomi sieno gli ablativi latini. P. e. amore ec. Ma veramente non si vede perchè, dovendosi
perder l'uso degli altri casi, e restare un solo per tutti, com'è avvenuto nelle
lingue moderne, e come, certo in gran parte, dovette avvenire anche nell'antico
latino volgare e parlato, avesse a prevaler l'uso dell'ablativo. Ben è
consentaneo che l'accusativo si usasse in vece degli altri casi ec. {v. p. 3907.}) L'aggiunger {sempre} la es ai singolari
terminati in consonante non è uso latino, se non in certi casi, e nella terza
declinazione. (Noi per la terminazione de' plurali imitiamo i nominativi {latini} della seconda e della prima. {#1. Sicchè quanto alla terminazione de' plurali, la
conformità dello spagn. col latino, supposta eziandio e conceduta, come
sopra, non si può dire che superi punto quella dell'italiano. Del resto quel
continuo s che si sente nello spagnuolo fa un
suono che tutto insieme considerato è così poco, o tanto, latino, quanto le
continue terminazioni vocali dell'italiano. Il latino è temperato di queste
e di quelle, ed eziandio insieme d'altre molte terminazioni; sicchè
veramente il suo suono, parlando pure in generale e astrattamente non è nè
quello dell'italiano nè anche quello dello spagnuolo. Ben è vero che nello
spagnuolo le terminazioni consonanti sono miste come in latino, alle vocali,
laddove in italiano non v'ha quasi che le vocali; e nello spagnuolo, benchè
la terminazione in s sia, almeno tra le
consonanti, la più frequente, pur v'ha diverse terminazioni consonanti, come
in latino; e niuna terminazione in consonante, che non sia propria, credo,
anche del latino (al contrario che in francese in tedesco ec.), benchè non
sempre, anzi non il più delle volte, ne' casi stessi; e le terminazioni
vocali son piane come in latino e non acute ossia tronche come in francese.
Sotto questi aspetti il suono dello spagnuolo è veramente più conforme al
latino che non è non solo il francese ma neppur l'italiano. E da queste
ragioni nasce che udendo lo spagnuolo si possa più facilmente confonderlo
col latino che non fa il francese nè anche l'italiano. E questo effetto,
sotto questi aspetti, non è un'illusione, nè una cosa che non meriti esser
considerata, e che non abbia un principio e una ragione di conformità o
simiglianza reale. La terminazione consonante in d
frequente nello spagnuolo è rara in latino ma pur v'è, come in ad, illud, id, istud, sed ec.).} Del resto anche in francese
(bensì nel solo francese scritto) la terminazione in s
(e a' singolari terminati in consonante, si aggiunge talvolta la es, se non m'inganno) è caratteristica del plurale
(quella in x vien pure a essere in s); sicchè lo spagnuolo in questa parte non
prevarrebbe al francese se non in quanto ei pronunzia sempre la s, e il francese solo talvolta, e piuttosto per
accidente che per altro. Quanto all'
3820 italiano,
anche nelle forme regolari delle coniugazioni, esso in molte cose assai più
conforme al latino che non è lo spagnuolo. V. p. e. le pag. 3699-701. e la mia teoria de' continuativi dove si parla del digamma
eolico in amaFi ec pp. 1126-27. E
basti osservare che lo spagn. non ha che tre coniugazioni; l'italiano le ha
tutte quattro, e tutte, in molti caratteri, corrispondenti alle rispettive
latine, come negl'infiniti āre, ēre, ĕre, īre (lo
spagnuolo manca del 3.o e gli altri non gli ha che tronchi), e in altre cose.
Anche il francese ha 4. coniugazioni, ma non corrispondono alle latine (eccetto
quella in ir quanto all'infinito ec.), e la conformità
del numero {(cioè l'esser 4. come in latino)} sembra,
ed è forse, un puro caso; il che non si può certo dire dell'italiano. E quanto
alla conservazione della latinità in mille e mille altre sì regole, sì voci
particolari materialmente considerate, sì frasi considerate pure materialmente
(chè ora parliamo dell'estrinseco), {significati ed usi delle
parole e frasi, anche propri originalmente o sempre del popolo e del
parlato, non del solo illustre ec.} dubito assai che lo spagnuolo
possa esser preposto, anzi pure agguagliato all'italiano. Questa e quell'altra
voce {ec.} sarà più latina in ispagnuolo che in
italiano (così avverrà alcune volte che nello stesso francese una voce ec. sia
più latina che nelle due sorelle, {o in una di loro,} o
che queste {o l'una di esse,} non abbiano una voce ec.
nel francese conservata, {+nè pertanto
sarà chi dica la latinità conservarsi più nel francese che nelle sorelle, o
che nell'una di esse}); questa e quella voce latina resterà nello
spagnuolo, e all'italiano mancherà; ma, raccolti i conti {e
computati i casi contrarii, e posto tutto insieme,} io credo che in
tutte queste cose l'italiano soverchi lo spagnuolo di grandissima lunga.
(3. Novembre 1823.).
[3863,2] Accade nelle lingue come nella vita e ne' costumi; e
nel parlare come nell'operare, e trattare con gli uomini (e questa non è
similitudine, ma conseguenza.) Nei tempi e nelle nazioni dove la singolarità
dell'operare, de' costumi ec. non è tollerata, è ridicola ec. lo è similmente
anche quella del favellare. E a proporzione che la diversità dall'ordinario,
maggiore o minore, si tollera o piace, {ovvero} non
piace, non si tollera, è ridicola ec. più o meno; maggiore o minore o niuna
diversità piace, dispiace, si tollera o non si tollera nel favellare. Lasceremo
ora il comparare a questo proposito le lingue antiche colle moderne, e il
considerare come corrispondentemente
3864 alla diversa
natura dello stato e costume delle nazioni antiche e moderne, e dello spirito e
società umana antica e moderna, tutte le lingue antiche sieno o fossero più
ardite delle moderne, e sia proprio delle lingue antiche l'ardire, e quindi esse
sieno molto più delle moderne, per lor natura, atte alla poesia; perocchè tra
gli antichi, dove e quando più, dove e quando meno, ηὐδοκίμει la singolarità
dell'opere, delle maniere, de' costumi, de' caratteri, degl'istituti delle
persone, e quindi eziandio quella del lor favellare e scrivere. La nazion
francese, che di tutte l'altre sì antiche sì moderne, è quella che meno approva,
ammette e comporta, anzi che più riprende ed odia e rigetta e vieta, non pur la
singolarità, ma la nonconformità dell'operare e del conversare nella vita
civile, de' caratteri delle persone ec.; la nazion francese, dico, lasciando le
altre cose a ciò appartenenti, della sua lingua e del suo stile; manca affatto
di lingua poetica, e non può per sua natura averne, perocchè ella deve
naturalmente inimicare e odiare, ed odia infatti, come la singolarità delle
azioni ec. così la singolarità del favellare e scrivere. Ora il parlar poetico è
per sua natura diverso dal parlare ordinario. Dunque esso ripugna per sua natura
alla natura della società e della nazione francese. E di fatti la lingua
francese è incapace, non solo di quel peregrino che nasce dall'uso di voci,
modi, significati tratti da altre lingue,
3865 o dalla
sua medesima antichità, anche pochissimo remota, ma eziandio di quel peregrino e
quindi di quella eleganza che nasce dall'uso non ordinario delle voci e frasi
sue moderne e comuni, cioè di metafore non trite, di figure, sia di sentenza,
sia massimamente di dizione, di ardiri di ogni sorta, anche di quelli che non
pur nelle lingue antiche, ma in altre moderne, come p. e. nell'italiana,
sarebbero rispettivamente de' più leggeri, de' più comuni, e talvolta neppure
ardiri. Questa incapacità si attribuisce alla lingua; ella in verità è della
lingua, ma è acora della nazione, e non per altro è in quella, se non perch'ella
è in questa. Al contrario la nazion tedesca, che da una parte per la sua
divisione e costituzion politica, dall'altra pel carattere naturale de' suoi
individui, pe' lor costumi, usi ec. {+per
lo stato presente della lor civiltà, che siccome assai recente, non è in
generale così avanzata come in altri luoghi,} e finalmente per la
rigidità del clima che le rende naturalmente propria la vita casalinga, e
l'abitudine di questa, è forse di tutte le moderne nazioni civili la meno atta e
abituata alla società personale ed effettiva; sopportando perciò facilmente ed
anche approvando e celebrando, non pur la difformità, ma la singolarità delle
azioni, costumi, caratteri, modi ec. delle persone (la qual
singolata[singolarità] appo loro non ha
pochi nè leggeri esempi di fatto, anche in città e corpi interi, come in quello
de' fratelli moravi, e in altri molti istituti ec. ec. tedeschi, che per verità
non hanno
3866 punto del moderno, e parrebbero
impossibili a' tempi nostri, ed impropri affatto di essi), sopporta ancora, ed
ammette e loda ec. una grandissima singolarità d'ogni genere nel parlare e nello
scrivere, ed ha la lingua, non pur nel verso, ma nella prosa, più ardita {per sua natura} di tutte le moderne colte, e pari {in questo} eziandio alla più ardita delle antiche. La
qual lingua tedesca per conseguenza è poetichissima e {capace
e} ricca d'ogni varietà ec. (11. Nov. 1823.).
[3866,1] Il pellegrino e l'elegante che nasce dall'introdurre
nelle nostre lingue voci, modi, e significati tolti dal latino, è quasi della
stessa natura ed effetto con quello che nasce dall'uso delle nostre proprie
voci, modi e significati antichi, o passati dall'uso quotidiano, volgare,
parlato ec. Perocchè siccome queste, così quelle (e talor più delle seconde, che
siccome erano, così conservano talvolta del barbaro della {loro} origine o dell'incolto di que' tempi che le usarono {ec.}) hanno sempre (quando sieno convenientemente
scelte, ed atte alle lingue ove si vogliono introdurre) del proprio e del
nazionale, quando anche non sieno mai per l'addietro state parlate nè scritte in
quella tal lingua. E ciò è ben naturale, perocch'esse son proprie di una lingua
da cui le nostre sono nate ed uscite, e del cui sangue e delle cui ossa {queste} sono formate. Onde queste tali voci {ec.} spettano in certo modo all'antichità delle nostre
lingue, e riescono in queste quasi come lor {proprie}
voci antiche. Sicchè non è senza ragione verissima, se biasimando l'uso o
introduzione di voci ec. tolte dall'altre lingue, sieno antiche sieno moderne,
(eccetto le voci ec. già naturalizzate) lodiamo quella delle voci {ec.} latine. Perocchè quelle a differenza di queste,
sono come di sangue, così di {aspetto e di} effetto
straniero, e diverso
3867 da quello delle altre nostre
voci, e delle nostre lingue in genere, e del loro carattere ec. La novità tolta
{prudentemente} dal latino, benchè novità
assolutissima in fatto, è per le nostre lingue piuttosto restituzione
dell'antichità che novità, piuttosto peregrino che nuovo; e veramente (anche
quando non sia troppo prudente nè lodevole) ha più dell'arcaismo che del
neologismo. Al contrario dell'altre novità, e degli altri stranierismi ec. E per
queste ragioni, oltre l'altre, è ancor ragionevole e consentaneo che la lingua
francese sia, com'è, infinitamente men disposta ad arricchirsi di novità tolta
dal latino, che nol son le lingue sorelle. Perocchè essa lingua è molto più di
queste sformata e diversificata dalla sua origine, degenerata, allontanata ec.
Onde quel latinismo che a noi sarebbe convenientissimo e facilissimo perchè
consanguineo {e materno} ec. alla lingua francese,
tanto mutata dalla sua madre, riescirebbe affatto alieno e straniero e non
materno ec. Meglio infatti generalmente riesce e fa prova e si adatta e
s'immedesima e par naturale nella lingua francese la novità tolta dall'inglese e
dal tedesco (che agl'italiani e spagnuoli sarebbe insopportabile e barbara) che
quella dal latino. Questo può vedersi in certo modo anche ne' cognomi {e nomi propri} inglesi, tedeschi, ec. {che si} nominino nel francese. Paiono {sovente e gran parte di loro} molto men forestieri che
tra noi, e men diversi ed alieni da' nazionali.
[3937,3] Ho detto altrove in più luoghi pp. 965. sgg.
pp. 1499. sgg.
pp. 2869. sgg.
pp. 2989-90
p. 3395
p.
3573 che la francese per l'estrinseco e per l'intrinseco è di tutte le
lingue sorelle la più lontana dalla madre. Molto più vicina le fu ne' passati
secoli (come nel 500 ec.) per l'intrinseco, siccome per l'estrinseco ancora,
cioè per la pronunzia della loro scrittura (ch'è tanto più simile al latino che
la loro favella) erano più vicini al latino non solo nel 300 ec. come ho detto
altrove p. 2869, e ne' principii della lingua, ma nel 500
ancora e nel 600 di mano in mano ec. (29.
3938
Nov. 1823.)
[3946,2] La lingua greca appartiene veramente e propriamente
alla nostra famiglia di lingue (latina, italiana, francese, spagnuola, e
portoghese), non solo perch'ella non può appartenere ad alcun'altra, e farebbe
famiglia da se o solo colla greca moderna; non solamente neppure per esser
sorella o, come gli altri dicono, madre della latina (nel primo de' quali casi
ella dovrebbe esser messa almeno colla latina, e nel secondo è chiaro ch'ella va
posta nella nostra famiglia), ma specialmente e principalmente perchè la sua
letteratura è veramente madre della latina, la qual è madre delle nostre, e
quindi la letteratura greca è veramente l'origine delle nostre, le quali in
grandissima parte non sarebbero onninamente quelle che sono e quali sono (se non
se per un incontro affatto fortuito) s'elle non fossero venute di là. E come la
letteratura è quella che dà forma e determina la maniera di essere delle lingue,
e lingua formata e letteratura sono quasi la stessa cosa, o certo
3947 cose non separabili, e di qualità compagne e
corrispondenti; e come per conseguenza la letteratura greca (oltre le tante voci
e modi particolari) fu quella che diede veramente e principalmente forma alla
lingua latina, e ne determinò la maniera di essere, il carattere e lo spirito,
di modo che la lingua e letteratura latina, quando anche fossero nate, formate e
cresciute senza la greca, non sarebbero certamente state quelle che furono, ma
altre veramente, e in grandissima parte diverse per natura e per indole e forma,
e per qualità generali e particolari, e sì nel tutto, sì nelle parti maggiori o
minori, da quelle che furono; stante, dico, tutto questo, la letteratura greca
(oltre lo studio immediato fattone da' formatori delle nostre lingue, come da
quelli della latina) viene a esser veramente la madre e l'origine prima delle
nostre lingue, come la latina n'è la madre immediata; le quali lingue (anche la
francese che insieme colla sua letteratura è la più allontanata dalla sua
origine, e dalla forma latina, e dall'indole della latina, e quindi eziandio
della greca) non sarebbero assolutamente tali quali sono, ma altre e in
grandissima parte diverse sì nello spirito, sì in cento e mille cose
particolari, se non traessero primitivamente origine in grandissima parte dal
greco per mezzo del latino. E veramente la lingua greca mediante la sua
letteratura è prima (quanto si stende la nostra memoria dell'antichità) e vera
ed efficacissima causa dell'esser sì la lingua e letteratura latina, sì le
nostre lingue e letterature, anche la francese, tali quali elle sono,
3948 e non altre; chè per natura elle ben potrebbero
essere diversissime in molte e molte cose, anche essenziali ed appartenenti allo
spirito ed all'indole ec. e alquanto diverse più o meno in altre molte cose più
o meno essenziali o non essenziali. E forse non mancano esempi di altre
letterature e lingue antiche o moderne, anche meridionali ec., che non essendo
venute dal greco, sono diversissime, anche per indole ec. e nel generale ec. non
meno o poco meno che ne' particolari, dalla latina e dalle nostrali. E ne può
esser prova il vedere quanto la francese si è allontanata, anche di spirito,
dalla latina e dalla greca alle quali era pur conformissima nel 500 ec. (vedi la
p. 3937.), senz'aver mutato
clima ec. Certo i tempi nostri son diversissimi da quelli de' greci {e de' latini,} quando anche il clima sia conforme,
diversissime sono state e sono le nostre nazioni, {#1. loro governi, opinioni, costumi, avvenimenti e
condizioni qualunque,} sì tra loro, {#2. sì ciascuna di esse da se medesima in diversi
tempi,} sì dalla greca, e dalla latina eziandio. Nondimeno le loro
lingue e letterature sono state conformi, massime fino agli ultimi secoli, e tra
loro, e tra' vari lor tempi, e colla greca e latina ec. Sicchè tal conformità
non si deve attribuire nè solamente nè principalmente al clima, nè ad altre
circostanze naturali o accidentali, ma all'accidente di esser derivate
effettivamente dal greco e latino, chè ben potevano non derivar da nessuno, o
derivare d'altronde ec. ec.
[3972,1]
3972 Risulta da quello che in più luoghi si è detto
pp. 838. sgg.
pp.
1683-84
pp. 1946-51
pp. 1953-57
pp. 3253-62 circa la
natura di una lingua atta (massime ne' nostri tempi) veramente alla
universalità, che ella non solo non può esser più delle altre lingue capace di
traduzioni, di assumer l'abito dell'altre lingue, o tutte o in maggior numero o
meglio che ciascun'altra, di piegarvisi più d'ogni altra, di rappresentare in
qualunque modo le altre lingue; ma anzi ella dev'essere per sua natura l'estremo
contrario, cioè sommamente unica d'indole, di modo ec. e sommamente incapace
d'ogni altra che di se stessa, ed in se stessa minimamente varia, e da se
medesima in ogni caso il men che si possa diversa. E una lingua che tenga
l'estremo contrario è di sua natura, massime a' tempi nostri, estremamente
incapace dell'universalità. Non bisogna dunque figurarsi che una lingua
universale nè debba nè possa portare questa utilità di supplire alla cognizione
di tutte le altre lingue, di esser come lo specchio di tutte l'altre, di
raccoglierle, per così dir, tutte in se stessa, col poterne assumer l'indole
ec.; ma solo di servire in vece di
tutte le altre lingue, e di esser loro sostituita. Anzi ella non può veramente altro ch'esser sostituita
all'uso dell'altre e di ciascuna altra, e non supplire ad esse ec. Ben grande
sarebbe quella utilità, ma essa è contraria direttamente alla natura di una
lingua universale. Tale si è infatti la francese. Nè i francesi dunque nè gli
stranieri si lusinghino di avere in quella lingua tutto ciò che potrebbero avere
nell'altre, ma una lingua diversissima per sua natura dall'altre, il cui uso a
quello di tutte l'altre possono facilmente sostituire. Nè stimino che volendo
conoscer
3973 l'altre lingue, autori ec. il posseder la
francese, li dispensi più che alcun'altra lingua dallo studio di tutte l'altre,
anzi per questo effetto la francese non serve a nulla, ed i francesi per parlare
come nativa una lingua sommamente disposta alla universalità, si debbono
contentare di avere una lingua incapacissima di traduzioni, inettissima a servir
loro di specchio e di esempio, e fin anche di mezzo, per conoscere qualunque
altra lingua, autore ec. Il fatto della lingua francese dimostra queste
asserzioni. {+1. Sebbene i francesi
coll'estrema trascuranza che hanno dell'altre lingue mostrano essere
persuasi del contrario.} La natura della greca era appunto l'opposto.
Ella infatti perciò, anche nel tempo antico, non potè essere universale che
debolissimamente e incomparabilmente alla possibile universalità di una lingua,
ed anche all'effettiva presente universalità della francese, malgrado le molte
qualità, e massimamente le infinite circostanze estrinseche (potenza, commercio,
letteratura e civiltà unica della nazione che la parlava) che favorirono, (e per
lunghissimo tempo), e quasi necessitarono la sua universalità, molto più che le
circostanze estrinseche della francese ec. (11. Dec. 1823.).
[3980,4] L'ortografia francese fu da principio ed anche per
lungo tempo proporzionatamente, molto più simile alla scrittura latina che non è
oggi, anzi sempre più se ne va scostando per accostarsi alla pronunzia. Fu,
dico, molto più simile, sì perchè anche la pronunzia lo era, e sì per
l'inesattezza e latinismo comuni a tutte le ortografie moderne, come altrove in
più luoghi pp. 1659-60
pp. 1968-69
pp. 2458-63
pp. 2884-85
p.
3683
pp. 3959-60. Ora, se cambiandosi la pronunzia e correggendosi il
barbaro latinismo dell'ortografia, la scrittura francese si è mutata
3981 non poco, perchè non si dovrà mutarla affatto sin
tanto ch'ella si conformi onninamente alla pronunzia e francese e presente, qual
ella è in fatti, e rinunzi del tutto alla forma latina delle parole scritte in
quanto ell'è diversa da quella di esse parole pronunziate, ed all'aver riguardo
in qualunque modo al latino? Se ciò non si è ancor fatto, e se non si farà, vuol
dire che l'ortografia francese non è ancora o non sarà mai perfetta, nè
interamente rettificata, anzi è imperfettissima e scorrettissima. Il contrario è
avvenuto ed avviene ancor tuttavia (conformandosi sempre al nuovo modo di
pronunziare, o conformandosi alla pronunzia dove l'antica ortografia non vi si
conformava; come p. e. oggi tutti scrivono ispirare e
simili, laddove tutti gli antichi inspirare, sia che
così pronunziassero, sia che latinizzassero in questa scrittura) nell'ortografia
spagnuola e massimamente nell'italiano che perciò sono perfette, o quasi, e
certo assai più della francese vicine alla perfezione. Non così nell'inglese,
nella tedesca ec. perciò imperfette come la francese, ma forse meno, perch'esse
da principio non ebbero occasione nè modo di guardare al latino, con cui non
hanno che fare {+le loro lingue,}
massime il tedesco, o certo di guardarvi meno, e quindi minor cagione
d'allontanarsi dalla pronunzia e dalla forma reale delle voci propria della loro
lingua, e d'uscire dei termini e vera proprietà di questa ec. (14. Dec.
1823.).
[4001,2] Delle colonie greche in
italia, sicilia ec. e antico
commercio ec. greco in italia, avanti il dominio de'
romani, la diffusione o formazione di quella lingua latina, che noi conosciamo,
cioè romana ec. e del grecismo che per tali cagioni può esser rimasto nel
volgare latino {in} quelle parti, e quindi ne' volgari
moderni {+in quelle parti,} e
quindi nel comune italiano eziandio, massime che la formazione e letteratura di
questo ebbe principio in Sicilia e nel
4002 regno, come mostra il Perticari nell'Apologia, ec. ec., discorrasene proporzionatamente nel
modo che altrove s'è discorso pp. 1014-16
p. 2655 delle Colonie greco - galliche, di
Marsiglia ec. in rispetto ai grecismi della lingua
francese non comuni al latino noto ec. (24. Dec. 1823. Vigil. del S.
Natale.).
[4031,1]
4031 Certo le condizioni sociali e i governi e ogni
sorta di circostanze della vita influiscono sommamente e modificano il carattere
e i costumi delle varie nazioni, anche contro quello che porterebbe il
rispettivo loro clima e l'altre circostanze naturali, ma in tal caso quello
stato o non è durevole, o debole, o cattivo, o poco contrario al clima, o poco
esteso nella nazione, o ec. ec. E generalmente si vede che i principali
caratteri o costumi nazionali, anche quando paiono non aver niente a fare col
clima, o ne derivano, o quando anche non ne derivino, e vengano da cagioni
affatto diverse, pur corrispondono mirabilmente alla qualità d'esso clima o
dell'altre condizioni naturali d'essa nazione o popolo o cittadinanza ec. Per
es. io non dirò che il modo della vita sociale rispetto alla conversazione e
all'altre infinite cose che da questa dipendono o sono influite, proceda
assolutamente e sia determinato nelle varie nazioni
d'europa dal loro clima, ma certo ne' vari modi
tenuti da ciascuna, e propri di ciascuna quasi fin da quando furono ridotte a
precisa civiltà e distinta forma nazionale, ovvero da più o men tempo, si scopre
una curiosissima conformità {generale} col rispettivo
clima in generale considerato. Il clima d'italia e di
Spagna è clima da passeggiate e massime nelle lor
parti più meridionali. Ora queste nazioni non hanno conversazione affatto, nè se
ne dilettano: e quel poco che ve n'è in italia, è nella
sua parte più settentrionale, in Lombardia, dove certo si
conversa assai più che in Toscana, a
Napoli, nel Marchegiano, in
Romagna, dove si villeggia
4032 e si fanno tuttodì partite di piacere, ma non di conversazione, e
si chiacchiera assai, e si donneggia assaissimo, ma non si conversa; in
Roma ec. Il clima
d'Inghilterra e di Germania
chiude gli uomini in casa propria, quindi è loro nazionale e caratteristica la
vita domestica, con tutte l'altre infinite qualità di carattere e di costume e
di opinione, che nascono o sono modificate da tale abitudine. Pur vi si conversa
più assai che in italia e Spagna
(che son l'eccesso contrario alla conversazione) perchè il clima è per tale sua
natura meno nemico alla conversazione, poichè obbligandoli a vivere il più del
tempo sotto tetto e privandoli de' piaceri della natura, ispira loro il
desiderio di stare insieme, per supplire a quelli, e riparare al vôto del tempo
ec. Il clima della Francia ch'è il centro della
conversazione e la cui vita e carattere e costumi e opinioni è tutto
conversazione, tiene appunto il mezzo tra quelli d'Italia
e Spagna, Inghilterra e
Germania, non vietando il sortire, {e il trasferirsi da luogo a luogo,} e rendendo
aggradevole il soggiornare al coperto: siccome la vita
d'Inghilterra e Germania tiene
appunto il mezzo, massime {in quest'ultimi tempi,} per
rispetto alla conversazione, tra la vita d'Italia e
Spagna e quella di Francia, e
così il carattere ec. che ne dipende. E già in mille altre cose la
Francia, siccome il suo clima, tiene il mezzo fra'
meridionali e settentrionali, del che altrove in più luoghi pp.
1045-46
pp.
2989-90. Non parlo delle meno estrinseche e più spirituali influenze
del clima sulla complessione e abitudine del corpo e dello spirito, {+anche fin dalla nascita,} che pur
grandissimamente
4033 contribuiscono a cagionare e
determinare la varietà che si vede nella vita delle nazioni, popolazioni,
individui tutti partecipi (come son oggi) di una stessa sorta di civiltà, circa
il genio e l'uso della conversazione. (15. Feb. 1824.).
[4118,3] Delle vicende della lingua francese, v. Thomas l. c. chap. 28. p. 81-97. (26. Agosto.
1824.).
[4214,3] I francesi non hanno lingua poetica perchè hanno
rigettata la lingua antica, perchè non sopportano l'antico nel verso niente più
che nella prosa: e senza l'antico non vi può esser lingua poetica. I Latini che ebbero pochissima antichità
di lingua, perchè il progresso della loro letteratura fu rapidissimo, e che
rigettarono, ad eccezione di pochissime {e
piccolissime} parti conservate nel verso, quella poca antichità che
avevano, non ebbero lingua poetica propriamente, nè avrebbero avuto dicitura e
stile poetico se non avessero usato nella poesia costruzioni ardite, e nuovi
significati e metafore di parole, che i francesi non sopportano nella loro.
{#(1) Notisi quindi che presso i latini
ciascun poeta era artefice della sua lingua poetica; la lingua poetica dei
latini era opera individuale del poeta, e se il poeta non se la facea, non
l'aveva: dove in italiano e in greco ella era cosa universale, e il poeta
l'avea già prima di porsi a comporre. E da ciò forse può nascere l'abuso e
la soverchia copia del verseggiare e dei verseggiatori ec. ec.} Del
resto l'avere i latini e i francesi a differenza dei greci e degl'italiani,
rigettata ne' loro buoni {e perfetti} secoli
l'antichità della lingua, venne, fra l'altre cose, dal non aver essi avuto nelle
loro lingue antiche scrittori veramente sommi, a differenza dei greci, che
ebbero Omero, Esiodo, Archiloco, Ippocrate, Erodoto ec. e degl'italiani, ch'ebbero
Dante, Petrarca, Boccaccio, insomma {(come i greci)} la
letteratura già stabilita, {fissata} e formata prima
della lingua e della maturità della civilizzazione.
(Bolog. 12. Ott. 1826.).
[4243,3] Disprezzo e ignoranza dei greci per la letteratura
latina. V. Speroni
Diall. ed.
Ven. 1596. p. 420. - Si potrebbero in ciò i
greci assomigliare ai francesi.
[4261,2] Tutti siamo naturalmente inclinati a stimar noi
medesimi uguali a chi ci è superiore, superiori agli uguali, maggiori di ogni
comparazione cogl'inferiori; in somma ad innalzare il merito proprio sopra {quel degli altri fuor di modo e ragione.} Questo è
natura universale, e vien da una sorgente comune a tutti. Ma un'altra sorgente
d'orgoglio {e di disistima altrui,} sconosciuta affatto
a noi; divenuta, per l'assuefazione incominciata sin dall'infanzia, naturale e
propria; è ai Francesi e agl'Inglesi la stima della propria nazione. Tant'è: il
più umano e ben educato e spregiudicato francese o inglese, non può mai far che
trovandosi con forestieri, non si creda cordialmente e sinceramente di trovarsi
con un inferiore a se (qualunque si sieno le altre circostanze); che non
disprezzi più o meno le altre nazioni prese in grosso; e che in qualche modo,
più o meno, non dimostri {esteriormente} questa sua
opinione di superiorità. Questa è una molla, una fonte {ben
distinta} di orgoglio, e di stima di se in pregiudizio o abbassamento
d'altrui, della quale niun altro fra i popoli civili, se non gli uomini delle
dette nazioni, possono avere o formarsi una giusta idea. I Tedeschi che
potrebbero con altrettanto diritto aver lo stesso sentimento, ne sono impediti
dalla lor divisione, dal non esserci nazion tedesca. I Russi sentono di esser
mezzo barbari; gli Svedesi, i Danesi, gli Olandesi, di essere troppo piccoli, e
di poter poco. Gli Spagnuoli del tempo di Carlo quinto e di Filippo
secondo, ebbero certamente questo sentimento, come veggiamo dalle
storie, niente meno che i francesi e gl'inglesi di oggidì, e con diritto uguale;
forse, senza diritto alcuno, l'hanno anche oggi; e così i Portoghesi: ma chi
pone oggi in conto gli Spagnuoli e i Portoghesi, parlando di popoli civili?
Gl'italiani forse l'ebbero (e par veramente di sì) nei secoli 15.o e 16.o e
parte del precedente e del susseguente; per conto della lor civiltà, che essi
ben conoscevano, e gli altri riconoscevano, esser superiore a quella di tutto il
resto d'europa. Degl'italiani d'oggi non parlo; non so
ben se ve n'abbia.
[4265,1] Noi italiani siamo derisi per le nostre cerimonie e
i nostri titoli (che noi abbiamo avuti dagli spagnuoli) {+specialmente dai francesi, che hanno fama d'essere in
ciò i più disinvolti.} Frattanto noi non abbiamo il costume che hanno
i francesi, che il Monsieur sia, per così dire,
inseparabile da tutti i nomi di persone; che gli autori lo aggiungano al lor
nome proprio nei {frontespizi} delle loro opere; che
esso vi si conservi perpetuamente, o vi sia posto, anche quando gli autori son
morti; e simili. (Recanati. 29. Marzo.
1827.).
[4293,1]
4293 L'estrema imperfezione dell'ortografia francese è
confessata in modo très - éclatant dagli stessi francesi {con} que'
loro dizionari che contengono la
prononciation
figurée, cioè rappresentata in modo più conforme
all'alfabeto ed alla ragion naturale. Che si dee pensare della scrittura di una
nazione, la quale scrittura ha bisogno di essere scritta in un altro modo, di
essere rappresentata con un'altra scrittura, e ciò alla stessa nazione, acciò
che questa intenda ciò che quella significa? giacchè l'intendere come essa vada
pronunziata, non è altro che intendere il suo valore.
(Firenze. 21. Sett. 1827.).
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