Stile. Può esso solo costituir poesia; e per avere semplicemente stile poetico, bisogna essere vero poeta.
Style. Alone can constitute poetry; and to simply have poetic style, one has to be a true poet.
2050,12049,1 2056,1 2468 2979-80 3388,1 3717,1Non vi fu mai stile barbaro con lingua buona, nè viceversa.
There was never barbarous style with good language, nor vice versa.
3398-9 3419Arte dello stile in che consista.
The art of style, what it consists of.
2611,2 3952,1Arte dello stile. Sua difficoltà.
The art of style. Its difficulty.
2725,1 3673,1 3952,1 4021,5Arte dello stile. Propria degli antichi esclusivamente.
The art of style. Proper exclusively to the ancients.
2914,1 3439,1 4213,7Francesi e moderni non hanno stile.
The French and the moderns do not have style.
2906,2Presso gli antichi, lo stile fu il tutto.
Among the ancients, style was everything.
4213,7Lo stile mal si può distinguere dalla lingua.
Style can hardly be distinguished from language.
2906,2Stile. Suo effetto, sostanzialmente vario ne' diversi lettori.
Style. Its effect, substantially different in different readers.
3952,1Chi cerca oggi, scrivendo, il perfetto stile, scrive ai morti.
Today those who write seeking a perfect style, are writing for the dead.
4240,12Inutile oggi lo stile; ma pur, senza stile, impossibile l'immortalità letteraria.
Style today is useless, and yet, without style, literary immortality is impossible.
Vedi Arte del comporre. Francese (stile). Francesi e moderni. See Art of composition. French (style). French and moderns. 4268,7[2049,1]
Alla p. 2043.
margine. La bellezza e il diletto dello stile d'Orazio, e d'altri tali stili energici e rapidi, massime
poetici, giacchè alla poesia spettano le qualità che son per dire, e soprattutto
lirici, deriva anche sommamente da questo, ch'esso tiene l'anima in continuo e
vivissimo moto ed azione, col trasportarla a ogni tratto, e spesso bruscamente,
da un pensiero, da un'immagine, da un'idea, da una cosa ad un'altra, e talora
assai lontana, e diversissima: onde il pensiero ha da far molto a
2050 raggiungerle tutte, è sbalzato qua e là di
continuo, prova quella sensazione di vigore (v. p. 2017. capoverso ult.) che si prova nel fare un
rapido cammino, o nell'esser trasportato da veloci cavalli, o nel trovarsi in
una energica azione, ed in un punto di attività (v. p. 1999.); è sopraffatto dalla moltiplicità, e
dalla differenza delle cose, (v. la mia teoria
del piacere
pp. 165. sgg. ) ec. ec.
ec. E quando anche queste cose non sieno niente nè belle, nè grandi, nè vaste,
nè nuove ec. nondimeno questa sola qualità dello stile, basta a dar piacere
all'animo, il quale ha bisogno di azione, perchè ama soprattutto la vita, e
perciò gradisce anche e nella vita, e nelle scritture una certa non eccessiva
difficoltà, che l'obbliga ad agire vivamente. E tale è il caso d'Orazio, il quale alla fine non è poeta
lirico che per lo stile. Ecco come lo stile anche separato dalle cose, possa pur
essere una cosa, e grande; tanto che uno può esser poeta, non avendo
2051 altro di poetico che lo stile: e poeta vero, {e universale,} e per ragioni intime, e qualità
profondissime, ed elementari, e però universali dello spirito umano.
[2056,1] Tali stili, che ho detto pp. 2050-51
bastare alle volte senz'altro a fare un poeta, sono poi così difficili a
distinguersi dalle cose, che non facilmente potrete dire, se il tal pezzo
scritto in simile stile, sia poetico pel solo stile, o per le cose ancora. Del
resto è evidente che detti stili domandano vivacità d'immaginazione ec. ec. nel
poeta (e nel lettore ancora), e quindi disposizioni poetiche: e se vorremo
sottilmente guardare, poche pochissime parti troveremo nelle più poetiche
poesie, che detratte queste e simili qualità dello stile in
2057 cui sono scritte, restino ancora poetiche. L'immaginazione in
gran parte non si diversifica dalla ragione, che pel solo stile, o modo, dicendo
le stesse cose. Ma queste cose la ragione non le saprebbe nè potrebbe mai dir
così; e solo il poeta vero le esprime in tal modo. (5. Nov.
1821.).
[2468,1]
Nelle annotazioni alle mie Canzoni (Canzone 6. stanza 3. verso 1)
ho detto e mostrato che la metafora raddoppia o moltiplica l'idea rappresentata
dal vocabolo. Questa è una delle principali cagioni per cui la metafora è una
figura così bella, così poetica, e annoverata da tutti i maestri fra le parti e
gl'istrumenti principalissimi dello stile poetico, o anche prosaico ornato e
sublime ec. Voglio dire ch'ella è così piacevole perchè rappresenta più idee in
un tempo stesso (al contrario dei termini). E però ancora si raccomanda al poeta (ed è effetto e segno
notabilissimo della sua vena ed entusiasmo e natura poetica, e facoltà
inventrice e creatrice) la novità delle metafore. Perchè grandissima, anzi
infinita parte del nostro discorso è metaforica, e non perciò quelle metafore di
cui ordinariamente si compone risvegliano più d'una semplice idea.
2469 Giacchè l'idea primitiva significata propriamente
da quei vocaboli traslati è mangiata a lungo andare dal significato metaforico
il quale solo rimane, come ho pur detto l. c. E ciò quando anche la stessa
parola non abbia perduto affatto, anzi punto, il suo suo significato proprio, ma
lo conservi e lo porti a suo tempo. P. e. accendere ha
tuttavia la forza sua propria. Ma s'io dico accender
l'animo, l'ira ec. che sono metafore, l'idea che risvegliano è una,
cioè la metaforica, perchè il lungo uso ha fatto che in queste tali metafore non
si senta più il significato proprio di accendere, ma
solo il traslato. E così queste tali voci vengono ad aver più significazioni
quasi al tutto separate l'una dall'altra, quasi affatto semplici, e che tutte si
possono {omai} chiamare ugualmente proprie. Il che non può accadere nelle metafore nuove,
nelle quali la moltiplicità delle idee resta, e si sente tutto il diletto della
metafora: massime s'ell'è ardita, cioè se non è presa sì da vicino che le idee,
benchè diverse,
2470 pur quasi si confondano insieme, e
la mente del lettore o uditore non sia obbligata a nessun'azione ed energia più
che ordinaria per trovare e vedere in un tratto la relazione il legame
l'affinità la corrispondenza d'esse idee, e per correr velocemente e come in un
punto solo dall'una all'altra; in che consiste il piacere della loro
moltiplicità. Siccome per lo contrario le metafore troppo lontane stancano, o il
lettore non arriva ad abbracciare lo spazio che è tra l'una e l'altra idea
rappresentata dalla metafora; o non ci arriva in un punto, ma dopo un certo
tempo; e così la moltiplicità simultanea delle idee, nel che consiste il
piacere, non ha più luogo. (10. Giugno 1822.). {{V. p.
2663.}}
[2977,1] Ora ella è pur cosa mirabile ad osservare che lo
spirito e la vena di Omero, l'uno tanto
vivido {gagliardo} e fervido e l'altra così ricca e
feconda {in ciascheduna parte,} abbiano potuto reggere,
lascio stare in due poemi, ma in un poema medesimo, per così lungo tratto.
Perciocchè tutti gli altri poeti epici, avendo tolto qual più qual meno, quale
direttamente e quale indirettamente, qual più visibilmente e qual più
copertamente da lui, e successivamente gli uni dagli altri di mano in mano, si
vede tuttavia che non hanno
2978 potuto reggere a un
corso così lungo, per vigorosi e vivaci che fossero, e sonosi contentati d'una
carriera assai più breve, e bene spesso prima di giungere al termine di questa
medesima, hanno pur lasciato chiaramente vedere che si trovavano affaticati, e
che la lena e l'alacrità veniva lor manco, tanto più quanto più s'avvicinavano
alla meta. {Da queste osservazioni si
deduce quanto la natura e l'ingegno son più ricchi dell'arte e come
l'imitatore è sempre più povero dell'imitato. V. Algarotti
Pensieri. Opp. Cremona, t. 8. p.
79.} E Virgilio, il
quale che cosa non ha tolto ad Omero?,
nella seconda metà della sua Eneide riesce
evidentemente languido e stanco, e diverso da se medesimo, se non nella
invenzione, certo però nell'esecuzione {cioè nelle immagini,
nella espansione e vivacità degli affetti} e nello stile, il che non
può esser negato da veruno che ben conosca la maniera, la poesia, la lingua, la
versificazione di Virgilio, anzi a
questi tali la differenza si fa immediatamente sentire: {V. Chateaubriand, Génie.
Paris 1802. Par. 2. l. 2. ch. 10 fin. t. 2.
p. 105-6.} e vedesi che l'immaginazione di Virgilio era per la lunga fatica
illanguidita, raffreddata, e sfruttata; non rispondeva all'intenzione del poeta;
non
2979 gli ubbidiva; egli poetava già {per instituto e quasi debito,} per arte e per abitudine,
arte e abitudine che in lui erano eccellentissime, e possono ai meno esperti
sembrare impeto ed ὁρμή poetica, ma non sono, e non paiono tali ai più accorti,
i quali in quegli ultimi libri desiderano la vena, la προϑυμία, l'alacrità di
Virgilio. L'invenzione doveva essere
stata da lui tutta concepita e disposta fin dal principio, com'è naturale in
ogni buon poeta, e massime in un poeta di tant'arte e maestria. Quindi s'ella
nel fine non è inferiore al principio, niuna maraviglia. L'immaginazione era
così fresca quando inventava il fine del poema, come quando inventava il
principio. Ma non minor forza, vivezza, attività, prontezza, fecondità
d'immaginativa si richiede allo stile, ossia all'esecuzione che all'invenzione.
Anzi si può dire che lo stile poetico, e nominatamente quello di Virgilio, sia un composto di continue,
innumerabili e successive invenzioni. Ogni metafora, ogni aggiunto che abbia
quella mirabile
2980 e novità ed efficacia ch'e'
sogliono avere in Virgilio, sono tante
particolari e distinte invenzioni poetiche, come sono invenzioni le
similitudini, e richiedono una continua energia, freschezza, mobilità, ricchezza
d'immaginazione, e un concepir sempre vivamente e {quasi} sentire e vedere qualsivoglia menoma cosa che occorra di
nominare o di esprimere eziandio di passaggio e per accidente. {+Anche in ogni altra parte
dell'esecuzione, cioè nelle immagini ec. e nella vena degli affetti anche in
situazioni che per la invenzione sono patetichissime ec. Virgilio ne' sei ultimi libri è inferiore a se
stesso, che che ne dica Chateaubriand.}
{{V. p.
3717.}}
[3388,1] Molti presenti italiani che ripongono tutto il
pregio della poesia, anzi tutta la poesia nello stile, e disprezzano affatto,
anzi neppur concepiscono, la novità de' pensieri, delle immagini, de'
sentimenti; e non avendo nè pensieri, nè immagini, nè sentimenti, tuttavia per
riguardo del loro stile si credono poeti, e poeti perfetti e classici; questi
tali sarebbero forse ben sorpresi se loro si dicesse, non solamente che chi non
è buono alle immagini, ai sentimenti, ai pensieri non è poeta, il che lo
negherebbero schiettamente o implicitamente; {Puoi vedere le pagg. 2979-80. e 3717-20.} ma
che chiunque non sa immaginare, pensare, sentire, inventare, non può nè
possedere un buono stile poetico, nè tenerne l'arte, nè eseguirlo, nè giudicarlo
nelle opere proprie nè nelle altrui; che l'arte {e la facoltà
e l'uso} dell'immaginazione e dell'invenzione è tanto indispensabile
allo stile
3389 poetico, quanto e forse ancor più
ch'{al ritrovamento,} alla scelta, {e} alla disposizione della materia, alle sentenze e a
tutte l'altre parti della poesia ec. (Vedi a tal proposito la pp. 2978- 80.) Onde non possa mai
esser poeta per lo stile chi non è poeta per tutto il resto, nè possa aver mai
uno stile veramente poetico, chi non ha facoltà, o avendo facoltà non ha
abitudine, di sentimento di pensiero di fantasia d'invenzione, insomma
d'originalità nello scrivere. (9. Sett. 1823.).
[3717,1]
Alla p. 2980.
Immaginazione continuamente fresca ed operante si richiede a poter saisir i rapporti, le affinità, le somiglianze ec. ec.
o vere, o apparenti, poetiche ec. degli oggetti e delle cose tra loro, o a
scoprire questi rapporti, o ad
3718 inventarli ec. cose
che bisogna continuamente fare volendo parlar metaforico e figurato, e che
queste metafore e figure e questo parlare abbiano del nuovo e originale e del
proprio dell'autore. Lascio le similitudini: una metafora nuova che si contenga
pure in una parola sola, ha bisogno dell'immaginazione e invenzione che ho
detto. Or {di} queste metafore e figure ec. ne
dev'esser composto tutto lo stile e tutta l'espressione de' concetti del poeta.
Continua immaginazione, sempre viva, sempre rappresentante le cose agli occhi
del poeta, e mostrantegliele come presenti, si richiede a poter significare le
cose o le azioni o le idee ec. per mezzo di una o due circostanze o qualità o
parti di esse le più minute, le più sfuggevoli, le meno notate, le meno solite
ad essere espresse dagli altri poeti, o ad esser prese per rappresentare tutta
l'immagine, le più efficaci ed atte o per se, per questa stessa novità o
insolitezza di esser notate o espresse, o della loro applicazione
3719 ed uso ec., le più atte dico a significar l'idea
da esprimersi, a rappresentarla al vivo, a destarla con efficacia ec. {+Tali sono assai spesso le espressioni, o
vogliamo dire i mezzi d'espressione, e il modo di rappresentar le cose e
destar le immagini ec. nuove o novamente, e per virtù della novità del modo
ec. ec. usati da Virgilio, e
massime, anzi peculiarmente, e come caretteristici[caratteristici] del suo stile e poesia, da Dante ec. ec.} Tutte queste cose si
richiedono in uno stile come quel di Virgilio (e più o meno negli altri: ma quel di Virgilio, in quanto stile, è precisamente il più
poetico di quanti si conoscono, e forse il non plus ultra della poetichità); e
questi infatti sono i mezzi ch'egli adopera e gli effetti ch'egli consegue. Or
non si possono adoperar tali mezzi, nè produr tali effetti (che con altri mezzi,
nello stile, non si ottengono) senza una continua e non mai interrotta azione,
vivacità e freschezza d'immaginazione. E sempre ch'essa langue, langue lo stile,
sia pure immaginosissima e poetichissima l'invenzione e la qualità delle cose in
esso trattate ed espresse. Poetiche saranno le cose, lo stile no; e peggiore
sarà l'effetto, che se quelle ancora fossero impoetiche; per il contrasto e
sconvenienza ec. che sarà tanto maggiore quanto quelle e l'invenzione ec.
saranno più immaginose e poetiche.
3720 Del resto è da
vedere la p. 3388-9. (17.
Ott. 1823.).
[3396,1] 5.o Nè tale sarebbe se la letteratura spagnuola,
benchè cedendo d'assai all'italiana per la quantità, non le fosse pari del tutto
nella qualità, salvo la minore perfezione di ciascun suo attributo. Le stesse
cagioni, sì naturali, sì accidentali, che ci resero gli spagnuoli così conformi
di lingua, ce li fecero altrettanto conformi
3397 nella
letteratura. Nè poteva essere altrimenti, perchè l'una e l'altra vanno sempre
del pari. Certo è che nel cinquecento, secolo aureo e principale {{non meno}} della lingua e letteratura spagnuola che
della italiana, il commercio tra queste due letterature fu strettissimo, e
l'influenza reciproca; bensì maggiore d'assai quella dell'italiana sulla
spagnuola che viceversa, perchè l'italiana era di gran lunga maggiore, e portata
ad un alto grado già molto prima, cioè nel 300. Laonde, se imitazione vi fu, non
è dubbio che gli spagnuoli imitarono, e gli scrittori italiani furono loro
modelli. Ma senza più stendersi in questo, egli è certissimo ed evidente che
{il} buono e classico stile spagnuolo e lo stile
italiano buono e classico, salvo che quello è meno perfetto, non sono
onninamente che uno solo. Ora quanta parte abbia la lingua nello stile, {#1. Veggasi fra l'altre, la p. 2906. segg.} quanta
influenza lo stile nella lingua, come sovente sia difficile e quasi impossibile
il distinguere questa da quello, e le proprietà dell'una da quelle dell'altro, o
si parli di uno scrittore e di una scrittura particolarmente,
3398 o di un genere, o di una letteratura in universale; sono cose da
me altrove accennate più volte pp. 2796-98
pp.
2906. sgg.. Basti ora il dire che non si è mai per ancora veduto in
alcun secolo, appo nazione alcuna, stile corrotto o barbaro e rozzo, e lingua
pura o delicata, nè viceversa, ma sempre {+e in ogni luogo} la rozzezza, la {purità, la} perfezione, la decadenza, la corruttela
della lingua e dello stile si sono trovate in compagnia. {#1. Massime ne' prosatori: quanto a' poeti vedi la p. 3419.} Chè se ne'
nostri trecentisti la lingua è pura e lo stile sciocco, 1.o lo stile non pecca
se non per difetto {di virtù, per inartifizio, e mancanza
d'arte e di coltura,} ma niun vizio ha e niuna qualità malvagia;
sicchè non può chiamarsi corrotto: 2.o lo stile {+de' trecentisti} è semplice e nella semplicità
energico, come porta la natura, e tale nè più nè meno è la lingua loro, la quale
generalmente non ha pregio nessuno se non questi, che sono pur pregi dello
stile, ma {non sempre, e} che non bastano: 3.o che che
ne dicano i pedanti, ogni volta che lo stile de' trecentisti pecca di rozzo,
anche la lor lingua è rozza; ogni volta che di barbaro, anche la lingua è
barbara; ogni volta che di eccessiva semplicità {ed
inartifizio,} anche la semplicità della
3399
lingua passa i termini, com'è stato ben provato in questi ultimi tempi; e
finalmente se talvolta il loro stile è tumido, falso, o insomma corrotto
comunque, (benchè tal corruzione in loro sia piuttosto fanciullesca {e d'ignoranza,} che manifestante il cattivo gusto, e la
depravazione, che in essi non poteva aver luogo), allora anche la lingua non è
da noi chiamata pura, se non perchè ed in quanto antica, secondo le osservazioni
da me fatte altrove pp. 2520-21
pp.
2529. sgg. circa quello che si chiama purità di lingua.
[3416,1] In somma la lingua italiana non aveva ancora
bastante antichità, per potere avere
abbastanza di quella eleganza di cui qui s'intende parlare, e un linguaggio ben
propriamente poetico, e ben disgiunto dal prosaico. Le parole dello Speroni provano questa verità, e questa
le mie teorie a cui la presente osservazione si riferisce. Il cui risultato è
che dovunque non è sufficiente antichità di lingua colta, quivi non può ancora
essere la detta eleganza di stile e di lingua, nè linguaggio poetico distinto e
proprio ec. (11. Sett. 1823.). Ho già detto altrove pp. 701-702
3417 che non prima del passato secolo e del presente si
è formato pienamente e perfezionato il linguaggio (e quindi anche lo stile)
poetico italiano (dico il linguaggio e lo stile poetico, non già la poesia); s'è
accostato al Virgiliano, vero, perfetto e sovrano modello dello stile
propriamente e totalmente e distintissimamente poetico; ha perduto ogni aria di
familiare; e si è con ben certi limiti, e ben certo, nè scarso, intervallo,
distinto dal prosaico. O vogliamo dir che il linguaggio prosaico si è diviso
esso medesimo dal poetico. Il che propriamente non sarebbe vero; ma e' s'è
diviso dall'antico; e così sempre accade che il linguaggio prosaico, insieme
coll'ordinario uso della lingua parlata, al quale ei non può fare a meno di
somigliarsi, si vada di mano in mano cambiando e allontanando dall'antichità. I
poeti (fuorchè in Francia) {#1. V. p.
3428.} serbano l'antico più che possono, perch'ei serve loro
all'eleganza, {dignità} ec. anzi hanno bisogno
dell'antichità della lingua. E così, contro quello
3418
che dee parere a prima giunta, i più licenziosi scrittori, che sono i poeti, son
quelli che più lungamente e fedelmente conservano la purità e l'antichità della
lingua, e che più la tengon ferma, mirando sempre e continuando il linguaggio
de' primi istitutori della poesia ec. Dalla quale antichità la prosa, obbligata
ad accostarsi all'uso corrente, sempre più s'allontana. Ond'è che il linguaggio
prosaico si scosti per vero dire esso stesso dal poetico (piuttosto che questo
da quello) ma non in quanto poetico, solo in quanto seguace dell'antico, e fermo
(quanto più si può) all'antico, da cui il prosaico s'allontana. Del resto il
linguaggio {e lo stile} delle poesie di Parini, Alfieri, Monti, Foscolo è {molto} più propriamente e più perfettamente poetico e
distinto dal prosaico, che non è quello di verun altro de' nostri poeti, inclusi
nominatamente i più classici e sommi antichi. Di modo che per quelli e per gli
altri che li somigliano, e per l'uso de' poeti di questo e dell'ultimo secolo,
l'italia ha oggidì una lingua poetica {a parte, e} distinta affatto dalla prosaica, una doppia
lingua, l'una prosaica l'altra
3419 poetica, non
altrimenti che l'avesse la grecia, e più che i latini. Ed
è stato anche osservato (da Perticari sulla fine del Tratt. degli Scritt. del Trecento)
che nella universale corruzione della lingua e stile delle nostre prose e del
nostro familiar discorso accaduta nell'ultima metà del passato secolo, e ancora
continuante, la lingua de' poeti si mantenne quasi pura e incorrotta, non solo
ne' migliori o in chi pur seguì un buono stile, ma ne' pessimi eziandio, e negli
stili falsi, tumidi, frondosissimi, ridondanti, strani o imbecilli degli
arcadici, de' frugoniani, bettinelliani ec. Così pure era accaduto ne' barbari poeti del
secento. La cagione di ciò è facile a raccorre da queste mie osservazioni, le
quali sono ben confermati[confermate] da questi
fatti. Laddove egli è pur certo che riguardo alla prosa, lo stile non si
corrompe mai che non si corrompa altresì la lingua, nè viceversa, nè v'ha {prosatore} alcuno di stile corrotto e lingua incorrotta;
del che puoi vedere le pagg.
3397-9. (12. Sett. 1823.)
[2611,2] Non basta che lo scrittore sia padrone del proprio
stile. Bisogna che il suo stile sia padrone delle cose: e in ciò consiste la
perfezion dell'arte, e la somma qualità dell'artefice. Alcuni de' pochissimi che
meritano nell'italia moderna il nome di scrittori (anzi
tutti questi pochissimi), danno a vedere di essere padroni dello stile: vale a
dir che il loro stile è fermo, uguale, non traballante, non sempre sull'orlo di
precipizi, {+non incerto, non legato e
retreci, come quello di tutti gli altri nostri
moderni, francesisti o no, ma libero e sciolto e facile, e che si sa
spandere e distendere e dispiegare e scorrere,} sicuro di non dir
quello che lo scrittore non vuole intendere, sicuro di non dir nulla in quel
modo che lo scrittore non lo vuol dire, sicuro di non dare in un altro stile, di
non cadere in una qualità che lo scrittore voglia evitare; procede a piè saldo
senza inciampare nè dubitare di se stesso, {non va a
trabalzoni, ora in cielo ora in terra, or qua or là,} ec. Tutte queste
qualità nel loro stile si trovano, e si dimostrano, cioè si fanno sentire al
lettore. Questi tali son padroni del loro stile. Ma il loro stile non è padrone
delle cose, vale
2612 a dir che lo scrittore non è
padrone di dir nel suo stile tutto ciò che vuole, o che gli bisogna dire, {o di dirlo pienamente e perfettamente:} e anche questo
si fa sentire al lettore. Perciocchè spessissimo occorrendo loro molte cose che
farebbero all'argomento, al tempo, {ec.} che sarebbero
utili o necessarie in proposito, e ch'essi desidererebbero dire, e concepiscono
perfettamente, e forse anche originalmente, e che darebbero luogo a pensieri
notabili e belli; essi scrittori, ben conoscendo questo, tuttavia le fuggono, o
le toccano di fianco, e di traverso, e se ne spacciano pel generale, o ne dicono
sola una parte, sapendo ben che tralasciano l'altra, e che sarebbe bene il
dirla, o in somma non confidano o disperano di poterle dire o dirle pienamente
nel loro stile. La qual cosa non è mai accaduta ai veri grandi scrittori, ed è
mortifera alla letteratura. E per ispecificare; i detti scrittori sono e si
mostrano sicuri di non dare nel francese (cioè in quel cattivo italiano che è
proprio del nostro tempo, e quindi naturale anche a loro, anzi solo naturale),
ma non sono nè si mostrano sicuri di
2613 poter dire
nel buono italiano tutto quello che loro occorra; {come lo
erano i nostri antichi.} Anzi lasciano ottimamente sentire, che molte
cose quasi necessarie, e delle quali si compiacerebbero se le {avessero potuto e saputo} dire nel buono italiano, e la
cui mancanza si sente, e che molte volte sono anche notissime a tutti in questo
secolo, essi le tralasciano avvertitamente, e le dissimulano, almeno da qualche
necessaria parte, e se ne mostrano o ignoranti, o poco istruiti, o di non averle
concepite, quando pur l'hanno fatto anche più degli altri, e che in somma non
ardiscono dirle per timore di offendere il buono italiano e il proprio stile. Il
qual timore e la quale impotenza assicurerebbe alla letteratura {e filosofia} italiana di non dar mai più un passo
avanti, e di non dir mai più cosa nuova, come pur troppo si verifica nel fatto.
(27. Agosto. 1822.).
[3952,1]
3952 Dal detto altrove pp. 109-11
pp. 1234-36
pp. 1701-706 circa le
idee concomitanti annesse alla significazione o anche al suono stesso e ad altre
qualità delle parole, le quali idee hanno tanta parte nell'effetto, massimamente
poetico ovvero oratorio ec., delle scritture, ne risulta che necessariamente
l'effetto d'una stessa poesia, orazione, verso, frase, espressione, parte
qualunque, maggiore o minore, di scrittura, è, massime quanto al poetico,
infinitamente vario, secondo gli uditori o lettori, e secondo le occasioni e
circostanze anche passeggere e mutabili in cui ciascuno di questi si trova.
Perocchè quelle idee concomitanti, indipendentemente ancora affatto dalla parola
o frase per se, sono differentissime per mille rispetti, secondo le dette
differenze appartenenti alle persone. Siccome anche gli effetti poetici {ec.} di mille altre cose, anzi forse di tutte le cose,
variano infinitamente secondo la varietà e delle persone e delle circostanze
loro, abituali o passeggere o qualunque. Per es. una medesima scena della natura
diversissime sorte d'impressioni può produrre e produce negli spettatori secondo
le dette differenze; come dire se quel luogo è natio, e quella scena collegata
colle reminiscenze dell'infanzia ec. ec. se lo spettatore si trova in istato di
tale o tal passione, ec. ec. E molte volte non produce impressione alcuna in un
tale, al tempo stesso che in un altro la fa grandissima. Così discorrasi delle
parole e dello stile che n'è composto e ne risulta, e sue qualità e differenze
ec. e questa similitudine è molto a proposito.
[2725,1] Per quanto voglia farsi, non si speri mai che le
opere degli scienziati si scrivano in bella lingua, elegantemente e in buono
stile {(con arte di stile.)}
Chiunque si è veramente formato un buono stile, sa che immensa fatica gli è
costato l'acquisto di quest'abitudine, quanti anni spesi unicamente in questo
studio, quante riflessioni profonde, quanto esercizio dedicato unicamente a ciò,
quanti confronti, quante letture destinate a questo solo fine, quanti tentativi
inutili, e come solamente a poco a poco dopo lunghissimi travagli, e lunghissima
assuefazione gli sia finalmente riuscito di possedere il vero sensorio del bello
scrivere, la scienza di tutte le minutissime parti e cagioni di esso, e
finalmente l'arte di mettere in opera esso stesso quello che non senza molta
difficoltà
2726 è giunto a riconoscere e sentire ne'
grandi maestri, {{arte}} difficilissima ad acquistare, e
che non viene già dietro per nessun modo da se alla scienza dello stile; bensì
la suppone, e perfettissima, ma questa scienza può stare e sta spessissimo senza
l'arte. Ora gli scienziati che fino da fanciulli hanno sempre avuta tutta la
loro mente e tutto il loro amore a studi diversissimi e lontanissimi da questi,
come può mai essere che mettendosi a scrivere, scrivano bene, se per far questo
si richiede un'arte tutta propria della cosa, e che domanda tutto l'uomo, e
tanti studi, esercizi, e fatiche? E come si può presumere che gli scienziati si
assoggettino a questi studi e fatiche, non avendoci amore alcuno, ed essendo
tutti occupati e pieni di assuefazioni ripugnanti a queste, e mancando loro
assolutamente il tempo necessario per un'arte che domanda più tempo d'ogni
altra? Oltre di ciò i più perfetti possessori di quest'arte, dopo le
2727 lunghissime fatiche spese per acquistarla, non
sono mai padroni di metterla in opera senza che lo stesso adoperarla riesca loro
faticosissimo e lunghissimo, perchè certo neppure i grandi maestri scrivono bene
senza gravissime e lunghissime meditazioni, e revisioni, e correzioni, e lime
ec. ec. Si può mai pretendere o sperare dagli scienziati questo lavoro, il quale
è tanto indispensabile come quello che si richiede ad acquistare l'arte di bene
scrivere?
[3673,1] Colla medesima proporzione che altri viene
perfettamente e veramente conoscendo e intendendo le difficoltà del bene
scrivere, egli impara
3674 a superarle. Nè prima si
conosce e intende compiutamente, intimamente, distintamente e a parte a parte
tutta la difficoltà dell'ottimo scrivere, che altri sappia già ottimamente
scrivere. E ciò per la stessa ragione per cui l'arte di bene scrivere, e il
modo, e che cosa sia il bene scrivere, non può essere compiutamente conosciuto e
inteso se non da chi compiutamente possegga la detta arte, cioè sappia
interamente metterla in opera. Sicchè in un tempo medesimo e si conosce la
difficoltà {del perfetto scrivere,} e s'impara il modo
di vincerla e se n'acquista la facoltà. E solo colui che sa perfettamente
scrivere ne comprende sino al fondo tutta la difficoltà, nè altrimenti può mai
bene scrivere, ancorch'ei {già} sappia compiutamente
farlo, che con grandissima difficoltà. Coloro che male scrivono, stimano che il
bene scrivere sia cosa facile, e scrivono al loro modo agevolmente, credendosi
di scriver bene. E peggio e' sogliono scrivere, più facile stimano {{che sia}} lo scriver bene, e più facilmente scrivono. Il
considerare il bene scrivere per cosa molto difficile, è certissimo segno di
esser già molto avanzato
3675 nel sapere scrivere,
purchè questo tale sia veramente ed intimamente persuaso della difficoltà ch'ei
dice, e non la affermi solamente a parole e mosso da quello ch'ei n'intende
dire, e dalla voce comune. (Perocchè anche chi non sa scrivere, dice che il bene
scrivere è molto difficile, ma e' nol dice per coscienza nè per prova nè con
vera persuasione, e s'egli è uno di quelli che s'intrigano di scrivere e che
presumono di saperlo fare, certo è ch'egli in verità non crede che ciò sia
difficile, come comunemente si dice, e com'ei pur dice cogli altri). Per lo
contrario lo stimare che il bene scrivere sia cosa facile o poco difficile, e il
confidarsi di poterlo e saperlo agevolmente fare, o poterlo apprender con poco,
e[è] certo segno di non saper far nulla, e
di esser sui principii nel possesso dell'arte, o molto indietro. {+(Così è
generalmente di tutte le arti, scienze ec.)} Da queste osservazioni si
dee raccogliere quanti possano esser quelli che perfettamente conoscano il
pregio, e stimino il travaglio, il sapere, l'arte e l'artifizio di una perfetta
scrittura e di un perfetto scrittore, del che a pagg. 2796-9. (12. Ott. 1823.
Domenica.).
[3952,1]
3952 Dal detto altrove pp. 109-11
pp. 1234-36
pp. 1701-706 circa le
idee concomitanti annesse alla significazione o anche al suono stesso e ad altre
qualità delle parole, le quali idee hanno tanta parte nell'effetto, massimamente
poetico ovvero oratorio ec., delle scritture, ne risulta che necessariamente
l'effetto d'una stessa poesia, orazione, verso, frase, espressione, parte
qualunque, maggiore o minore, di scrittura, è, massime quanto al poetico,
infinitamente vario, secondo gli uditori o lettori, e secondo le occasioni e
circostanze anche passeggere e mutabili in cui ciascuno di questi si trova.
Perocchè quelle idee concomitanti, indipendentemente ancora affatto dalla parola
o frase per se, sono differentissime per mille rispetti, secondo le dette
differenze appartenenti alle persone. Siccome anche gli effetti poetici {ec.} di mille altre cose, anzi forse di tutte le cose,
variano infinitamente secondo la varietà e delle persone e delle circostanze
loro, abituali o passeggere o qualunque. Per es. una medesima scena della natura
diversissime sorte d'impressioni può produrre e produce negli spettatori secondo
le dette differenze; come dire se quel luogo è natio, e quella scena collegata
colle reminiscenze dell'infanzia ec. ec. se lo spettatore si trova in istato di
tale o tal passione, ec. ec. E molte volte non produce impressione alcuna in un
tale, al tempo stesso che in un altro la fa grandissima. Così discorrasi delle
parole e dello stile che n'è composto e ne risulta, e sue qualità e differenze
ec. e questa similitudine è molto a proposito.
[4021,5] Quanto allo stile e al bene scrivere, immensa fatica
è bisogno per saper fare, ed ottenuto questo, non meno grande si richiede sempre
per fare. E tanto è lungi che il saper fare tolga la fatica del fare, che anzi
quanto quello è maggiore, con maggior fatica si compone, perchè tanto meglio si
vuol fare e si fa, il che costa tanto di più a proporzione. Così nelle arti
belle e in altre faccende d'ingegno ec. (23. Gen. 1824.). {{Non così riguardo all'invenzione sì nello scrivere sì nelle
arti. ec. ec.}}
[2914,1]
Alla pagina
antecedente. Questa spiritualizzazione della società essendo oggidì
universale, è altresì universale l'effetto che ho detto esserne seguìto nella
lingua francese, cioè che lo stile degli scrittori {moderni} di qualsivoglia lingua non differisca oramai se non se ne'
sentimenti, {e} consista tutto nelle nelle cose. E in
verità quanto allo stile propriamente detto, v'è minor divario oggidì fra due
scrittori di due lingue disparatissime e in diversissime materie, che non v'era
anticamente fra due scrittori contemporanei, compatriotti, d'una stessa lingua e
materia. (Pongasi per esempio Platone e
Senofonte). Lascio poi quanto poca
varietà di stile si possa trovare in uno stesso scrittore. {+1. Gli stili de' moderni non si diversificano se non per
le sentenze. Anzi tutti gli scrittori e tutte le opere escono, quanto allo
stile, da una stessa scuola, vestono d'uno stesso panno, anzi hanno una sola
fisonomia, una sola attitudine, gli stessi gesti e movimenti, le stesse
fattezze e circostanze esteriori: solo si distinguono l'une dall'altre
perchè dicono diverse cose, benchè collo stesso tuono e modo di
recitazione.} Sicchè, proporzionatamente, accade oggi nel mondo civile
quel medesimo che ho detto accadere in Francia; quasi
niuno scrittore ha stile
2915 proprio: non v'è che uno
stile per tutti, e questo consiste assai più nelle sentenze che nelle parole:
poco oramai si guarda allo stile nelle opere che escono in luce, o se vi si
guarda, ciò è più per vedere s'egli segue l'uso e la forma di stile
universalmente accettata, o no: se la segue, non si parla del suo stile; se non
la segue, allora solo il suo stile dà nell'occhio, e per lo più è ripreso, e
ordinariamente con ragione. La differenza ch'è in questo particolar dello stile
fra la lingua francese e l'altre moderne, si è che se in quella lo scrittore non
ha stile proprio, egli {è} perchè la lingua n'ha un
solo; se il suo stile non è vario, egli è che la lingua non ha varietà di stile.
Ma nelle altre lingue il difetto viene dallo scrittore: egli è che manca di
varietà di stile, e non la lingua; e s'ei non ha stile proprio, egli può averlo;
almeno la lingua sua non glielo impedisce; ma ei non ha stile proprio, perchè un
solo stile ha, non la sua lingua, che molti ne ammette, ma, per così dire, la
lingua europea, ossia l'uso e lo spirito universale della letteratura e della
civiltà
2916 presente, e del nostro secolo. {{V. p.
3471.}}
[3439,1] Si possono applicare queste considerazioni anche
alla letteratura. Non s'usavano anticamente le brochures, nè gli opuscoli e foglietti volanti, nè scritture destinate
a morire il dì dopo nate. E quello ancora che si scriveva per sola circostanza e
per servire al momento, scrivevasi in modo ch'e' potesse e dovesse durare
immortalmente.
3440
Cicerone dopo dato un consiglio al
senato {o} al popolo, da mettersi in opera anche il dì
medesimo, dopo perorata e conchiusa una causa, ancor di una piccola eredità si
poneva a tavolino, e dagl'informi commẽtari[commentari] che gli avevano servito a recitare, cavava, componeva,
limava, perfezionava un'orazione formata sulle regole e i modelli eterni
dell'arte più squisita, e come tale, consegnavala all'eternità. Così gli oratori
attici, così Demostene di cui s'ha e
si legge dopo 2000 anni un'orazione per una causa di 3 pecore: mentre le
orazioni fatte oggi a' parlamenti o da niuno si leggono, o si dimenticano di là
a due dì, e ne son degne, nè chi le disse, pretese {nè bramò
nè curò} ch'elle avessero maggior durata. (15. Sett.
1823.). {#1. Quel che si è detto
della durevolezza, dicasi ancora della grandezza e magnificenza
ec.}
[4213,7]
Οἱ γὰρ πάλαι ῥήτορες
ἱκανὸν αὐτοῖς ἐνόμιζον εὑρεῖν τε τὰ ἐνθυμήματα, καὶ τῇ φράσει περιττῶς
ἀπαγγεῖλα
*
(phrasi eximia). ἐσπoύδαζον γὰρ
τὸ ὅλον περί τε τὴν λέξιν καὶ τòν ταύτης κόσμον· πρῶτον μὲν ὅπως εἴη
σημαντικὴ καὶ εὐπρεπής
*
(significativa et venusta), εἶτα καὶ ἐναρμόνιoς ἡ τoύτων σύνϑεσις
*
(compositio). ἐν τoύτῳ γὰρ αὐτoῖς καὶ τὴν πρòς τoὺς
ἰδιώτας διαϕορὰν ἐπὶ τὸ κρεῖττoν περιγίνεσϑαι
*
(ex hoc enim se
praestituros vulgo loquentium). {Cecilio rettorico siciliano,} parlando
di Antifonte,
uno dei 10. Oratori Greci, ap. Phot. cod. 259. col. 1452. ed. gręc. lat.
[2906,2] In tutte le lingue tanto gran parte dello stile
appartiene ad essa lingua, che in veruno scrittore l'uno senza l'altra non si
può considerare. La magnificenza, la forza, la nobiltà, l'eleganza, la grazia,
la varietà, {la semplicità, la
naturalezza.} tutte o quasi tutte le qualità dello stile, sono così
legate alle corrispondenti qualità della
2907
{{lingua,}} che nel considerarle in qualsivoglia
scrittura è ben difficile il conoscere e distinguere e determinare quanta e qual
parte di esse (e così delle qualità contrarie) sia propria del solo stile, e
quanta e quale della sola lingua; o vogliamo piuttosto dire, quanta e qual parte
spetti e derivi dai soli sentimenti, e quanta e quale dalle sole parole; giacchè
rigorosamente parlando, l'idea dello stile abbraccia {così} quello che spetta ai sentimenti come ciò che appartiene ai
vocaboli. Ma tanta è la forza e l'autorità delle voci nello stile, che mutate
quelle, o le loro forme, il loro ordine ec. tutte o ciascuna delle predette
qualità si mutano, o si perdono, e lo stile di qualsivoglia autore o scritto,
cangia natura in modo che più non è quello nè si riconosce. {+1. Veggasi la p. 3397-9.}
[4213,7]
Οἱ γὰρ πάλαι ῥήτορες
ἱκανὸν αὐτοῖς ἐνόμιζον εὑρεῖν τε τὰ ἐνθυμήματα, καὶ τῇ φράσει περιττῶς
ἀπαγγεῖλα
*
(phrasi eximia). ἐσπoύδαζον γὰρ
τὸ ὅλον περί τε τὴν λέξιν καὶ τòν ταύτης κόσμον· πρῶτον μὲν ὅπως εἴη
σημαντικὴ καὶ εὐπρεπής
*
(significativa et venusta), εἶτα καὶ ἐναρμόνιoς ἡ τoύτων σύνϑεσις
*
(compositio). ἐν τoύτῳ γὰρ αὐτoῖς καὶ τὴν πρòς τoὺς
ἰδιώτας διαϕορὰν ἐπὶ τὸ κρεῖττoν περιγίνεσϑαι
*
(ex hoc enim se
praestituros vulgo loquentium). {Cecilio rettorico siciliano,} parlando
di Antifonte,
uno dei 10. Oratori Greci, ap. Phot. cod. 259. col. 1452. ed. gręc. lat.
[2906,2] In tutte le lingue tanto gran parte dello stile
appartiene ad essa lingua, che in veruno scrittore l'uno senza l'altra non si
può considerare. La magnificenza, la forza, la nobiltà, l'eleganza, la grazia,
la varietà, {la semplicità, la
naturalezza.} tutte o quasi tutte le qualità dello stile, sono così
legate alle corrispondenti qualità della
2907
{{lingua,}} che nel considerarle in qualsivoglia
scrittura è ben difficile il conoscere e distinguere e determinare quanta e qual
parte di esse (e così delle qualità contrarie) sia propria del solo stile, e
quanta e quale della sola lingua; o vogliamo piuttosto dire, quanta e qual parte
spetti e derivi dai soli sentimenti, e quanta e quale dalle sole parole; giacchè
rigorosamente parlando, l'idea dello stile abbraccia {così} quello che spetta ai sentimenti come ciò che appartiene ai
vocaboli. Ma tanta è la forza e l'autorità delle voci nello stile, che mutate
quelle, o le loro forme, il loro ordine ec. tutte o ciascuna delle predette
qualità si mutano, o si perdono, e lo stile di qualsivoglia autore o scritto,
cangia natura in modo che più non è quello nè si riconosce. {+1. Veggasi la p. 3397-9.}
[3952,1]
3952 Dal detto altrove pp. 109-11
pp. 1234-36
pp. 1701-706 circa le
idee concomitanti annesse alla significazione o anche al suono stesso e ad altre
qualità delle parole, le quali idee hanno tanta parte nell'effetto, massimamente
poetico ovvero oratorio ec., delle scritture, ne risulta che necessariamente
l'effetto d'una stessa poesia, orazione, verso, frase, espressione, parte
qualunque, maggiore o minore, di scrittura, è, massime quanto al poetico,
infinitamente vario, secondo gli uditori o lettori, e secondo le occasioni e
circostanze anche passeggere e mutabili in cui ciascuno di questi si trova.
Perocchè quelle idee concomitanti, indipendentemente ancora affatto dalla parola
o frase per se, sono differentissime per mille rispetti, secondo le dette
differenze appartenenti alle persone. Siccome anche gli effetti poetici {ec.} di mille altre cose, anzi forse di tutte le cose,
variano infinitamente secondo la varietà e delle persone e delle circostanze
loro, abituali o passeggere o qualunque. Per es. una medesima scena della natura
diversissime sorte d'impressioni può produrre e produce negli spettatori secondo
le dette differenze; come dire se quel luogo è natio, e quella scena collegata
colle reminiscenze dell'infanzia ec. ec. se lo spettatore si trova in istato di
tale o tal passione, ec. ec. E molte volte non produce impressione alcuna in un
tale, al tempo stesso che in un altro la fa grandissima. Così discorrasi delle
parole e dello stile che n'è composto e ne risulta, e sue qualità e differenze
ec. e questa similitudine è molto a proposito.
[4240,2] Chi scrivendo oggi, cerca o consegue la perfezion
dello stile, e procede secondo le sottilissime avvertenze e considerazioni
dell'arte antica intorno a questa gran parte, e secondo gli esempi perfettissimi
degli antichi, si può dir con tutta verità, che scriva solamente e propriamente
ai morti, non meno di chi scrive in latino, o di chi usasse il greco antico.
Tanto è oggi (e sarà forse in futuro) cercare {con quanto si
sia successo,} la perfezion dello stile nelle lingue vive, quanto
cercarla {ed anco trovarla} nelle morte, come facevano
molti illustri italiani del cinquecento nella latina. (2.
1827.).
[4268,7] È osservazione antica che quanto decrescono nelle
repubbliche e negli stati le virtù vere, tanto crescono le vantate, e le
adulazioni; e similmente, che a misura che decadono le lettere e i buoni studi,
si aumentano di magnificenza i titoli di lode che si danno agli scienziati e a'
letterati, o a quelli che in sì fatti tempi sono tenuti per tali. Il somigliante
par che avvenga circa il modo della pubblicazione dei libri. Quanto lo stile
peggiora, e divien più vile, più incolto, più εὐτελής, di meno spesa; tanto
cresce l'eleganza, la nitidezza, lo splendore, la magnificenza, {il costo e vero pregio e valore} delle edizioni.
Guardate le stampe francesi d'oggidì, anche quelle delle semplici brochures e fogli volanti ed efimeri. Direste che non
si può dar cosa più perfetta
4269 in tal genere, se le
stampe d'Inghilterra, quelle eziandio de' più passeggeri
pamphlets, non vi mostrassero una perfezione molto
maggiore. Guardate poi lo stile di tali opere, così stampate; il quale a prima
giunta vi parrebbe che dovesse esser cosa di gran valore, di grande squisitezza,
condotta con grand'arte e studio. Disgraziatamente l'arte e lo studio son cose
oramai ignote e sbandite dalla professione di scriver libri. Lo stile non è più
oggetto di pensiero alcuno. Paragonate ora e le stampe dei secoli passati, e gli
stili di quei libri così modestamente, così umilmente, e spesso {(vilmente, abbiettamente)} poveramente impressi; colle
stampe e gli stili moderni. Il risultato di questa comparazione sarà che gli
stili antichi e le stampe moderne paion fatte per la posterità e per l'eternità;
gli stili moderni e le stampe antiche, per il momento, e quasi per il
bisogno.
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