Francese (poesia).
French (poetry).
1812,2 1901,1 1902,3 2052,2 2067,1 2171,1 2484,1 2642 2666,1 27182716 526,1 2906,2 3008,13009,1 3403,1 3428,1 3562 3633,1 3863,2 4214,3[1812,2] Tutto ciò dimostra che la lingua francese, la quale
ha dalla sua prima formazione rinunziato alle sue ricchezze antiche,
1813 e a tutto ciò che fosse rimoto dall'uso volgare, e
segue a rinunziarvi tutto giorno, onde oggi non possiede neppur quello che
possedevano gli scrittori del primo tempo dell'Accademia, e del secolo di Luigi 14. deve necessariamente esser poco
suscettibile di eleganza, e soprattutto priva di lingua poetica, non avendo
quasi parola, frase, forma che non sia necessaria all'uso quotidiano del
discorso, o della scrittura in prosa, {o che non abbia luogo
frequentemente in detto uso;} e quindi non potendo assolutamente
elevarsi al disopra del parlar comune. Quindi lo stile della poesia francese non
si diversifica (eccetto alcune poche, {uniformi, rare,}
e timide inversioni, {+e l'uso della
misura (ben plebea e pedestre) e delle rime,)} dal discorso
giornaliero e dalla prosa; e talvolta è propriamente ridicolo a vedere imagini e
sentenze e affetti sublimi, e rimoti o dall'opinione o dall'uso volgare, e
superiori al comune modo ec. di pensare, espressi ne' versi francesi al modo che
si esprimerebbe una dimostrazione geometrica, o si direbbe una facezia in
conversazione; giacchè in ambedue queste occasioni,
1814 come in tutte le altre, la lingua francese è appresso a poco la stessa.
[1901,1] Quindi si veda come sia per sua natura incapace di
poesia la lingua francese, la quale è incapacissima d'indefinito, e dove anche
ne' più sublimi stili, non
1902 trovi mai altro che
perpetua, ed intera definitezza.
[1902,3] Queste ed altre tali osservazioni dimostrano che i
francesi, i quali ho detto pp. 965-66
pp. 970-75
pp.
1001-1003 essere incapaci di ben sentire e gustare le lingue
forestiere, massime le antiche, e l'italiana, lo sono soprattutto in ordine ai
linguaggi della poesia, per la stessa ragione per cui le lingue antiche e
l'italiana
1903 sono meno di ogni altra alla loro
portata. (12. Ott. 1821.).
[2052,2] Della quale arditezza essendo incapace la lingua
francese, è incapace di stile poetico, e le mille miglia separata dal lirico. (4. Nov. 1821.). {{V. p. 2054.
e 2358. fine.}}
[2067,1] Come la lingua così la letteratura francese è
schiava, e la più schiava di quante sono o furono (qualità naturale in una
letteratura d'indole moderna) e nemica o poco adattabile all'originalità, e
quindi alla vera poesia, e quindi anche ella appena può dirsi letteratura,
essendo serva dell'uso e della società, non della sola immaginazione ec. come
dovrebbe. Nè poteva accadere che la lingua fosse schiava e la letteratura no,
siccome non poteva e non può in nessun luogo {o tempo}
accadere viceversa. Dico la letteratura, la quale sola, insieme coi costumi
(parimente schiavi della società, e dell'uniformità in
Francia, e nemici di originalità) segue o accompagna
l'andamento della lingua, e ne ha tutte le qualità; non la filosofia, la quale
non è in questo caso in Francia, nè per se stessa in
verun luogo, poich'ella ha un
2068 tipo e una ragione
indipendente da ogni circostanza, cioè la verità, incapace d'essere influita, e
sempre libera ec. {+Così dico delle
scienze ec.}
(7. Nov. 1821.).
[2171,1] Non solo alla lingua francese, (come osserva la Staël) ma anche a tutte le altre moderne, pare che la prosa
sarebbe più confacente del verso alla poesia moderna. Ho mostrato altrove pp.
734-35 in che cosa debba questa essenzialmente consistere, e quanto
ella sia più prosaica che poetica. Infatti laddove leggendo le prose antiche,
talvolta desideriamo quasi il numero e la misura, per la poeticità delle idee
che contengono (non ostante che e per numero e per ogni altra qualità, la prosa
antica tenga tanto della versificazione); per lo contrario leggendo i versi
moderni, anche gli ottimi, e molto più quando ci proviamo a mettere noi stessi
in verso de' pensieri poetici, veramente propri e moderni, desideriamo la
libertà, la scioltezza, l'abbandono, {+la
scorrevolezza, la facilità, la chiarezza, la placidezza, la semplicità, il
disadorno, l'assennato, il serio e sodo,}
{la posatezza}, il piano della prosa,
2172 come meglio armonizzante con quelle idee che non
hanno quasi niente di versificabile ec. (26. Nov. 1821.).
[2484,1]
2484 I francesi non hanno poesia che non sia prosaica,
e non hanno oramai prosa che non sia poetica. Il che confondendo due linguaggi
distintissimi per natura loro, e tutti due propri dell'uomo per natura sua,
nuoce essenzialmente all'espressione de' nostri pensieri, e contrasta alla
natura dello spirito umano: il quale non parla mai poeticamente quando ragiona
coll'animo riposato ec. come par che sieno obbligati di fare i francesi, se
vogliono scrivere in prosa che sia per loro elegante e spiritosa ed ornata ec.
(19. Giugno. 1822.).
[2640,1] Aggiungo ora che in fatti la poesia, appresso quelle
nazioni ch'hanno lingua propriamente poetica, {cioè distinta
dalla prosaica} (e ciò fu tra le antiche la greca, e sono tra le
moderne l'italiana e la tedesca, e un poco fors'anche la spagnuola) è
conservatrice
2641 dell'antichità della lingua, e
quindi della sua purità, le quali due qualità sono quasi il medesimo, se non che
la prima di queste due voci dice qualcosa di più. Dell'antichità, dico, è
conservatrice la lingua poetica, sì ne' vocaboli, sì nelle frasi, sì nelle
forme, sì eziandio nelle inflessioni, o coniugazioni de' verbi, e in altre
particolarità grammaticali. Nelle quali tutte essa conserva {+(o segue di tratto in tratto a suo arbitrio)}
l'antico uso, stato comune ai primi prosatori, e quindi sbandito dalle prose. Ed
ha notato il Perticari nel Trattato degli Scrittori del Trecento che in tanta
corruzione ultimamente accaduta della nostra lingua parlata e scritta, lo
scriver poetico s'era pur conservato e si conserva puro; il che fino a un certo
segno, e massime ne' versificatori
2642 che non hanno
molto preteso all'originalità (come gli arcadici, i frugoniani ec. a differenza de'
Cesarottiani ec.)
si trova esser verissimo. Così fu nella lingua greca, che la poesia fu gran
conservatrice delle parole, modi, frasi, inflessioni, e regole {e pratiche} grammaticali antiche. Ond'ella ha una lingua
tutta diversa dalla sua contemporanea prosaica. E ciò accade (parlo del
conservar l'antichità e purità della lingua), accade, dico, proporzionatamente
anche nelle poesie che non hanno lingua appartata, come la francese, e forse
l'inglese. Se non altro, queste poesie sono sempre più pure dello scriver
prosaico appresso tali nazioni, rispetto alla lingua. (15. Ottobre
1822.).
[2666,1]
2666 La prosa francese (nazione e lingua la più
impoetica fra le moderne, che sono le più impoetiche del mondo) è molto più
poetica della stessa prosa antica scritta nelle lingue le più poetiche
possibili. Lo stesso mancare affatto di linguaggio poetico distinto dal prosaico
fa che lo scrittor francese confonda quello ch'è proprio dell'uno con quel ch'è
proprio dell'altro, e che come il poeta francese scrive prosaicamente così il
prosatore scriva poeticamente, e che la lingua francese manchi non solo di
linguaggio e stile poetico distinto per rispetto al prosaico, ma anche di
linguaggio e stile veramente prosaico, e ben distinto e circoscritto e definito
per rispetto al poetico. Questa è l'una delle cagioni della poeticità della
prosa francese. Altre ancora se ne potranno addurre, ma fra queste, una che ha
del paradosso e pure è verissima. La prosa francese è poetica perchè la lingua
francese è poverissima. Quindi la necessità di metafore di metonimie di
catacresi di mille figure di dizione che rendono poetica la lingua della prosa,
e secondo il nostro gusto,
2667 gonfia, concitata ed
aliena da quella semplicità, riposatezza, calma, sicurezza ed equabilità e
gravità di passo che s'ammira nelle prose latina e greca, le più poetiche lingue
dell'occidente. P. e. non avendo i francesi una
parola che significhi unitamente il padre e la madre, (come noi, che diciamo i genitori), sono obbligati a dire spesso les auteurs de ses jours, des
jours de quelqu'un, de celui-là etc. Queste
tali frasi necessarie e forzate, obbligano poi lo scrittor prosaico francese a
formar loro un contorno conveniente, a seguire una forma di dire, uno stile,
dove queste frasi, figure ec. non disdicano, e quindi a innalzare il tuono della
sua prosa, e dargli un color poetico tanto nello stile quanto nella lingua: e
così la povertà della lingua francese rende poetica la sua prosa, e per le
figure che l'obbliga ad usare in cambio delle parole che le mancano, e per le
figure che queste medesime figure forzate richiedono intorno a se, e quasi
portano con se, e per lo stile e il linguaggio {e il
tuono} che queste figure forzate
2668
domandano per non disdire. (2. Feb. 1823.).
[2715,3] Ho detto altrove pp. 787. sgg. che
la lingua francese, povera di forme, è tuttavia ricchissima e sempre più si
arricchisce di voci. Distinguo. La lingua francese è povera di sinonimi, ma
ricchissima di voci denotanti ogni sorta di cose e di idee, e ogni menoma parte
di ciascuna cosa e di ciascuna idea. Non può molto variare nella espressione
d'una cosa medesima, ma può variamente esprimere le più varie e diverse cose. Il
che non possiamo noi, benchè possiamo ridire
2716 in
cento modi le cose dette. Ma certo è sempre varia quella scrittura che può esser
sempre propria, perchè ad ogni nuova cosa che le occorre di significare, ha la
sua parola diversa dalle altre per significarla. Anzi questa è la più vera, la
più sostanziale, la più intima, la più importante, ed anche la più dilettevole
varietà di lingua nelle scritture. E quelle scritte in una lingua soprabbondante
di sinonimi, per lo più sono poco varie, perchè la troppa moltitudine delle voci
fa che ciascheduno scrittore per significare ciaschedun oggetto, scelga fra le
tante una sola o due parole al più, e questa si faccia familiare e l'adoperi
ogni volta che le occorre di significare il medesimo oggetto; e così ciascheduno
scrittore in quella lingua abbia il suo vocabolarietto diverso da quel degli
altri, e limitato: come altrove ho detto pp. 244-45
pp.
2386-87
pp.
2397-400
pp. 2630-32 accadere
agli scrittori greci ed italiani. E osservo che sebbene
2717 la lingua greca è molto più varia della latina, nondimeno per la
detta ragione le scritture greche, massime quelle degli ottimi e originali, sono
meno varie delle latine per ciò che spetta ai vocaboli e ai modi. (23.
Maggio 1823.). {{V. p. 2755.}}
[526,1]
Alla p. 477.
Floro è noto per il molto che ha
di poetico, non solo nell'invenzione, nell'immaginazione, evidenza, fecondità,
come Livio, ma nella sentenza e nella
frase, anzi non tanto nella facoltà, quanto nella maniera, nello stile, e nella
volontà. E in ogni modo Floro ha tanto
di gravità, nobiltà, posatezza, ed ancora castigatezza, in somma tanto sapor di
prosa, quanto non si troverà facilmente in nessun moderno, se non forse, ma dico
forse, in qualcuno de' nostri cinquecentisti. E quella stessa dose di pregi
(senza
527 i quali però non ci può esser buona nè vera
prosa) basterebbe per fare ammirare uno scrittore de' nostri tempi, e farlo
giudicare sommo ed unico. (Aggiungete tutto quello che spetta alla lingua:
eleganza, purità sufficientissima, armonia, varietà ec. {forma de' periodi, e loro disposizione e connessione ec.).} Ora i
migliori e sommi prosatori francesi, in ordine a questi pregi, non sono degni di
venir nemmeno in confronto con uno de' peggiori ed infimi classici latini.
(19. Gen. 1821).
[2906,2] In tutte le lingue tanto gran parte dello stile
appartiene ad essa lingua, che in veruno scrittore l'uno senza l'altra non si
può considerare. La magnificenza, la forza, la nobiltà, l'eleganza, la grazia,
la varietà,
{la semplicità, la
naturalezza.} tutte o quasi tutte le qualità dello stile, sono così
legate alle corrispondenti qualità della
2907
{{lingua,}} che nel considerarle in qualsivoglia
scrittura è ben difficile il conoscere e distinguere e determinare quanta e qual
parte di esse (e così delle qualità contrarie) sia propria del solo stile, e
quanta e quale della sola lingua; o vogliamo piuttosto dire, quanta e qual parte
spetti e derivi dai soli sentimenti, e quanta e quale dalle sole parole; giacchè
rigorosamente parlando, l'idea dello stile abbraccia {così} quello che spetta ai sentimenti come ciò che appartiene ai
vocaboli. Ma tanta è la forza e l'autorità delle voci nello stile, che mutate
quelle, o le loro forme, il loro ordine ec. tutte o ciascuna delle predette
qualità si mutano, o si perdono, e lo stile di qualsivoglia autore o scritto,
cangia natura in modo che più non è quello nè si riconosce. {+1. Veggasi la p. 3397-9.}

[3009,1]
{Alla p.
2841.} Lo stile e il linguaggio poetico in una
letteratura già formata, e che n'abbia uno, non si distingue solamente dal
prosaico nè si divide e allontana solamente dal volgo per l'uso di voci e frasi
che sebbene intese, non sono però adoperate nel discorso familiare nè nella
prosa, le quali voci e frasi non sono per lo più altro che dizioni e locuzioni
antiche, andate, fuor che ne' poemi, in disuso; ma esso linguaggio si distingue
eziandio grandemente dal prosaico e volgare per la diversa inflessione materiale
di quelle stesse voci e frasi che il volgo e la prosa adoprano ancora. Ond'è che
spessissimo una tal voce o frase è poetica pronunziata o scritta in un tal modo,
e prosaica, anzi talora affatto impoetica, anzi pure ignobilissima e
volgarissima in un altro modo. E in quello è tutta elegante, in questo affatto
triviale, eziandio talvolta per li prosatori. Questo mezzo di distinguere e
separare il linguaggio d'un poema da quello della prosa e del volgo inflettendo
o condizionando diversamente
3010 dall'uso la forma
estrinseca d'una voce o frase prosaica e familiare, è frequentissimamente
adoperato in ogni lingua che ha linguaggio poetico distinto, lo fu da' greci
sempre, lo è dagl'italiani: anzi parlando puramente del linguaggio, e non dello
stile, poetico, il detto mezzo è l'uno de' più frequenti che s'adoprino a
conseguire il detto fine, e più frequente forse di quello delle voci o frasi
inusitate.
[3403,1] E per recare un esempio; laddove la lingua e lo
stile spagn. e italiano si piegano naturalmente e quasi da se al dignitoso, come
il greco e il latino (che in qualunque genere e materia hanno sempre del grave e
dell'elevato), lo stile francese non ci si piega per niun modo, ma sempre tira
al familiare e al piano. Contuttociò egli pure ottiene di staccarsi dal
familiare e dal volgo, di sostenersi, d'innalzarsi; ma come? Con un copiosissimo
uso d'immagini, pensieri ed espressioni poetiche.
3404
E non mezzanamente confusamente o solo in parte poetiche, ma forte espressa e
totalmente. Senza ciò non ottiene mai dignità ed elevazione, e sempre tira al
basso, e si accosta al discorso ordinario, allo stile parlato, di conversazione
ec. Ma ciò è ben diverso, e in certo senso, contrario al modo in che i greci e i
latini davano dignità ed elevatezza al loro stile, {+in che gliene diedero i nostri classici e gli spagnuoli,
benchè non sempre perfetti nel loro genere di stile, come avrebbero e potuto
e dovuto essere, e come esigeva naturalmente esso genere di stile, e
l'indole {stessa} della lingua ec. Si possono
vedere le pagg. 3413. segg. e
3561. segg. ec. Vedi quello
che altrove ho detto sopra il poetico dello stile di Floro
pp.
526-27, {v. p. 3420.,} e quello che ho detto sopra ciò, che la
lingua francese sempre prosaica {nel verso,} è
oggimai sempre poetica nella prosa; e altri tali pensieri pp.
373-75
pp. 1812-15
p.
2484
pp. 2666-68.}
[3428,1]
Alla p. 3417.
In francia siccome la prosa segue l'uso del parlar
quotidiano assai più che altrove, e l'è sempre assai più conforme, così i poeti
non hanno creduto potersi scostare gran fatto dall'uso medesimo e dalla prosa,
nè lasciar di seguire da vicinissimo l'uno e l'altra nelle continue mutazioni
ch'esse naturalmente e inevitabilmente subiscono. Sì ne' poeti che ne' prosatori
ciò nasce dalla natura di quella nazione e di quella società. I poeti francesi
non hanno dunque antichità di linguaggio da usare. Tutto e sempre di mano in
mano nella lingua francese è moderno. E tutto è ancor nazionale; perchè
guardigli il cielo dall'arricchire la loro lingua di qualche voce tolta {nuovamente} dal latino, benchè totalmente analoga e
affine ad altre voci francesi. La lingua loro è dunque in tutto e sempre priva e
incapace sì dell'antico,
3429 si ancora del pellegrino
(se non di quello che introdotto in una lingua, o usato da uno scrittore è
libertinaggio e barbarie, non eleganza o nobiltà ec.). Da ciò viene che la
lingua francese non è capace di eleganza ec. (del che mi pare aver detto altrove
p.
1813
p.
2014), e che la francia non ha e non può avere
lingua propria della poesia. E non avendola, e però i termini tra questa e
quella della prosa non essendo certi, anzi non avendovene alcuno, perocchè il
campo {dell'una e dell'altra} è un solo e indiviso, la
francia non ha neppur lingua propria espressamente
della prosa, e nella più impoetica lingua del mondo, qual è la francese, non si
trova quasi prosa che non sappia di poesia per lo stile, più o meno, ma certo
più di tutte le classiche prose scritte nelle più poetiche lingue come la greca
e la latina. Del che veggasi la p.
3420-1. Del resto è ben naturale che ove non è distinzion di lingua (tra poesia e prosa) quivi non
possa essere vera distinzion di stile.
{#1. Secondo il detto a pp. 3397-9. e 2906.}
(13. Sett. 1823.)
[3561,1]
Alla p. 3413.
Infatti la scrittura dello Speroni è
tutta sparsa e talor quasi tessuta, non pur di vocaboli, o d'usi metaforici ec.
di parole, tutti propri di Dante e di
Petrarca, ma di frasi intere e
d'interi emistichi di questi poeti, dall'autore dissimulatamente appropriatisi e
convertiti all'uso della sua prosa. Nè tali voci, frasi ec. riescono in lui
punto poetiche, ma convenientissimamente prosaiche. Altrettanto fanno più o meno
molti altri autori del cinquecento, massime i più eleganti, ma lo Speroni singolarmente. Or andate e
ditemi che altrettanto potessero fare, non pur i prosatori greci con Omero, o altro lor poeta, ma i latini con
Virgilio ec. benchè il latino non
abbia linguaggio poetico distinto. Che
vuol dir ciò dunque, se non che il linguaggio di Dante e Petrarca era poco o nulla distinto da quel della prosa? Onde i
prosatori potevano farne lor pro, anche a sazietà, senza dar nel poetico. {#1. Le voci e frasi {e
significati più poetici ed eleganti} di Petr.
Dante ec. tengono come un luogo di
mezzo tra il prosaico e il poetico, onde in una prosa alta, com'è quella
dello Speroni, ci stanno
naturalissimamente. P. e. talento in quel
significato Che la ragion sommettono al
talento.
*
Non si sa ben dire se sia più del verso
che della prosa. Vedilo benissimo usato dallo Speroni
ne' Diall.
Ven. 1596. p. 69. fine.} Altri, e non
pochi, prosatori del 500, siccome nel 300 il Boccaccio, davano nel poetico sconveniente
3562 alla prosa, adoperando a ribocco e senza giudizio le voci, le
significazioni, le metafore, le frasi, gli ornamenti, l'epitetare ec. sì di Dante e Petrarca sì de' poeti del 500. stesso. E ciò per la medesima ragione
per cui i detti poeti adoperavano le frasi e voci ec. della prosa, come a pagg. 3414. segg. Ciò era perchè i
termini fra il linguaggio della poesia e della prosa non erano ancora ben
stabiliti nella nostra lingua. Onde come noi non avevamo ancora un linguaggio
propriamente poetico bene stabilito e determinato, (p. 3414.
3416.), così nè anche un linguaggio
prosaico. Nella stessa guisa (ma però molto meno) che i francesi non hanno quasi
altra prosa che poetica, perchè appunto non hanno lingua propriamente poetica,
distinta e determinata, e assegnata senza controversia alla poesia
(veggãsi[veggansi] le p. 3404-5. 3420-1. 3429. e il pensiero
seguente ). Nessun buon autore del seicento, del sette e
dell'ottocento dà nel poetico come molti buoni
{{e classici
del}} 500 (non ostante nel 600 la gran peste dello stile derivata
appunto dal cercare il florido, il sublime, il metaforico, lo straordinario modo
di parlare e di esprimere checchessia, il fantastico, l'immaginoso, l'ingegnoso;
e consistente in queste qualità ec. peste
3563 che nel
500 ancor non regnava; eppur tanto regnava il florido e il poetico nella prosa,
quanto non mai nelle buone e classiche prose del 600: segno che quel vizio nel
500. veniva da altra cagione, e ciò era quella che si è detta). Nessuno oggi (nè
nei due ultimi secoli) per poco che abbia, non pur di giudizio, ma sol di
pratica nelle buone lettere sarebbe capace di peccare, scrivendo in prosa, per
poeticità di stile e linguaggio, altrettanto quanto nell'ottimo ed aureo secolo
del 500 (mentre il nostro è ferreo) peccavano gli ottimi ingegni nelle classiche
prose, sì nel linguaggio, sì nello stile, che quello si tira dietro (p. 3429. fine). E come ho detto a
pagg. 3417-9. che il linguaggio
{propriamente} poetico in
italia non fu pienamente determinato, stabilito, e
distinto e separato dal prosaico, se non dopo il cinquecento, e massime in
questo e nella fine dell'ultimo secolo; così si deve dire del linguaggio
prosaico, quanto all'essere così esattamente determinato ch'ei non possa mai
confondersi col poetico, nè dar nel poetico senza biasimo ec. Il che non ha
potuto perfettamente essere finchè i termini fra questi due linguaggi non sono
stati fermamente posti, e chiaramente precisamente
3564
incontrovertibilmente segnati, tirati, descritti. Onde il linguaggio
perfettamente proprio e particolare della prosa, e il perfettamente proprio e
particolare della poesia sono dovuti venire in essere a un medesimo tempo, e non
prima l'uno che l'altro (o non prima esser perfetto ec. ec. l'uno che l'altro, e
crescer del pari quanto alla loro prosaicità e poeticità); perchè ciascun de'
due è rispettivo all'altro ec. ec. (30. Sett. 1823.).
[3633,1] Scriveva Voltaire al Principe Reale di Prussia, poi Federico II. in proposito di una frase di Orazio e del modo in cui Federico l'aveva renduta traducendo in
francese l'ode in ch'ella si trova: Ces expressions sont bien plus nobles en français:
elles ne peignent pas comme le latin, et c'est-là le grand malheur
de notre langue qui n'est pas assez accoutumée aux
détails.
*
(Lettres du Prince Royal de Prusse et de M.
3634 de Voltaire, Lettre
118. le 6 avril 1740. Oeuvres complettes de Frédéric II, roi de Prusse. 1790.
tome 10, p. 500.) Aveva detto Voltaire che l'espressione latina serait très-basse en
français.
*
[3863,2] Accade nelle lingue come nella vita e ne' costumi; e
nel parlare come nell'operare, e trattare con gli uomini (e questa non è
similitudine, ma conseguenza.) Nei tempi e nelle nazioni dove la singolarità
dell'operare, de' costumi ec. non è tollerata, è ridicola ec. lo è similmente
anche quella del favellare. E a proporzione che la diversità dall'ordinario,
maggiore o minore, si tollera o piace, {ovvero} non
piace, non si tollera, è ridicola ec. più o meno; maggiore o minore o niuna
diversità piace, dispiace, si tollera o non si tollera nel favellare. Lasceremo
ora il comparare a questo proposito le lingue antiche colle moderne, e il
considerare come corrispondentemente
3864 alla diversa
natura dello stato e costume delle nazioni antiche e moderne, e dello spirito e
società umana antica e moderna, tutte le lingue antiche sieno o fossero più
ardite delle moderne, e sia proprio delle lingue antiche l'ardire, e quindi esse
sieno molto più delle moderne, per lor natura, atte alla poesia; perocchè tra
gli antichi, dove e quando più, dove e quando meno, ηὐδοκίμει la singolarità
dell'opere, delle maniere, de' costumi, de' caratteri, degl'istituti delle
persone, e quindi eziandio quella del lor favellare e scrivere. La nazion
francese, che di tutte l'altre sì antiche sì moderne, è quella che meno approva,
ammette e comporta, anzi che più riprende ed odia e rigetta e vieta, non pur la
singolarità, ma la nonconformità dell'operare e del conversare nella vita
civile, de' caratteri delle persone ec.; la nazion francese, dico, lasciando le
altre cose a ciò appartenenti, della sua lingua e del suo stile; manca affatto
di lingua poetica, e non può per sua natura averne, perocchè ella deve
naturalmente inimicare e odiare, ed odia infatti, come la singolarità delle
azioni ec. così la singolarità del favellare e scrivere. Ora il parlar poetico è
per sua natura diverso dal parlare ordinario. Dunque esso ripugna per sua natura
alla natura della società e della nazione francese. E di fatti la lingua
francese è incapace, non solo di quel peregrino che nasce dall'uso di voci,
modi, significati tratti da altre lingue,
3865 o dalla
sua medesima antichità, anche pochissimo remota, ma eziandio di quel peregrino e
quindi di quella eleganza che nasce dall'uso non ordinario delle voci e frasi
sue moderne e comuni, cioè di metafore non trite, di figure, sia di sentenza,
sia massimamente di dizione, di ardiri di ogni sorta, anche di quelli che non
pur nelle lingue antiche, ma in altre moderne, come p. e. nell'italiana,
sarebbero rispettivamente de' più leggeri, de' più comuni, e talvolta neppure
ardiri. Questa incapacità si attribuisce alla lingua; ella in verità è della
lingua, ma è acora della nazione, e non per altro è in quella, se non perch'ella
è in questa. Al contrario la nazion tedesca, che da una parte per la sua
divisione e costituzion politica, dall'altra pel carattere naturale de' suoi
individui, pe' lor costumi, usi ec. {+per
lo stato presente della lor civiltà, che siccome assai recente, non è in
generale così avanzata come in altri luoghi,} e finalmente per la
rigidità del clima che le rende naturalmente propria la vita casalinga, e
l'abitudine di questa, è forse di tutte le moderne nazioni civili la meno atta e
abituata alla società personale ed effettiva; sopportando perciò facilmente ed
anche approvando e celebrando, non pur la difformità, ma la singolarità delle
azioni, costumi, caratteri, modi ec. delle persone (la qual
singolata[singolarità] appo loro non ha
pochi nè leggeri esempi di fatto, anche in città e corpi interi, come in quello
de' fratelli moravi, e in altri molti istituti ec. ec. tedeschi, che per verità
non hanno
3866 punto del moderno, e parrebbero
impossibili a' tempi nostri, ed impropri affatto di essi), sopporta ancora, ed
ammette e loda ec. una grandissima singolarità d'ogni genere nel parlare e nello
scrivere, ed ha la lingua, non pur nel verso, ma nella prosa, più ardita {per sua natura} di tutte le moderne colte, e pari {in questo} eziandio alla più ardita delle antiche. La
qual lingua tedesca per conseguenza è poetichissima e {capace
e} ricca d'ogni varietà ec. (11. Nov. 1823.).
[4214,3] I francesi non hanno lingua poetica perchè hanno
rigettata la lingua antica, perchè non sopportano l'antico nel verso niente più
che nella prosa: e senza l'antico non vi può esser lingua poetica. I Latini che ebbero pochissima antichità
di lingua, perchè il progresso della loro letteratura fu rapidissimo, e che
rigettarono, ad eccezione di pochissime {e
piccolissime} parti conservate nel verso, quella poca antichità che
avevano, non ebbero lingua poetica propriamente, nè avrebbero avuto dicitura e
stile poetico se non avessero usato nella poesia costruzioni ardite, e nuovi
significati e metafore di parole, che i francesi non sopportano nella loro.
{#(1) Notisi quindi che presso i latini
ciascun poeta era artefice della sua lingua poetica; la lingua poetica dei
latini era opera individuale del poeta, e se il poeta non se la facea, non
l'aveva: dove in italiano e in greco ella era cosa universale, e il poeta
l'avea già prima di porsi a comporre. E da ciò forse può nascere l'abuso e
la soverchia copia del verseggiare e dei verseggiatori ec. ec.} Del
resto l'avere i latini e i francesi a differenza dei greci e degl'italiani,
rigettata ne' loro buoni {e perfetti} secoli
l'antichità della lingua, venne, fra l'altre cose, dal non aver essi avuto nelle
loro lingue antiche scrittori veramente sommi, a differenza dei greci, che
ebbero Omero, Esiodo, Archiloco, Ippocrate, Erodoto ec. e degl'italiani, ch'ebbero
Dante, Petrarca, Boccaccio, insomma {(come i greci)} la
letteratura già stabilita, {fissata} e formata prima
della lingua e della maturità della civilizzazione.
(Bolog. 12. Ott. 1826.).
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