Poesia.
Poetry.
Vedi Verso.Romanticismo ec. See Verse. Romanticism, etc.Poesia. Distinta in tre generi: lirico, epico e drammatico.
Poetry. Divided in three genres: lyric, epic and drama.
4234,5Poesia. Conservatrice dell'antichità e purità della lingua.
Poetry. Custodian of the antiquity and purity of language.
2640,1 3008,13009,1 3417-9Poesia. Non può esserci contemporanea.
Poetry. Cannot be contemporary to us.
2944,1Poesia. Poco effetto dee far ne' fanciulli.
Poetry. Must have little effect on children.
1799,1Poesia. Anche malinconica, abbisogna di ore liete.
Poetry. Even when melancholic, it needs happy moments.
136,1La corruzione e decadenza di ciascun genere di poesia, suol cominciare subito dopo la prima opera di quel genere.
The corruption and decadence of every poetic genre, usually begins right after the first work of its kind is created.
3290[4234,5] La poesia, quanto a' generi, non ha in sostanza che
tre vere e grandi divisioni: lirico, epico e drammatico. Il lirico, primogenito
di tutti; proprio di ogni nazione anche selvaggia; più nobile e più poetico d'ogni altro; vera {e pura} poesia in tutta la sua estensione; proprio
d'ogni uomo anche incolto, che cerca di ricrearsi o di consolarsi col canto, e
colle parole misurate in qualunque modo, e coll'armonia; espressione libera e
schietta di qualunque affetto vivo e ben sentito dell'uomo. L'epico nacque dopo
questo e da questo; non è in certo modo che un'amplificazione del lirico, o
vogliam dire il genere lirico che tra gli altri suoi mezzi e subbietti ha
assunta
4235 principalmente e scelta la narrazione,
poeticamente modificata. Il poema epico si cantava anch'esso sulla lira o con
musica, per le vie, al popolo, come i primi poemi lirici. Esso non è che un inno
in onor degli {eroi o delle nazioni o eserciti;}
solamente un inno prolungato. Però anch'esso è proprio d'ogni nazione anche
incolta e selvaggia, massime se guerriera. E veggonsi i canti di selvaggi in
gran parte, e quelli ancora de' bardi, partecipar tanto dell'epico e del lirico,
che non si saprebbe a qual de' due generi attribuirli. Ma essi son veramente
dell'uno e dell'altro insieme; sono inni lunghi e circostanziati, di materia
guerriera per lo più; sono poemi epici indicanti il primordio, la prima natività
dell'epica dalla lirica, individui del genere epico nascente, e separantesi, ma
non separato ancora dal lirico. Il drammatico è ultimo dei tre generi, di tempo
e di nobiltà. Esso non è un'ispirazione, ma un'invenzione; figlio della civiltà,
non della natura; poesia per convenzione e per volontà degli autori suoi, più
che per la essenza sua. La natura insegna, è vero, a contraffar la voce, le
parole, i gesti, gli atti di qualche persona; e fa che tale imitazione, ben
fatta, rechi piacere: ma essa non insegna a farla in dialogo, molto meno con
regola e con misura, anzi n'esclude la misura affatto, n'esclude affatto
l'armonia; giacchè il pregio {e il diletto} di tali
imitazioni consiste tutto nella precisa rappresentazion della cosa imitata, di
modo ch'ella sia posta sotto i sensi, e paia vederla o udirla. Il che anzi è
amico della irregolarità e disarmonia, perchè appunto è amico della verità, che
non è armonica. Oltre che la natura propone per lo più a tali imitazioni i
soggetti più disusati, fuor di regola, le bizzarrie, i ridicoli, le stravaganze,
i difetti. E tali imitazioni {naturali} poi, non sono
mai d'un avvenimento, ma d'un'azione semplicissima, voglio dir d'un atto, senza
parti, senza cagioni, mezzo, conseguenze; considerato in se solo, e per suo solo
rispetto. Dalle quali cose è manifesto che la imitazion suggerita dalla natura,
è per essenza, del tutto differente dalla drammatica. Il dramma non è proprio
delle nazioni incolte. Esso è uno spettacolo, un figlio della civiltà e
dell'ozio, un trovato
4236 di persone oziose, che
vogliono passare il tempo, in somma un trattenimento dell'ozio, inventato, come
tanti e tanti altri, nel seno della civiltà, dall'ingegno dell'uomo, non
ispirato dalla natura, ma diretto a procacciar sollazzo a se e agli altri, e
onor sociale o utilità a se medesimo. Trattenimento liberale bensì e degno; ma
non prodotto della natura vergine e pura, come è la lirica, che è sua legittima
figlia, e l'epica, che è sua vera nepote. - Gli altri che si chiamano generi di
poesia, si possono tutti ridurre a questi tre capi, o non sono generi distinti
per poesia, ma per metro o cosa tale estrinseca. L'elegiaco è nome di metro.
Ogni suo soggetto usitato appartiene di sua natura alla lirica; come i subbietti
lugubri, che furono spessissimo trattati dai greci {lirici,} massime antichi, in versi lirici, nei componimenti al tutto
lirici, detti θρῆνοι, {+quali furon
quelli di Simonide, assai
celebrato in tal maniera di componimenti, e quelli di Pindaro: forse anche μονῳδίαι, come quelle che di
Saffo ricorda
Suida.} Il satirico è in parte lirico, se
passionato, come l'archilocheo; in parte comico. Il didascalico, per quel che ha di vera
poesia, è lirico o epico; dove è semplicemente precettivo, non ha di poesia che
il linguaggio, {il modo} e i gesti per dir così. {ec.}
(Recanati. 15. Dic. 1826.).
[2640,1] Aggiungo ora che in fatti la poesia, appresso quelle
nazioni ch'hanno lingua propriamente poetica, {cioè distinta
dalla prosaica} (e ciò fu tra le antiche la greca, e sono tra le
moderne l'italiana e la tedesca, e un poco fors'anche la spagnuola) è
conservatrice
2641 dell'antichità della lingua, e
quindi della sua purità, le quali due qualità sono quasi il medesimo, se non che
la prima di queste due voci dice qualcosa di più. Dell'antichità, dico, è
conservatrice la lingua poetica, sì ne' vocaboli, sì nelle frasi, sì nelle
forme, sì eziandio nelle inflessioni, o coniugazioni de' verbi, e in altre
particolarità grammaticali. Nelle quali tutte essa conserva {+(o segue di tratto in tratto a suo arbitrio)}
l'antico uso, stato comune ai primi prosatori, e quindi sbandito dalle prose. Ed
ha notato il Perticari nel Trattato degli Scrittori del Trecento che in tanta
corruzione ultimamente accaduta della nostra lingua parlata e scritta, lo
scriver poetico s'era pur conservato e si conserva puro; il che fino a un certo
segno, e massime ne' versificatori
2642 che non hanno
molto preteso all'originalità (come gli arcadici, i frugoniani ec. a differenza de'
Cesarottiani ec.)
si trova esser verissimo. Così fu nella lingua greca, che la poesia fu gran
conservatrice delle parole, modi, frasi, inflessioni, e regole {e pratiche} grammaticali antiche. Ond'ella ha una lingua
tutta diversa dalla sua contemporanea prosaica. E ciò accade (parlo del
conservar l'antichità e purità della lingua), accade, dico, proporzionatamente
anche nelle poesie che non hanno lingua appartata, come la francese, e forse
l'inglese. Se non altro, queste poesie sono sempre più pure dello scriver
prosaico appresso tali nazioni, rispetto alla lingua. (15. Ottobre
1822.).
[3009,1]
{Alla p.
2841.} Lo stile e il linguaggio poetico in una
letteratura già formata, e che n'abbia uno, non si distingue solamente dal
prosaico nè si divide e allontana solamente dal volgo per l'uso di voci e frasi
che sebbene intese, non sono però adoperate nel discorso familiare nè nella
prosa, le quali voci e frasi non sono per lo più altro che dizioni e locuzioni
antiche, andate, fuor che ne' poemi, in disuso; ma esso linguaggio si distingue
eziandio grandemente dal prosaico e volgare per la diversa inflessione materiale
di quelle stesse voci e frasi che il volgo e la prosa adoprano ancora. Ond'è che
spessissimo una tal voce o frase è poetica pronunziata o scritta in un tal modo,
e prosaica, anzi talora affatto impoetica, anzi pure ignobilissima e
volgarissima in un altro modo. E in quello è tutta elegante, in questo affatto
triviale, eziandio talvolta per li prosatori. Questo mezzo di distinguere e
separare il linguaggio d'un poema da quello della prosa e del volgo inflettendo
o condizionando diversamente
3010 dall'uso la forma
estrinseca d'una voce o frase prosaica e familiare, è frequentissimamente
adoperato in ogni lingua che ha linguaggio poetico distinto, lo fu da' greci
sempre, lo è dagl'italiani: anzi parlando puramente del linguaggio, e non dello
stile, poetico, il detto mezzo è l'uno de' più frequenti che s'adoprino a
conseguire il detto fine, e più frequente forse di quello delle voci o frasi
inusitate.
[3416,1] In somma la lingua italiana non aveva ancora
bastante antichità, per potere avere
abbastanza di quella eleganza di cui qui s'intende parlare, e un linguaggio ben
propriamente poetico, e ben disgiunto dal prosaico. Le parole dello Speroni provano questa verità, e questa
le mie teorie a cui la presente osservazione si riferisce. Il cui risultato è
che dovunque non è sufficiente antichità di lingua colta, quivi non può ancora
essere la detta eleganza di stile e di lingua, nè linguaggio poetico distinto e
proprio ec. (11. Sett. 1823.). Ho già detto altrove pp. 701-702
3417 che non prima del passato secolo e del presente si
è formato pienamente e perfezionato il linguaggio (e quindi anche lo stile)
poetico italiano (dico il linguaggio e lo stile poetico, non già la poesia); s'è
accostato al Virgiliano, vero, perfetto e sovrano modello dello stile
propriamente e totalmente e distintissimamente poetico; ha perduto ogni aria di
familiare; e si è con ben certi limiti, e ben certo, nè scarso, intervallo,
distinto dal prosaico. O vogliamo dir che il linguaggio prosaico si è diviso
esso medesimo dal poetico. Il che propriamente non sarebbe vero; ma e' s'è
diviso dall'antico; e così sempre accade che il linguaggio prosaico, insieme
coll'ordinario uso della lingua parlata, al quale ei non può fare a meno di
somigliarsi, si vada di mano in mano cambiando e allontanando dall'antichità. I
poeti (fuorchè in Francia) {#1. V. p.
3428.} serbano l'antico più che possono, perch'ei serve loro
all'eleganza, {dignità} ec. anzi hanno bisogno
dell'antichità della lingua. E così, contro quello
3418
che dee parere a prima giunta, i più licenziosi scrittori, che sono i poeti, son
quelli che più lungamente e fedelmente conservano la purità e l'antichità della
lingua, e che più la tengon ferma, mirando sempre e continuando il linguaggio
de' primi istitutori della poesia ec. Dalla quale antichità la prosa, obbligata
ad accostarsi all'uso corrente, sempre più s'allontana. Ond'è che il linguaggio
prosaico si scosti per vero dire esso stesso dal poetico (piuttosto che questo
da quello) ma non in quanto poetico, solo in quanto seguace dell'antico, e fermo
(quanto più si può) all'antico, da cui il prosaico s'allontana. Del resto il
linguaggio {e lo stile} delle poesie di Parini, Alfieri, Monti, Foscolo è {molto} più propriamente e più perfettamente poetico e
distinto dal prosaico, che non è quello di verun altro de' nostri poeti, inclusi
nominatamente i più classici e sommi antichi. Di modo che per quelli e per gli
altri che li somigliano, e per l'uso de' poeti di questo e dell'ultimo secolo,
l'italia ha oggidì una lingua poetica {a parte, e} distinta affatto dalla prosaica, una doppia
lingua, l'una prosaica l'altra
3419 poetica, non
altrimenti che l'avesse la grecia, e più che i latini. Ed
è stato anche osservato (da Perticari sulla fine del Tratt. degli Scritt. del Trecento)
che nella universale corruzione della lingua e stile delle nostre prose e del
nostro familiar discorso accaduta nell'ultima metà del passato secolo, e ancora
continuante, la lingua de' poeti si mantenne quasi pura e incorrotta, non solo
ne' migliori o in chi pur seguì un buono stile, ma ne' pessimi eziandio, e negli
stili falsi, tumidi, frondosissimi, ridondanti, strani o imbecilli degli
arcadici, de' frugoniani, bettinelliani ec. Così pure era accaduto ne' barbari poeti del
secento. La cagione di ciò è facile a raccorre da queste mie osservazioni, le
quali sono ben confermati[confermate] da questi
fatti. Laddove egli è pur certo che riguardo alla prosa, lo stile non si
corrompe mai che non si corrompa altresì la lingua, nè viceversa, nè v'ha {prosatore} alcuno di stile corrotto e lingua incorrotta;
del che puoi vedere le pagg.
3397-9. (12. Sett. 1823.)
[2944,1] Gridano che la poesia debba esserci contemporanea,
cioè adoperare il linguaggio e le idee e dipingere i costumi, e fors'anche gli
accidenti de' nostri tempi. Onde condannano l'uso delle antiche finzioni,
opinioni, costumi, avvenimenti. {Puoi vedere la
p. 3152.}
Ma io dico che tutt'altro potrà esser contemporaneo a questo secolo fuorchè la
poesia. Come può il poeta adoperare il linguaggio e seguir le idee e mostrare i
costumi d'una generazione d'uomini per cui la gloria è un fantasma, la libertà
la patria l'amor patrio non esistono, l'amor vero è una
2945 fanciullaggine, e insomma le illusioni son tutte svanite, le
passioni, non solo grandi e nobili e belle, ma tutte le passioni estinte? Come
può, dico, ciò fare, ed esser poeta? Un poeta, una poesia, senza illusioni senza
passioni, sono termini che reggano in logica? Un poeta in quanto poeta può egli
essere egoista e metafisico? e il nostro secolo non è tale caratteristicamente?
come dunque può il poeta essere caratteristicamente contemporaneo in quanto
poeta?
[1799,1] Ond'è che il fanciullo il quale per necessità ha
poche rimembranze (ha però somma immaginazione) deve trovar poco dilettevoli e
belle molte bellissime parti delle più grandi poesie. Così dico delle diverse
professioni, abitudini ec. le quali diversificando le rimembranze secondo
gl'individui, diversificano ancora l'effetto delle diverse poesie ec. e delle
loro parti, e quindi anche il giudizio che gl'individui ne pronunziano. Forse un
uomo di poca memoria non è molto atto a gustar poesie. Così un uomo non avvezzo
ad attendere. Così un uomo non sensibile nè suscettibile ec. (28. Sett.
1821.). {{V. p.
1804.}}
[136,1] La poesia malinconica e sentimentale è un respiro
dell'anima. L'oppressione del cuore, o venga da qualunque passione, o dallo
scoraggiamento della vita, e dal sentimento profondo della nullità delle cose,
{chiudendolo affatto,} non lascia luogo a questo
respiro. Gli altri {generi} di poesia molto meno sono
compatibili con questo stato. Ed io credo che le continue sventure del Tasso sieno il motivo per cui egli in
merito di originalità e d'invenzione restò inferiore agli altri tre sommi poeti
italiani, quando il suo animo per sentimenti, affetti, grandezza, tenerezza ec.
certamente gli uguagliava se non li superava, come apparisce dalle sue lettere
{e da altre prose.} Ma quantunque chi non ha
provato la sventura non sappia nulla, è certo che l'immaginazione e anche la
sensibilità malinconica non ha forza senza un'aura di prosperità, e senza un
vigor d'animo che non può stare senza un crepuscolo {un
raggio un barlume} di allegrezza. (24. Giugno 1820.).
[3289,3] Sogliono le opere umane servire di modello
successivamente l'une all'altre, e così appoco perfezionandosi il genere, e
ciascuna opera, o le più
3290 d'esse riuscendo migliori
de' loro modelli fino all'intero perfezionamento, il primo modello apparire ed
essere nel suo genere la più imperfetta opera di tutte l'altre, per infino alla
decadenza e corruzione d'esso genere, che suole altresì ordinariamente succedere
all'ultima sua perfezione. Non così nell'epopea; ma per lo contrario il primo
poema epico, cioè l'iliade che fu modello di tutti gli altri, si
trova essere il più perfetto di tutti. Più perfetto dico nel modo che ho
dimostrato parlando della vera idea del poema epico p. 3095- 3169. Secondo le quali osservazioni da me
fatte si può anzi dire che siccome l'ultima perfezione dell'epopea (almen quanto
all'insieme e all'idea della medesima) si trova nel primo poema epico che si
conosca, così la decadenza e corruzione di questo genere incominciò non più
tardi che subito dopo il primo poema epico a noi noto. Similmente negli altri
generi di poesia, per lo più, i migliori e più perfetti modelli ed opere sono le
più antiche, o assolutamente parlando, o relativamente alle nazioni {e letterature} particolari,
3291 come tra noi la Commedia di Dante
è nel suo genere, siccome la prima, così anche la migliore opera. (28.
Agosto. 1823.).
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