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Virgilio.

Virgil.

Vedi Epopea. Omero. See Epic. Homer. 3417 3719 4067

[3416,1]  In somma la lingua italiana non aveva ancora bastante antichità, per potere avere abbastanza di quella eleganza di cui qui s'intende parlare, e un linguaggio ben propriamente poetico, e ben disgiunto dal prosaico. Le parole dello Speroni provano questa verità, e questa le mie teorie a cui la presente osservazione si riferisce. Il cui risultato è che dovunque non è sufficiente antichità di lingua colta, quivi non può ancora essere la detta eleganza di stile e di lingua, nè linguaggio poetico distinto e proprio ec. (11. Sett. 1823.). Ho già detto altrove pp. 701-702  3417 che non prima del passato secolo e del presente si è formato pienamente e perfezionato il linguaggio (e quindi anche lo stile) poetico italiano (dico il linguaggio e lo stile poetico, non già la poesia); s'è accostato al Virgiliano, vero, perfetto e sovrano modello dello stile propriamente e totalmente e distintissimamente poetico; ha perduto ogni aria di familiare; e si è con ben certi limiti, e ben certo, nè scarso, intervallo, distinto dal prosaico. O vogliamo dir che il linguaggio prosaico si è diviso esso medesimo dal poetico. Il che propriamente non sarebbe vero; ma e' s'è diviso dall'antico; e così sempre accade che il linguaggio prosaico, insieme coll'ordinario uso della lingua parlata, al quale ei non può fare a meno di somigliarsi, si vada di mano in mano cambiando e allontanando dall'antichità. I poeti (fuorchè in Francia) {#1. V. p. 3428.} serbano l'antico più che possono, perch'ei serve loro all'eleganza, {dignità} ec. anzi hanno bisogno dell'antichità della lingua. E così, contro quello  3418 che dee parere a prima giunta, i più licenziosi scrittori, che sono i poeti, son quelli che più lungamente e fedelmente conservano la purità e l'antichità della lingua, e che più la tengon ferma, mirando sempre e continuando il linguaggio de' primi istitutori della poesia ec. Dalla quale antichità la prosa, obbligata ad accostarsi all'uso corrente, sempre più s'allontana. Ond'è che il linguaggio prosaico si scosti per vero dire esso stesso dal poetico (piuttosto che questo da quello) ma non in quanto poetico, solo in quanto seguace dell'antico, e fermo (quanto più si può) all'antico, da cui il prosaico s'allontana. Del resto il linguaggio {e lo stile} delle poesie di Parini, Alfieri, Monti, Foscolo è {molto} più propriamente e più perfettamente poetico e distinto dal prosaico, che non è quello di verun altro de' nostri poeti, inclusi nominatamente i più classici e sommi antichi. Di modo che per quelli e per gli altri che li somigliano, e per l'uso de' poeti di questo e dell'ultimo secolo, l'italia ha oggidì una lingua poetica {a parte, e} distinta affatto dalla prosaica, una doppia lingua, l'una prosaica l'altra  3419 poetica, non altrimenti che l'avesse la grecia, e più che i latini. Ed è stato anche osservato (da Perticari sulla fine del Tratt. degli Scritt. del Trecento) che nella universale corruzione della lingua e stile delle nostre prose e del nostro familiar discorso accaduta nell'ultima metà del passato secolo, e ancora continuante, la lingua de' poeti si mantenne quasi pura e incorrotta, non solo ne' migliori o in chi pur seguì un buono stile, ma ne' pessimi eziandio, e negli stili falsi, tumidi, frondosissimi, ridondanti, strani o imbecilli degli arcadici, de' frugoniani, bettinelliani ec. Così pure era accaduto ne' barbari poeti del secento. La cagione di ciò è facile a raccorre da queste mie osservazioni, le quali sono ben confermati[confermate] da questi fatti. Laddove egli è pur certo che riguardo alla prosa, lo stile non si corrompe mai che non si corrompa altresì la lingua, nè viceversa, nè v'ha {prosatore} alcuno di stile corrotto e lingua incorrotta; del che puoi vedere le pagg. 3397-9. (12. Sett. 1823.)

[3717,1]  Alla p. 2980. Immaginazione continuamente fresca ed operante si richiede a poter saisir i rapporti, le affinità, le somiglianze ec. ec. o vere, o apparenti, poetiche ec. degli oggetti e delle cose tra loro, o a scoprire questi rapporti, o ad  3718 inventarli ec. cose che bisogna continuamente fare volendo parlar metaforico e figurato, e che queste metafore e figure e questo parlare abbiano del nuovo e originale e del proprio dell'autore. Lascio le similitudini: una metafora nuova che si contenga pure in una parola sola, ha bisogno dell'immaginazione e invenzione che ho detto. Or {di} queste metafore e figure ec. ne dev'esser composto tutto lo stile e tutta l'espressione de' concetti del poeta. Continua immaginazione, sempre viva, sempre rappresentante le cose agli occhi del poeta, e mostrantegliele come presenti, si richiede a poter significare le cose o le azioni o le idee ec. per mezzo di una o due circostanze o qualità o parti di esse le più minute, le più sfuggevoli, le meno notate, le meno solite ad essere espresse dagli altri poeti, o ad esser prese per rappresentare tutta l'immagine, le più efficaci ed atte o per se, per questa stessa novità o insolitezza di esser notate o espresse, o della loro applicazione  3719 ed uso ec., le più atte dico a significar l'idea da esprimersi, a rappresentarla al vivo, a destarla con efficacia ec. {+Tali sono assai spesso le espressioni, o vogliamo dire i mezzi d'espressione, e il modo di rappresentar le cose e destar le immagini ec. nuove o novamente, e per virtù della novità del modo ec. ec. usati da Virgilio, e massime, anzi peculiarmente, e come caretteristici[caratteristici] del suo stile e poesia, da Dante ec. ec.} Tutte queste cose si richiedono in uno stile come quel di Virgilio (e più o meno negli altri: ma quel di Virgilio, in quanto stile, è precisamente il più poetico di quanti si conoscono, e forse il non plus ultra della poetichità); e questi infatti sono i mezzi ch'egli adopera e gli effetti ch'egli consegue. Or non si possono adoperar tali mezzi, nè produr tali effetti (che con altri mezzi, nello stile, non si ottengono) senza una continua e non mai interrotta azione, vivacità e freschezza d'immaginazione. E sempre ch'essa langue, langue lo stile, sia pure immaginosissima e poetichissima l'invenzione e la qualità delle cose in esso trattate ed espresse. Poetiche saranno le cose, lo stile no; e peggiore sarà l'effetto, che se quelle ancora fossero impoetiche; per il contrasto e sconvenienza ec. che sarà tanto maggiore quanto quelle e l'invenzione ec. saranno più immaginose e poetiche.  3720 Del resto è da vedere la p. 3388-9. (17. Ott. 1823.).

[4066,1]   4066 La maniera familiare che come più volte ho detto pp. 1808-10 pp. 2639-40 pp. 2836-41 pp. 3009. sgg. pp. 3014-17 p. 3415, fu necessariamente scelta da' nostri classici antichi, o necessariamente v'incorsero senz'avvedersene ed anche fuggendola, può ora in parte o in tutto sfuggire massimamente alle persone di naso poco acuto, e a quelle non molto esercitate e profonde nella cognizione, nel sentimento e nel gusto dell'antica e buona lingua e stile italiano, che è quanto dire a quasi tutti i presenti italiani. Ciò viene, fra l'altre cose, perchè quello che allora fu familiare nella lingua, or non lo è più, anzi è antico ed elegante, ovvero è arcaismo. Non per tanto è men vero quel che io altrove ho detto. Anzi è tanto vero, che anche dopo che la lingua aveva acquistato la materia e i mezzi e la capacità della eleganza e del parlar distinto da quello del volgo e dall'usuale, si è pur seguitato sì nel 500 e 600 sì nel presente secolo da molti cultori e amatori dello scriver classico, a usare una maniera familiare, sovente non avvedendosene o non intendendo bene la proprietà e qualità della maniera che sceglievano e usavano, e sovente anche {intendendo,} credendo di usare una maniera elegante. E ciò si è fatto in due modi. O adoperando le stesse forme antiche, le quali oggi non sono più familiari, anzi eleganti, onde n'è risultata opinione di eleganza a tali stili ed opere modellate sull'antico, ma veramente esse hanno del familiare, perchè il totale dello stile antico da essi imitato, necessariamente ne aveva anche indipendentemente dalle forme, bensì per cagion loro e per conformarsi e corrispondere ad esse {forme} che allora erano necessariamente familiari. Ovvero adoperando le forme familiari moderne a esempio e imitazione degli antichi, e della familiarità che nelle forme e nello stile loro si scorgeva, benchè non bene intendendola, e sovente confondendo sì la familiarità imitata sì quella  4067 che adoperavano ad imitarla, colla eleganza, dignità e nobiltà e col dir separato dall'usuale, perciò appunto che la familiarità in genere non era {e non è} più usuale, e l'uso della medesima è proprio degli antichi. Il terzo modo, che sarebbe quello di usar l'antico e il moderno e tutte le risorse della lingua, in vista e con intenzione di fare uno stile e una maniera nè familiare nè antica, ma elegante in generale, nobile, maestosa, distinta affatto dal dir comune, e proprio di una lingua che è già atta allo stile perfetto, quale è appunto quello di Cicerone nella prosa e di Virgilio nella poesia (stile usato quando la lingua latina era appunto in {quelle circostanze e} quello stato di capacità in cui è ora la lingua nostra); questo terzo modo non è stato non che usato, ma concepito nè inteso da quasi niuno, comechè egli è forse il solo conveniente, il solo perfetto, e convenevole a una lingua {e letteratura già} perfetta. (8. Aprile. 1824.).