Familiarità nella scrittura.
Familiarity in writing.
1808,1 1918,1 2127,1 2130,2 2542,1 2639,1 2700,1 2836,2 4066,1 4216,1[1808,1]
1808 Da queste ragioni deriva in parte un effetto che
si osserva in tutti i primitivi scrittori di qualsivoglia lingua. Essi non sono
mai eleganti, bensì ordinariamente familiari. La familiarità essendo anch'essa
bellissima, si confonde molte volte coll'eleganza, e può considerarsi come una
delle sue specie (massime quando la stessa familiarità cagiona il pellegrino
nella scrittura, per non esser solita a venirvi applicata). Ma io qui non
intendo parlare di quella eleganza di cui il Caro in verso e in prosa può essere un modello, bensì di quella di
cui saranno eterni modelli a tutte le nazioni e le lingue, Virg. e Cic..
[1918,1] Quindi è che parlando generalmente e di un intiero
stile (giacchè l'effetto generale, deriva e si conforma agli effetti
particolari), in un secolo e in una nazione dove le parole e frasi sieno poco
usitate nel senso proprio scrivendo, dove sia molto in uso lo stile metaforico
(dentro i limiti però dell'eleganza), uno stile proprio, e composto anche,
purchè con certa arte, di parole e frasi pedestri, familiari, e spettanti ai particolari, riuscirà
1919 elegantissimo. E viceversa supponendo il caso
contrario. Quindi possiamo osservare, congetturare, specificare, distinguere i
diversi effetti che hanno prodotto ne' diversi secoli e le diverse opinioni in
cui (dentro i limiti del bello) sono stati avuti gli scrittori italiani di
diverso stile, nella stessa italia: come i
300isti[trecentisti], paragonati co'
cinquecentisti, ec. ec. Quindi possiamo anche notare la istabilità delle
riputazioni e degli effetti di un'opera di belle arti, o di scrittura, sulle
quali si stima che il giudizio spassionato del pubblico, sia come giusto, così
invariabile. Giusto concedo, invariabile nego; massime in lungo corso di secoli,
e in qualche diversità di nazioni, e di costumi ec.
[2127,1] Vien pure accagionato il Sig. Botta di alcuni termini familiari, che parvero
non comportabili dalla dignità storica ..... Si mise in campo a sua discolpa
l'osservazione, esser pregio particolare della lingua italiana, l'adattarsi a
tutti i tuoni, anche ne'
2128 più gravi argomenti. Di
fatti, chi ben guardi addentro la materia, non è forse vero, che questo idioma
non si formò già nelle corti, bensì in una repubblica tempestosa, nella quale
esprimere l'energia de' sentimenti popolari, non già fornire occorreva locuzioni
temperate a gente placida, o simulata. Da questa impronta originaria ricevette
la lingua mentovata il privilegio d'essere per l'appunto in modo singolare sì
acconcia a descrivere rivoluzioni politiche. Pref. del Sig. L. di Sevelinges alla sua traduzione della
Storia ec. di C. Botta, in francese, volgarizzata
dal Cav. L. Rossi.
Milano, Botta
Storia ec. 1819. 3.za edizione t. 1. p. LXI.-II.
[2130,2] Pare sproposito, e pure è certo che una lingua è
tanto più atta alla più squisita eleganza e nobiltà del parlare il più elevato,
e dello stile più sublime, quanto la sua indole è più popolare, quanto ella è
più modellata sulla favella domestica e familiare
2131
e volgare. Lo prova l'esempio della lingua greca e italiana e il contrario
esempio della Francese. La ragione è, che sola una tal lingua è suscettibile di
eleganza, la quale non deriva se non dall'uso peregrino e ardito e figurato e
non logico, delle parole e locuzioni. Ora quest'uso è tutto proprio della
favella popolare, proprio per natura, proprio in tutti i climi e tempi, ma
soprattutto ne' tempi antichi, o in quelle nazioni che più tengono dell'antico,
e ne' climi meridionali. Quindi è che lo stesso esser popolare per indole, dà ad
una lingua la facoltà e la facilità di dividersi totalmente dal volgo e dalla
favella parlata, e di non esser popolare, e di variar tuono a piacer suo, e di
essere energica, nobile, sublime, ricca, bella, tenera ogni
volte[volta] che le piace. Insomma l'indole
popolare di una lingua rinchiude tutte le qualità delle quali una lingua umana
possa esser capace (siccome la natura rinchiude tutte le qualità e facoltà di
cui l'
2132 uomo o il vivente è suscettibile, ossia le
disposizioni a tutte le facoltà possibili); rinchiude il poetico come il logico
e il matematico ec. (siccome la natura rinchiude la ragione): laddove una lingua
d'indole modellata sulla conversazione civile, o sopra qualunque gusto,
andamento ec. linguaggio ec. di convenzione, non rinchiude se non quel tale
linguaggio e non più (siccome la ragione non rinchiude la natura, nè vi dispone
l'uomo, anzi la esclude precisamente), secondo che vediamo infatti nella lingua
latina, e molto più nella francese, proporzionatamente alle circostanze che asservissent e legano quest'ultima al suo modello ec.
molto più che la latina ec. (20. Nov. 1821.).
[2542,1] 5.° Ognuno {de'} dialetti
nazionali, fuori del suo distretto, è forestiero nella stessa nazione. Gran
parte de' cinquecentisti, toscani o no, {+prosatori o poeti,} scrivevano, com'è noto, nel dialetto toscano, o
se non altro n'infioravano i loro scritti. Con ciò erano stimati eleganti. Ma
benchè scrivessero nel dialetto toscano del
tempo loro, quest'eleganza, presso tutti i lettori non toscani, veniva
anch'essa dal pellegrino. Ed anche presso i toscani veniva dal pellegrino, a
causa che trasportandosi nelle scritture voci e modi popolari e perciò insoliti
ad essere scritti, questi riuscivano straordinarii anche per li toscani, non in
se ma nelle scritture. Ed ho spiegato altrove pp. 1806-12 come anche la familiarità
nello scrivere, e le voci e modi ordinari, riescano eleganti,
2543 non come ordinarii, anzi come straordinarii e pellegrini nella
scrittura ordinata {studiata, civile (πολιτική),} e
colta. E ciò massimamente nella poesia, dove molti adoperavano il volgare
toscano, anche in poesia non burlesca, come fa il Firenzuola ec. In somma lo stesso linguaggio popolare
molte volte dà eleganza agli scritti, perciò appunto ch'essendo popolare, non è
domestico collo scriver de' letterati, e vi riesce pellegrino. Aggiungi che a
gran parte degli stessi {lettori} toscani {+(naturalmente non plebei)}
riuscivano e riescono nuove o poco familiari molte voci de' loro o d'altri
scrittori, tolte dalla lingua del loro popolo. Del resto l'eleganza derivante
dall'uso del dialetto toscano nel colto scrivere, talvolta è minore per li
toscani come poco pellegrina, {+o come
triviale;} talvolta maggiore, come non troppo pellegrina, nè tanto
straordinaria che degeneri in disconveniente, {affettato ec.} siccome
spesso fa per gli altri italiani.
{I
toscani accusano il Botta
fiorentinizzante nella sua storia, come troppo triviale e pedestre, e
insomma inelegante.} E in genere l'eleganza ch'essi ne sentono, e
2544 quella che deriva dal familiare, dal popolare ec.
nel colto scrivere, è d'un altro sapore e d'un'altra qualità dall'eleganza ch'è
prodotta dall'assoluto pellegrino: non essendo pellegrino per chi legge, il
familiare e il popolare, se non relativamente, cioè rispetto alla colta
scrittura. (30. Giugno - 2. Luglio. 1822.).

[2639,1] Ho detto altrove pp. 1806. sgg.
pp.
2500. sgg. che gran parte delle voci che in poesia si chiamano
eleganti, e si tengono per poetiche, non sono tali, se non per esser fuori
dell'uso comune e familiare, nel quale già furono una volta (o furono certo
nell'uso degli scrittori in prosa); e conseguentemente per essere antiche
rispetto
2640 alla moderna lingua, benchè non sieno
antiquate. E ciò principalmente cade nelle voci (o frasi) che sono oggidì esclusivamente poetiche. Ho detto
ancora che per tal cagione, non potendo {i primi} poeti
o prosatori di niuna lingua, aver molte voci nè frasi antiche da usare ne' loro
scritti, e quindi mancando d'un'abbondantissima fonte d'eleganza, è convenuto
loro tenersi per lo più allo stile familiare, come familiarissimo è il Petrarca ec., e sono stati incapaci
dell'eleganza Virgiliana.
[2700,1] La cagione per cui negli antichissimi scrittori
latini si trova maggiore conformità e di voci e di modi colla lingua italiana,
che non se ne trova negli scrittori latini dell'aureo secolo, e tanto maggiore
quanto sono più antichi, si è che i primi scrittori di una lingua, mentre non
v'è ancora lingua illustre, o non è abbastanza formata, divisa dalla plebea,
fatta propria della scrittura, usano un più gran numero di voci, frasi, forme
plebee, idiotismi ec. che non fanno gli scrittori seguenti; sono in somma più
vicini al plebeo da cui le lingue scritte per necessità incominciano, e da cui
si vanno dividendo solamente appoco appoco, usano una più gran parte della
lingua plebea ch'è la sola ch'esista allora nella nazione, o che
2701 non è abbastanza distinta dalla lingua nobile e
cortigiana ec. sì perchè quella lingua che si parla (com'è la cortigiana) tien sempre più o meno della plebea; sì
perchè allora i cortigiani ec. non hanno l'esempio e la coltura derivante dalle
Lettere nazionali e dalla lingua nazionale scritta, per parlare molto
diversamente dalla plebe. Ora l'unica lingua che possano seguire e prendere in
mano i primi scrittori di una lingua, si è la parlata, giacchè la scritta ancor
non esiste. E siccome la lingua italiana e le sue sorelle non derivano dal
latino scritto ma dal parlato, e questo in gran parte non illustre, ma
principalmente dal plebeo e volgare, quindi la molta conformità di queste nostre
lingue cogli antichissimi e primi scrittori latini. Vedi un luogo di Tiraboschi appresso Perticari, Apologia di Dante, capo 43.
pag. 430. (20. Maggio 1823).
[2836,2] Ho mostrato altrove p. 1808
p. 2640 che i poeti e gli scrittori primitivi {di
qualunque lingua} non potevano mai essere eleganti {quanto alla lingua,} mancando loro la {principal} materia di questa eleganza, che sono le parole e modi
rimoti dall'uso comune, i quali ancora non esistevano nella lingua, perchè
scrittori e poeti non v'erano stati, da' quali si potessero torre, e i quali
conservassero quelle parole e modi che già furono in uso. Onde {quando una lingua comincia}
{ad essere scritta,} tanto esiste della lingua quanto è
nell'uso comune: tutto quello che già fu in uso, e che poi ne cadde, è
dimenticato, non avendovi avuto chi lo conservasse, il che fanno gli scrittori,
che ancora non vi sono stati. Togliere più che tante parole o forme da quella
lingua la cui letteratura serve di modello alla nuova (come gl'italiani
avrebbero potuto fare dalla lingua latina), è pericoloso in quei principii molto
più che nel séguito (contro quello che si stimano i pedanti), anzi non si può,
perchè quando nasce la letteratura
2837 di una nazione,
questa nazione è naturalmente ignorante, e però lo scrittore o il poeta, così
facendo, non sarebbe inteso, e la letteratura non prenderebbe piede, non si
propagherebbe mai, non crescerebbe, non diverrebbe mai nazionale.
{Di più, il poeta sembrerebbe affettato. Vedi in
questo proposito la p.
3015.} Questo medesimo vale anche per le parole
della stessa lingua, rimote più che tanto dall'uso comune, sia per disuso
(seppur lo scrittore stesso o il poeta avesse modo di conoscerle, mancando {fin allora} gli scrittori), sia per qualsivoglia altra
cagione. Bisogna considerare che la nazione in quel tempo è ignorante, e non
istudia, e non leggerebbe quella scrittura o quel poema, benchè scritto in
volgare, le cui parole o modi non fossero alla sua portata, o egli non potesse
capirli senza studiarvi sopra. E poca difficoltà, poca ricercatezza di parole o
di forme basta ad eccedere la capacità de' totalmente ignoranti, quali sono
allora quasi tutti, e degli a tutt'altro avvezzi che allo studio. Ho dunque
detto altrove p. 70
pp. 1808-11
pp. 2639-40 che i poeti e scrittori primitivi tutti o quasi tutti, e
sempre o per lo più, sì nella lingua sì nello stile, tirano al familiare. E
questo viene, sì per adattarsi alla capacità della nazione, sì perchè mancando
loro, come s'è detto, la principal materia dell'
2838
eleganza di lingua, sono costretti a pigliare una lingua domestica e rimessa, e
non volendo che questa ripugni e disconvenga allo stile, sono altresì costretti
di tenere anche questo, per così dire, a mezz'aria, e di familiarizzarlo. Onde
accade che questi tali poeti e scrittori sappiano di familiare anche ai posteri,
quando le loro parole e forme, già divenute abbastanza lontane dall'uso comune,
hanno pure acquistato quel che bisogna ad essere elegantissime, perlochè già
elle come tali s'adoprano dagli scrittori e poeti della nazione, ne' più alti
stili. Ma non essendo elle ancora eleganti a' tempi di que' poeti e scrittori,
questi dovettero assumere un tuono e uno stile adattato a parole non eleganti, e
un'aria, una maniera, nel totale, domestica e familiare, le quali cose ancora
restano, e queste qualità ancora si sentono, come nel Petrarca, benchè l'eleganza sia sopravvenuta alle loro
parole e a' loro modi che non l'avevano, com'è sopravvenuta, e somma, a quei del
Petrarca. Queste considerazioni si
possono fare, e questi effetti si scorgono, massimamente ne' poeti, non solo
perchè gli scrittori primitivi di una lingua e i fondatori di una letteratura
2839 sono per lo più poeti, ma perchè mancando ad
essi la detta materia dell'eleganza niente meno che a' prosatori, questa
mancanza e lo stile familiare che ne risulta è molto più sensibile in essi che
nella prosa, la quale non ha bisogno di voci o frasi molto rimote dall'uso
comune per esser elegante di quella eleganza che le conviene, e deve sempre
tener qualche poco del familiare. Quindi avviene che lo stile del Boccaccio, benchè familiare anch'esso,
massime ad ora ad ora, pur ci sa meno meno familiare, e ci rende più il senso
dell'eleganza e della squisitezza che quello del Petrarca, e dimostra meno sprezzatura, ch'è però nel
Petrarca bellissima. Così è: la
condizione del poeta e del prosatore in quel tempo, quanto ai materiali che si
trovano aver nella lingua, è la stessa (a differenza de' tempi nostri che
abbiamo appoco appoco acquistato un linguaggio poetico tutto distinto): il
prosatore si trova dunque aver poco meno del suo bisogno, e quasi anche tanto
che gli basti a una certa eleganza: il poeta che non si trova aver niente di
più, bisogna che si contenti di uno stile e di una maniera che si accosti alla
prosa. Ed infatti è benissimo definita
2840 la
familiarità che si sente ne' poeti primitivi, dicendo che il loro stile, senza
essere però basso, perchè tutto in loro è ben proporzionato e corrispondente,
tiene della prosa. Come fa l'Eneida del Caro, che quantunque non sia poema
primitivo, pure essendo stato {quasi} un primo tentame
di poema eroico in questa lingua, che ancora non n'era creduta capace, com'esso
medesimo scrive, può dirsi primitivo in certo modo nel genere e nello stile
eroico.

[4066,1]
4066 La maniera familiare che come più volte ho detto
pp. 1808-10
pp. 2639-40
pp. 2836-41
pp. 3009. sgg.
pp. 3014-17
p. 3415, fu necessariamente scelta da' nostri classici antichi, o
necessariamente v'incorsero senz'avvedersene ed anche fuggendola, può ora in
parte o in tutto sfuggire massimamente alle persone di naso poco acuto, e a
quelle non molto esercitate e profonde nella cognizione, nel sentimento e nel
gusto dell'antica e buona lingua e stile italiano, che è quanto dire a quasi
tutti i presenti italiani. Ciò viene, fra l'altre cose, perchè quello che allora
fu familiare nella lingua, or non lo è più, anzi è antico ed elegante, ovvero è
arcaismo. Non per tanto è men vero quel che io altrove ho detto. Anzi è tanto
vero, che anche dopo che la lingua aveva acquistato la materia e i mezzi e la
capacità della eleganza e del parlar distinto da quello del volgo e dall'usuale,
si è pur seguitato sì nel 500 e 600 sì nel presente secolo da molti cultori e
amatori dello scriver classico, a usare una maniera familiare, sovente non
avvedendosene o non intendendo bene la proprietà e qualità della maniera che
sceglievano e usavano, e sovente anche {intendendo,}
credendo di usare una maniera elegante. E ciò si è fatto in due modi. O
adoperando le stesse forme antiche, le quali oggi non sono più familiari, anzi
eleganti, onde n'è risultata opinione di eleganza a tali stili ed opere
modellate sull'antico, ma veramente esse hanno del familiare, perchè il totale
dello stile antico da essi imitato, necessariamente ne aveva anche
indipendentemente dalle forme, bensì per cagion loro e per conformarsi e
corrispondere ad esse {forme} che allora erano
necessariamente familiari. Ovvero adoperando le forme familiari moderne a
esempio e imitazione degli antichi, e della familiarità che nelle forme e nello
stile loro si scorgeva, benchè non bene intendendola, e sovente confondendo sì
la familiarità imitata sì quella
4067 che adoperavano
ad imitarla, colla eleganza, dignità e nobiltà e col dir separato dall'usuale,
perciò appunto che la familiarità in genere non era {e non
è} più usuale, e l'uso della medesima è proprio degli antichi. Il
terzo modo, che sarebbe quello di usar l'antico e il moderno e tutte le risorse
della lingua, in vista e con intenzione di fare uno stile e una maniera nè
familiare nè antica, ma elegante in generale, nobile, maestosa, distinta affatto
dal dir comune, e proprio di una lingua che è già atta allo stile perfetto,
quale è appunto quello di Cicerone nella
prosa e di Virgilio nella poesia (stile
usato quando la lingua latina era appunto in {quelle
circostanze e} quello stato di capacità in cui è ora la lingua
nostra); questo terzo modo non è stato non che usato, ma concepito nè inteso da
quasi niuno, comechè egli è forse il solo conveniente, il solo perfetto, e
convenevole a una lingua {e letteratura già} perfetta.
(8. Aprile. 1824.).
[4216,1] Rettorica. Citiamo qui un esempio di acutezza e di
filosofia de' rettorici. Demetrio (rettorico de' più
stimati) περὶ ἑρμηνείας, della
elocuzione, sezione 67. parlando delle figure
della {dizione} (σχήματα τῆς λέξεως {+opposte a σχήματα τῆς διανοίας
sententiarum o sententiae: λέξεως verborum.}), le quali non sono altro
che costrutti e frasi fuor di regola, di ragione, d'uso ec. sgrammaticature
*
, direbbe
l'Alfieri. Bisogna servirsi di tali figure non in troppa
abbondanza, chè ella è cosa poco elegante, e dà una certa
disuguaglianza al discorso, e fa il discorso disuguale.
{Non bisogna tuttavolta usar le
figure a man piena: cosa goffa e che ec.} Gli antichi, i
quali usano però gran quantità di figure, riescono nel dir loro più
familiari e correnti che non fanno i moderni quando sono senza
figure. {La cagione è che} quelli le
adoperano con arte.
*
χρῆσϑαι μέν τοι τoῖς σχήμασι μὴ πυκνoῖς: ἀπειρόκαλον
γὰρ καὶ παρεμϕαῖνóν
4217 τινa τοῦ λóγου
ἀνωμαλίαν. Oἱ γοῦν ἀρχαῖοι, πολλὰ σχήματα ὲν τoῖς λóγοις τιϑέντες,
συνηϑέστεροι τῶν ἀσχηματίστων εἰσί, διὰ τὸ ἐντέχνως
τιϑέναι)
*
. L'osservazione è verissima in tutte le lingue; la
causa, proprio il contrario di quel che dice Demetrio. Gli antichi usavano le figure
naturalmente, senz'arte, e per non saper bene le regole generali della
grammatica: i moderni le pescano negli antichi, le usano a posta, sono
irregolari per arte. Perciò paiono, come sono, artifiziati, affettati, stentati,
diversi dal dir corrente. Caro Demetrio, non ogni buon {effetto o}
successo è da attribuirsi all'arte. Concedete qualche coserella alla natura,
{ed anche all'ignoranza,} benchè voi siate un
maestro di arte rettorica.
{{V. p.
4222.}}

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