[700,1] Del resto quello ch'io dico della perfezione di stile
nei cinquecentisti si deve intendere dei prosatori, non dei poeti. Anzi io mi
maraviglio come quella tanta gravità e dignità che risplende ne' prosatori, si
cerchi invano in quasi tutti i poeti di quel secolo, e bene spesso anche negli
ottimi. I difetti dello stile poetico di quel secolo, anche negli ottimi, sono
infiniti, massime la ridondanza, gli epiteti, i sinonimi accumulati (al
contrario delle prose) ec. lasciando i più essenziali difetti di arguzie,
insipidezze ec. anche nell'Ariosto e
nel Tasso. E non è dubbio che Dante e Petrarca (sebbene non senza gran difetti di stile) furono nello stile
più vicini alla
701 perfezione che i cinquecentisti, e
così lo stile poetico del trecento (riguardo a questi due poeti) è superiore al
cinquecento: (tanto è vero che la poesia migliore è la più antica, all'opposto
della prosa, dove l'arte può aver più luogo). E dal trecento in poi lo stil
poetico {italiano} non è stato richiamato agli antichi
esemplari, massime latini, nè ridotto a una forma perfetta e finita, prima del
Parini e del Monti. V. gli altri miei pensieri in questo proposito
p.
10
pp.
59-60. Parlo però del stile poetico, perchè nel resto se si eccettuano
quanto agli affetti il Metastasio e
l'Alfieri (il quale però fu
piuttosto filosofo che poeta), quanto ad alcune (e di rado nuove) immagini il
Parini e il Monti (i quali sono piuttosto letterati di finissimo
giudizio, che poeti); l'italia dal cinquecento in poi non
solo non ha guadagnato in poesia, ma ha avuto solamente
702 versi senza poesia. Anzi la vera {poetica} facoltà creatrice, {sia quella del cuore
o quella della immaginativa,} si può dire che dal cinquecento in qua
non si sia più veduta in italia; e che un uomo degno del
nome di poeta (se non forse il Metastasio) non sia nato in italia dopo il
Tasso. (27. Feb.
1821.).
[2363,2] Quei pochissimi {poeti}
italiani che in questo o nel passato secolo hanno avuto qualche barlume di genio
e natura poetica, qualche poco di forza nell'animo
2364
o nel sentimento, qualche poco di passione, sono stati tutti malinconici nelle
loro poesie. (Alfieri, Foscolo ec.) Il Parini tende
anch'esso nella malinconia, specialmente nelle odi, ma anche nel Giorno, per ischerzoso che
paia. Il Parini però non aveva
bastante forza di passione e sentimento, per esser vero poeta. E generalmente
non è che la pura debolezza del sentimento, la scarsezza della forza poetica
dell'animo, che {può} permettere ai nostri poeti
italiani d'oggidì (ed anche degli altri secoli, e anche d'ogni altra nazione), a
quei medesimi che più si distinguono, e che per certi meriti di stile, o di
stiracchiata immaginazione, son tenuti poeti, l'essere allegri in poesia, ed
anche inclinarli e sforzarli a preferir l'allegro al malinconico. Ciò che dico
della poesia dico proporzionatamente delle altre parti della bella letteratura.
Dovunque non regna il malinconico nella letteratura moderna, la sola debolezza
n'è causa. (27. Gen. 1822.).
[3416,1] In somma la lingua italiana non aveva ancora
bastante antichità, per potere avere
abbastanza di quella eleganza di cui qui s'intende parlare, e un linguaggio ben
propriamente poetico, e ben disgiunto dal prosaico. Le parole dello Speroni provano questa verità, e questa
le mie teorie a cui la presente osservazione si riferisce. Il cui risultato è
che dovunque non è sufficiente antichità di lingua colta, quivi non può ancora
essere la detta eleganza di stile e di lingua, nè linguaggio poetico distinto e
proprio ec. (11. Sett. 1823.). Ho già detto altrove pp. 701-702
3417 che non prima del passato secolo e del presente si
è formato pienamente e perfezionato il linguaggio (e quindi anche lo stile)
poetico italiano (dico il linguaggio e lo stile poetico, non già la poesia); s'è
accostato al Virgiliano, vero, perfetto e sovrano modello dello stile
propriamente e totalmente e distintissimamente poetico; ha perduto ogni aria di
familiare; e si è con ben certi limiti, e ben certo, nè scarso, intervallo,
distinto dal prosaico. O vogliamo dir che il linguaggio prosaico si è diviso
esso medesimo dal poetico. Il che propriamente non sarebbe vero; ma e' s'è
diviso dall'antico; e così sempre accade che il linguaggio prosaico, insieme
coll'ordinario uso della lingua parlata, al quale ei non può fare a meno di
somigliarsi, si vada di mano in mano cambiando e allontanando dall'antichità. I
poeti (fuorchè in Francia) {#1. V. p.
3428.} serbano l'antico più che possono, perch'ei serve loro
all'eleganza, {dignità} ec. anzi hanno bisogno
dell'antichità della lingua. E così, contro quello
3418
che dee parere a prima giunta, i più licenziosi scrittori, che sono i poeti, son
quelli che più lungamente e fedelmente conservano la purità e l'antichità della
lingua, e che più la tengon ferma, mirando sempre e continuando il linguaggio
de' primi istitutori della poesia ec. Dalla quale antichità la prosa, obbligata
ad accostarsi all'uso corrente, sempre più s'allontana. Ond'è che il linguaggio
prosaico si scosti per vero dire esso stesso dal poetico (piuttosto che questo
da quello) ma non in quanto poetico, solo in quanto seguace dell'antico, e fermo
(quanto più si può) all'antico, da cui il prosaico s'allontana. Del resto il
linguaggio {e lo stile} delle poesie di Parini, Alfieri, Monti, Foscolo è {molto} più propriamente e più perfettamente poetico e
distinto dal prosaico, che non è quello di verun altro de' nostri poeti, inclusi
nominatamente i più classici e sommi antichi. Di modo che per quelli e per gli
altri che li somigliano, e per l'uso de' poeti di questo e dell'ultimo secolo,
l'italia ha oggidì una lingua poetica {a parte, e} distinta affatto dalla prosaica, una doppia
lingua, l'una prosaica l'altra
3419 poetica, non
altrimenti che l'avesse la grecia, e più che i latini. Ed
è stato anche osservato (da Perticari sulla fine del Tratt. degli Scritt. del Trecento)
che nella universale corruzione della lingua e stile delle nostre prose e del
nostro familiar discorso accaduta nell'ultima metà del passato secolo, e ancora
continuante, la lingua de' poeti si mantenne quasi pura e incorrotta, non solo
ne' migliori o in chi pur seguì un buono stile, ma ne' pessimi eziandio, e negli
stili falsi, tumidi, frondosissimi, ridondanti, strani o imbecilli degli
arcadici, de' frugoniani, bettinelliani ec. Così pure era accaduto ne' barbari poeti del
secento. La cagione di ciò è facile a raccorre da queste mie osservazioni, le
quali sono ben confermati[confermate] da questi
fatti. Laddove egli è pur certo che riguardo alla prosa, lo stile non si
corrompe mai che non si corrompa altresì la lingua, nè viceversa, nè v'ha {prosatore} alcuno di stile corrotto e lingua incorrotta;
del che puoi vedere le pagg.
3397-9. (12. Sett. 1823.)
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