Non vi fu mai stile barbaro con lingua buona, nè viceversa.
There was never barbarous style with good language, nor vice versa.
3398-9 3419[3396,1] 5.o Nè tale sarebbe se la letteratura spagnuola,
benchè cedendo d'assai all'italiana per la quantità, non le fosse pari del tutto
nella qualità, salvo la minore perfezione di ciascun suo attributo. Le stesse
cagioni, sì naturali, sì accidentali, che ci resero gli spagnuoli così conformi
di lingua, ce li fecero altrettanto conformi
3397 nella
letteratura. Nè poteva essere altrimenti, perchè l'una e l'altra vanno sempre
del pari. Certo è che nel cinquecento, secolo aureo e principale {{non meno}} della lingua e letteratura spagnuola che
della italiana, il commercio tra queste due letterature fu strettissimo, e
l'influenza reciproca; bensì maggiore d'assai quella dell'italiana sulla
spagnuola che viceversa, perchè l'italiana era di gran lunga maggiore, e portata
ad un alto grado già molto prima, cioè nel 300. Laonde, se imitazione vi fu, non
è dubbio che gli spagnuoli imitarono, e gli scrittori italiani furono loro
modelli. Ma senza più stendersi in questo, egli è certissimo ed evidente che
{il} buono e classico stile spagnuolo e lo stile
italiano buono e classico, salvo che quello è meno perfetto, non sono
onninamente che uno solo. Ora quanta parte abbia la lingua nello stile, {#1. Veggasi fra l'altre, la p. 2906. segg.} quanta
influenza lo stile nella lingua, come sovente sia difficile e quasi impossibile
il distinguere questa da quello, e le proprietà dell'una da quelle dell'altro, o
si parli di uno scrittore e di una scrittura particolarmente,
3398 o di un genere, o di una letteratura in universale; sono cose da
me altrove accennate più volte pp. 2796-98
pp.
2906. sgg.. Basti ora il dire che non si è mai per ancora veduto in
alcun secolo, appo nazione alcuna, stile corrotto o barbaro e rozzo, e lingua
pura o delicata, nè viceversa, ma sempre {+e in ogni luogo} la rozzezza, la {purità, la} perfezione, la decadenza, la corruttela
della lingua e dello stile si sono trovate in compagnia. {#1. Massime ne' prosatori: quanto a' poeti vedi la p. 3419.} Chè se ne'
nostri trecentisti la lingua è pura e lo stile sciocco, 1.o lo stile non pecca
se non per difetto {di virtù, per inartifizio, e mancanza
d'arte e di coltura,} ma niun vizio ha e niuna qualità malvagia;
sicchè non può chiamarsi corrotto: 2.o lo stile {+de' trecentisti} è semplice e nella semplicità
energico, come porta la natura, e tale nè più nè meno è la lingua loro, la quale
generalmente non ha pregio nessuno se non questi, che sono pur pregi dello
stile, ma {non sempre, e} che non bastano: 3.o che che
ne dicano i pedanti, ogni volta che lo stile de' trecentisti pecca di rozzo,
anche la lor lingua è rozza; ogni volta che di barbaro, anche la lingua è
barbara; ogni volta che di eccessiva semplicità {ed
inartifizio,} anche la semplicità della
3399
lingua passa i termini, com'è stato ben provato in questi ultimi tempi; e
finalmente se talvolta il loro stile è tumido, falso, o insomma corrotto
comunque, (benchè tal corruzione in loro sia piuttosto fanciullesca {e d'ignoranza,} che manifestante il cattivo gusto, e la
depravazione, che in essi non poteva aver luogo), allora anche la lingua non è
da noi chiamata pura, se non perchè ed in quanto antica, secondo le osservazioni
da me fatte altrove pp. 2520-21
pp.
2529. sgg. circa quello che si chiama purità di lingua.
[3416,1] In somma la lingua italiana non aveva ancora
bastante antichità, per potere avere
abbastanza di quella eleganza di cui qui s'intende parlare, e un linguaggio ben
propriamente poetico, e ben disgiunto dal prosaico. Le parole dello Speroni provano questa verità, e questa
le mie teorie a cui la presente osservazione si riferisce. Il cui risultato è
che dovunque non è sufficiente antichità di lingua colta, quivi non può ancora
essere la detta eleganza di stile e di lingua, nè linguaggio poetico distinto e
proprio ec. (11. Sett. 1823.). Ho già detto altrove pp. 701-702
3417 che non prima del passato secolo e del presente si
è formato pienamente e perfezionato il linguaggio (e quindi anche lo stile)
poetico italiano (dico il linguaggio e lo stile poetico, non già la poesia); s'è
accostato al Virgiliano, vero, perfetto e sovrano modello dello stile
propriamente e totalmente e distintissimamente poetico; ha perduto ogni aria di
familiare; e si è con ben certi limiti, e ben certo, nè scarso, intervallo,
distinto dal prosaico. O vogliamo dir che il linguaggio prosaico si è diviso
esso medesimo dal poetico. Il che propriamente non sarebbe vero; ma e' s'è
diviso dall'antico; e così sempre accade che il linguaggio prosaico, insieme
coll'ordinario uso della lingua parlata, al quale ei non può fare a meno di
somigliarsi, si vada di mano in mano cambiando e allontanando dall'antichità. I
poeti (fuorchè in Francia) {#1. V. p.
3428.} serbano l'antico più che possono, perch'ei serve loro
all'eleganza, {dignità} ec. anzi hanno bisogno
dell'antichità della lingua. E così, contro quello
3418
che dee parere a prima giunta, i più licenziosi scrittori, che sono i poeti, son
quelli che più lungamente e fedelmente conservano la purità e l'antichità della
lingua, e che più la tengon ferma, mirando sempre e continuando il linguaggio
de' primi istitutori della poesia ec. Dalla quale antichità la prosa, obbligata
ad accostarsi all'uso corrente, sempre più s'allontana. Ond'è che il linguaggio
prosaico si scosti per vero dire esso stesso dal poetico (piuttosto che questo
da quello) ma non in quanto poetico, solo in quanto seguace dell'antico, e fermo
(quanto più si può) all'antico, da cui il prosaico s'allontana. Del resto il
linguaggio {e lo stile} delle poesie di Parini, Alfieri, Monti, Foscolo è {molto} più propriamente e più perfettamente poetico e
distinto dal prosaico, che non è quello di verun altro de' nostri poeti, inclusi
nominatamente i più classici e sommi antichi. Di modo che per quelli e per gli
altri che li somigliano, e per l'uso de' poeti di questo e dell'ultimo secolo,
l'italia ha oggidì una lingua poetica {a parte, e} distinta affatto dalla prosaica, una doppia
lingua, l'una prosaica l'altra
3419 poetica, non
altrimenti che l'avesse la grecia, e più che i latini. Ed
è stato anche osservato (da Perticari sulla fine del Tratt. degli Scritt. del Trecento)
che nella universale corruzione della lingua e stile delle nostre prose e del
nostro familiar discorso accaduta nell'ultima metà del passato secolo, e ancora
continuante, la lingua de' poeti si mantenne quasi pura e incorrotta, non solo
ne' migliori o in chi pur seguì un buono stile, ma ne' pessimi eziandio, e negli
stili falsi, tumidi, frondosissimi, ridondanti, strani o imbecilli degli
arcadici, de' frugoniani, bettinelliani ec. Così pure era accaduto ne' barbari poeti del
secento. La cagione di ciò è facile a raccorre da queste mie osservazioni, le
quali sono ben confermati[confermate] da questi
fatti. Laddove egli è pur certo che riguardo alla prosa, lo stile non si
corrompe mai che non si corrompa altresì la lingua, nè viceversa, nè v'ha {prosatore} alcuno di stile corrotto e lingua incorrotta;
del che puoi vedere le pagg.
3397-9. (12. Sett. 1823.)
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