Fanciulli.
Children.
644,1 1062,21063,1 1103,1 1255,1 1262,2 1401,1 1464,1 1510,1 1553,1 1718,1 1725,2 1740,1 1770,3 1799,1 1904,2 1914,1 1930,2 1951,1 2043,1 2390,1 2596,1 3291,1 3345,1 3553,12 3908,1 3950,43950,2 4038 4272,2 4280,1Fanciulli. Amano di esser trattati da uomini.
Children. Love to be treated like adults.
643,2 3480,1Fanciulli. Come arrivino a formarsi le idee del bello e del brutto.
Children. How they arrive at forming their ideas of the beautiful and the ugly.
1183,2 1379,1 1510,1 1539,1 1718,1 1750,1 1794,2 1914,1 1930,2 1945,1 2965,1Fanciulli. Inclinati sempre all'eroico.
Children. Always inclined to the heroic.
3482,marg.Fanciulli. Sanno e scuoprono sovente grandi verità, ignote ai filosofi.
Children. Know and often discover great truths unknown to the philosophers.
2019,2 2037,1 2710-12[644,1] Non c'è forse persona tanto indifferente per te, la
quale salutandoti nel partire per qualunque luogo, o lasciarti in qualsivoglia
maniera, e dicendoti, non ci rivedremo mai più,
per poco d'anima che tu abbia, non {ti} commuova, non
ti produca una sensazione più o meno trista. L'orrore e il timore che l'uomo ha,
per una parte, del nulla, per l'altra, dell'eterno, si manifesta da per tutto, e quel mai più non si può udire senza un certo senso. Gli
effetti naturali bisogna ricercarli nelle persone naturali, e non ancora, o
poco, o quanto meno si possa, alterate. Tali sono i fanciulli: quasi l'unico
soggetto dove si possano esplorare, {notare,} e
notomizzare oggidì, le qualità, le inclinazioni, gli affetti veramente naturali.
Io dunque da fanciullo aveva questo costume. Vedendo partire una persona,
quantunque a me indifferentissima, considerava
645 se
era possibile o probabile ch'io la rivedessi mai. Se io giudicava di no, me le
poneva intorno a riguardarla, ascoltarla, e simili cose, e la seguiva o cogli
occhi o cogli orecchi quanto più poteva, rivolgendo sempre fra me stesso, e
addentrandomi nell'animo, e sviluppandomi alla mente questo pensiero: ecco l'ultima volta, non lo vedrò mai più, o, forse mai
più. E così la morte di qualcuno ch'io conoscessi, e non mi avesse mai
interessato in vita, mi dava una certa pena, non tanto per lui, o perch'egli mi
interessasse allora dopo morte, ma per questa considerazione ch'io ruminava
profondamente: è partito per sempre - per sempre? sì:
tutto è finito rispetto a lui: non lo vedrò mai più: e nessuna cosa sua
avrà più niente di comune colla mia vita. E mi poneva a
riandare, s'io poteva, l'ultima volta ch'io l'aveva o veduto, o ascoltato ec. e
mi doleva di non avere allora saputo che fosse l'ultima volta, e di non
646 essermi regolato secondo questo pensiero. (11.
Feb. 1821.).
[1063,1] Il fanciullo è sempre franco e disinvolto, e perciò
pronto ed attissimo all'azione, quanto portano le forze naturali dell'età. Le
quali egli adopera in tutta la loro estensione. Se però non è alterato
dall'educazione, il che può succedere più presto o più tardi. E tutti notano che
la timidità, la diffidenza di se stesso, la vergogna, la difficoltà insomma di
operare, è segno di riflessione in un fanciullo. Ecco il bello effetto della
riflessione: impedir l'azione; la confidenza; l'uso di se stesso, e delle sue
forze; tanta parte di vita. Il giovanetto alterato
1064
dall'educazione è timido, legato, irresoluto, diffidentissimo di se stesso.
Bisogna che col frequente e lungo uso del mondo, egli ricuperi quella stessa
qualità che aveva già di natura, ed ebbe da fanciullo, cioè {l'abito di non riflettere, senza il quale è impossibile} la
franchezza, e la facoltà di usar di se stesso, secondo tutta la misura del suo
valore. E ciò si vede in tutti i casi della vita, e non già nelle sole occasioni
che abbisognano di coraggio, e che spettano a' pericoli corporali. Ma chi non ha
ricuperato fino a un certo punto l'abito di non riflettere, non val nulla nelle
conversazioni, non può nulla colle donne, nulla negli affari, e massime in
quelle circostanze che portano, dirò così, un certo pericolo, non fisico, ma
morale, e che abbisognano di franchezza e disinvoltura, e di una, dirò così,
intrepidezza sociale. Qualità impossibile a chi per abito riflette, e non può
deporre al bisogno la riflessione, e non può abbandonarsi, e lasciar fare a se
stesso, che sono le cose e più ricercate e pregiate, e più necessarie a chi vive
nella società, e generalmente in {quasi} ogni sorta e
parte di vita. E v. gli altri miei pensieri , sulla
impossibilità delle stesse azioni fisiche senza l'abito di non riflettere,
1065 abito che rispetto a queste azioni, avendolo tutti
da natura, pochi lo perdono, ma perduto, rende impossibili le operazioni più
materiali, e giornaliere, e naturali. (19. Maggio 1821.).
[1103,1]
1103 La poca memoria de' bambini e de' fanciulli, che
si conosce anche dalla dimenticanza in cui tutti siamo de' primi avvenimenti
della nostra vita, e giù giù proporzionatamente e gradatamente, non potrebbe
attribuirsi (almeno in gran parte) alla mancanza di linguaggio ne' bambini, e
alla imperfezione e scarsezza di esso ne' fanciulli? Essendo certo che la
memoria dell'uomo è impotentissima (come il pensiero e l'intelletto) senza
l'aiuto de' segni che fissino le sue idee, e reminiscenze. (V. Sulzer ec. nella Scelta di Opusc. interessanti.
Milano 1775. p. 65. fine, e segg.) Ed
osservate che questa poca memoria non può derivare da debolezza di organi,
mentre tutti sanno che l'uomo si ricorda perpetuamente, e più vivamente che mai,
delle impressioni della infanzia, ancorchè abbia perduto la memoria per le cose
vicinissime e presenti. E le più antiche reminiscenze sono in noi le più vive e
durevoli. Ma elle cominciano giusto da quel punto dove il fanciullo ha già
acquistato un linguaggio sufficiente, ovvero da quelle {prime} idee, che noi concepimmo unitamente ai loro segni, e che noi
potemmo fissare colle parole. Come la prima mia ricordanza è di alcune pere
moscadelle che io vedeva, e sentiva nominare al tempo stesso. (28. Maggio
1821.).
[1255,1] Io credo che la memoria non sia altro che
un'abitudine contratta o da contrarsi da organi ec. Il bambino che non può aver
contratto abitudine, non ha memoria, come non ha quasi intelletto, nè ragione
ec. E notate. Non solo non ha memoria, perchè poche volte ha potuto ricevere
questa o quella impressione, ed assuefarsi a richiamarla colla mente. Ma manca
formalmente della facoltà della memoria, giacchè nessuno si ricorda delle cose
dell'infanzia, quantunque le impressioni d'allora sieno più vive che mai, e
quantunque nell'infanzia possa essere ritornata al bambino quella tale
impressione, più volte ancora di quello che bisogna all'uomo fatto perchè
un'impressione o concezione qualunque gli resti nella memoria. Questa idea,
merita di essere largamente sviluppata e distinta. (1. Luglio
1821.).
[1262,2] Passano anni interi senza che noi proviamo un piacer
vivo, anzi una sensazione pur momentanea di piacere. Il fanciullo non passa
giorno che non ne provi. Qual è la cagione? La scienza in noi, in lui
l'ignoranza. Vero è che così viceversa accade del dolore. (2. Luglio
1821.).
[1401,1] Mi dicono che io da fanciullino di tre o quattro
anni, stava sempre dietro a questa o quella persona perchè mi raccontasse delle
favole. E mi ricordo ancor io che in poco maggior età, era innamorato dei
racconti, e del maraviglioso che si percepisce coll'udito, o colla lettura
(giacchè seppi leggere, ed amai di leggere, assai presto). Questi, secondo me,
sono indizi notabili d'ingegno non ordinario e prematuro. Il bambino quando
nasce, non è disposto ad altri piaceri che di succhiare il latte, dormire, e
simili. Appoco appoco, mediante la sola assuefazione, si rende capace di altri
piaceri sensibili, e finalmente va per gradi avvezzandosi, fino a provar piaceri
meno dipendenti dai sensi. Il piacere dei racconti, sebbene questi vertano sopra
cose sensibili e materiali, è però tutto intellettuale, o appartenente alla
immaginazione, e per nulla corporale nè spettante ai sensi. L'esser divenuto
capace di questi piaceri assai di buon'ora, indica manifestamente una
felicissima disposizione, pieghevolezza ec. degli organi intellettuali, o
mentali,
1402 una gran facoltà e vivezza
d'immaginazione, una gran facilità di assuefazione, e pronto sviluppo delle
facoltà dell'ingegno ec. (28. Luglio 1821.).
[1464,1]
1464 Da tutto ciò si conferma ciò che ho detto altrove
pp. 1341-42 che il primo principio delle cose è
il nulla. (7. Agos. 1821.).
[1510,1] Il bambino non ha idea veruna di quello che
significhino le fisonomie degli uomini, ma cominciando a impararlo
coll'esperienza, comincia a giudicar bella quella fisonomia che indica un
carattere o un costume piacevole ec. e viceversa. E bene spesso s'inganna
giudicando bella e bellissima una fisonomia d'espressione piacevole, ma per se
bruttissima, e dura in questo inganno lunghissimo tempo, e forse sempre (a causa
della prima impressione); e non s'inganna per altro se non perchè ancora non ha
punto l'idea distinta ed esatta del bello, e del regolare, cioè di quello ch'è
universale, il che egli ancora non può conoscere. Frattanto questa
significazione delle fisonomie, ch'è del tutto diversa dalla bellezza assoluta,
e non è altro che un rapporto messo
1511 dalla natura
fra l'interno e l'esterno, fra le abitudini ec. e la figura; questa
significazione dico, è una parte principalissima della bellezza, una delle
capitali ragioni per cui questa fisonomia ci produce la sensazione del bello, e
quella il contrario. Non è mai bella fisonomia veruna, che {non} significhi qualche cosa di piacevole (non dico di buono nè di
cattivo, e il piacevole può bene spesso, secondo i gusti, e le diverse
modificazioni dello spirito, del giudizio, e delle inclinazioni umane esser
anche cattivo): ed è sempre brutta quella fisonomia che indica cose
dispiacevoli, fosse anche regolarissima. Si conosce ch'ella è regolare, cioè
conforme alle proporzioni universali ed a cui siamo avvezzi, e nondimeno si
sente che non è bella. Ma ordinariamente, com'è naturale, la regolarità perfetta
della fisonomia indica qualità piacevoli, a causa della corrispondenza che la
natura ha posto fra la regolarità interna e l'esterna. Ed è quasi certo che una
tal fisonomia appartiene sempre a persona di carattere naturalmente perfetto ec.
Ma siccome
1512 l'interno degli uomini perde il suo
stato naturale, e l'esterno più o meno lo conserva, perciò la significazione del
viso è per lo più falsa; e noi sapendo ben questo allorchè vediamo un bel viso,
e nondimeno sentendocene egualmente dilettati (e forse talvolta egualmente
commossi), crediamo che questo effetto sia del tutto indipendente dalla
significazione di quel viso, e derivi da una causa del tutto segregata ed
astratta, che chiamiamo bellezza. E c'inganniamo interamente perchè l'effetto
{particolare} della bellezza umana sull'uomo {+(parlo specialmente del viso che n'è la
parte principale, e v. ciò che ho detto altrove in tal proposito pp.
1379-81)} deriva sempre essenzialmente dalla significazione
ch'ella contiene, e ch'è del tutto indipendente dalla sfera del bello, e per
niente astratta nè assoluta: perchè se le qualità piacevoli fossero naturalmente
dinotate da tutt'altra ed anche contraria forma di fisonomia, questa ci parrebbe
bella, e brutta quella che ora ci pare l'opposto. Ciò è tanto vero che, siccome
l'interno dell'uomo, come ho detto, si cambia, e la fisonomia non corrisponde
alle sue qualità (per la maggior parte acquisite), perciò accade che quella tal
fisonomia irregolare
1513 irregolare in se, ma che ha
acquistata o per arte, o per altro, una significazione piacevole, ci piace, e ci
par più bella di un'altra regolarissima che per contrarie circostanze abbia
acquistata una significazione non piacevole; nel qual caso ella può anche
arrivarci a dispiacere e parer brutta. E se una fisonomia è fortemente
irregolare, ma o per natura (che talvolta ha eccezioni e fenomeni, come accade
in un sì vasto sistema), o per arte, o per la effettiva piacevolezza della
persona che influisce pur sempre sull'aria del viso, ha una significazione
notabilmente piacevole; noi potremo accorgerci della sproporzione e sconvenienza
colle forme universali, ma non potremo mai chiamar brutta quella fisonomia, e
talvolta non ci accorgeremo neppure della irregolarità, e se non la consideriamo
attentamente, la chiameremo bella. (17. Agos. 1821.). {{V. p. 1529. capoverso 2.}}
[1553,1] Si vedono persone di montagna venute nelle grandi
città, contrarre brevemente le maniere civili e graziose, ed altre nate in paesi
assai meno rozzi, viver lungamente nelle grandi città, e tornare in patria colle
stesse maniere di prima. Ecco le differenze de' talenti; maggiore o minor
facilità d'assuefarsi e dissuefarsi. Io spererò sempre bene di quel fanciullo,
che dimostri nelle minime cose questa facilità, che sia singolarmente portato
all'imitazione, che facilmente e presto contragga le maniere, la pronunzia ec.
ec. e gli stessi difetti di coloro con cui vive, e presto se ne divezzi, e le
perda secondo la novità delle circostanze ec. ec. che trasportato in un nuovo
paese o in un nuovo circolo, ne pigli subito le virtù o i vizi. Dico finattanto
che nel fanciullo non si può pretendere il discernimento: il quale deriva da una
lunga e varia serie di assuefazioni. (23. Agosto. 1821.).
[1718,1]
1718 Il fanciullino non riconosce le persone che ha
veduto una sola o poche volte, s'elle non hanno qualche straordinario distintivo
che colpisca la fantasia del fanciullo. Egli confonde facilmente una persona a
lui poco nota o ignota con altra o altre a lui note, una contrada del suo paese
da lui non ben conosciuta con la contrada in cui abita, un'altra casa colla sua,
un'[un] altro paese col suo ec. ec. ec.
Eppure l'uomo il più distratto, il meno avvezzo ad attendere, il più smemorato
ec. riconosce a prima vista la persona veduta anche una sola volta, distingue a
prima vista le persone nuove da quelle che conosce ec. ec. ec. {+(I detti effetti si debbono distinguere
in proporzione della diversa assuefabilità degli organi de' fanciulli, della
diversa loro forza immaginativa, che rende più o meno vive le sensazioni ec.
ec.)} Applicate questa osservazione a provare che la facoltà di
attendere, e quindi quella di ricordarsi, nascono precisamente dall'assuefazione
generale: applicatela anche alla
mia teoria del bello pp.
1184-201 , del quale io dico che il fanciullo ha debolissima idea, non
lo distingue da principio dal brutto, non conosce nè discerne i pregi o difetti
in questo particolare, se non saltano agli occhi ec. ec. ec. (17.
Settembre, 1821.).
[1725,2]
Alla p. 1717.
principio. Così dico della prontezza sì del corpo, che dello spirito,
de' discorsi ec. della mobilità, e di altre tali qualità umane o qualunque, che
sono piacevoli per se, per natura delle cose; piacevoli dico, e non belle, anzi
talvolta contrarie al bello fino a un certo punto, e pur piacciono. ec. Quello
che ho detto degli uccelli, dico pure de' fanciulli in genere, il piacere
ch'essi ordinariamente cagionano, derivando in gran parte da simili fonti. E
parimente discorro d'altri simili oggetti {piacevoli.}
(17. Sett. 1821.).
[1740,1] Considerate indipendentemente e in se stessa, la
lode di se medesimo. Anche dopo formata una società (giacchè prima non esisteva
l'amor di lode), qual cosa più conforme alla natura, più dolce a chi la
pronunzia, qual cosa a cui lo spirito sia più spontaneamente e potentemente
inclinato, qual cosa meno dannosa a' nostri simili, qual piacere insomma più
innocente, e qual premio più conveniente alla virtù, o all'opinione di lei?
Eppur l'assuefazione ce la fa riguardare come un vizio da cui l'animo ben fatto
naturalmente rifugga, come un desiderio di cui bisogni arrossire (e qual cosa ha
ella in se stessa e per natura, che sia vergognosa?), come contrario al dovere
della modestia, che si suppone innato, e non lo è punto (consideriamo i
fanciulli, i quali tuttavia non appena cominciano a desiderar la lode, che già
sono avvertiti a non darsela da se stessi),
1741 come
ripugnante insomma a un dettame interno, e proibita dalla legge naturale.
[1770,3] Alcuni di essi (o sieno individui o specie) possono
anche avere tutta quella
1771 vivacità, mobilità ec.
che anche negli uomini (e molto più nelle diverse specie di animali, le cui
qualità possono ben diversamente combinarsi che non fanno nell'uomo) non hanno a
fare col talento, e neppure con notabile immaginazione, anzi talvolta (come ne'
fanciulli) sono effetto e segno (o forse anche cagione) della mancanza di queste
doti. (22. Sett. 1821.).
[1799,1] Ond'è che il fanciullo il quale per necessità ha
poche rimembranze (ha però somma immaginazione) deve trovar poco dilettevoli e
belle molte bellissime parti delle più grandi poesie. Così dico delle diverse
professioni, abitudini ec. le quali diversificando le rimembranze secondo
gl'individui, diversificano ancora l'effetto delle diverse poesie ec. e delle
loro parti, e quindi anche il giudizio che gl'individui ne pronunziano. Forse un
uomo di poca memoria non è molto atto a gustar poesie. Così un uomo non avvezzo
ad attendere. Così un uomo non sensibile nè suscettibile ec. (28. Sett.
1821.). {{V. p.
1804.}}
[1904,2] Quanta parte dell'effetto singolare che produce la
bellezza umana sull'uomo, massime quella della fisonomia, dipenda e nasca dalla
sua significazione, si può vedere ne' fanciulli, i quali quantunque bellissimi
non producono grand'effetto nello spettatore, nè gli destano odio o avversione
più che superficiale, quantunque bruttissimi. Ciò sebbene
1905 possa avere anche altre cagioni, deriva pur notabilmente da
questa, che la fisonomia de' fanciulli ha sempre poca significazione per chi
l'osserva, 1. perchè la significazione della fisonomia nasce in gran parte dalle
assuefazioni, cioè dal carattere, dalle passioni ec. ec. che l'individuo
acquista appoco appoco, e che mettono in azione, e danno rappresentanza alla
fisonomia. Il carattere de' fanciulli essendo ancora formabile, la
significazione della loro fisonomia, è anch'essa da formarsi, e la
corrispondenza fra l'interno e l'esterno è minore, o meno determinata, in quanto
l'uno e l'altro aspettano la forma che riceveranno dalle circostanze, e sono
ancora quasi pasta molle e da lavoro. 2. Perchè quando anche le fisonomie de'
fanciulli sieno quanto all'apparente conformazione, significantissime; lo
spettatore non applica a questo segno, veruna
1906
notabile significazione, sapendo che il carattere del fanciullo non è ancora
formato, non si può conoscere, non si può bastantemente congetturare dai detti
segni, e dalla fisonomia, e ciò che ora ne apparisce è passeggero, oltre che
alla fine è di poco conto, e nel genere delle bagattelle. Onde un occhio
vivacissimo, e una fisonomia amabilissima in un fanciullo, non ci produce che
una leggera sensazione di amore; ed una fisonomia fiera, e d'apparenza malvagia,
non ci produce che un leggero senso di avversione. Sicchè la fisonomia del
fanciullo lascia l'uomo quasi indifferente, com'è indifferente (almeno per
allora) e di poco conto, ciò ch'ella può significare, e com'è leggera la
corrispondenza fra il significante e il significato. Giacchè anche questa non
solo è determinata dalle assuefazioni, ma anche in gran parte ne deriva, e
perciò non può loro essere anteriore. V. p. 1911.
[1914,1] Le persone che nella fanciullezza ci hanno trattati
bene, sono state solite a prestarci dei servigi, ci hanno fatto buona cera, ci
hanno divertiti, ci hanno cagionato dei piaceri colla loro presenza, ci hanno
regalati ec. non ci sono parse mai brutte mentre eravamo in quell'età, per
bruttissime che fossero; anzi tutto l'opposto. E coll'andar del tempo se abbiamo
rettificata quest'idea, non l'abbiamo quasi mai fatto interamente, massime in
ordine al tempo della nostra fanciullezza. Effetto ordinarissimo, che
ciascheduno può notare in se, e raccontare, e sentirselo raccontare, come ho
sentito io le mille volte, con un certo stupore di chi lo raccontava. (14.
Ott. 1821.).
[1930,2] L'{effetto della}
significazione della fisonomia umana, riconosce anch'esso per sua prima cagione
ed origine l'esperienza e l'assuefazione. Il bambino non sa nulla che cosa
significhi
1931 la più viva e marcata fisonomia, e
quindi in ordine alla di lei significazione, non può provarne verun effetto nè
piacevole nè dispiacevole. Col tempo, e tanto più presto quanto egli è più
disposto naturalmente ad assuefarsi, e disposto o assuefatto ad attendere, e
quindi a confrontare, e a legare i rapporti, egli conosce che l'uomo dabbene, o
l'uomo che gli fa carezze ec. ha, o piglia la tale o tal aria di fisonomia ec. e
appoco appoco si forma le idee delle varie corrispondenze che sono tra il di
fuori e il di dentro degli uomini. Ma vi s'inganna assai più degli uomini,
quantunque, anzi perciò appunto ch'egli è più suscettibile d'impressione nelle
cose sensibili ec. ec. ec.
[1951,1] Ho detto p. 1103
p.
1255
p.
1718 che i fanciulli non ancora avvezzi ad attendere e ricordarsi,
facilmente misconoscono e confondono le persone che non
1952 hanno viste da qualche tempo ec. Similmente una notabile
mutazione di vestito {ec.} impedisce loro di
riconoscere una persona già nota, e ritarda anche la conoscenza delle notissime
e familiari. Tutti cotali effetti accadono pure negli animali, meno abituati
dell'uomo all'attenzione, e quindi alla ricordanza. (19. Ott.
1821.).
[2043,1] L'inclinazione dell'uomo al suo simile, è tanto
maggiore quanto l'uomo (e così ogni vivente) è vicino allo stato naturale, e
tanto più vivi e più numerosi sono gli svariatissimi effetti (da me in diversi
luoghi osservati p. 1688
pp. 1823-24
pp. 1847-48) di questa essenzialissima inclinazione, figlia immediata
dell'amor proprio, anch'esso tanto più vivo ed energico, almeno ne' suoi
effetti, e nell'aspetto che piglia, quanto il
2044
vivente è più naturale. Tutti p. e. amano l'imitazione dell'uomo e delle cose
umane nelle arti, nella poesia, ec. più che quella di qualunque altro oggetto.
Ma questa preferenza è più notabile nel fanciullo, il quale tra' suoi pupazzi si
compiace soprattutto di quelli che rappresentano uomini, e nelle favole o
novelle che legge, di quelle che trattano d'uomini. - ec. ec. ec. Quando anche
abbia p. es. delle figure d'animali assai più ben fatte, che quelle d'uomini ec.
ec.
[2390,1]
2390 L'attenzione de' fanciulli è scarsa 1. per la
moltitudine e forza delle impressioni in quell'età, conseguenza necessaria della
novità ed inesperienza: le quali impressioni tirando fortemente l'attenzione
loro in mille parti e continuamente, l'impediscono di esser sufficiente in
nessuna: e questa è la distrazione che s'attribuisce ai fanciulli, tanto più
distratti, quanto più suscettibili di sensazioni vive e profonde: 2. perchè
anche la facoltà di attendere non si acquista senz'assuefazione ec: 3. perchè la
natura ha provveduto in modo che fin che l'uomo è nello stato naturale, come
sono i fanciulli, poco e insufficientemente attende, essendo l'attenzione la
nutrice della ragione, e la prima ed ultima causa della corruzione ed infelicità
umana. (16. Feb. 1822.)
[2596,1]
2596 Quanta sia l'influenza dell'opinione e
dell'assuefazione anche sui sensi, l'ho notato altrove p. 1733
coll'esempio del gusto, che pur sembra uno de' sensi più difficili ad essere
influiti da altro che dalle cose materiali. Aggiungo una prova evidente. Io mi
ricordo molto bene che da fanciullo mi piaceva effettivamente e parevami di buon
sapore tutto quello che (per qualunque motivo ch'essi s'avessero) m'era lodato
per buono da chi mi dava a mangiare. Moltissime delle quali cose,
ch'effettivamente secondo il gusto dei più, sono cattive, ora non solo non mi
piacciono, ma mi mi dispiacciono. Nè per tanto il mio gusto intorno ai detti
cibi s'è mutato a un tratto, ma appoco appoco, cioè di mano in mano che la mente
mia s'è avvezzata a giudicar da se, e s'è venuta rendendo indipendente dal
giudizio e opinione degli altri, e dalla prevenzione che preoccupa la
sensazione. La qual assuefazione ch'è propria dell'uomo, e ch'è generalissima,
potrà essere ridicolo, ma pur è verissimo il dire che influisce anche in queste
minuzie, e determina il giudizio
2597 del palato sulle
sensazioni che se gli offrono, e cambia il detto giudizio da quello che soleva
essere prima della detta assuefazione. In somma tutto nell'uomo ha bisogno di
formarsi; anche il palato: ed è cosa facilissimamente osservabile che il
giudizio de' fanciulli sui sapori, e sui pregi e difetti dei cibi relativamente
al gusto, è incertissimo, {confusissimo} e
imperfettissimo: e ch'essi in moltissimi, anzi nel più de' casi non provano
punto nè il piacere che gli {uomini fatti} provano nel
gustare tale o tal cibo, nè il dispiacere nel gustarne tale o tal altro. Lascio
i villani, e la gente avvezza a mangiar poco, o male, o di poche qualità di
cibi, il cui giudizio intorno ai sapori (anzi il sentimento ch'essi ne provano)
è poco meno imperfetto e dubbio che quel dei fanciulli. Tutto ciò a causa
dell'inesercizio del palato.
[3291,1]
Alla p. 3282.
Bisogna distinguere tra egoismo e amor proprio. Il primo non è che una specie
del secondo. L'egoismo è quando l'uomo ripone il suo amor proprio in non pensare
{che} a se stesso, non operare che per se stesso
immediatamente, rigettando l'operare per altrui con intenzione lontana e non ben
distinta dall'operante, ma reale, saldissima e continua, d'indirizzare quelle
medesime operazioni a se stesso come ad ultimo ed unico vero fine, {+il che l'amor proprio può ben fare, e
fa.} Ho detto altrove p. 1382
pp. 2410-12
pp. 2736-38
pp.
2752-55 che l'amor proprio è tanto maggiore nell'uomo quanto in esso è
maggiore la vita o la vitalità, e questa è tanto maggiore quanto è maggiore la
forza {+e l'attività dell'animo, e del
corpo ancora.} Ma questo, ch'è verissimo dell'amor proprio, non è nè
si deve intendere dell'egoismo. Altrimenti i vecchi, i moderni, gli uomini poco
sensibili e poco immaginosi sarebbero meno egoisti dei {fanciulli e dei} giovani, degli antichi, degli uomini sensibili e di
forte immaginazione.
3292 Il che si trova essere
appunto in contrario. Ma non già quanto all'amor proprio. Perocchè l'amor
proprio è veramente maggiore assai ne' fanciulli e ne' giovani che ne' maturi e
ne' vecchi, maggiore negli uomini sensibili e immaginosi che ne' torpidi. {Che l'amor proprio sia maggiore ne'
fanciulli e ne' giovani che nell'altre età, segno n'è quella infinita e
sensibilissima tenerezza verso se stessi, e quella suscettibilità e
sensibilità e delicatezza intorno a se medesimi che coll'andar degli anni e
coll'uso della vita proporzionatamente si scema, e in fine si suol
perdere.} I fanciulli, i giovani, gli uomini sensibili sono assai più
teneri di se stessi che nol sono i loro contrarii. Così generalmente furono gli
antichi rispetto ai moderni, e i selvaggi rispetto ai civili, perchè più forti
di corpo, più forti ed attivi e vivaci d'animo e d'immaginazione (sì per le
circostanze fisiche, sì per le morali), meno disingannati, e insomma
maggiormente e più intensamente viventi. {Nella stessa guisa discorrasi dei deboli rispetto ai forti e simili.}
(Dal che seguirebbe che gli antichi fossero stati più infelici generalmente de'
moderni, secondo che la infelicità è in proporzion diretta del maggiore amor
proprio, come altrove ho mostrato: p. 1382
pp. 2410-11
pp. 2752-55
pp. 2736-37
pp.
2495-96
p. 2754 ma l'occupazione {e l'uso} delle proprie forze, la distrazione e simili
cose, essendo state infinitamente maggiori in antico che oggidì; e il maggior
grado di vita esteriore essendo stato anticamente più che in
3293 proporzione del maggior grado di vita interiore, resta, come ho
in mille luoghi provato, che gli antichi fossero anzi mille volte meno infelici
de' moderni: e similmente ragionisi de' selvaggi e de' civili: non così de'
giovani e de' vecchi oggidì, perchè a' giovani presentemente è interdetto il
sufficiente uso delle proprie forze, e la vita esterna, della quale tanto ha
quasi il vecchio oggidì quanto il giovane; per la quale e per l'altre cagioni da
me in più luoghi accennate, maggiore presentemente è l'infelicità del giovane
che del vecchio, come pure altrove ho conchiuso pp. 277-80
pp. 2736-38
pp.
2752-55).
[3345,1]
3345 7. La memoria, indipendentemente dall'esercizio,
il quale anzi per se, tanto l'accresce quanto è maggiore, più assiduo, più
lungo, decresce evidentemente (almeno per l'ordinario) secondo l'età. Anzi
osservando, si vede chiaro ch'ella ne' fanciulli è maggiore naturalmente, e
minore per difetto o scarsezza d'esercizio, e che coll'età crescono le sue
forze, per così dire artifiziali e fattizie, e scemano le naturali; finchè
distrutte queste ne' vecchi quasi affatto, anche quelle divengono inutili, e si
perdono e dileguano, mancato loro il subbietto, cioè la disposizion fisica {a ritenere} degli organi destinati alla memoria. Le
forze della memoria nell'uomo maturo sono quasi medie {tra
quelle del fanciullo e del vecchio,} perchè le fattizie suppliscono
alle naturali, che nel fanciullo sono maggiori assai che nell'uomo maturo, ma in
questo sono maggiori assai che nel vecchio, e bastano {ancora} a servir di materia {e subbietto}
alle forze artifiziali e derivanti dall'esercizio generale e particolare,
passato e presente, ch'è maggiore nell'uomo maturo che nel fanciullo ec. È anche
indubitabile che fisicamente altri ha maggiore, altri minor memoria, alcuni
prodigiosa, altri niuna; e ciò in pari età, e
3346
supposta eziandio la parità di tutte l'altre circostanze. E questa differenza
fisica talora è primitiva e innata, {{ossia dalla nascita,}} talora avventizia, ma pur sempre fisica, e
indipendente, almeno in gran parte e radicalmente, dalle cause morali ec.
Altresì è certo che in uno stesso individuo in una stessa età, anzi pure non di
rado in una stessa giornata in diverse ore, per cause evidentemente fisiche, la
memoria ora è più pronta e maggiore e più chiara, ora meno; ora più ora men
facile sia ad apprendere sia a rimembrare, e disposta a farlo più o meno
perfettamente ec. Or tutto questo discorso della memoria in cui si scorge tanto
di fisico ec. perchè non dovrà eziandio applicarsi all'ingegno, al talento,
all'intelletto ec. ch'è pure una facoltà dell'anima come la memoria, e viene ed
è fondato, siccome questa, in una disposizione naturale, primitiva e innata
nell'uomo ec.? (3. Settembre. 1823.). {{Se la
disposizion fisica e naturale è varia quanto alla memoria nelle diverse età,
ne' diversi individui, in diversi tempi ec. indipendentemente dal morale,
perchè non eziandio quanto
3347 all'intelletto e al
talento? (3. Settembre. 1823.).}}
[3553,2] Ho notato altrove p. 108 che la
debolezza per se stessa è cosa amabile, quando non ripugni alla natura del
subbietto in ch'ella si trova, o piuttosto al modo in che noi siamo soliti di
vedere e considerare la rispettiva specie di subbietti; o ripugnando, non
distrugga però la sostanza d'essa natura, e non ripugni più che tanto:
3554 insomma quando o convenga al subbietto, secondo
l'idea che noi della perfezione di questo ci formiamo, e concordi colle {altre} qualità d'esso subbietto, secondo la stessa idea
{+(come ne' fanciulli e nelle
donne);} o non convenendo, nè concordando, non distrugga però
l'aspetto della convenienza nella nostra idea, ma resti dentro i termini di
quella sconvenienza che si chiama grazia (secondo la mia teoria della grazia), come può esser negli
uomini, o nelle donne in caso ch'ecceda la proporzione ordinaria, ec. Ora
l'esser la debolezza per se stessa, e s'altro fuor di lei non si oppone,
naturalmente amabile, è una squisita provvidenza della natura, la quale avendo
posto in ciascuna creatura l'amor proprio in cima d'ogni altra disposizione, ed
essendo, come altrove ho mostrato pp. 872. sgg. , una necessaria e propria conseguenza
dell'amor proprio in ciascuna creatura l'odio dell'altre, ne seguirebbe che le
creature deboli fossero troppo sovente la vittima delle forti. Ma la debolezza
essendo naturalmente amabile e dilettevole altrui per se stessa, fa che altri
ami il subbietto in ch'ella si trova, e l'ami per amor proprio, cioè perchè da
esso riceve diletto. {La debolezza
ordinariamente piace ed è amabile e bella nel bello. Nondimeno può piacere
ed esser bella ed amabile anche nel brutto, non in quanto nel brutto, ma in
quanto debolezza, (e talor lo è) purch'essa medesima non sia {la} cagione della bruttezza nè in tutto nè in
parte.} Senza ciò i fanciulli,
3555 massime
dove non vi fossero leggi sociali che tenessero a freno il naturale egoismo
degl'individui, sarebbero tuttogiorno écrasés dagli
adulti, le donne dagli uomini, e così discorrendo. Laddove anche il selvaggio
mirando un fanciullo prova un certo piacere, e {quindi}
un certo amore; e così l'uomo civile non ha bisogno delle leggi per contenersi
di por le mani addosso a un fanciullo, benchè i fanciulli sieno per natura
esigenti ed incomodi, ed in quanto sono (altresì per natura) apertissimamente
egoisti, offendano l'egoismo degli altri più che non fanno gli adulti, e quindi
siano per questa parte naturalmente odiosissimi (sì a coetanei, sì agli altri).
Ma il fanciullo è difeso {per se stesso} dall'aspetto
della sua debolezza, che reca un certo piacere a mirarla, e quindi ispira
naturalmente (parlando in genere) un certo amore verso di lui, perchè l'amor
proprio degli altri trova in lui del piacere. E ciò, non ostante che la stessa
sua debolezza, rendendolo assai bisognoso degli altri, sia cagione essa medesima
di noia e di pena agli altri, che debbono provvedere in qualche modo a' suoi
bisogni, e lo renda per natura molto esigente ec. Similmente discorrasi
3556 delle donne, nelle quali indipendentemente
dall'altre qualità, la stessa debolezza è amabile perchè reca piacere ec. Così
di certi animaletti o animali (come la pecora, {i cagnuolini,
gli agnelli,} gli uccellini ec. ec.) in cui l'aspetto della lor
debolezza rispettivamente a noi, in luogo d'invitarci ad opprimerli, ci porta a
risparmiarli, a curarli, ad amarli, perchè ci riesce piacevole. {ec.} E si può osservare che tale ella riesce anche ad
altri animali di specie diversa, che perciò gli risparmiano e mostrano talora di
compiacersene e di amarli ec. Così i piccoli degli animali non deboli quando son
maturi, sono risparmiati ec. dagli animali maturi della stessa specie (ancorchè
non sieno lor genitori), ed eziandio d'altre specie (eccetto se non ci hanno
qualche nimicizia naturale, o se per natura non sono portati a farsene cibo
ec.); ed apparisce in essi animali una certa o amorevolezza o compiacenza verso
questi piccoli. Similmente negli uomini verso i piccoli degli animali che
cresciuti non son deboli. E di questa compiacenza non n'è solamente cagione la
piccolezza per se (ch'è sorgente di grazia, come ho detto altrove), p.
200
pp.
1880-81
{#1. nè la sola sveltezza che in questi
piccoli suole apparire (siccome ancora nelle specie piccole di animali) e
che è cagion di piacere per la vitalità che manifesta e la vivacità ec.
secondo il detto altrove p. 221
pp. 1716-17
p. 1999
pp. 2336-37 da me
sull'amor della vita, onde segue quello del vivo ec.} ma v'ha la
3557 sua parte eziandio la debolezza. (29-30.
Sett. 1823.). {{V. p. 3765.}}
[3908,1]
Alla p. 3520.
E bene spesso l'irriflessione de' fanciulli, degl'ignoranti, degl'inesperti ec.
fa quello stesso, e così perfettamente, o {assai}
meglio ancora, che può fare e fa la riflessione, {la
prudenza,}
{#1. la provvidenza, l'accorgimento,
l'abilità, la prontezza ec.} e la presenza di spirito acquistata a
forza di pratica ec. trova gli stessi partiti che potrebbe abbracciare dopo
maturissima considerazione l'uomo il più riflessivo, e dov'è bisogno di
prontezza, con altrettanta e maggior prontezza li trova e li eseguisce, che
possa fare l'abito della riflessione ec. (26. Nov. 1823.).
[3950,2] Non si dà ricordanza senza previa attenzione, ec.
come altrove pp. 1733-37
pp. 2110-12
pp. 2378-81
p.
3737. Questa è una delle principali cagioni per cui i fanciulli, in
principio massimamente, stentano molto a mandare a memoria, e più degli uomini
maturi, o giovani. Perocchè essi sono distratti e poco riflessivi ed attenti,
per la stessa moltiplicità di cose a cui attendono, e facilità, rapidità e forza
con cui la loro attenzione è rapita continuamente da un oggetto all'altro. Gli
uomini distratti, poco riflessivi ec. non imparano mai nulla. Ciò non prova la
lor poca memoria, come si crede, ma la lor poca o facoltà o abitudine di
attendere, o la moltiplicità delle loro attenzioni, il che si chiama
distrazione. Perocchè la stessa troppa facilità di attendere a che che sia, o
per natura o per abitudine, la stessa suscettibilità della mente di esser
vivamente affetta e rapita da ogni sensazione, da ogni pensiero; moltiplicando
le attenzioni, e rendendole tutte deboli, sì per la moltitudine, {{e confusione,}} sì per la necessaria brevità di
ciascuna,
3951
{da cui} ogni piccola cosa distoglie l'animo,
applicandolo a un altro, e per la forza stessa con cui questa seconda attenzione
succede alla prima, cancellando la forza di questa, rende nulla o scarsissima la
memoria, deboli e poche le reminiscenze. E così la stessa facilità e forza
eccessiva di attendere produce o include l'incapacità di attendere, e così suol
essere chiamata, benchè abbia veramente origine dal suo contrario, cioè dalla
troppa capacità di attendere (come sempre il troppo dà origine o equivale e
coesiste al nulla o alla sua qualità o cosa contraria); e l'eccesso della
facoltà di attendere si riduce alla mancanza o alla scarsezza di questa facoltà,
secondo che detto eccesso è maggiore o minore. Ciò ha luogo principalmente, per
regola e ordine di natura, ne' fanciulli. - Laddove una sensazione ec. una sola
volta ricevuta ed attesa, basta {{sovente}} alla
reminiscenza anche più viva, salda, chiara, piena e durevole, essa medesima
mille volte ripetuta e non mai attesa non basta alla menoma reminiscenza, o solo
a una reminiscenza debole, oscura, confusa, scarsa, manchevole, breve e
passeggera. Perciò venti ripetizioni non bastano a chi non attende per fargli
imparare una cosa, che da chi attende è imparata talora dopo una sola volta, o
con pochissime ripetizioni estrinseche ec. (7. Dec. Vigilia della
Concezione. 1823.).
[4037,6] Parrebbe che gli uomini sciolti, franchi nel
conversare, e massime gli sprezzanti avessero più amor proprio degli altri e più
stima di se, e i timidi meno. Tutto al contrario. I timidi per eccesso di amor
proprio e per il troppo conto che fanno di se, temendo sempre di sfigurare e
perdere la stima altrui o desiderando soverchiamente di acquistarla e di
figurare, hanno sempre innanzi agli occhi il rischio del proprio onore, del
proprio concetto, del proprio amore, e occupati e legati da questo pensiero,
sono senza coraggio, e non si ardiscono mai. I franchi e gli sprezzanti fanno al
contrario
4038 per la contraria cagione, cioè per aver
poca cura e poco concetto concetto di se, o desiderio della stima degli altri
(che viene a essere il medesimo), sia che essi sieno tali per natura, o per
abito acquisito. Così che essi offendono spesse volte e facilmente, o rischiano
di offendere l'amor proprio degli altri, e n'hanno poca cura, per poco amor di
se stessi. E i timidi lo risparmiano sempre con mille scrupoli e riguardi, e non
impetrano mai da se stessi non che di lederlo menomamente, ma di porsene a
rischio benchè leggero e lontano, e ciò per soverchio amor proprio, il quale
parrebbe che dovesse principalmente offendere e muoverli ad offendere quello
degli altri. E così per soverchia stima di se stessi, si guardano di mostrar
dispregio degli altri, e infatti non gli spregiano, anzi gli stimano
eccessivamente non per altro che per lo smisurato desiderio e conto che fanno
della loro stima, anche conoscendoli di niun valore, o almeno per la gran tema
che hanno di perderla, eziandio vedendo che la sarebbe piccola perdita per
rispetto al merito di coloro. Tali sono ordinariamente i fanciulli e i giovani
ancora inesperti e inesercitati nel commercio umano e nelle palestre dell'amor
proprio, dov'esso riporta tanti colpi, che alla fine incallisce; e tali sono più
o manco, per più o men lungo tempo, ed alcune per tutta la vita, le persone
sensibili e immaginose, le quali restano {sovente}
fanciulle anche in età matura, e vecchia, sì quanto a {molte} altre cose, sì quanto a questa della timidità {nel consorzio umano,} che in esse è sempre difficile a
vincere più {assai} che negli altri, e in alcune è
assolutamente invincibile, come {fu} in Rousseau. La cagione si è l'eccesso
dell'amor proprio, inseparabile dalla soprabbondanza della vita e forza
dell'animo; ed insieme la vivacità della immaginazione, la quale non mai
veramente spenta {in loro,} nè anche quando pare
affatto agghiacciata, e quando effettivamente ha cessato affatto di partorire
alcun piacere all'individuo medesimo, continuamente,
4039 secondo la sua natura, va fingendo ad esso amor proprio che è per se
vivissimo, mille falsi pericoli e difficoltà, o smisuratamente accrescendo e
moltiplicando i veri. Sì, Rousseau e gli
altri tali uomini sensibili e virtuosi e magnanimi, occupati sempre e legati da
un'invincibile e irrepugnabile timidità, anzi mauvaise
honte ed erubescenza, non furono e non son tali se non
per eccesso di amor proprio e d'immaginazione. Altro danno e infelicità somma
della soprabbondanza della vita interna dell'anima (oltre i tanti da me altrove
notati p. 1382
p.
1584
pp. 2410-14
pp.
2629-30
pp. 2736-39
p.
2861
pp.
3921. sgg.), della sensibilità, della squisitezza dell'ingegno, della
natura riflessiva, immaginosa ec. Poichè in essa l'amor proprio essendo
eccessivo e però tanto più bisognoso di successi, e desiderando la stima altrui
e temendo la disistima molto più che gli altri non fanno, e impedito di
conseguire e costretto ad incontrare quelli che gli altri con molto minor
desiderio e bisogno conseguono facilissimamente ogni dì, ed evitano con molto
minor tema, e che quando nol conseguissero o non lo evitassero, ne sarebbero
molto meno afflitti e infelicitati, per la minore vivacità {e
sensibilità} dell'amor proprio, ed anche della immaginazione, la quale
a quegli altri accresce eziandio per se stessa e con mille false esagerazioni e
finzioni la grandezza delle perdite fatte, di quello che essi desiderano
naturalmente di conseguire, di quello che non ottengono, dei mali successi
incontrati nella società, delle ἀσχημοσύναι, che anche bene spesso non son vere
affatto, ma fabbricate di pianta dall'immaginazione, e non esistono se non
nell'idea di questi tali, e così anche i buoni successi o gli oggetti che essi
si propongono di conseguire che spessissimo sono vani e immaginari, e da niuno
ottenuti nè possibili ad ottenere ec. ec. (1. Marzo. penultimo dì di
Carnevale. 1824.) Ciò che ho detto dell'immaginazione, dico
4040 dell'amor proprio, il quale in questi tali, anche
quando sembra rotto e fiaccato dall'uso de' mali, {dispiaceri, punture ec.} anzi minore assai che non è negli altri, e
quasi al tutto agghiacciato, addormentato e spento, è sempre in verità vivissimo
assai più che negli altri anche giovani e principianti, caldissimo, e {ancora} in istato da esser chiamato tenerezza di se
stesso (come suol essere nella gioventù) benchè sia in loro più {negativo che} positivo, più atto a impedire che a
cagionare, piuttosto causa di passione che d'azione ec. quale egli è
proporzianatamente[proporzionatamente] anche
ne' primi anni di questi tali. (3. Marzo. Mercoledì delle S. Ceneri.
1824.).
[4272,2] Un uomo disarmato, alle prese con una bestia di
corporatura e di forze uguale a lui, {p. e. con un grosso
cane,} difficilmente resterà superiore, verisimilmente sarà vinto. Per
vincere, gli bisogna qualche arma, che diagli una forza non naturale, e una
decisa superiorità. La ragione è perchè il cane vi adopra e vi mette tutto se
stesso, fa ancor più del suo potere; dove che l'uomo riserva sempre una gran
parte di se medesimo fuor di fazione, e fa sempre meno di quello che può. Il
cane non guarda a pericolo, non considera, non usa prudenza. L'uomo al
contrario, se non è disperato affatto, stato al quale egli arriva difficilmente,
eziandio che abbia piena ragione di disperarsi. Egli si risparmia sempre, perchè
sempre spera; e così risparmiandosi, non ottiene quello che la speranza gli
promette, o non fugge quello che egli sperasi di fuggire; quello che, {se} non lo sperasse, otterrebbe o fuggirebbe. E che
questa sia veramente la cagion di ciò, vedetelo in un fanciullo: il quale assai
più facilmente che un uomo riuscirà pari o superiore in una zuffa con un animale
di forze uguali alle sue; zuffa che egli medesimo talvolta attaccherà
volontariamente. Il fanciullo, {e più il bambino,}
adopra tutto se stesso, come una bestia, o poco meno. E per questo lato io non
trovo niente d'inverisimile nella favola di Ercole bambino, strozzatore dei due serpenti. E la crederò vera più
facilmente che quella del medesimo Ercole adulto, sbranatore del leone nemeo, senza altre armi che le
sue braccia, come nell'altra battaglia, cioè in quella de' serpenti. (3.
Aprile. 1827.).
[4280,1] Il vedersi nello specchio, ed immaginare che v'abbia
un'altra creatura simile a se, eccita negli animali un furore, una smania, un
dolore estremo. Vedilo di una scimmia nel Racconto di Pougens, intitolato Joco, Nuovo Ricoglitore di Milano, Marzo 1827. p. 215-6.
Ciò accade anche nei nostri bambini. V.
Roberti
Lettera di un bambino di 16
mesi. Amor grande datoci dalla natura verso i nostri simili!!
(Recanati. 13. Apr. Venerdì santo.
1827.). {{
V. p.
4419.}}
[643,2]
Les enfans aiment à
être traités en personnes raisonnables.
*
Mme. de Lambert, Lettre à madame la supérieure de la Madeleine de Tresnel, sur l'éducation
d'une jeune demoiselle: ou Lettre III. dans ses oeuvres complètes
citées ci-dessus, (p. 633.) p.
356.
[3480,1] Io notava un vecchio ributtantemente egoista,
compiacersi di parlare di certi suoi piccolissimi sacrifizi e sofferenze
volontarie (vere o false ch'elle fossero, e volontarie veramente o no), e farlo
con una certa quasi verecondia, che ben dimostrava, massime a chi conoscesse il
carattere della persona, lui essere persuaso di fare e sostener cose eroiche, e
che quei sacrifizi e patimenti dimostrassero in lui una gran superiorità
d'animo, e rinunzia di se stesso e del suo amor proprio. Egli aveva ben caro che
così paresse agli
3481 altri, e a questo fine ne
parlava, ma dava bene ad intendere che tale si era infatti la sua propria
opinione. Tanto poteva in un animo il più radicato nel più schietto e completo
egoismo, intollerante d'ogni menomo incomodo, e capace di sacrificar chi e che
che sia ad una sua menoma comodità; tanto poteva, dico, in un animo qual esso
era infatti, e di più totalmente inerte, solitario, e segregato affatto dalla
società, il desiderio di parere sì agli occhi altrui, sì ancora a' suoi propri,
capace di grandi sacrifizi, superiore all'amor proprio, il contrario di egoista,
ed insomma eroe. E tanto è vero che non si trova quasi uomo così impudentemente
e perfettamente egoista nel fatto, che non desideri grandemente di comparire
almeno a se stesso, e non si persuada effettivamente, e non si compiaccia
sommamente dell'opinione di essere un eroe. Perocchè a tutti è grato il fare
stima di se, e si può esser certi che tutti, o in un modo o nell'altro, si
stimano, e grandemente, e così continuamente come e' si amano, che vuol dir
tuttafiata, senza intervallo alcuno,
3482 benchè la
stima di se stesso (come anche l'amore, secondo che altrove s'è dimostrato pp. 2488-92 ) abbia in un
medesimo individuo ora il più ora il manco, secondo diverse circostanze e
cagioni. Del resto puoi vedere la {pag. {124}.}
3108-9. e pp. 3167-9.
{+Questo che io dico dei vecchi {egoisti} si può applicare ai fanciulli, egoisti
estremi, ignari ancora dell'eroismo, perchè niuno gliene ha parlato, e
nondimeno vaghi di molte piccole glorie, come di star male o di farlo
credere, perchè si parli di loro nella famiglia, e per aver qualche
somiglianza cogli adulti, alla quale aspirano generalmente e continuamente
in mille cose, solo per vanità o vogliamo dire ambizione ec. V. l'Alfieri di sè che facea gli esercizi militari da
piccolo.}
(20. Sett. vigilia della Festa di Maria Santissima Addolorata. 1823.).
[1183,2] Quello che ho detto altrove pp. 481-84
pp.
667-68 intorno alla diversa impressione che fanno ne' fanciulli i nomi
propri (e si può aggiungere le parole di ogni genere), e alle diverse idee che
loro applicano di bellezza o di bruttezza, secondo le circostanze accidentali di
quell'età, serve anche a dimostrare come sia vero che il bello è puramente
relativo, e come l'idea del bello determinato non derivi dalla bellezza propria
ed assoluta di tale o tale altra cosa, ma da circostanze affatto estrinseche al
genere e alla sfera del bello.
[1379,1]
1379 Siccome la parte dell'uomo alla quale più si
attende, è il viso, però il fanciullo non ha quasi mai un'idea formata della
bellezza o bruttezza delle persone, se non quanto al viso, e questa è la prima
idea della bruttezza umana, ch'egli concepisce: su questa idea si giudica per
lungo tempo della bellezza o bruttezza delle persone. Anzi è osservabile che
finchè l'uomo non ha cominciato a sentire distintamente la sensualità, non
concepisce mai un'idea esatta de' pregi o difetti de' personali; che in quel
tempo cominciando ad osservarli, comincia a formarsi un'idea del bello su questo
punto, ma non arriva a compierla se non dopo un certo spazio; che le persone
eccessivamente continenti sono ordinariamente di giudizio così poco sicuro
intorno alla detta bellezza, come quelle eccessivamente incontinenti, secondo ho
detto in altro pensiero; pp.
1256-57
pp. 1315-16 che generalmente le donne siccome pel loro stato sociale
sono necessitate a maggior castità degli uomini, ed hanno un abito esteriore ed
interiore di maggior ritenutezza, e meno rilassatezza ec. perciò sono prese
dalla bellezza del viso degli uomini, rispetto al personale, più di quello che
lo sieno proporzionatamente gli uomini
1380 dal viso
delle donne in comparazione del personale (e similmente dico della bruttezza). È
pure osservabile che dall'assuefazione naturale di osservare il viso più delle
altre parti, deriva in parte 1. l'aver noi {+(1) Bisogna essere artista per avere idee un poco determinate circa la
bellezza del personale, e anche l'artista le ha men sicure e determinate
che circa il viso.} sempre idea più chiara della bellezza o
bruttezza di quello che di queste, o generalmente prese, cioè del personale, o
particolarmente, come delle mani ec. che pur sono ugualmente scoperte. 2. la
preferenza e l'importanza che noi diamo alla bellezza o bruttezza del viso sopra
il resto, e l'attendere massimamente al viso, sia nell'osservare, sia nel
giudicare del bello o del brutto, la quale assuefazione ci dura per tutta la
vita. E che ciò non derivi solamente dalle proprietà naturali del viso,
osservatelo ne' selvaggi che vanno ignudi, e che certo attendono assai più di
noi all'altre parti, e n'hanno più certo, chiaro, e ordinario discernimento di
bello o brutto; osservatelo ne' libidinosi i quali preferiranno sempre una donna
di bel personale ec. e di mediocre viso, o anche non bello, alla più bella
faccia, e mediocre o non bella persona. E la preferenza che si dà
1381 alle forme del viso, e la maggiore o minore
attenzione che {vi} si pone, va sempre in proporzione
della maggiore o minore abitudine di riserva o di licenza, {sì negli uomini sì nelle donne.} E gli amori sentimentali, di cui gli
sfrenati non sono capaci, derivano sempre assai più dalle forme del viso, che
della persona ec. ec. È osservabile finalmente che il giudizio delle donne circa
la bellezza o bruttezza sì del viso come della persona, nel loro sesso, tarda
sempre più a formarsi che quello degli uomini, e non arriva mai a quel punto, e
così degli uomini viceversa. Nel che è pur nuovamente osservabile che quel
giudizio sul bello o brutto umano che possono acquistare i fanciulli prima della
sensualità qualunque, è presso a poco egualmente e indifferentemente formato
circa il loro sesso, che circa l'altro. Dico presso a poco, perchè un{'alquanto} maggiore inclinazione al sesso differente, si
fa sentire all'uomo sino da' primissimi anni, e questa produce sempre in lui
un'alquanto maggiore osservazione circa quel sesso ec. ec. (23. Luglio
1821.).
[1510,1] Il bambino non ha idea veruna di quello che
significhino le fisonomie degli uomini, ma cominciando a impararlo
coll'esperienza, comincia a giudicar bella quella fisonomia che indica un
carattere o un costume piacevole ec. e viceversa. E bene spesso s'inganna
giudicando bella e bellissima una fisonomia d'espressione piacevole, ma per se
bruttissima, e dura in questo inganno lunghissimo tempo, e forse sempre (a causa
della prima impressione); e non s'inganna per altro se non perchè ancora non ha
punto l'idea distinta ed esatta del bello, e del regolare, cioè di quello ch'è
universale, il che egli ancora non può conoscere. Frattanto questa
significazione delle fisonomie, ch'è del tutto diversa dalla bellezza assoluta,
e non è altro che un rapporto messo
1511 dalla natura
fra l'interno e l'esterno, fra le abitudini ec. e la figura; questa
significazione dico, è una parte principalissima della bellezza, una delle
capitali ragioni per cui questa fisonomia ci produce la sensazione del bello, e
quella il contrario. Non è mai bella fisonomia veruna, che {non} significhi qualche cosa di piacevole (non dico di buono nè di
cattivo, e il piacevole può bene spesso, secondo i gusti, e le diverse
modificazioni dello spirito, del giudizio, e delle inclinazioni umane esser
anche cattivo): ed è sempre brutta quella fisonomia che indica cose
dispiacevoli, fosse anche regolarissima. Si conosce ch'ella è regolare, cioè
conforme alle proporzioni universali ed a cui siamo avvezzi, e nondimeno si
sente che non è bella. Ma ordinariamente, com'è naturale, la regolarità perfetta
della fisonomia indica qualità piacevoli, a causa della corrispondenza che la
natura ha posto fra la regolarità interna e l'esterna. Ed è quasi certo che una
tal fisonomia appartiene sempre a persona di carattere naturalmente perfetto ec.
Ma siccome
1512 l'interno degli uomini perde il suo
stato naturale, e l'esterno più o meno lo conserva, perciò la significazione del
viso è per lo più falsa; e noi sapendo ben questo allorchè vediamo un bel viso,
e nondimeno sentendocene egualmente dilettati (e forse talvolta egualmente
commossi), crediamo che questo effetto sia del tutto indipendente dalla
significazione di quel viso, e derivi da una causa del tutto segregata ed
astratta, che chiamiamo bellezza. E c'inganniamo interamente perchè l'effetto
{particolare} della bellezza umana sull'uomo {+(parlo specialmente del viso che n'è la
parte principale, e v. ciò che ho detto altrove in tal proposito pp.
1379-81)} deriva sempre essenzialmente dalla significazione
ch'ella contiene, e ch'è del tutto indipendente dalla sfera del bello, e per
niente astratta nè assoluta: perchè se le qualità piacevoli fossero naturalmente
dinotate da tutt'altra ed anche contraria forma di fisonomia, questa ci parrebbe
bella, e brutta quella che ora ci pare l'opposto. Ciò è tanto vero che, siccome
l'interno dell'uomo, come ho detto, si cambia, e la fisonomia non corrisponde
alle sue qualità (per la maggior parte acquisite), perciò accade che quella tal
fisonomia irregolare
1513 irregolare in se, ma che ha
acquistata o per arte, o per altro, una significazione piacevole, ci piace, e ci
par più bella di un'altra regolarissima che per contrarie circostanze abbia
acquistata una significazione non piacevole; nel qual caso ella può anche
arrivarci a dispiacere e parer brutta. E se una fisonomia è fortemente
irregolare, ma o per natura (che talvolta ha eccezioni e fenomeni, come accade
in un sì vasto sistema), o per arte, o per la effettiva piacevolezza della
persona che influisce pur sempre sull'aria del viso, ha una significazione
notabilmente piacevole; noi potremo accorgerci della sproporzione e sconvenienza
colle forme universali, ma non potremo mai chiamar brutta quella fisonomia, e
talvolta non ci accorgeremo neppure della irregolarità, e se non la consideriamo
attentamente, la chiameremo bella. (17. Agos. 1821.). {{V. p. 1529. capoverso 2.}}
[1539,1] Ho detto qui sopra che il bello è raro, e il brutto
ordinario. Come dunque l'idea del bello deriva dall'assuefazione, e dall'idea
che l'uomo si forma dell'ordinario, il quale giudica conveniente? Deriva, perchè
quello che gli uomini o le cose hanno d'irregolare, non è comune. Tutti questi
son brutti, ma quegli in un modo, questi in un altro. L'irregolarità ha mille
forme. La regolarità una sola, o poche. E gli stessi brutti hanno sempre
qualcosa di regolare, anzi quasi
1540 tutto, bastando
una sola e piccola irregolarità a produr la bruttezza. Così dunque l'uomo si
forma naturalmente l'idea del bello, quando anche non avesse mai veduto altro
che brutti, distinguendo senza pure avvertirlo ciò che le loro forme hanno di
comune, da ciò che hanno di straordinario e quindi irregolare. E posto il caso
che il tale non avesse veduto alcuna persona senza un tale identico difetto, o
che l'avesse veduto nella maggior parte delle persone a lui note, quel difetto
sarebbe per lui virtù, ed entrerebbe nel suo bello ideale. Così accadrebbe nel
paese de' monocoli. E forse può qui aver luogo il caso di una giovane da me
conosciuta, che sino a 25 anni, credè sempre costantemente che nessuno vedesse
dall'occhio sinistro, perch'ella non ci vedeva, e niuno se n'era accorto.
L'immagine pertanto ch'ella si formava della bellezza umana, era di un uomo
cieco da un occhio, ed avrebbe stimato difetto il contrario. (21. Agos.
1821.).
[1718,1]
1718 Il fanciullino non riconosce le persone che ha
veduto una sola o poche volte, s'elle non hanno qualche straordinario distintivo
che colpisca la fantasia del fanciullo. Egli confonde facilmente una persona a
lui poco nota o ignota con altra o altre a lui note, una contrada del suo paese
da lui non ben conosciuta con la contrada in cui abita, un'altra casa colla sua,
un'[un] altro paese col suo ec. ec. ec.
Eppure l'uomo il più distratto, il meno avvezzo ad attendere, il più smemorato
ec. riconosce a prima vista la persona veduta anche una sola volta, distingue a
prima vista le persone nuove da quelle che conosce ec. ec. ec. {+(I detti effetti si debbono distinguere
in proporzione della diversa assuefabilità degli organi de' fanciulli, della
diversa loro forza immaginativa, che rende più o meno vive le sensazioni ec.
ec.)} Applicate questa osservazione a provare che la facoltà di
attendere, e quindi quella di ricordarsi, nascono precisamente dall'assuefazione
generale: applicatela anche alla
mia teoria del bello pp.
1184-201 , del quale io dico che il fanciullo ha debolissima idea, non
lo distingue da principio dal brutto, non conosce nè discerne i pregi o difetti
in questo particolare, se non saltano agli occhi ec. ec. ec. (17.
Settembre, 1821.).
[1750,1] Dicevami taluno com'egli avea molto conosciuto e
trattato sin dalla prima fanciullezza una persona già matura, delle più brutte
che si possano vedere, ma di maniere, di tratto, d'indole, sì verso lui, che
verso tutti gli altri, amabilissime, politissime, franche, disinvolte, d'ottimo
garbo. E che sentendo una volta (mentr'egli era ancora fanciullo, ma
grandicello) notare da un forestiero
1751 l'estrema
bruttezza di quella persona, s'era grandemente maravigliato, non vedendo
com'ella potesse esser brutta, ed avendo sempre stimato tutto l'opposto. Questa
medesima persona era già vecchia quando io nacqui, la conobbi da fanciullo, mi
parve bella quanto può essere un vecchio (giacchè il fanciullo distingue pur
facilmente la beltà giovenile dalla senile), e non seppi ch'ella fosse
bruttissima, se non dopo cresciuto, cioè dopo ch'ella fu morta. E l'idea ch'io
ne conservo, è ancora di persona piuttosto bella benchè vecchia. (C. Galamini.) Così m'è accaduto
intorno ad altre persone parimente bruttissime. (V. Ferri.{)} Della bruttezza
di altre non mi sono accorto, se non crescendo in età ed osservandole
coll'occhio più esercitato ad attendere, e quindi a distinguere, e più
assuefatto alle proporzioni ordinarie ec. (G. Masi.) {V. il principio del pensiero
antecedente.} Tale è l'idea del bello e del brutto ne'
fanciulli. Spiegate questi effetti, e deducetene le conseguenze opportune.
Probabilmente mi saranno anche parse bruttissime
1752
delle persone che poi crescendo avrò saputo o conosciuto essere o essere state
belle (20. Sett. 1821.)
{e anche bellissime.}
[1794,2] Non solo il fanciullo non ha nessun'idea del bello
umano, e ha bisogno dell'assuefazione per acquistarla, ma per perfezionarla, e
gustare tutti i piaceri che può dar la sua vista, è bisogno un'assuefazione
lunga, variata, particolare, e conviene anche per essa divenire intendenti, come
per gustare il bello delle arti, o delle scritture.
1795 Anche per essa, vi bisogna attenzione {{particolare,}} e facoltà generale di attendere, contratta
coll'assuefazione. Il giovane tenuto in stretta custodia, le persone ritirate,
le monache ec. ec. distinguono certo il bello dal brutto, ma il più bello dal
più brutto, se la cosa non è più che notabile, non lo distinguono, non lo
sentono, non hanno nè un giudizio nè un senso fino intorno alla bellezza,
insomma non se intendono. Questo accade anche alle persone di gran talento, di
gran sentimento, ed entusiasmo, se, e finchè si trovano in dette e simili
circostanze, nelle quali quasi tutti si trovano per qualche tempo. Questo accade
alle persone nutrite nella devozione, scrupolose ec. I loro giudizi in questi
particolari sono stranissimi, e forse più strani rispetto al sesso diverso, che
al proprio, appunto per la minore attenzione che v'hanno messo ec. a causa dello
scrupolo. Questo accade agl'ignoranti, rozzi, ec. o sieno villani, o anche delle
classi elevate ec. perchè non hanno l'abito nè quindi la facoltà di attendere
ec. ec. In
1796
{{somma}} non si acquista l'idea della bellezza o
bruttezza umana o qualunque, se non considerando ben bene come gli uomini (o
qualunque oggetto fisico o morale) son fatti. E quindi la bellezza o bruttezza
non dipende che dal puro modo di essere di quel tal genere di cose; il qual modo
non si conosce per idea innata, ma per la sola esperienza, e non si conosce
bene, se non vi si unisce l'attenzione o volontaria, o spontanea ed abituale.
(26. Sett. 1821.)
[1914,1] Le persone che nella fanciullezza ci hanno trattati
bene, sono state solite a prestarci dei servigi, ci hanno fatto buona cera, ci
hanno divertiti, ci hanno cagionato dei piaceri colla loro presenza, ci hanno
regalati ec. non ci sono parse mai brutte mentre eravamo in quell'età, per
bruttissime che fossero; anzi tutto l'opposto. E coll'andar del tempo se abbiamo
rettificata quest'idea, non l'abbiamo quasi mai fatto interamente, massime in
ordine al tempo della nostra fanciullezza. Effetto ordinarissimo, che
ciascheduno può notare in se, e raccontare, e sentirselo raccontare, come ho
sentito io le mille volte, con un certo stupore di chi lo raccontava. (14.
Ott. 1821.).
[1930,2] L'{effetto della}
significazione della fisonomia umana, riconosce anch'esso per sua prima cagione
ed origine l'esperienza e l'assuefazione. Il bambino non sa nulla che cosa
significhi
1931 la più viva e marcata fisonomia, e
quindi in ordine alla di lei significazione, non può provarne verun effetto nè
piacevole nè dispiacevole. Col tempo, e tanto più presto quanto egli è più
disposto naturalmente ad assuefarsi, e disposto o assuefatto ad attendere, e
quindi a confrontare, e a legare i rapporti, egli conosce che l'uomo dabbene, o
l'uomo che gli fa carezze ec. ha, o piglia la tale o tal aria di fisonomia ec. e
appoco appoco si forma le idee delle varie corrispondenze che sono tra il di
fuori e il di dentro degli uomini. Ma vi s'inganna assai più degli uomini,
quantunque, anzi perciò appunto ch'egli è più suscettibile d'impressione nelle
cose sensibili ec. ec. ec.
[1945,1] Da tutto ciò si rilevi come l'armonia cioè il bello
sia pura opera e creatura
dell'assuefazione tanto che se questa non esiste non esiste neppur l'idea
dell'armonia, neanche dov'ella parrebbe più naturale. (18. Ott.
1821.).
[2965,1] Così discorrere del fanciullo. Il quale neanche si
può così semplicemente dire che trovi piacevole a vedere la gioventù, appena, e
la prima volta ch'ei la vede; che gli paia, come si dice, bella assolutamente e per se, e più bella della
vecchiezza, al primo vederla.
2966 Ho notato altrove
pp. 1198-99
pp.
1750-52 quanto spesso una persona giovane gli paia, e sia da lui
espressamente giudicata bruttissima, e
una persona vecchia bellissima (ancorchè ella sia a tutti gli altri brutta,
eziandio per vecchia), e ciò per varie circostanze. E i sopraddetti effetti non
hanno luogo nel fanciullo, o non v'hanno luogo costantemente e sicuramente nè in
modo che non sia accidentale e di circostanza, se non dopo essersi sviluppata in
lui la inclinazione naturale verso la gioventù, massime in ordine agl'individui
della propria specie; il quale sviluppo, specialmente ne' paesi meridionali,
accade nel fanciullo assai presto, e molto prima ch'egli sia in grado ec. V. l'Alfieri nella sua Vita.
Accade, dico, almeno in parte. E anche circa il cieco nato che acquisti
improvvisamente il vedere, dubito molto che egli ne' primi momenti, e anche ne'
primi giorni, trovi assolutamente bello, come si dice, l'aspetto della
giovanezza per se medesimo, e più bello che quello della vecchiezza. ec. Del
resto il cieco nato, restando pur cieco, troverà certo più piacevole
2967 p. e. la voce giovanile che la senile, e tutte le
altre sensazioni che gli verranno da persone giovani, in parità di circostanze,
le troverà più piacevoli di quelle che gli verranno da persone vecchie; e l'idea
ch'egli concepirà della giovanezza, qualunque ella sia, sarà per lui più
piacevole, e, come si dice, più bella che la contraria, e piacevole e bella per
se medesima. Ma tutto ciò sarà effetto della inclinazione, e non derivato
originalmente dall'intelletto. ec.
[3480,1] Io notava un vecchio ributtantemente egoista,
compiacersi di parlare di certi suoi piccolissimi sacrifizi e sofferenze
volontarie (vere o false ch'elle fossero, e volontarie veramente o no), e farlo
con una certa quasi verecondia, che ben dimostrava, massime a chi conoscesse il
carattere della persona, lui essere persuaso di fare e sostener cose eroiche, e
che quei sacrifizi e patimenti dimostrassero in lui una gran superiorità
d'animo, e rinunzia di se stesso e del suo amor proprio. Egli aveva ben caro che
così paresse agli
3481 altri, e a questo fine ne
parlava, ma dava bene ad intendere che tale si era infatti la sua propria
opinione. Tanto poteva in un animo il più radicato nel più schietto e completo
egoismo, intollerante d'ogni menomo incomodo, e capace di sacrificar chi e che
che sia ad una sua menoma comodità; tanto poteva, dico, in un animo qual esso
era infatti, e di più totalmente inerte, solitario, e segregato affatto dalla
società, il desiderio di parere sì agli occhi altrui, sì ancora a' suoi propri,
capace di grandi sacrifizi, superiore all'amor proprio, il contrario di egoista,
ed insomma eroe. E tanto è vero che non si trova quasi uomo così impudentemente
e perfettamente egoista nel fatto, che non desideri grandemente di comparire
almeno a se stesso, e non si persuada effettivamente, e non si compiaccia
sommamente dell'opinione di essere un eroe. Perocchè a tutti è grato il fare
stima di se, e si può esser certi che tutti, o in un modo o nell'altro, si
stimano, e grandemente, e così continuamente come e' si amano, che vuol dir
tuttafiata, senza intervallo alcuno,
3482 benchè la
stima di se stesso (come anche l'amore, secondo che altrove s'è dimostrato pp. 2488-92 ) abbia in un
medesimo individuo ora il più ora il manco, secondo diverse circostanze e
cagioni. Del resto puoi vedere la {pag. {124}.}
3108-9. e pp. 3167-9.
{+Questo che io dico dei vecchi {egoisti} si può applicare ai fanciulli, egoisti
estremi, ignari ancora dell'eroismo, perchè niuno gliene ha parlato, e
nondimeno vaghi di molte piccole glorie, come di star male o di farlo
credere, perchè si parli di loro nella famiglia, e per aver qualche
somiglianza cogli adulti, alla quale aspirano generalmente e continuamente
in mille cose, solo per vanità o vogliamo dire ambizione ec. V. l'Alfieri di sè che facea gli esercizi militari da
piccolo.}
(20. Sett. vigilia della Festa di Maria Santissima Addolorata. 1823.).
[2019,2] I fanciulli con la vivacità della loro
immaginazione, e col semplice dettame della natura, scuoprono e vedono
evidentemente delle somiglianze e affinità fra cose disparatissime, trovano
rapporti astrusissimi, dei quali converrebbe che il filosofo
2020 facesse gran caso, e non si sdegnasse di tornare in qualche parte
fanciullo, e ingegnarsi di veder le cose come essi le vedono. Giacchè è certo
che chi scuopre grandi e lontani rapporti, scopre grandi e riposte verità e
cagioni: e forse perciò il fanciullo sa talvolta assai più del filosofo, e vede
chiaramente delle verità e delle cagioni, che il filosofo non vede se non
confusamente, o non vede punto, perocch'egli è abituato a pensare diversamente,
e a seguire nelle sue meditazioni tutt'altre vie che quelle che seguì
naturalmente da fanciullo. (31. Ott. 1821.).
[2037,1] Questi pensieri ci possono condurre a grandi
risultati intorno all'acutezza naturale de' primi parlatori, alla vivezza e
disparatezza de' rapporti ch'essi scoprivano, alla loro penetrazione, metafisica
ec. Infatti quante volte il fanciullo è più metafisico ed anche sofistico, che
l'uomo maturo il più versato in tali materie ec. Puoi vedere la p. 2019. fine, seg.
(2. Nov. dì de' morti. 1821.).
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