7. Agos. 1821.
[1461,1] Noi stessi nelle nostre riflessioni giornaliere le
meno profonde, conosciamo e sentiamo che la virtù (p. e.) è un fantasma, e che
non c'è ragione per cui la tal cosa sia virtù, se non giova, nè vizio se non
nuoce; e siccome una cosa ora giova, ora nuoce; a questo giova, a quello no; ad
un genere di esseri sì, ad un altro no, ec. ec. così veniamo a confessare che la
virtù, il vizio, il cattivo, il buono è relativo. Noi
1462 non troviamo nell'ordine di questo mondo alcuna ragione perchè
una cosa che giova a me (anche grandemente) e nuoce ad altri (anche
leggermente), non si possa fare, e sia colpa; perchè un atto segreto che non
giova nè a me nè ad altri, e non nuoce a veruno, e non ha spettatori, possa
essere virtuoso o vizioso; perchè p. e. una bugia che non nuoce ad alcuno, e
neppur dà mal esempio, perchè non è conosciuta; una bugia che giovi sommamente
ad altri o a me stesso, senza nuocere ad alcuno, sia male e colpa. Le ragioni di
tutto ciò noi siamo costretti a riporle in un Essere dove personifichiamo il
bene, la virtù, la verità, la giustizia ec. facendolo assolutamente, e per
assoluta necessità, buono: che se così non facessimo, neppure in lui avremmo
trovato il confine delle cose, e la ragione per cui questo o quello sia
assolutamente buono o cattivo. Noi consideriamo dunque detto Essere come un
tipo, a norma del quale convenga giudicare della bontà o bellezza ec. della
bruttezza o malvagità delle cose (ed ecco le ἰδέαι di Platone). Quello che
1463
somiglia o piace a lui, è dunque assolutamente, primordialmente, universalmente
e necessariamente buono, e viceversa. Benissimo: altra ragione infatti che
questa non vi può essere del buono ec. assoluto; e, come ho detto altrove [pp.
1340-42] tolte le idee di Platone, l'assoluto si perde. Ma qual ragione ha questo tipo di esser
tale quale noi ce lo figuriamo, e non diverso? Come sappiamo noi che gli
appartengono quelle qualità che noi gli ascriviamo? - Elle son buone, e la
necessità è la ragione per cui gli appartengono, e per cui egli esiste in quel
tal modo e non altrimenti. - Ma son elle buone necessariamente? son elle buone
assolutamente? primordialmente? universalmente? Che ragione abbiamo per
crederlo, quando, come vengo dal dire, non ne troviamo nessuna in questo mondo,
vale a dire in quanto possiamo conoscere; anzi quando la osservazione depone in
contrario quaggiù stesso, benchè dentro un medesimo ordine di cose? - La ragione
che abbiamo è Dio. - Dunque noi proviamo l'idea dell'assoluto coll'idea di Dio,
e l'idea di Dio coll'idea dell'assoluto. {+Iddio è l{'unica} prova delle
nostre idee, e le nostre idee l'unica prova di Dio.}
[1464,1]
1464 Da tutto ciò si conferma ciò che ho detto altrove
[pp. 1341-42] che il primo principio delle cose è
il nulla. (7. Agos. 1821.).