Gusti diversi. Buon gusto, cattivo gusto, ec.
Different tastes. Good taste, bad taste, etc.
1404,1 1411,1 1434,2 1668,1 1669,1 1671,1 1688,2 1699,1 1733,1 1940,1.2 2184,1 2596,1 2636,1 3206,1 3210,1 3229,1 3952,1 3984,2 3988,1 4020,2 4188,8[1404,1] Le Cinesi si storpiano per farsi il piede piccolo
riputando bellezza, quello ch'è contro natura. Che accade il noverare le tante
barbare cioè snaturate usanze e opinioni intorno alla bellezza umana? Certo è
però che tutti questi barbari, e i cinesi ec. trovano più bella una persona
snaturatasi e rovinatasi in quei tali modi, che una persona bellissima e
foggiata secondo natura. Anzi
1405 questa parrà loro
anche deforme in quelle tali parti ec. Dunque essi provano il senso del bello,
come noi nelle cose contrarie; dunque chi ha ragione de' due? perchè dunque si
chiamano barbari simili gusti?
[1411,1] La semplicità è quasi sempre bellezza sia nelle
arti, sia nello stile, sia nel portamento, negli abiti ec. ec. ec. Il buon gusto
ama sempre il semplice. Dunque la semplicità è assolutamente è[e] astrattamente bella e buona? Così si conclude. Ma non è
vero. Perchè dunque suol esser bella?
[1434,2] In uno stesso tempo e nazione, quegli prova un vivo
senso di eleganza, in tale o tal parola, o metafora, o frase, o stile, perocchè
non v'è assuefatto; questi nessuno, per la contraria ragione. Una stessa
persona, oggi prova gran gusto di eleganza in uno scrittore, che alquanto dopo,
quand'egli s'è avvezzato ad altri scritti più eleganti, non gli pare elegante
per nulla, anzi forse inelegante. Così è accaduto a me, circa l'eleganza degli
scrittori italiani. Così coll'assuefazione (e non altro) si forma il gusto, il
quale come ci tende capaci di molti piaceri, che per l'addietro malgrado la
presenza degli
1435 stessi oggetti ec. non provavamo,
così anche ci spoglia di molti altri che provavamo, e generalmente, o almeno
bene spesso, e sotto molti aspetti, ci rende più difficili al piacere. (1.
Agosto. 1821.).
[1668,1] I contadini, e tutte le nazioni meno civilizzate,
massime le meridionali, amano e sono dilettate soprattutto da' colori vivi. Al
contrario le nazioni civili, perchè la civiltà che tutto indebolisce, mette in
uso e in pregio i colori smorti ec. Questo si chiama buon gusto. Perchè? come
dunque si suppone che il buon gusto abbia norme e modelli costanti, e
invariabili? s'egli ci allontana dalla natura, in che altra cosa stabile faremo
noi consistere questo tipo, questa norma? Non è questa oltracciò una prova che
tutto è relativo, e dipende dall'assuefazione, e circostanze,
1669 anche i piaceri, i gusti ec. che paiono i più naturali, e
spontanei? giacchè l'uomo polito, senza bisogno di alcuna riflessione, si ride
di un villano che stima far gran figura col suo gilet
di scarlatto, e degli altri villani o villane che l'ammirano. E pure che ragione
naturale v'è di riderne? Le stesse nostre classi colte pochi anni sono, quando
erano meno o civilizzate o corrotte, avevano lo stesso gusto de' nostri villani,
ma in assai maggior grado. Ora i colori amaranto, barbacosacco, napoleone, ed
altri simili mezzi colori sono di moda, e questo effetto si attribuisce a
piccole cagioni, ma in vero egli tiene alla natura generale dell'incivilimento.
(10. Sett. 1821.).
[1669,1] La detta osservazione è anche una prova
dell'indebolimento che è sempre {e in t̃ti[tutti] i sensi} compagno ed effetto della
civiltà. (10. Sett. 1821.).
[1671,1] Le teorie delle quali i romantici han fatto tanto
romore a' nostri giorni, avrebbero dovuto restringersi a provare che non c'è
bello assoluto, nè quindi buon gusto stabile, e norma universale di esso per
tutti i tempi e popoli; ch'esso varia secondo gli uni e gli altri, e che però il
buon gusto, e quindi la poesia, le arti, l'eloquenza ec. de' tempi nostri, non
denno esser quelle stesse degli antichi, nè quelle della
Germania, le stesse che le francesi; che le regole
assolutamente parlando non esistono. Ma essi son andati più avanti, hanno
ricusato o male interpretato
1672 il giudizio e il
modello della stessa natura parziale, sola norma del bello; il fanatismo e la
smania di essere originali (qualità che bisogna bene avere ma non cercare) gli
ha precipitati in mille stravaganze; hanno errato anche bene spesso in
filosofia, ne' principj, e nella speculativa non solo delle arti ec. ma anche
della natura generale delle cose, dalla quale dipendono tutte le teorie di
qualsivoglia genere. - Il primo poema regolare venuto in luce {in europa} dopo il risorgimento,
dice il Sismondi, è la Lusiade (pubblicata un anno
avanti la Gerusalemme). Questo è detto abusivamente: per regolare,
non si può intendere se non simile a' poemi d'Omero e di Virgilio. Regolare
non è assolutamente nessun poema. Tanto è regolare il Furioso, quanto
il Goffredo. L'uno
potrà dirsi esclusivamente epico, l'altro romanzesco. Ma in quanto poemi tutti
due sono {ugualmente} regolari; e lo sono e lo
sarebbero parimente altri poemi di forme affatto diverse, purchè si contenessero
ne' confini della natura. I generi ponno essere infiniti, e ciascun genere,
1673 da che è genere, è regolare, fosse anche composto
di un solo individuo. Un individuo non
può essere irregolare se non rispetto al suo genere o specie. Quando
egli forma genere, non si dà irregolarità per lui. Anche dentro uno stesso
genere (come l'epico) si danno mille specie, ed anche mille differenze di forme
individuali. Qual divario dall'iliade all'odissea,
dall'una e l'altra all'Eneide. Pur tutti questi
si chiamano poemi epici, e potrebbero anche non chiamarsi. Anzi si potrebbe dire
che se l'iliade è poema epico, l'Eneide non lo è, o viceversa. Tutto è quistione di
nomi, e le regole non dipendono se non dal modo in cui la cosa è: non esistono
prima della cosa, ma nascono con lei, o da lei. (11. Sett.
1821.)
[1688,2] Si parla tuttogiorno di convenienze. E si crede
ch'elle sieno fisse, universali, invariabili, e su di loro si fonda tutto il
buon gusto. Or quante cose che sono convenienti, e quindi belle, e quindi di
buon gusto in italia, non lo sono in
Francia, ne' costumi, nel tratto, nello scrivere, nel
teatro, nell'eloquenza, nella poesia ec. Dante non è egli un
1689 mostro per li
francesi nelle sue più belle parti; un Dio per noi? Così discorrete, e su questo
esempio ragionate di tutte le possibili convenienze in ordine al confronto delle
idee che noi o altre nazioni ne hanno, con quelle che ne hanno i francesi.
(13. Sett. 1821.).
[1699,1] Del resto che cosa è dunque il buon gusto? Qual tipo
ha egli? La natura? Anzi ella ci ha fatti diversissimi da quel che siamo, e
quindi datoci diversissimi gusti. E ciò non solo nelle forme umane, ma in ordine
a tutti gli oggetti del buon gusto. ec. ec. ec. (14. Sett.
1821.).
[1733,1]
1733 Quanto possa l'assuefazione e l'opinione anche sul
gusto de' sapori, ch'è pure un senso naturale e innato, e ciò non ostante, varia
spessissimo fino in un medesimo individuo, secondo la differenza e delle
assuefazioni e delle opinioni intorno al buono o cattivo de' sapori; è manifesto
per l'esperienza giornaliera e comparativa sì de' gusti successivi di un
individuo, sì de' gusti e giudizi de' diversi individui. (18. Sett.
1821.).
[2184,1] Non solo l'uomo è opera delle circostanze, in quanto
queste lo determinano a tale o tal professione ec. ec. ma anche in quanto al
genere, al modo, al gusto di quella tal professione a cui l'assuefazion sola e
le circostanze l'hanno determinato. P. e. io finchè non lessi se non autori
francesi, l'assuefazione parendo natura, mi pareva che il mio stile naturale
fosse quello solo, e che là mi conducesse l'inclinazione. Me ne disingannai,
passando a diverse letture, ma anche in queste, e di mese in mese, variando il
gusto degli autori ch'io leggeva, variava l'opinione ch'io mi formava circa la
mia propria
2185 inclinazione naturale. E questo anche
in menome e determinatissime cose, appartenenti o alla lingua, o allo stile, o
al modo e genere di letteratura. Come, avendo letto fra i lirici il solo Petrarca, mi pareva che dovendo scriver
cose liriche, la natura non mi potesse portare a scrivere in altro stile ec. che
simile a quello del Petrarca. Tali
infatti mi riuscirono i primi saggi che feci in quel genere di poesia. I secondi
meno simili, perchè da qualche tempo non leggeva più il Petrarca. I terzi dissimili affatto, per essermi
formato ad altri modelli, o aver contratta, a forza di moltiplicare i modelli,
le riflessioni ec. quella specie di maniera o di facoltà, che si chiama originalità. (Originalità quella che si contrae? e che infatti non si
possiede mai se non s'è acquistata? Anche Mad. di Staël dice che bisogna leggere più che si possa per divenire
2186
originale. Che cosa è dunque l'originalità? facoltà
acquisita, come tutte le altre, benchè questo aggiunto di acquisita ripugna
dirittamente al significato e valore del suo nome.) (28. Nov.
1821.).
[2596,1]
2596 Quanta sia l'influenza dell'opinione e
dell'assuefazione anche sui sensi, l'ho notato altrove p. 1733
coll'esempio del gusto, che pur sembra uno de' sensi più difficili ad essere
influiti da altro che dalle cose materiali. Aggiungo una prova evidente. Io mi
ricordo molto bene che da fanciullo mi piaceva effettivamente e parevami di buon
sapore tutto quello che (per qualunque motivo ch'essi s'avessero) m'era lodato
per buono da chi mi dava a mangiare. Moltissime delle quali cose,
ch'effettivamente secondo il gusto dei più, sono cattive, ora non solo non mi
piacciono, ma mi mi dispiacciono. Nè per tanto il mio gusto intorno ai detti
cibi s'è mutato a un tratto, ma appoco appoco, cioè di mano in mano che la mente
mia s'è avvezzata a giudicar da se, e s'è venuta rendendo indipendente dal
giudizio e opinione degli altri, e dalla prevenzione che preoccupa la
sensazione. La qual assuefazione ch'è propria dell'uomo, e ch'è generalissima,
potrà essere ridicolo, ma pur è verissimo il dire che influisce anche in queste
minuzie, e determina il giudizio
2597 del palato sulle
sensazioni che se gli offrono, e cambia il detto giudizio da quello che soleva
essere prima della detta assuefazione. In somma tutto nell'uomo ha bisogno di
formarsi; anche il palato: ed è cosa facilissimamente osservabile che il
giudizio de' fanciulli sui sapori, e sui pregi e difetti dei cibi relativamente
al gusto, è incertissimo, {confusissimo} e
imperfettissimo: e ch'essi in moltissimi, anzi nel più de' casi non provano
punto nè il piacere che gli {uomini fatti} provano nel
gustare tale o tal cibo, nè il dispiacere nel gustarne tale o tal altro. Lascio
i villani, e la gente avvezza a mangiar poco, o male, o di poche qualità di
cibi, il cui giudizio intorno ai sapori (anzi il sentimento ch'essi ne provano)
è poco meno imperfetto e dubbio che quel dei fanciulli. Tutto ciò a causa
dell'inesercizio del palato.
[2636,1] Non c'è regola nè idea nè teoria di gusto universale
{ed eterno.} Qual potrebb'ella essere, se non la
natura? (e qual cosa è, o vero, essendo, si può immaginare e intendere e
concepire da noi, fuori della natura?) ma qual natura, se non l'umana? Poichè le
cose che cadono sotto la categoria del buon gusto o del cattivo gusto, non sono
considerate se non per rispetto all'uomo. Or non è ella cosa manifestissima, che
la natura dell'uomo si diversifica moltissimo secondo i climi, {secoli,}
costumi, assuefazioni, governi, opinioni, circostanze fisiche, morali,
politiche, ec. e queste, individuali, nazionali ec. ec.? Resta dunque per tutta
idea e teoria di gusto
2637 universale {ed eterno,} un idea ed una teoria, che comprenda
solamente, e si fondi, e si formi di quei principii che, relativamente al gusto,
si trovano esser comuni a tutti gli uomini, e tenere alla primitiva e immutabile
natura umana. Ma questi principii, dico io che sono pochissimi, ed
applicabilissimi, conformabilissimi, e fecondi di numerosissime e diversissime
conseguenze (siccome lo sono tutti i principii naturali, e veramente elementari,
perchè la natura è semplicissima, pochi principii ha posto, e questi,
infinitamente e diversissimamente {e anche contrariamente} modificabili): {
Contrariamente. Non si trovano
forse mille contrarietà fra le indoli, opinioni, costumi, di diversi tempi,
nazioni, climi, individui, popoli civili fra loro, e rispetto ai non civili,
e questi fra se medesimi, ec.? Pur tutti hanno i medesimi principii
elementari costituenti la natura umana.} dal che segue che questa idea
e questa teoria d'un gusto che sia veramente universale {ed
eterno,} si riduce a pochissime regole, ed è infinitamente meno
circoscritta e distinta di quel che comunemente si crede; e lascia luogo a
infiniti
2638 gusti diversissimi ed anche contrarii fra
loro (che noi riproviamo, e perchè ripugnano al gusto nostro o individuale o
nazionale, {e questo forse momentaneo,} li crediamo, al
nostro solito, contrarii all'universale ed eterno): anzi non solo lascia loro
luogo, ma li produce, non meno che quello ch'a noi pare il solo vero buon gusto
ec. (13. Ott. 1822.).
[3206,1] Dimostrato che nell'idea del bello non convengono nè
gli uomini naturali fra loro, nè gli spiriti incorrotti e semplici come quelli
de' fanciulli, e quindi ch'essa idea non si trova una in natura; e che
d'altronde gli uomini colti, savi, esercitati, profondi;
3207 gli artisti medesimi e i poeti ec. disconvengono circa il bello,
ed anche in cose essenziali, più o meno, secondo la differenza delle nazioni,
climi, opinioni, assuefazioni, costumi, generi di vita, secoli; disconvengono,
dico, eziandio bene spesso dove credono di convenire (perocchè tra loro non
s'intendono); disconvengono tra loro, e dai fanciulli, e dagli uomini o naturali
o ignoranti; e che tali differenze circa l'idea del bello, si trovano fra
individuo e individuo in una stessa nazione, si trovano in un medesimo individuo
in diverse età e circostanze, si trovano, e costantemente, fra nazione e
nazione, clima e clima, secolo e secolo, civili e non civili; si trovano fra
barbari e barbari, dotti e dotti, ignoranti e ignoranti, selvaggi e selvaggi,
colti e colti, {+più e men barbari, più e
men civili,} fanciulli e fanciulli, adulti e adulti, intendenti e
intendenti, artisti ed artisti, speculatori e speculatori, filosofi e filosofi;
dimostrato, dico, tutto questo, come ho già fatto in molti luoghi pp. 1183. sgg.
pp.
1367-68
pp.
1413. sgg., viene a esser provato che il bello ideale, unico, eterno,
immutabile, universale, è una chimera, poichè nè la natura l'insegna o lo
mostra, nè i filosofi o gli artisti l'hanno mai scoperto o lo scuoprono, a forza
di osservazioni
3208 e di cognizioni, come si sono
scoperte e si scuoprono le altre idee stabili e invariabili appartenenti alle
scienze del vero ec. ec. (20. Agosto. 1823.).
[3210,1] E di qui, e non d'altronde, nasce la diversità de'
gusti musicali ne' diversi popoli. Dico ne' popoli, e non dico negl'intendenti,
i quali avendo tutti un'arte uniforme, distinta in regole, universalmente
abbracciata e riconosciuta, co' suoi principii fissi e invariabili e universali,
siccome quelli di qualsivoglia altra scienza che tale è in
italia quale in Polonia, in
Portogallo, in Isvezia; nel
giudicare di una melodia musicale, non mirano all'orecchio, ma alle regole {e a' principii} ch'essi hanno nella loro arte o scienza,
cioè nel contrappunto; ed essendo esse regole e principii dappertutto gli stessi
e dappertutto ugualmente riconosciuti, i giudizi che i diversi intendenti
pronunziano non possono grandemente
3211 disconvenire
gli uni dagli altri, e tanto meno quanto essi più sono intendenti. Ma non così
de' popoli, e de' non intendenti, i quali non hanno altra regola e canone che
l'orecchio, e questo non {ha} altri principii che le
sue proprie assuefazioni, e non già alcuni dettati e infusi universalmente dalla
natura, come si crede. E però le nostre melodie non paiono pur melodie a' turchi
a[a'] Cinesi nè ad altri barbari, o
diversamente da noi, civili. Che se questi pure alcuna volta se ne dilettano, il
diletto non nasce in loro dalla melodia, cioè dal senso della successiva armonia
de' tuoni, la quale essi non sentono nè comprendono, posto pur ch'ella fusse tra
noi l'una delle più popolari; ma nasce da' puri suoni per se, e dalla
delicatezza, facilità, rapidità, volubilità del loro succedersi, mescolarsi,
alternarsi (sia nella voce o in istrumenti), dalla dolcezza delle voci o
degl'istrumenti, dal sonoro, dal penetrante e da simili qualità de' medesimi,
dalla soavità eziandio de' rapporti rispettivi d'un tuono coll'altro in quanto
alla facilità e alla delicatezza del passaggio da questo a quello (laddove i
passaggi nelle
3212 musiche de' barbari sono
asprissimi, perchè fatti da tuoni a tuoni troppo lontani o da corde a corde
troppo distanti), e insomma da cento qualità {+(per così dire, estrinseche)} della nostra musica
che nulla hanno a fare colla rispettiva scambievole armonia o convenienza de'
tuoni nella lor successione, cioè colla melodia, e col senso e gusto della
medesima, che nè i turchi nè gli altri barbari, udendo la nostra musica, non
provano punto mai. La qual cosa appunto, salva però la proporzione, accade ai
non intendenti di musica e al popolo fra noi, quando egli odono, come tutto dì
avviene, di quelle melodie che nulla o troppo poco hanno del popolare. Niun
diletto ne provano, se non quello, per così dire, estrinseco, che di sopra ho
descritto, e che nasce dalle qualità della musica, diverse e indipendenti
dall'armonia {de' tuoni} nella successione. Di queste
non popolari melodie, che sono la più gran parte della nostra musica, parlerò
poco sotto. E per conchiudere il discorso de' barbari e delle nazioni che hanno
circa la musica idee e gusti e sentimenti affatto diversi da' nostri, dico che
in essi, siccome
3213 fra noi, le assuefazioni
determinano quali sieno le successive collegazioni de' tuoni che sieno tenute
per melodie, e le assuefazioni cagionano, siccome fra noi, il {senso e il} piacere d'esse melodie, quando elle sono
udite. E questo, se in essi popoli, non v'ha teoria musicale, accade a tutta la
nazione. Se alcun d'essi popoli ha teoria musicale, come l'hanno i Chinesi,
diversa però dalla nostra, gl'intendenti fra loro hanno altra cagione che
determina il loro giudizio e produce in loro il diletto circa le melodie; e
questa cagione si è, come nei nostri intendenti, la conformità {di quelle cotali} successioni de' tuoni co' principii e
i canoni della loro teoria o arte o scienza musicale, i quali principii {e canoni} essendo diversi da' nostri, diverso eziandio
dev'essere il giudizio di quegl'intendenti circa le varie, o nazionali o
forestiere, melodie, da quello de' nostri, e diverso similmente il piacere. E
così è infatti nella China, dove {e} il popolo (che dappertutto, dovunque esiste una musica, avrebbe
giudicato nello stesso modo) e gl'intendenti (il che non potrebbe avvenire nelle
nazioni barbare che non hanno teoria musicale
3214
sufficientemente distinta per principii e regole, e ordinata e compiuta, come
l'hanno i Chinesi), giudicarono {espressamente} più
bella la loro musica che l'Europea, la quale i nostri, favoriti in ciò
espressamente da un loro imperatore, volevano introdurvi, insieme colle nostre
teorie. E ciò furono, se ben mi ricorda, i Gesuiti.
[3229,1] Tornando al nostro primo proposito, il qual fu di
mostrare che l'armonia o convenienza scambievole de' tuoni nelle loro
combinazioni successive, è determinata, siccome ogni altra convenienza,
dall'assuefazione; si vuol notare che quest'assuefazione in fatto di melodie
(come anche di armonie) non è sempre αὐτόματος del popolo,
3230 ma bene spesso in lui prodotta e originata dalla stessa arte
musica. Perocchè a forza di udir musiche e cantilene composte per arte, (il che
a tutti più o meno accade) anche i non intendenti, anzi affatto ignari della
scienza musicale, assuefanno l'orecchio a quelle successioni di tuoni che
naturalmente essi non avrebbero nè conosciute nè giudicate per armoniose (o
ch'elle sieno inventate di pianta dagli uomini dell'arte, o da loro fabbricate
sulle melodie popolari, e di là originate); in virtù della quale assuefazione
essi giungono appoco appoco {+e senza
avvedersi del loro progresso,} a trovare armoniose tali successioni, a
sentirvi una melodia, e quindi a provarvi un diletto sempre maggiore, e a
formarsi circa le melodie una più capace, più varia, più estesa facoltà di
giudicare, la qual facoltà, che in altri arriva a maggiore in altri a minor
grado, è poi per essi cagione del diletto che provano nell'udir musiche;
giudizio e diletto determinato, dettato, e cagionato, non già dalla natura
primitiva {e universale,} ma dall'assuefazione
accidentale e varia secondo i tempi, i luoghi e le nazioni.
3231 Io di me posso accertare che nel mio primo udir musiche (il che
molto tardi incominciai) io trovava affatto sconvenienti, incongrue, dissonanti
e discordevoli parecchie delle più usitate combinazioni successive di tuoni, che
ora mi paiono armoniche, e nell'udirle formo il giudizio e percepisco il
sentimento della melodia. {#1. Nè più nè
meno accade nella pittura, scultura, architettura. Senz'alcuna cognizione
della teoria, nè della pratica immediata dell'arte, a forza di veder
dipinti, statue, edifizi, moltissimi si formano un giudizio, e una facoltà
di gustare e di provar piacere in tal vista, e nella considerazione di tali
oggetti, la qual facoltà non aveano per l'innanzi, e si acquista appoco
appoco per mezzo dell'assuefazione, la quale determina in questi tali (e
sono i più che parlino di belle arti) l'idea delle convenienze pittoriche
ec. del bello ec. {+e quindi anche
del brutto ec.,} col divario che il soggetto della pittura e
scultura si è l'imitazione degli oggetti visibili, della quale ognun vede la
verità o la falsità, onde le idee del bello e del brutto pittorico e
scultorio, in quanto queste arti sono imitative, è già determinata in
ciascheduno prima dell'assuefazione. Non così nell'architettura e nella
musica, meno imitative, e questa imitativa di cose non visibili ec. Così
discorrasi in ordine alla poesia, ed al gusto e giudizio che l'uomo se ne forma e n'acquista, ec.}
[3952,1]
3952 Dal detto altrove pp. 109-11
pp. 1234-36
pp. 1701-706 circa le
idee concomitanti annesse alla significazione o anche al suono stesso e ad altre
qualità delle parole, le quali idee hanno tanta parte nell'effetto, massimamente
poetico ovvero oratorio ec., delle scritture, ne risulta che necessariamente
l'effetto d'una stessa poesia, orazione, verso, frase, espressione, parte
qualunque, maggiore o minore, di scrittura, è, massime quanto al poetico,
infinitamente vario, secondo gli uditori o lettori, e secondo le occasioni e
circostanze anche passeggere e mutabili in cui ciascuno di questi si trova.
Perocchè quelle idee concomitanti, indipendentemente ancora affatto dalla parola
o frase per se, sono differentissime per mille rispetti, secondo le dette
differenze appartenenti alle persone. Siccome anche gli effetti poetici {ec.} di mille altre cose, anzi forse di tutte le cose,
variano infinitamente secondo la varietà e delle persone e delle circostanze
loro, abituali o passeggere o qualunque. Per es. una medesima scena della natura
diversissime sorte d'impressioni può produrre e produce negli spettatori secondo
le dette differenze; come dire se quel luogo è natio, e quella scena collegata
colle reminiscenze dell'infanzia ec. ec. se lo spettatore si trova in istato di
tale o tal passione, ec. ec. E molte volte non produce impressione alcuna in un
tale, al tempo stesso che in un altro la fa grandissima. Così discorrasi delle
parole e dello stile che n'è composto e ne risulta, e sue qualità e differenze
ec. e questa similitudine è molto a proposito.
[3984,2] Bello non assoluto. Diversissime usanze, opinioni,
gusti ec. circa le chiome, sì sopra l'acconciamento loro, come sopra il portarle
o no, raderle, lasciare crescerle fino a terra, fino agli omeri, fino al collo,
tagliarli[tagliarle] all'intorno della testa
ec. ec. presso gli antichi e i moderni e le varie nazioni, selvagge, barbare,
civili ec. ec. ec. in vari tempi ec. anche egualmente colti e di buon gusto ec.
ec. (15. Dec. 1823.).
[3988,1]
3988 Bello non assoluto. I greci e i romani (erano
nazioni di buon gusto?) pregiavano, almeno nelle donne, la fronte bassa, e
l'alta stimavano difettosa, per modo che le donne se la coprivano ec. V. le note
del De Rogati alla sua traduzione di
Anacr.
od. 29.
sopra Batillo. Sul coprire o mostrar
la fronte il che {+e la quale} ha tanta parte nel differenziare
le fisonomie, nè gli antichi nè i moderni, nè la moda oggidì è mai
d'accordo con se stessa. Non è dubbio che quella nazione di cui parla Ippocrate (v. la p. 3960.[3961]),
avvezza a non vedere che teste lunghe, benchè tali essi ed esse a dispetto della
natura, pur contuttociò naturalmente avrebbe e avrà sentita una mostruosità e bruttezza notabilissima e,
secondo lei, incontrastabile ogni volta che avrà veduto teste, non dico piatte,
ma discrete ec. Così dite degli altri barbari di cui p. 3962. E così di cento mila altri usi contro
natura, selvaggi o civili, antichi {(greci, romani ec.)} o moderni ec. spettanti alla conformazione o
reale o apparente (come quella de' guardinfanti ec.) del corpo umano. p. 1078
(16. Dec. 1823.).
[4020,2] Della differenza naturale e artificiale del gusto e
del bello presso le varie nazioni e tempi, nelle arti, letterature, fattezze del
corpo ec. ec. vedi il primo capitolo del
Saggio sull'epica poesia del Voltaire ne' suoi opuscoli tradotti e
stampati in Venezia appresso il Milocco colla data di
Londra nel 1760 (volumi 3), volume 2.o
principio.
(21. Gen. 1824.).
[4188,8]
Propterea dicebat
Bion μὴ δυνατòν εἶναι τοῖς
πολλοῖς ἀρέσκειν, εἰ μὴ πλακoῦντα γενóμενον ἢ Θάσιον: non posse aliquem
vulgo omnibus placere, nisi placenta fieret aut vinum Τhasium.
*
Casaub.
ad Athenae. l. 3. c. 29.
(Bologna. 17. Luglio. 1826.).
Related Themes
Della natura degli uomini e delle cose. (pnr) (12)
Memorie della mia vita. (pnr) (3)
Romanticismo. (1827) (3)
Civiltà. Incivilimento. (1827) (2)
Educazione. Insegnamento. (1827) (2)
Lingue. (pnr) (2)
Semplicità. (1827) (2)
Naturalezza. (1827) (2)
Sapori. Diversi giudizi intorno ad essi. (1827) (2)
Opinioni (diversità delle). (1827) (2)
Piacere dell'eleganza. (1827) (1)
Francesi. (1827) (1)
Eleganza nelle scritture. (1827) (1)
. (1827) (1)
Epopea. (1827) (1)
Carattere, lingua ec. ec. (1827) (1)
Originalità. (1827) (1)
Qualità umane che si credono cattive. (1827) (1)
Motti, facezie varie, ec. ec. (1827) (1)
Macchiavellismo di società. (1827) (1)
Galateo morale. (1827) (1)
Manuale di filosofia pratica. (pnr) (1)
Vago. Piacere del vago o indefinito. (1827) (1)
Fanciulli. (1827) (1)
Arte dello stile in che consista. (1827) (1)
Rimembranze. (1827) (1)
Piacere (Teoria del). (1827) (1)
Illusioni. (1827) (1)
Gloria. Fama. (1827) (1)
Sua difficoltà. (1827) (1)
Piacere a tutti, impossibile, ec. (1827) (1)