Traduzioni.
Translations.
12,3 319,2 323,1 962,1 988,2 1001,2 1086,2 1683,1 1926,1 1946,1 1973,1 2014 2025,1 2083 2101,1 2134,1 2451,3 2845,1 3441,1 3475,1 3672,2 3954,1 3972,1 4191,4 4211,7 4213,7 4263,2[12,3] Un'osservazione importantissima intorno alle traduzioni,
e che non so se altri abbia fatta, e di cui non ho in mente alcuno che abbia
profittato, è questa. Molte volte noi troviamo nell'autore che traduciamo p. e.
greco, un composto una parola che ci pare ardita, e nel renderla ci studiamo di
trovargliene una che equivalga, e fatto questo siamo contenti. Ma spessissimo
quel tal composto o parola comechè sia, non solamente era ardita, ma l'autore la
formava allora a bella posta, e però nei lettori greci faceva quell'impressione
e risaltava nello scritto come fanno le parole nuove di zecca, e come in noi
italiani fanno quelle tante parole dell'Alfieri p. e. spiemontizzare ec. ec. Onde
tu che traduci, posto ancora che abbi trovato una parola corrispondentissima
proprissima equivalentissima, tuttavia non hai fatto niente se questa parola non
è nuova e non fa in noi quell'impressione che facea ne' greci. E qui è così
comune l'inavvertenza che nulla più. Perchè se traducendo trovi quella parola e
non l'intendi, tu cerchi ne' Dizionari, e per esser quella, parola di un
classico, tu ce la trovi colla spiegazione in parole ordinarie, e con parole
ordinarie la rendi e non guardi, prima se quell'autore che traduci è il solo che
l'abbia usata; secondo se è il primo; perchè potrebbe anche dopo lui esser
passata in uso e nondimeno non essere stato meno ardito nè nuovo nè esprimente
il suo primo usarla. Ecco un esempio. Luciano ne' Dial. de' morti; Ercole e Diogene; usa la parola ἄντανδρον. Cerca ne' Lessici:
spiegano: succedaneus ec. ma se tu volti: sostituto, o che so io, non arrivi per
niente all'efficacia burlesca e satirica di quella nuova parola di Luciano che vuol dire: contrappersona,
e colla sua novità ha una vaghezza e una forza particolare specialmente di
deridere. (N.B. io non so se questa voce di Luciano sia di lui solo: la trovo ne' Dizionari senza esempio, onde
potrebbe anche esser propria della lingua: e bisogna cercare migliori dizionari
che io per ora non ho; perchè cadrebbe a terra quest'esempio, per altro
sufficiente a dare ad intendere, vero o no che sia, la mia proposizione e
osservazione.) Quello che io ho detto delle parole va inteso anche dei modi
frasi, ec. ec. ec.
[319,2]
Dice Quintiliano l. 10. c. 1. Quid ego commemorem
Xenophontis iucunditatem
illam inaffectatam, sed quam nulla possit affectatio
consequi?
*
E certo ogni bellezza principale nelle arti e nello
scrivere deriva dalla natura e non dall'affettazione o ricerca. Ora il
traduttore necessariamente affetta, cioè si sforza di esprimere il carattere e
lo stile altrui, e ripetere il detto di un altro alla maniera e gusto del
medesimo. Quindi osservate quanto sia difficile una buona traduzione in genere
di bella letteratura,
320 opera che dev'esser composta
di proprietà che paiono discordanti e incompatibili e contraddittorie. E
similmente l'anima e lo spirito e l'ingegno del traduttore. Massime quando il
principale o uno de' principali pregi dell'originale consiste {appunto} nell'inaffettato, naturale e spontaneo, laddove
il traduttore per natura sua non può essere spontaneo. Ma d'altra parte
quest'affettazione che ho detto è così necessaria al traduttore, che quando i
pregi dello stile non sieno il forte dell'originale, la traduzione inaffettata
in quello che ho detto, si può chiamare un dimezzamento del testo, e quando essi
pregi formino il principale interesse dell'opera, (come in buona parte degli
antichi classici) la traduzione non è traduzione, ma come un'imitazione
sofistica, una compilazione, un capo morto, o se non altro un'opera nuova. I
francesi si sbrigano facilmente della detta difficoltà, perchè nelle traduzioni
non affettano mai. Così non hanno traduzione veruna (e lasciateli pur vantare il
Delille, e credere che possa mai
essere un Virgilio), ma quasi relazioni
del contenuto nelle opere straniere; ovvero opere originali composte de'
pensieri altrui.
[323,1]
323 E l'unicità della lingua francese, e la moltiplicità
dell'italiana apparisce più chiaro che mai dalla facoltà rispettiva nelle
traduzioni. La lingua tedesca ancora, passa per sommamente suscettibile di
prendere il carattere e la forma di qualunque lingua, scrittore, e stile, e
quindi per ricchissima in traduzioni vivamente simili agli originali. Non so
peraltro se questa facoltà consista {veramente} nello
spirito dello stile, o solamente nel materiale, come par che dubiti la Staël nell'articolo sulle
traduzioni.
[962,1]
Sono
perciò rare tra' francesi le buone traduzioni poetiche; eccetto
le Georgiche volgarizzate dall'abate De-Lille. I nostri traduttori
imitan bene; tramutano in francese ciò che altronde pigliano, cosicchè
nol sapresti discernere, ma non trovo opera di poesia che faccia
riconoscere la sua origine, e serbi le sue sembianze forestiere: credo
anzi che tale opera non possa mai farsi. E se degnamente ammiriamo
la georgica dell'abate De-Lille, n'è cagione quella maggior
somiglianza che la nostra lingua tiene colla romana onde nacque, di cui
mantiene la maestà e la pompa. Ma le moderne lingue sono tanto disformi
dalla francese, che se questa volesse conformarsi a quelle, ne
perderebbe ogni decoro.
*
Staël, B. Ital. Vol. 1. p.
12. Esaminiamo.
[988,2] 3. Resta memoria di parecchie traduzioni fatte dal
greco in latino anche ne' buoni tempi, e fino dagli ottimi scrittori latini,
come Cicerone. Ed anche restano di
queste traduzioni, o intere o in frammenti, come quelle di Arato
{fatte da Cicerone e
da Germanico,} quella del
Timeo di Cic., quelle
di Menandro fatte da Terenzio, quelle fatte da Apuleio o attribuite a lui, quelle
dell'Odissea fatta da Livio Andronico, dell'Iliade da Accio Labeone, da Cneo Mattio o Mazzio, da Ninnio
Crasso, (Fabric.
B. Gr. 1. 297.) ec. {tutte anteriori a Costantino.}
{+v. Andrès, Stor. della
letteratura, edizione di Venezia,
Vitto. t. 9. p. 328 - 329. cioè Parte 2. lib. 4. c. 3.
principio.} Non così nessuna traduzione, che sappia io, si
rammenta dal latino in greco, se non dopo Costantino, e quasi tutte di opere teologiche {o
ecclesiastiche} o sacre, cioè scientifiche e appartenenti a quella
scienza che allora prevaleva, non mai letterarie. {V. Andrès, t. 9. p. 330. fine.} La
traslazione di Eutropio fatta da Peanio che ci rimane, e l'altra
perduta di un Capitone Licio, non
pare che si possano riferire a letteratura, trattandosi di un compendio
ristrettissimo di storia, fatto a solo uso, {possiamo dire,
elementare.}
989 E si può dire con verità quanto alla letteratura,
che la comunicazione che v'ebbe fra la greca e la romana, non fu {mai} per nessunissimo conto reciproca, neppur dopo che
la letteratura Romana era già grandissima e nobilissima, anzi superiore assai
alla letteratura greca contemporanea.
[1001,2] Quello che ho detto pp. 970-73 della difficoltà naturale che
hanno e debbono avere i francesi a conoscere e molto più a gustare le altrui
lingue, cresce se si applica alle lingue antiche, e fra le moderne Europee e
colte, alla lingua nostra. Giacchè la lingua
1002
francese è per eccellenza, lingua moderna; vale a dire che occupa l'ultimo degli
estremi fra le lingue {nella cui indole ec.}
signoreggia l'immaginazione, e quelle dove la ragione. (Intendo la lingua
francese qual è ne' suoi classici, qual è oggi, qual è stata sempre da che ha
preso una forma stabile, e quale fu ridotta dall'Accademia). Si giudichi dunque
quanto ella sia propria a servire d'istrumento per conoscere e gustare le lingue
antiche, e molto più a tradurle: e si veda quanto male Mad. di Staël (v. p. 962.) la creda più atta ad esprimere la lingua romana che le
altre, perciocch'è nata da lei. Anzi tutto all'opposto, se c'è lingua
difficilissima a gustare ai francesi, e impossibile a rendere in francese, è la
latina, la quale occupa forse l'altra estremità o grado nella detta scala delle
lingue, ristringendoci alle lingue Europee. Giacchè la lingua latina è quella
fra le dette lingue (almeno fra le {ben} note, {e colte,} per non parlare adesso della Celtica poco nota
ec.) dove meno signoreggia la ragione. Generalmente poi le lingue antiche sono
tutte suddite della immaginazione, e però estremamente separate dalla lingua
francese. Ed è ben naturale che le lingue antiche fossero signoreggiate
dall'immaginazione più che qualunque moderna, e quindi siano senza contrasto, le
meno adattabili alla lingua francese, all'indole sua; ed alla conoscenza e molto
più al gusto de' francesi.
1003 Nella scala poi e
proporzione delle lingue moderne, la lingua italiana, {(alla
quale tien subito dietro la Spagnuola)} occupa senza contrasto
l'estremità della immaginazione, ed è la più simile alle antiche, ed al carattere antico. Parlo delle
lingue moderne colte, se non altro delle Europee: giacchè non voglio entrare
nelle Orientali, e nelle incolte regna sempre l'immaginazione più che in
qualunque colta, e la ragione vi ha meno parte che in qualunque lingua formata.
Proporzionatamente dunque dovremo dire della lingua francese rispetto
all'italiana, quello stesso che diciamo rispetto alle antiche. E il fatto lo
conferma, giacchè nessuna lingua {moderna colta,} è
tanto o ignorata, o malissimo e assurdamente gustata dai francesi, quanto
l'italiana: di nessuna essi conoscono meno lo spirito e il genio, che
dell'italiana; di nessuna discorrono con tanti spropositi non solo di teorica,
ma anche di fatto e di pratica; non ostante che la lingua italiana sia sorella
della loro, e similissima ad essa nella più gran parte delle sue radici, e nel
materiale delle lettere componenti il radicale delle parole (siano radici, o
derivati, o composti); e non ostante che p. e. la lingua inglese e la tedesca,
nelle quali essi riescono molto meglio, (anche nel tradurre ec. mentre una
traduzione francese dall'italiano dal latino o dal greco non è riconoscibile)
appartengano a tutt'altra famiglia di lingue. (1 Maggio 1821).
{{V. p. 1007. capoverso 1.}}
[1086,2]
Siccome la perfezione gramaticale di una lingua
dipende dalla ragione e dal genio
*
(la lingua francese è perfetta dalla parte
della ragione, ma non da quella del genio), così ella può servire di scala per misurare il
grado della ragione e del genio ne' vari
popoli.
*
(Con questa scala il genio francese sarà
trovato così scarso e in così basso grado, come in alto grado la ragione di
quel popolo.) Se per esempio non
avessimo altri monumenti che attestassero il genio felice de' Greci, la loro lingua pur
basterebbe.
*
(Lo stesso potremo dire degl'italiani avuto
riguardo alla proporzione de' tempi moderni, che
1087 non sono quelli del genio, coi tempi antichi.) Quando una lingua, generalmente
parlando,
*
{+(cioè non di una o più frasi, di
questa o quella finezza in particolare, ma di tutte in grosso)}
è insufficiente a rendere in una
traduzione le finezze di un'altra lingua, egli è una prova sicura
che il popolo per cui si traduce ha lo spirito men coltivato che
l'altro.
*
(Che diremo dunque dello spirito de'
francesi dalla parte del genio? La cui lingua è insufficiente a rendere le
finezze non di una sola, ma di tutte le altre lingue? Che la
Francia non abbia avuto mai, {+v. p. 1091.} nè sia disposta per
sua natura ad avere geni veri ed onnipotenti, e grandemente sovrastanti al resto
degli uomini, non è cosa dubbia per me, e lo viene a confessare implicitamente
il Raynal. Dico geni sviluppati,
perchè nascerne potrà certo anche in
Francia, ma svilupparsi non già, stante le
circostanze sociali di quella nazione.) Sulzer ec. l. cit. qui
dietro. p. 97.
(25. Maggio 1821.).
[1683,1] Perciò appunto che la lingua francese non ammette se
non il suo proprio (unico) stile, esso è ammissibile (non però senza guastarlo,
quando si faccia senza giudizio), o certo più universalmente facile ad essere
ammesso in tutte le lingue, che qualunque altro. Perch'ella è incapace di
traduzioni, ella è più facilmente di qualunque altra, traducibile in tutte le
lingue colte. Viceversa per le contrarie ragioni
1684
accade proporzionatamente alle altre lingue, e sopra tutte le moderne
all'italiana, perch'ella sovrasta a tutte nella moltiplicità degli stili, e
capacità di traduzioni. Le altre lingue contengono in certo modo lo stile
francese, come un genere, il qual genere nella lingua francese è tutto. Vero è
che in questo tal genere ella primeggia di gran lunga su tutte le antiche e
moderne. Sviluppate e dichiarate questo pensiero: ed osservate che infatti le
bellezze le più minute della lingua francese si ponno facilmente rendere; e
com'ella abbia corrotto facilmente quasi tutte le lingue
d'europa, ed insinuatavisi; laddove ella {(quale ora è ridotta)} non sarebbe stata certo
corrompibile {da niun'altra,} nemmeno in qualsivoglia
circostanza si possa immaginare. (12. Sett. 1821.).
[1926,1] La lingua italiana è certo più atta alle traduzioni
che non sarebbe stata la sua madre latina. Fra le lingue ch'io conosco non v'è
che la greca alla quale io non ardisca di anteporre la nostra in questo
particolare, nel quale però poca esperienza fecero i greci della lor lingua.
(16. Ott. 1821.).
[1946,1] Ho detto pp. 244-45
p.
321
pp. 685-86
p. 766
pp.
1313-15 che la lingua italiana è suscettibile di tutti gli stili, e ho
detto pp. 1513-15 che la conversazione francese non si può mantenere in
italiano. Questa non è contraddizione. L'indole della nostra lingua è capace di
leggerezza, spirito, brio, rapidità ec. come di gravità ec. è capace di
esprimere tutte le nuances della vita sociale, ec. ma non è capace, come nessuna
lingua lo fu, di
1947 un'indole forestiera. Così
riguardo alle traduzioni. Ell'è capace di tutti i più disparati stili, ma
conservando la sua indole, non già mutandola; altrimenti la nostra lingua
converrebbe che mancasse d'indole propria, il che non sarebbe pregio ma difetto
sommo. L'originalità della nostra lingua (ch'è marcatissima) non deve soffrire,
applicandola a qualsivoglia stile o materia. Questo {appunto} è ciò di cui ella è capace, e non di perderla ed alterare il
suo carattere per prenderne un altro forestiero, del che non fu e non è capace
nessuna lingua senza corrompersi. E il pregio della lingua italiana consiste in
ciò che la sua indole, senza perdersi, si può adattare a ogni sorta di stili. Il
qual pregio non ha il tedesco, che ha la stessa adattabilità e forse maggiore,
non però conservando il suo proprio carattere. Or questo è ciò che potrebbero
fare tutte le lingue le più restie, perchè rinunziando alla propria indole, e in
somma corrompendosi, facilmente possono adattarsi a questo o quello stile
forestiero.
1948
L'art de traduire est
poussé plus loin en allemand que dans aucun autre dialecte européen.
Voss a
transporté dans sa langue les poëtes grecs et latins avec une étonnante
exactitude; et W. Schlegel les
poëtes anglais, italiens et espagnols, avec une vérité de coloris dont
il n'y avoit point d'exemple avant lui. Lorsque l'allemand se prête à la
traduction de l'anglais, il ne perd pas son caractère naturel, puisque
ces langues sont toutes deux d'origine germanique; mais quelque mérite
qu'il y ait dans la traduction d'Homère par Voss, elle fait de l'Iliade et
de l'Odyssée, des poëmes dont le style est grec, bien que
les mots soient allemands. La connoissance de l'antiquité y gagne;
l'originalité propre à l'idiome de chaque nation y perd nécessairement.
Il semble que c'est une contradiction d'accuser la langue allemande tout
à la fois de trop de flexibilité et de trop de rudesse; mais ce qui
1949 se concilie dans les caractères peut aussi
se concilier dans les langues; et souvent dans la même personne les
inconveniens de la rudesse n'empêchent pas ceux de la
flexibilité.
*
Mme la Baronne de Staël -
Holstein, De l'Allemagne t. 1. 2.de
part. ch. 9. p. 248. 3.me édit. Paris 1815.
[1973,1] Io credo possibile il tradurre le opere moderne o
filosofiche o di qualunque argomento, in buon greco (massime le italiane o
spagnuole o simili), come son certo che non si potrebbero mai tradurre in buon
latino. Se le circostanze avessero portato che la lingua greca avesse nei nostri
paesi prevaluto alla latina, e che quella in luogo di questa avesse servito ai
dotti nel risorgimento degli studi, l'uso di una lingua morta, avrebbe forse
potuto durare più lungo tempo, o almeno esser più felice (nè solo negli studi,
ma in tutti gli altri usi in cui s'adoprò la lingua latina fino alla sufficiente
formazione delle moderne europee); i nostri eleganti scrittori latini del 500.
ec. avrebbero potuto esser quasi moderni, se avessero scritto in greco, laddove
scrivendo in latino si assicurarono di non poter esser lodati se non dagli
antichi, e di servire ai passati
1974 in luogo de'
posteri, e di potersi piuttosto ricordare che sperare; e se la lingua che oggi
si studia tuttavia da' fanciulli, e quella che molti, massime in
italia, si ostinano a voler ancora adoperare in
questa o quella occasione, fosse piuttosto la greca che la latina, essa
servirebbe molto più alla vita moderna, faciliterebbe molto più il pensiero, e l'immaginazione ec. e sarebbe
alquanto più possibile il farne un qualche uso pratico ec. (23. Ott.
1821.). {{V. p.
2007.}}
[2012,2] Non bisogna confondere la purità {della lingua} la quale è di debito in tutte le scritture di qualunque
nazione, coll'eleganza, la quale non è di debito se non in alcune
2013 scritture, ed in altre non solo non necessaria ma
impossibile; nè perchè la lingua italiana è capacissima di eleganza, e perchè ne
sentiamo un grandissimo sapore nella più parte de' nostri buoni scrittori,
credere che gli scritti didascalici ec. se e dove non ci riescono eleganti, non
sieno italiani. Torno a dire che la precisione moderna ch'è estrema, e che in tali scritti e generi è
di prima necessità, e che oggi si ricerca sopra tutte le qualità ec. è
assolutamente di sua natura incompatibile colla eleganza: ed infatti il nostro
secolo che è quello della precisione, non è certo quello della eleganza in
nessun genere. Bensì ell'è compatibilissima colla purità, come si può vedere in
Galileo, che dovunque è preciso e
matematico quivi non è mai elegante, ma sempre purissimo italiano. Perocchè la
nostra lingua, come qualunque altra è incapace di uno stile
2014 che abbia due qualità ripugnanti e contrarie essenzialmente, ma è
capacissima dello stile preciso, non meno che dell'elegante, a somiglianza della
greca, e al contrario della francese, ch'essendo capacissima di precisione è
incapace di eleganza (quella che noi, i latini i greci intendevano per
eleganza), e della latina, capacissima di eleganza e incapace di precisione, e
però corrotta appena fu applicata alle sottigliezze teologiche, scolastiche ec.
(fra le quali fu allevata per lo contrario la nostra, e crebbe la greca) ed
anche a quelle della filosofia greca, dopo Cicerone; e quindi affatto inadattabile alle cose moderne, ed alle
traduzioni di cose moderne. (30. Ott. 1821.)
[2025,1] Gli antichi poeti e proporzionatamente gli scrittori
in prosa, non parlavano mai delle cose umane e della natura, se non per
esaltarle, ingrandirle, quando anche parlassero delle miserie {+e di argomenti, e in istile
malinconico.} ec. Così che la grandezza costituiva il loro modo di
veder le cose, e lo spirito della loro poesia. Tutto al contrario accade ne'
poeti, e negli
2026 scrittori moderni, i quali non
parlano nè possono parlare delle cose umane e del mondo, che per deprimerne,
impiccolirne, avvilirne l'idea. Quindi è che i linguaggi antichi sempre
innalzano e ingrandiscono, massime quelli de' poeti, i moderni sempre
impiccoliscono e abbassano {e annullano} anche quando
sono poetici. {+Anzi appunto in ciò
consiste lo spirito poetico d'oggidì (che ha sempre, e massime oggi, grandi
rapporti col filosofico di ciascun tempo). Gli antichi si distinguevano dal
volgo coll'inalzare le cose al di sopra dell'opinione comune; i moderni
poeti col deprimerle al di sotto di essa. In ciò pure v'è grandezza, ma del
contrario genere.} Onde avviene che gli scritti moderni tradotti p. e.
in latino, o le cose moderne trattate in latino, suonano tutt'altro da quello
che intendono, e ne segue un effetto discordante tra la grandezza e l'altezza
del linguaggio, e la strettezza e bassezza delle idee, ancorchè fra noi
poeticissime. (Come accaderebbe trasportando le nostre letterature in
Oriente). E viceversa traducendo gli antichi
negl'idiomi moderni, o trattando in questi le cose antiche.
[2080,1] A queste considerazioni appartiene ciò che l'autrice
ha detto immediatamente prima. Les dialectes germaniques ont pour origine une langue
mère, dans laquelle ils puisent tous. Cette source commune renouvelle et
multiplie
2081 les expressions d'une façon
toujours conforme au génie des peuples. Les nations d'origine latine ne
s'enrichissent pour ainsi dire que par l'extérieur; elles doivent avoir
recours aux langues mortes, aux richesses pétrifiées pour étendre leur
empire. Il est donc naturel que les innovations en fait de mots leur
plaisent moins qu'aux nations qui font sortir les rejetons d'une tige
toujours vivante.
*
- La lingua madre delle teutoniche
moderne, non è più viva della latina. Ma la differenza è che la latina fu
formata e determinata, l'antica teutonica no. Quella visse ed è morta, questa
non è morta, perchè non è, si può dire, vissuta. La forma certa della lingua
latina influisce sempre più o meno sulle sue figlie. Quando queste nacquero,
benchè nuove, {e non formate} contenevano in se stesse
un non so che di vecchio {e di formato,} e questo
vecchio {e questo formato} era morto. {+Quindi sempre un non so che di gêne nelle
nostre lingue, se si paragonano all'infinita libertà e potenza della tedesca
e della greca.} La madre
2082 delle moderne
teutoniche non essendo mai stata formata, si può dire che appena sia madre; si
può dire che le sue figlie non sieno figlie, ma una continuazione di lei, una
formazione e determinazione di essa, che non avea mai ricevuto forma ec. Ella
dunque ancor vive; e le lingue moderne teutoniche derivano dall'antico senza
interruzione, senza una intermedia rinnovazione totale di forme, che pone quasi
un muro di separazione fra le lingue meridionali e le loro antiche sorgenti. La
lingua antica teutonica si presta dunque al moderno come si vuole; e la radice
delle sue figlie ancor vive, perch'ella non ebbe mai una tal forma che la
determinasse e circoscrivesse e attaccasse inseparabilmente al tempo suo, ad un
carattere di una tal età, all'indole antica ec. {+e la diversificasse dalla lingua di un altro tempo, per
derivata ch'ella fosse da lei, e simile a lei, e debitrice a lei ec.}
L'ebbe bensì la latina, ed ella è morta col carattere e le circostanze di quei
tempi a' quali fu attaccata, ne' quali ricevè piena forma, e determinazione.
2083 Non l'ebbe la greca, ed ella perciò si rassomiglia sommamente
alla tedesca, ma solo per queste circostanze e qualità esteriori, non già per le
qualità intrinseche, le quali sono tanto diverse, quanto il carattere
meridionale dal settentrionale. {+E
perciò sarebbe sciocco il credere che il carattere della lingua tedesca
somigliasse a quello della greca sostanzialmente. Bisognerebbe veder tutte
due queste lingue ben formate, e allora la discrepanza dell'indole, sarebbe
somma.} Bensì, stante la detta conformità esteriore, la lingua tedesca
è adattabile a tutte le qualità intrinseche e proprie della lingua greca; ma non
senza perdere la sua natura, il suo spirito e gusto nativo, la sua originalità.
Lo sarebbe nè più nè meno anche la greca rispetto alla tedesca.
[2101,1] In tale stato, se avessimo discorso come i tedeschi,
avremmo forse creduto che la lingua nostra fosse attissima alle traduzioni.
Tutto l'opposto si credè nel 500. e si crede di quel tempo anche ora, che si
vedono le traduzioni allora fatte, ottime talvolta come opere, ma come
traduzioni non mai. Terminata di perfezionare la nr̃a[nostra] lingua, e perdè quei difetti, e divenne più atta
alle traduzioni che mai fosse altra lingua perfetta. (15. Nov.
1821.).
[2134,1] La perfezion della traduzione consiste in questo,
che l'autore tradotto, non sia p. e. greco in italiano, greco o francese in
tedesco, ma tale in italiano o in tedesco, quale egli è in greco o in francese.
Questo è il difficile, questo è ciò che non in
2135
tutte le lingue è possibile. In francese è impossibile, tanto il tradurre in
modo che p. e. un autore italiano resti italiano in francese, quanto in modo che
egli sia tale in francese qual è in italiano. In tedesco è facile il tradurre in
modo che l'autore sia greco, latino italiano francese in tedesco, ma non in modo
ch'egli sia tale in tedesco qual è nella sua lingua. Egli non può esser mai tale
nella lingua della traduzione, s'egli resta greco, francese ec. Ed allora la
traduzione per esatta che sia, non è traduzione, perchè l'autore non è quello,
cioè non pare p. e. ai tedeschi quale nè più nè meno parve ai greci, o pare ai
francesi, e non produce di gran lunga nei lettori tedeschi quel medesimo effetto
che produce l'originale nei lettori francesi ec.
[2451,3] Quanto sia più naturale e semplice l'andamento della
lingua greca (tuttochè poeticissima), che non è quello della latina; e quindi
quanto men proprio suo, e quanto la
lingua greca dovesse esser meglio disposta all'universalità che non era la
lingua latina, si può vedere anche da questo.
2452
Sebben l'italiana e la spagnuola son figlie vere e immediate della latina, pure
è molto ma molto più facile di tradurre naturalmente e spontaneamente in
italiano o in ispagnuolo gli ottimi autori greci, che gli ottimi latini. E tanto
è più facile quanto i detti autori greci son più buoni, cioè più veramente e
puramente greci. Siccome per lo contrario, quanto ai latini, è tanto meno
difficile, quanto meno son buoni, cioè meno latini, come p. e. Boezio tradotto
con molta naturalezza dal Varchi, e le Vite de' SS. Padri (che non hanno
quasi più nulla del latino) tradotte egregiamente dal Cavalca, e gli Ammaestram. degli antichi
da F. Bartolomeo da S. Concordio ec. ec. Cicerone, Sallustio, Tito
Livio, difficilissimamente pigliano un sapore italiano, se non
lasciano affatto l'indole e l'andamento proprio. Al contrario di Erodoto, Senofonte, Demostene, Isocrate ec. Ora
essendo l'andamento delle lingue moderne generalmente assai più piano e meno
figurato ec. delle antiche, questo è un segno che la lingua greca, adattandosi
alle moderne molto più della latina, doveva esser molto più semplice e naturale
nella sua costruzione e forma. (30. Maggio 1822.).
[2845,1] Vantano che la lingua tedesca è di tale e tanta
capacità e potenza, che non solo può, sempre che vuole, imitare lo stile e la
maniera di parlare o di scrivere usata da qualsivoglia nazione, da qualsivoglia
autore, in qualsivoglia possibile genere di discorso o di scrittura; non solo
può imitare qualsivoglia lingua; ma può effettivamente trasformarsi in
qualsivoglia lingua. Mi spiego. I tedeschi hanno traduzioni dal greco, dal
latino, dall'italiano, dall'inglese, dal francese, {dallo
spagnuolo,} d'Omero, dell'Ariosto, di Shakespeare, di Lope, di Calderon ec. le
quali non solamente conservano (secondo che si dice) il carattere dell'autore e
del suo stile tutto intero, non solamente imitano, esprimono, rappresentano il
genio e l'indole della rispettiva lingua, ma rispondono verso per verso, parola
per parola, sillaba per sillaba, ai versi, alle costruzioni, all'ordine preciso
2846 delle parole, {al numero
delle medesime, al metro, {al numero e} al ritmo di
ciascun verso, membro di periodo,} all'armonia {imitativa,} alle cadenze, a tutte le possibili qualità estrinseche
come intrinseche, che si ritrovano nell'originale; di cui per conseguenza elle
non sono imitazioni, ma copie così compagne com'è la copia d'un quadro di tela
fatta in tavola, o d'una pittura a fresco fatta a olio, o la copia d'una pittura
fatta in mosaico, o tutt'al più in rame {inciso,} colle
medesimissime dimensioni del quadro.
[3441,1] Altrove ho rassomigliato il piacere che reca la
lettura di Anacreonte (ed è nel
principio di questi pensieri {#1. a pag. 30-1.}) a quello
d'un'aura odorifera ec. Aggiungo che siccome questa sensazione lascia gran
desiderio e scontentezza, e si vorrebbe richiamarla e non si può; così la
lettura di Anacreonte; la quale lascia
desiderosissimi, ma rinnovando la lettura, come per perfezionare il piacere
(ch'egli par veramente bisognoso d'esser perfezionato, {anche} più che ispirar desiderio d'esser continuato), niun piacere si
prova, anzi non si vede
3442 nè che cosa {l'}abbia prodotto da principio, nè che ragion ve ne
possa essere, nè in che cosa esso sia consistito; e più si cerca, più s'esamina,
più s'approfonda, men si trova e si scopre, anzi si perde di vista non pur la
causa, ma la qualità stessa del piacer provato, chè volendo rimembrarlo, la
memoria si confonde; e in somma pensando e cercando, sempre più si diviene
incapaci di provar piacere alcuno di quelle odi, e risentirne quell'effetto che
se n'è sentito; ed esse sempre più divengono quasi stoppa e s'inaridiscono e
istecchiscono fra le mani che le tastano e palpano per ispecularle. Di qui si
raccolga quanto sia possibile il tradurre in qualsiasi lingua Anacreonte (e così l'imitarlo appostatamente, e non a
caso nè per natura, senza cercarlo), quando il traduttore non potrebbe neanche
rileggerlo per ben conoscer la {qualità dell'}effetto
ch'egli avesse a produrre colla sua traduzione; e più che lo rileggesse e
considerasse, meno intenderebbe detta qualità, e più la perderebbe di vista;
perocchè lo studio di Anacreonte è non
pure inutile per imitarlo o per meglio
3443 gustarlo o
per ben comprendere e per definire la proprietà dell'effetto e de' sentimenti
ch'esso produce, ma è piuttosto dannoso che utile; nè la detta proprietà si può
definire altrimenti che chiamandola indefinibile, ed esprimendola nel modo ch'ho
fatto io con quella similitudine ec. Nè certo alla prima lettura si può essere
il traduttore, o l'imitatore, o verun altro, ben avveduto e chiarito e informato
del proprio ed intero carattere di Anacreonte; dico chiarito, e compresolo in modo ch'ei possa
esattamente e data opera esprimerlo, nè
pur significarlo distintamente a se stesso, nè concepirne e formarne idea chiara
e precisa; chè queste qualità {della idea} sono
contraddittorie e incompatibili colla natura di detto effetto e carattere.
(16. Sett. 1823.).
[3475,1] È cosa osservata che le antiche opere classiche, non
solo perdono moltissimo, tradotte che sieno, ma non vaglion nulla, non paiono
avere sostanza alcuna, non vi si trova pregio che l'abbia potute fare pur
mediocremente stimabili, restano come stoppa e cenere. Il che non solo non
accade alle opere classiche moderne, ma molte di esse nulla perdono per la
traduzione, e in qualunque lingua si voglia, sono sempre le medesime, e tanto
vagliono quanto nella originale. I pensieri di Cicerone non sono certo così comuni, come quelli de' sopraddetti ec.,
nè furono de' più
3476 comuni al suo tempo, massime
tra' romani. Nondimanco io peno a credere ch'altri possa tollerar di leggere
sino al fine (o far ciò senza noia) qualunque è più concettosa opera di Cicerone, tradotta in qual si sia lingua.
Che vuol dir ciò, {+che vuol dir questa
differenza di condizione tra l'antiche e le moderne opere, tradotte ch'elle
sieno,} se non che negli antichi, anche sommi, scrittori, o tutto o il
più son parole e stile, tolte o cangiate le quali cose, non resta quasi nulla, e
le loro sentenze scompagnate dal loro modo di significarle paiono le più
ordinarie, le più trite, le più popolari cose del mondo. Veramente i pensieri
degli antichi, più o meno, son persone del volgo: detratta la veste, se le loro
forme non appaiono rozze, certo paiono ordinarie, e di quelle che per tutto
occorrono, senza nulla di peregrino, nulla che inviti l'occhio a contemplarle,
anzi neppure a guardarle, nulla insomma nè di singolare nè di pregevole. Nelle
opere moderne all'opposto tutto è pensieri e persona; stile nulla; vesti così
dozzinali che più non potrebbero essere. {+E perciò appunto è necessario che le opere classiche
antiche tradotte perdano tutto o quasi tutto il loro pregio cioè quello
dello stile, perchè i moderni non hanno di gran lunga l'arte dello stile che
gli antichi ebbero nè possono nelle loro tradizioni conservare ad esse opere
il detto pregio ec. Ma non conservando lor questo, niuno altro gliene posson
lasciare che vaglia la pena della lettura, e che distingua gran fatto esse
opere dalle più volgari e mediocri, massime le morali, filosofiche
ec.} So che la volgarità de' pensieri negli antichi, da molti è
considerata come relativa a noi, che sappiam tanto di più; ma
3477 io dico che si fa torto all'antichità, allo spirito e alla
ragione umana universale, se non si crede che questa volgarità, almen quanto a
grandissima parte d'essi pensieri, non sia assoluta, o non fosse volgarità anche
al tempo degli scrittori che gli esposero. (19. Sett. 1823.).
[3672,2] La impotenza e strettezza della lingua francese e la
sua inferiorità per rispetto all'altre di qui facilmente si può comprendere, che
l'altre lingue possono, sempre che vogliono,
3673
agevolmente vestire la forma {e lo stile} della
francese (com'effettivamente hanno fatto o fanno tutte le lingue colte
d'europa, o per un certo tempo massimamente, come
l'inglese e la tedesca, o anche oggidì, come l'italiana, la spagnuola, la russa,
la svedese, la olandese ec.; e bene avrebbero potuto farlo e potrebbero farlo
sufficientemente anche senza corrompersi e senza violentare dirittamente la loro
propria e caratteristica indole); laddove la francese non può per niun modo
prendere la forma {nè lo stile} dell'altre lingue, nè
altra forma alcuna che la sua propria. E non pur dell'altre lingue che da lei
sono aliene, per così dire, di famiglia e di sangue, come l'inglese, la tedesca,
la russa ec. le quali pur possono vestire ed hanno vestito o vestono la forma
della francese; ma neanche delle cognate, nè delle sorelle, come dell'italiana
{e} della spagnuola; nè della lingua stessa sua
madre, come della latina. (12. Ott. Domenica. 1823.).
[3954,1] Si applichino eziandio le dette osservazioni alla
difficoltà o impossibilità di ben tradurre, a ciò che perde un libro nelle
traduzioni le meglio fatte, all'assoluta impossibilità, e contradizione ne'
termini, dell'esistenza di una traduzione
perfetta, massime in riguardo ai libri il cui principal pregio, o tutto
il pregio o buona parte spetti allo stile, all'estrinseco, alle parole ec. o col
cui effetto queste sieno particolarmente ed essenzialmente legate ec., come
debbono esser necessariamente più o meno tutti i libri di vera poesia in verso o
in prosa ec. ec. (7. Dec. 1823.). - Si estendano ancora le dette
osservazioni alla diversità delle idee concomitanti di una stessa parola ec. e
quindi dell'effetto di una stessa scrittura ec. secondo i tempi, e le nazioni, i
forestieri o nazionali, posteri più o meno remoti, o contemporanei ec. E quindi
alla poca durevolezza ed estensione possibile della
fama e stima di una scrittura per {ottima} ch'ella sia,
almeno dello stesso grado e qualità di fama e stima, e del giudizio di essa ec.,
massime essendo impossibili le traduzioni perfette, o dall'antico nel moderno, o
d'uno in altro moderno ec., come di sopra. E le differenze occasionate ne'
lettori da quelle de' tempi, costumi, climi, luoghi ec. ec. ec. (7. Dec.
1823.).
[3972,1]
3972 Risulta da quello che in più luoghi si è detto
pp. 838. sgg.
pp.
1683-84
pp. 1946-51
pp. 1953-57
pp. 3253-62 circa la
natura di una lingua atta (massime ne' nostri tempi) veramente alla
universalità, che ella non solo non può esser più delle altre lingue capace di
traduzioni, di assumer l'abito dell'altre lingue, o tutte o in maggior numero o
meglio che ciascun'altra, di piegarvisi più d'ogni altra, di rappresentare in
qualunque modo le altre lingue; ma anzi ella dev'essere per sua natura l'estremo
contrario, cioè sommamente unica d'indole, di modo ec. e sommamente incapace
d'ogni altra che di se stessa, ed in se stessa minimamente varia, e da se
medesima in ogni caso il men che si possa diversa. E una lingua che tenga
l'estremo contrario è di sua natura, massime a' tempi nostri, estremamente
incapace dell'universalità. Non bisogna dunque figurarsi che una lingua
universale nè debba nè possa portare questa utilità di supplire alla cognizione
di tutte le altre lingue, di esser come lo specchio di tutte l'altre, di
raccoglierle, per così dir, tutte in se stessa, col poterne assumer l'indole
ec.; ma solo di servire in vece di
tutte le altre lingue, e di esser loro sostituita. Anzi ella non può veramente altro ch'esser sostituita
all'uso dell'altre e di ciascuna altra, e non supplire ad esse ec. Ben grande
sarebbe quella utilità, ma essa è contraria direttamente alla natura di una
lingua universale. Tale si è infatti la francese. Nè i francesi dunque nè gli
stranieri si lusinghino di avere in quella lingua tutto ciò che potrebbero avere
nell'altre, ma una lingua diversissima per sua natura dall'altre, il cui uso a
quello di tutte l'altre possono facilmente sostituire. Nè stimino che volendo
conoscer
3973 l'altre lingue, autori ec. il posseder la
francese, li dispensi più che alcun'altra lingua dallo studio di tutte l'altre,
anzi per questo effetto la francese non serve a nulla, ed i francesi per parlare
come nativa una lingua sommamente disposta alla universalità, si debbono
contentare di avere una lingua incapacissima di traduzioni, inettissima a servir
loro di specchio e di esempio, e fin anche di mezzo, per conoscere qualunque
altra lingua, autore ec. Il fatto della lingua francese dimostra queste
asserzioni. {+1. Sebbene i francesi
coll'estrema trascuranza che hanno dell'altre lingue mostrano essere
persuasi del contrario.} La natura della greca era appunto l'opposto.
Ella infatti perciò, anche nel tempo antico, non potè essere universale che
debolissimamente e incomparabilmente alla possibile universalità di una lingua,
ed anche all'effettiva presente universalità della francese, malgrado le molte
qualità, e massimamente le infinite circostanze estrinseche (potenza, commercio,
letteratura e civiltà unica della nazione che la parlava) che favorirono, (e per
lunghissimo tempo), e quasi necessitarono la sua universalità, molto più che le
circostanze estrinseche della francese ec. (11. Dec. 1823.).
[4191,4] Altro è che una lingua sia pieghevole, adattabile,
duttile; altro ch'ella sia molle come una pasta. Quello è un pregio, questo non
può essere senza informità, voglio dire, senza che la lingua manchi di una forma
e di un carattere determinato, di compimento, di perfezione. Questa informe
mollezza pare che si debba necessariamente attribuire alla presente lingua
tedesca, se è vero, come per modo di elogio predicano gli alemanni, che ella
possa nelle traduzioni prendere tutte le possibili forme delle lingue e degli
autori i più disparati tra se, senza ricevere alcuna violenza. Ciò vuol dire
ch'ella è una pasta informe e senza consistenza alcuna; per conseguente, priva
di tutte le bellezze e di tutti i pregi che risultano dalla determinata
proprietà, e dall'indole e forma compiuta, naturale, nativa, caratteristica di
una lingua. La pieghevolezza, la duttilità, la elasticità (per così dire), non
escludono nè la forma determinata e compiuta nè la consistenza; ma certo non
ammettono i vantati miracoli delle traduzioni tedesche. La lingua italiana
possiede questa pieghevolezza in sommo grado fra le moderne colte. La greca non
possedeva quella vantata facoltà della tedesca.
(Bologna 26. Agosto. 1826.).
[4211,7] L'autor greco della Vita di S. Gregorio Papa, detto il Magno, avendo parlato delle
opere di questo Santo, e particolarmente de' suoi Dialoghi,
4212 soggiunge (appresso Fozio. cod. 252. col.
1400. ed. grec. lat. Credo però che questa Vita si trovi stampata intera, e
sarà in fronte alle opp. di S.
Gregorio): ᾽Aλλὰ γὰρ πέντε καὶ ἑξήκοντα καὶ
ἑκατòν ἔτη oἱ τὴν ῥωμαίαν ϕωνὴν ἀϕιέντες τῆς ἐκ τῶν πõνων αὐτοῦ ὠϕελείας
μόνοι ἀπήλαυον. Zαχαρίας δέ, ὃς τoῦ ἀποστολικoῦ ἀνδρὸς ἐκείνου χρόνοις
ὕστερον τoῖς εἰρημένοις κατέστη διάδοχoς, τὴν ἐν τῇ ῥωμαϊκῇ μóνῃ
συγκλειομένην γνῶσιν καὶ ὠϕέλειαν εἰς τὴν ᾽Eλλάδα γλῶσσαν ἐξαπλώσας, κοινὸν τὸ κέρδος τῇ
oἰκουμένῃ πάσῃ ϕιλανϑρώπως ἐποιήσατο. οὐ τοὺς διαλóγους δὲ
καλουμένους μóνους, ἀλλὰ καὶ ἄλλους αὐτοῦ ἀξιολóγοuς πóνους ἐξελληνίσαι
ἔργον ἔϑετο.
*
Ma per ispazio di 165 anni, solamente quelli che
parlano latino godettero della utilità delle sue opere. Poi Zacaria, che in capo al detto
spazio di tempo successe a quell'apostolico uomo (nel papato),
trasportati in lingua greca i colui scritti, fece cortesemente comune a
tutta la terra la notizia e la utilità di quelli, ristretta fino allora
ai soli Latini. E non solo i così detti dialoghi, ma prese anche a
voltare in greco altri scritti del medesimo degni di
considerazione.
*
- Testimonianza insigne della universalità della lingua
greca
{eziandio} ai tempi dello scrittore di questa
Vita, cioè, credo, nel sesto secolo, se costui fu
contemporaneo o poco posteriore al detto Zaccaria papa. (Bologna. 5. Ott.
1826.)
[4213,7]
Οἱ γὰρ πάλαι ῥήτορες
ἱκανὸν αὐτοῖς ἐνόμιζον εὑρεῖν τε τὰ ἐνθυμήματα, καὶ τῇ φράσει περιττῶς
ἀπαγγεῖλα
*
(phrasi eximia). ἐσπoύδαζον γὰρ
τὸ ὅλον περί τε τὴν λέξιν καὶ τòν ταύτης κόσμον· πρῶτον μὲν ὅπως εἴη
σημαντικὴ καὶ εὐπρεπής
*
(significativa et venusta), εἶτα καὶ ἐναρμόνιoς ἡ τoύτων σύνϑεσις
*
(compositio). ἐν τoύτῳ γὰρ αὐτoῖς καὶ τὴν πρòς τoὺς
ἰδιώτας διαϕορὰν ἐπὶ τὸ κρεῖττoν περιγίνεσϑαι
*
(ex hoc enim se
praestituros vulgo loquentium). {Cecilio rettorico siciliano,} parlando
di Antifonte,
uno dei 10. Oratori Greci, ap. Phot. cod. 259. col. 1452. ed. gręc. lat.
[4263,2]
Alla p. 4249.
fin. Il medesimo Chesterfield
nota più volte come pregi
distintivi e dei principali della letteratura nostra, e come di quelli che
principalmente la possono far degna della curiosità degli stranieri, l'aver
degli eccellenti storici, e delle eccellenti traduzioni dal latino e dal greco,
mostrando poi di aver l'occhio particolarmente a quelle della Collana. Va bene il primo capo. Il secondo non può
servire ad altro che a mostrar l'ignoranza grande dei forestieri circa le cose
nostre. Perchè se la nostra letteratura è povera in alcuno articolo, lo è
certamente in quel delle buone traduzioni dal latino e dal greco. Di quelle
specialmente della Collana non ve n'è {appena} una che si possa leggere, quanto alla lingua e
allo stile, e per se; e che non dica poi, almeno per la metà, il rovescio di
quel che volle dire e disse l'autor greco e latino. Tutte le letterature
(eccetto forse la tedesca da poco in qua) sono povere di traduzioni veramente
buone: ma l'italiana in questo, se non si distingue dall'altre come più povera,
non si distingue in modo alcuno. Solamente è vero che noi cominciammo ad aver
traduzioni dal latino e dal greco classico (non buone, ma traduzioni
semplicemente), molto
4264 prima di tutte le altre
nazioni. Il che è naturale perchè anche risorse prima in
Italia che altrove, la letteratura classica, e lo
studio del vero latino, e del greco. E n'avemmo anche in gran copia. E queste
furono forse le cagioni che produssero tra gli stranieri superficialmente acquainted with le cose nostre quella opinione, che
ebbe tra gli altri il Chesterfield.
{Scriveva il Chester. quelle cose circa il 1750: il Tradutt. ital. del Maff. furon pubblicati del 1720.}
Nondimeno in quel medesimo tempo, {anzi alquanto
innanzi,} avveniva al Maffei in Baviera, dov'ei si trovava, quel
ch'egli scrive nella prefazione de' suoi Traduttori
italiani ossia notizia de' Volgarizzamenti d'antichi scrittori
latini e greci, che sono in luce indirizzata a una
colta Signora, da lui frequentata colà. Vostro costume era d'antepor la
*
(lingua) francese alle altre, per
l'avvantaggio di goder per essa gli antichi autori latini e greci,
della lettura de' quali sommamente vi compiacete, avendogli
traslatati i francesi. Qui io avea bel dire, che questo piacere
potea conseguirsi ugualmente con l'italiana, e che già fin dal
felice secolo del 1500 la maggior parte de' più ricercati antichi
scrittori era stata in ottima volgar lingua presso di noi recata,
che suscitandomisi contra tutti gli astanti, e gl'italiani prima
degli altri, restava fermato, che solamente in francese queste
traduzioni si avessero.
*
Ed ecco dagli stranieri
{negato agl'italiani formalmente, e} trasferito
alla letteratura francese quel medesimo pregio (e {circa} il medesimo tempo) che altri stranieri come il Chesterfield attribuivano alla
italiana. Nella qual
prefazione il Maffei afferma
aver gl'Italiani tradotto
prima, più, e meglio delle altre nazioni.
*
Per
provar la qual proposizione, assunse di comporre, e compose quel suo catalogo
dei nostri volgarizzatori. E quanto a me concedo {e credo
vere} le due prime parti di essa proposizione, almen relativamente al
tempo in cui il Maffei la scriveva.
Concederò anche la terza, relativamente allo stesso tempo, purchè quel meglio delle altre, non escluda il male e il pessimamente
assoluto. (Recanati. 27. Marzo. 1827.).
{{V. p.
4304. fine.}}
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