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[12,3]  Un'osservazione importantissima intorno alle traduzioni, e che non so se altri abbia fatta, e di cui non ho in mente alcuno che abbia profittato, è questa. Molte volte noi troviamo nell'autore che traduciamo p. e. greco, un composto una parola che ci pare ardita, e nel renderla ci studiamo di trovargliene una che equivalga, e fatto questo siamo contenti. Ma spessissimo quel tal composto o parola comechè sia, non solamente era ardita, ma l'autore la formava allora a bella posta, e però nei lettori greci faceva quell'impressione e risaltava nello scritto come fanno le parole nuove di zecca, e come in noi italiani fanno quelle tante parole dell'Alfieri p. e. spiemontizzare ec. ec. Onde tu che traduci, posto ancora che abbi trovato una parola corrispondentissima proprissima equivalentissima, tuttavia non hai fatto niente se questa parola non è nuova e non fa in noi quell'impressione che facea ne' greci. E qui è così comune l'inavvertenza che nulla più. Perchè se traducendo trovi quella parola e non l'intendi, tu cerchi ne' Dizionari, e per esser quella, parola di un classico, tu ce la trovi colla spiegazione in parole ordinarie, e con parole ordinarie la rendi e non guardi, prima se quell'autore che traduci è il solo che l'abbia usata; secondo se è il primo; perchè potrebbe anche dopo lui esser passata in uso e nondimeno non essere stato meno ardito nè nuovo nè esprimente il suo primo usarla. Ecco un esempio. Luciano ne' Dial. de' morti; Ercole e Diogene; usa la parola ἄντανδρον. Cerca ne' Lessici: spiegano: succedaneus ec. ma se tu volti: sostituto, o che so io, non arrivi per niente all'efficacia burlesca e satirica di quella nuova parola di Luciano che vuol dire: contrappersona, e colla sua novità ha una vaghezza e una forza particolare specialmente di deridere. (N.B. io non so se questa voce di Luciano sia di lui solo: la trovo ne' Dizionari senza esempio, onde potrebbe anche esser propria della lingua: e bisogna cercare migliori dizionari che io per ora non ho; perchè cadrebbe a terra quest'esempio, per altro sufficiente a dare ad intendere, vero o no che sia, la mia proposizione e osservazione.) Quello che io ho detto delle parole va inteso anche dei modi frasi, ec. ec. ec.

[319,2]  Dice Quintiliano l. 10. c. 1. Quid ego commemorem Xenophontis iucunditatem illam inaffectatam, sed quam nulla possit affectatio consequi? * E certo ogni bellezza principale nelle arti e nello scrivere deriva dalla natura e non dall'affettazione o ricerca. Ora il traduttore necessariamente affetta, cioè si sforza di esprimere il carattere e lo stile altrui, e ripetere il detto di un altro alla maniera e gusto del medesimo. Quindi osservate quanto sia difficile una buona traduzione in genere di bella letteratura,  320 opera che dev'esser composta di proprietà che paiono discordanti e incompatibili e contraddittorie. E similmente l'anima e lo spirito e l'ingegno del traduttore. Massime quando il principale o uno de' principali pregi dell'originale consiste {appunto} nell'inaffettato, naturale e spontaneo, laddove il traduttore per natura sua non può essere spontaneo. Ma d'altra parte quest'affettazione che ho detto è così necessaria al traduttore, che quando i pregi dello stile non sieno il forte dell'originale, la traduzione inaffettata in quello che ho detto, si può chiamare un dimezzamento del testo, e quando essi pregi formino il principale interesse dell'opera, (come in buona parte degli antichi classici) la traduzione non è traduzione, ma come un'imitazione sofistica, una compilazione, un capo morto, o se non altro un'opera nuova. I francesi si sbrigano facilmente della detta difficoltà, perchè nelle traduzioni non affettano mai. Così non hanno traduzione veruna (e lasciateli pur vantare il Delille, e credere che possa mai essere un Virgilio), ma quasi relazioni del contenuto nelle opere straniere; ovvero opere originali composte de' pensieri altrui.

[323,1]   323 E l'unicità della lingua francese, e la moltiplicità dell'italiana apparisce più chiaro che mai dalla facoltà rispettiva nelle traduzioni. La lingua tedesca ancora, passa per sommamente suscettibile di prendere il carattere e la forma di qualunque lingua, scrittore, e stile, e quindi per ricchissima in traduzioni vivamente simili agli originali. Non so peraltro se questa facoltà consista {veramente} nello spirito dello stile, o solamente nel materiale, come par che dubiti la Staël nell'articolo sulle traduzioni.

[962,1]  Sono perciò rare tra' francesi le buone traduzioni poetiche; eccetto le Georgiche volgarizzate dall'abate De-Lille. I nostri traduttori imitan bene; tramutano in francese ciò che altronde pigliano, cosicchè nol sapresti discernere, ma non trovo opera di poesia che faccia riconoscere la sua origine, e serbi le sue sembianze forestiere: credo anzi che tale opera non possa mai farsi. E se degnamente ammiriamo la georgica dell'abate De-Lille, n'è cagione quella maggior somiglianza che la nostra lingua tiene colla romana onde nacque, di cui mantiene la maestà e la pompa. Ma le moderne lingue sono tanto disformi dalla francese, che se questa volesse conformarsi a quelle, ne perderebbe ogni decoro. * Staël, B. Ital. Vol. 1. p. 12. Esaminiamo.

[988,2]  3. Resta memoria di parecchie traduzioni fatte dal greco in latino anche ne' buoni tempi, e fino dagli ottimi scrittori latini, come Cicerone. Ed anche restano di queste traduzioni, o intere o in frammenti, come quelle di Arato {fatte da Cicerone e da Germanico,} quella del Timeo di Cic., quelle di Menandro fatte da Terenzio, quelle fatte da Apuleio o attribuite a lui, quelle dell'Odissea fatta da Livio Andronico, dell'Iliade da Accio Labeone, da Cneo Mattio o Mazzio, da Ninnio Crasso, (Fabric. B. Gr. 1. 297.) ec. {tutte anteriori a Costantino.} {+v. Andrès, Stor. della letteratura, edizione di Venezia, Vitto. t. 9. p. 328 - 329. cioè Parte 2. lib. 4. c. 3. principio.} Non così nessuna traduzione, che sappia io, si rammenta dal latino in greco, se non dopo Costantino, e quasi tutte di opere teologiche {o ecclesiastiche} o sacre, cioè scientifiche e appartenenti a quella scienza che allora prevaleva, non mai letterarie. {V. Andrès, t. 9. p. 330. fine.} La traslazione di Eutropio fatta da Peanio che ci rimane, e l'altra perduta di un Capitone Licio, non pare che si possano riferire a letteratura, trattandosi di un compendio ristrettissimo di storia, fatto a solo uso, {possiamo dire, elementare.}  989 E si può dire con verità quanto alla letteratura, che la comunicazione che v'ebbe fra la greca e la romana, non fu {mai} per nessunissimo conto reciproca, neppur dopo che la letteratura Romana era già grandissima e nobilissima, anzi superiore assai alla letteratura greca contemporanea.

[1001,2]  Quello che ho detto pp. 970-73 della difficoltà naturale che hanno e debbono avere i francesi a conoscere e molto più a gustare le altrui lingue, cresce se si applica alle lingue antiche, e fra le moderne Europee e colte, alla lingua nostra. Giacchè la lingua  1002 francese è per eccellenza, lingua moderna; vale a dire che occupa l'ultimo degli estremi fra le lingue {nella cui indole ec.} signoreggia l'immaginazione, e quelle dove la ragione. (Intendo la lingua francese qual è ne' suoi classici, qual è oggi, qual è stata sempre da che ha preso una forma stabile, e quale fu ridotta dall'Accademia). Si giudichi dunque quanto ella sia propria a servire d'istrumento per conoscere e gustare le lingue antiche, e molto più a tradurle: e si veda quanto male Mad. di Staël (v. p. 962.) la creda più atta ad esprimere la lingua romana che le altre, perciocch'è nata da lei. Anzi tutto all'opposto, se c'è lingua difficilissima a gustare ai francesi, e impossibile a rendere in francese, è la latina, la quale occupa forse l'altra estremità o grado nella detta scala delle lingue, ristringendoci alle lingue Europee. Giacchè la lingua latina è quella fra le dette lingue (almeno fra le {ben} note, {e colte,} per non parlare adesso della Celtica poco nota ec.) dove meno signoreggia la ragione. Generalmente poi le lingue antiche sono tutte suddite della immaginazione, e però estremamente separate dalla lingua francese. Ed è ben naturale che le lingue antiche fossero signoreggiate dall'immaginazione più che qualunque moderna, e quindi siano senza contrasto, le meno adattabili alla lingua francese, all'indole sua; ed alla conoscenza e molto più al gusto de' francesi.  1003 Nella scala poi e proporzione delle lingue moderne, la lingua italiana, {(alla quale tien subito dietro la Spagnuola)} occupa senza contrasto l'estremità della immaginazione, ed è la più simile alle antiche, ed al carattere antico. Parlo delle lingue moderne colte, se non altro delle Europee: giacchè non voglio entrare nelle Orientali, e nelle incolte regna sempre l'immaginazione più che in qualunque colta, e la ragione vi ha meno parte che in qualunque lingua formata. Proporzionatamente dunque dovremo dire della lingua francese rispetto all'italiana, quello stesso che diciamo rispetto alle antiche. E il fatto lo conferma, giacchè nessuna lingua {moderna colta,} è tanto o ignorata, o malissimo e assurdamente gustata dai francesi, quanto l'italiana: di nessuna essi conoscono meno lo spirito e il genio, che dell'italiana; di nessuna discorrono con tanti spropositi non solo di teorica, ma anche di fatto e di pratica; non ostante che la lingua italiana sia sorella della loro, e similissima ad essa nella più gran parte delle sue radici, e nel materiale delle lettere componenti il radicale delle parole (siano radici, o derivati, o composti); e non ostante che p. e. la lingua inglese e la tedesca, nelle quali essi riescono molto meglio, (anche nel tradurre ec. mentre una traduzione francese dall'italiano dal latino o dal greco non è riconoscibile) appartengano a tutt'altra famiglia di lingue. (1 Maggio 1821). {{V. p. 1007. capoverso 1.}}

[1086,2]  Siccome la perfezione gramaticale di una lingua dipende dalla ragione e dal genio * (la lingua francese è perfetta dalla parte della ragione, ma non da quella del genio), così ella può servire di scala per misurare il grado della ragione e del genio ne' vari popoli. * (Con questa scala il genio francese sarà trovato così scarso e in così basso grado, come in alto grado la ragione di quel popolo.) Se per esempio non avessimo altri monumenti che attestassero il genio felice de' Greci, la loro lingua pur basterebbe. * (Lo stesso potremo dire degl'italiani avuto riguardo alla proporzione de' tempi moderni, che  1087 non sono quelli del genio, coi tempi antichi.) Quando una lingua, generalmente parlando, * {+(cioè non di una o più frasi, di questa o quella finezza in particolare, ma di tutte in grosso)} è insufficiente a rendere in una traduzione le finezze di un'altra lingua, egli è una prova sicura che il popolo per cui si traduce ha lo spirito men coltivato che l'altro. * (Che diremo dunque dello spirito de' francesi dalla parte del genio? La cui lingua è insufficiente a rendere le finezze non di una sola, ma di tutte le altre lingue? Che la Francia non abbia avuto mai, {+v. p. 1091.} nè sia disposta per sua natura ad avere geni veri ed onnipotenti, e grandemente sovrastanti al resto degli uomini, non è cosa dubbia per me, e lo viene a confessare implicitamente il Raynal. Dico geni sviluppati, perchè nascerne potrà certo anche in Francia, ma svilupparsi non già, stante le circostanze sociali di quella nazione.) Sulzer ec. l. cit. qui dietro. p. 97. (25. Maggio 1821.).

[1683,1]  Perciò appunto che la lingua francese non ammette se non il suo proprio (unico) stile, esso è ammissibile (non però senza guastarlo, quando si faccia senza giudizio), o certo più universalmente facile ad essere ammesso in tutte le lingue, che qualunque altro. Perch'ella è incapace di traduzioni, ella è più facilmente di qualunque altra, traducibile in tutte le lingue colte. Viceversa per le contrarie ragioni  1684 accade proporzionatamente alle altre lingue, e sopra tutte le moderne all'italiana, perch'ella sovrasta a tutte nella moltiplicità degli stili, e capacità di traduzioni. Le altre lingue contengono in certo modo lo stile francese, come un genere, il qual genere nella lingua francese è tutto. Vero è che in questo tal genere ella primeggia di gran lunga su tutte le antiche e moderne. Sviluppate e dichiarate questo pensiero: ed osservate che infatti le bellezze le più minute della lingua francese si ponno facilmente rendere; e com'ella abbia corrotto facilmente quasi tutte le lingue d'europa, ed insinuatavisi; laddove ella {(quale ora è ridotta)} non sarebbe stata certo corrompibile {da niun'altra,} nemmeno in qualsivoglia circostanza si possa immaginare. (12. Sett. 1821.).

[1926,1]  La lingua italiana è certo più atta alle traduzioni che non sarebbe stata la sua madre latina. Fra le lingue ch'io conosco non v'è che la greca alla quale io non ardisca di anteporre la nostra in questo particolare, nel quale però poca esperienza fecero i greci della lor lingua. (16. Ott. 1821.).

[1946,1]  Ho detto pp. 244-45 p. 321 pp. 685-86 p. 766 pp. 1313-15 che la lingua italiana è suscettibile di tutti gli stili, e ho detto pp. 1513-15 che la conversazione francese non si può mantenere in italiano. Questa non è contraddizione. L'indole della nostra lingua è capace di leggerezza, spirito, brio, rapidità ec. come di gravità ec. è capace di esprimere tutte le nuances della vita sociale, ec. ma non è capace, come nessuna lingua lo fu, di  1947 un'indole forestiera. Così riguardo alle traduzioni. Ell'è capace di tutti i più disparati stili, ma conservando la sua indole, non già mutandola; altrimenti la nostra lingua converrebbe che mancasse d'indole propria, il che non sarebbe pregio ma difetto sommo. L'originalità della nostra lingua (ch'è marcatissima) non deve soffrire, applicandola a qualsivoglia stile o materia. Questo {appunto} è ciò di cui ella è capace, e non di perderla ed alterare il suo carattere per prenderne un altro forestiero, del che non fu e non è capace nessuna lingua senza corrompersi. E il pregio della lingua italiana consiste in ciò che la sua indole, senza perdersi, si può adattare a ogni sorta di stili. Il qual pregio non ha il tedesco, che ha la stessa adattabilità e forse maggiore, non però conservando il suo proprio carattere. Or questo è ciò che potrebbero fare tutte le lingue le più restie, perchè rinunziando alla propria indole, e in somma corrompendosi, facilmente possono adattarsi a questo o quello stile forestiero.  1948 L'art de traduire est poussé plus loin en allemand que dans aucun autre dialecte européen. Voss a transporté dans sa langue les poëtes grecs et latins avec une étonnante exactitude; et W. Schlegel les poëtes anglais, italiens et espagnols, avec une vérité de coloris dont il n'y avoit point d'exemple avant lui. Lorsque l'allemand se prête à la traduction de l'anglais, il ne perd pas son caractère naturel, puisque ces langues sont toutes deux d'origine germanique; mais quelque mérite qu'il y ait dans la traduction d'Homère par Voss, elle fait de l'Iliade et de l'Odyssée, des poëmes dont le style est grec, bien que les mots soient allemands. La connoissance de l'antiquité y gagne; l'originalité propre à l'idiome de chaque nation y perd nécessairement. Il semble que c'est une contradiction d'accuser la langue allemande tout à la fois de trop de flexibilité et de trop de rudesse; mais ce qui  1949 se concilie dans les caractères peut aussi se concilier dans les langues; et souvent dans la même personne les inconveniens de la rudesse n'empêchent pas ceux de la flexibilité. * Mme la Baronne de Staël - Holstein, De l'Allemagne t. 1. 2.de part. ch. 9. p. 248. 3.me édit. Paris 1815.

[1973,1]  Io credo possibile il tradurre le opere moderne o filosofiche o di qualunque argomento, in buon greco (massime le italiane o spagnuole o simili), come son certo che non si potrebbero mai tradurre in buon latino. Se le circostanze avessero portato che la lingua greca avesse nei nostri paesi prevaluto alla latina, e che quella in luogo di questa avesse servito ai dotti nel risorgimento degli studi, l'uso di una lingua morta, avrebbe forse potuto durare più lungo tempo, o almeno esser più felice (nè solo negli studi, ma in tutti gli altri usi in cui s'adoprò la lingua latina fino alla sufficiente formazione delle moderne europee); i nostri eleganti scrittori latini del 500. ec. avrebbero potuto esser quasi moderni, se avessero scritto in greco, laddove scrivendo in latino si assicurarono di non poter esser lodati se non dagli antichi, e di servire ai passati  1974 in luogo de' posteri, e di potersi piuttosto ricordare che sperare; e se la lingua che oggi si studia tuttavia da' fanciulli, e quella che molti, massime in italia, si ostinano a voler ancora adoperare in questa o quella occasione, fosse piuttosto la greca che la latina, essa servirebbe molto più alla vita moderna, faciliterebbe molto più il pensiero, e l'immaginazione ec. e sarebbe alquanto più possibile il farne un qualche uso pratico ec. (23. Ott. 1821.). {{V. p. 2007.}}

[2012,2]  Non bisogna confondere la purità {della lingua} la quale è di debito in tutte le scritture di qualunque nazione, coll'eleganza, la quale non è di debito se non in alcune  2013 scritture, ed in altre non solo non necessaria ma impossibile; nè perchè la lingua italiana è capacissima di eleganza, e perchè ne sentiamo un grandissimo sapore nella più parte de' nostri buoni scrittori, credere che gli scritti didascalici ec. se e dove non ci riescono eleganti, non sieno italiani. Torno a dire che la precisione moderna ch'è estrema, e che in tali scritti e generi è di prima necessità, e che oggi si ricerca sopra tutte le qualità ec. è assolutamente di sua natura incompatibile colla eleganza: ed infatti il nostro secolo che è quello della precisione, non è certo quello della eleganza in nessun genere. Bensì ell'è compatibilissima colla purità, come si può vedere in Galileo, che dovunque è preciso e matematico quivi non è mai elegante, ma sempre purissimo italiano. Perocchè la nostra lingua, come qualunque altra è incapace di uno stile  2014 che abbia due qualità ripugnanti e contrarie essenzialmente, ma è capacissima dello stile preciso, non meno che dell'elegante, a somiglianza della greca, e al contrario della francese, ch'essendo capacissima di precisione è incapace di eleganza (quella che noi, i latini i greci intendevano per eleganza), e della latina, capacissima di eleganza e incapace di precisione, e però corrotta appena fu applicata alle sottigliezze teologiche, scolastiche ec. (fra le quali fu allevata per lo contrario la nostra, e crebbe la greca) ed anche a quelle della filosofia greca, dopo Cicerone; e quindi affatto inadattabile alle cose moderne, ed alle traduzioni di cose moderne. (30. Ott. 1821.)

[2025,1]  Gli antichi poeti e proporzionatamente gli scrittori in prosa, non parlavano mai delle cose umane e della natura, se non per esaltarle, ingrandirle, quando anche parlassero delle miserie {+e di argomenti, e in istile malinconico.} ec. Così che la grandezza costituiva il loro modo di veder le cose, e lo spirito della loro poesia. Tutto al contrario accade ne' poeti, e negli  2026 scrittori moderni, i quali non parlano nè possono parlare delle cose umane e del mondo, che per deprimerne, impiccolirne, avvilirne l'idea. Quindi è che i linguaggi antichi sempre innalzano e ingrandiscono, massime quelli de' poeti, i moderni sempre impiccoliscono e abbassano {e annullano} anche quando sono poetici. {+Anzi appunto in ciò consiste lo spirito poetico d'oggidì (che ha sempre, e massime oggi, grandi rapporti col filosofico di ciascun tempo). Gli antichi si distinguevano dal volgo coll'inalzare le cose al di sopra dell'opinione comune; i moderni poeti col deprimerle al di sotto di essa. In ciò pure v'è grandezza, ma del contrario genere.} Onde avviene che gli scritti moderni tradotti p. e. in latino, o le cose moderne trattate in latino, suonano tutt'altro da quello che intendono, e ne segue un effetto discordante tra la grandezza e l'altezza del linguaggio, e la strettezza e bassezza delle idee, ancorchè fra noi poeticissime. (Come accaderebbe trasportando le nostre letterature in Oriente). E viceversa traducendo gli antichi negl'idiomi moderni, o trattando in questi le cose antiche.

[2080,1]  A queste considerazioni appartiene ciò che l'autrice ha detto immediatamente prima. Les dialectes germaniques ont pour origine une langue mère, dans laquelle ils puisent tous. Cette source commune renouvelle et multiplie  2081 les expressions d'une façon toujours conforme au génie des peuples. Les nations d'origine latine ne s'enrichissent pour ainsi dire que par l'extérieur; elles doivent avoir recours aux langues mortes, aux richesses pétrifiées pour étendre leur empire. Il est donc naturel que les innovations en fait de mots leur plaisent moins qu'aux nations qui font sortir les rejetons d'une tige toujours vivante. * - La lingua madre delle teutoniche moderne, non è più viva della latina. Ma la differenza è che la latina fu formata e determinata, l'antica teutonica no. Quella visse ed è morta, questa non è morta, perchè non è, si può dire, vissuta. La forma certa della lingua latina influisce sempre più o meno sulle sue figlie. Quando queste nacquero, benchè nuove, {e non formate} contenevano in se stesse un non so che di vecchio {e di formato,} e questo vecchio {e questo formato} era morto. {+Quindi sempre un non so che di gêne nelle nostre lingue, se si paragonano all'infinita libertà e potenza della tedesca e della greca.} La madre  2082 delle moderne teutoniche non essendo mai stata formata, si può dire che appena sia madre; si può dire che le sue figlie non sieno figlie, ma una continuazione di lei, una formazione e determinazione di essa, che non avea mai ricevuto forma ec. Ella dunque ancor vive; e le lingue moderne teutoniche derivano dall'antico senza interruzione, senza una intermedia rinnovazione totale di forme, che pone quasi un muro di separazione fra le lingue meridionali e le loro antiche sorgenti. La lingua antica teutonica si presta dunque al moderno come si vuole; e la radice delle sue figlie ancor vive, perch'ella non ebbe mai una tal forma che la determinasse e circoscrivesse e attaccasse inseparabilmente al tempo suo, ad un carattere di una tal età, all'indole antica ec. {+e la diversificasse dalla lingua di un altro tempo, per derivata ch'ella fosse da lei, e simile a lei, e debitrice a lei ec.} L'ebbe bensì la latina, ed ella è morta col carattere e le circostanze di quei tempi a' quali fu attaccata, ne' quali ricevè piena forma, e determinazione.  2083 Non l'ebbe la greca, ed ella perciò si rassomiglia sommamente alla tedesca, ma solo per queste circostanze e qualità esteriori, non già per le qualità intrinseche, le quali sono tanto diverse, quanto il carattere meridionale dal settentrionale. {+E perciò sarebbe sciocco il credere che il carattere della lingua tedesca somigliasse a quello della greca sostanzialmente. Bisognerebbe veder tutte due queste lingue ben formate, e allora la discrepanza dell'indole, sarebbe somma.} Bensì, stante la detta conformità esteriore, la lingua tedesca è adattabile a tutte le qualità intrinseche e proprie della lingua greca; ma non senza perdere la sua natura, il suo spirito e gusto nativo, la sua originalità. Lo sarebbe nè più nè meno anche la greca rispetto alla tedesca.

[2101,1]  In tale stato, se avessimo discorso come i tedeschi, avremmo forse creduto che la lingua nostra fosse attissima alle traduzioni. Tutto l'opposto si credè nel 500. e si crede di quel tempo anche ora, che si vedono le traduzioni allora fatte, ottime talvolta come opere, ma come traduzioni non mai. Terminata di perfezionare la nr̃a[nostra] lingua, e perdè quei difetti, e divenne più atta alle traduzioni che mai fosse altra lingua perfetta. (15. Nov. 1821.).

[2134,1]  La perfezion della traduzione consiste in questo, che l'autore tradotto, non sia p. e. greco in italiano, greco o francese in tedesco, ma tale in italiano o in tedesco, quale egli è in greco o in francese. Questo è il difficile, questo è ciò che non in  2135 tutte le lingue è possibile. In francese è impossibile, tanto il tradurre in modo che p. e. un autore italiano resti italiano in francese, quanto in modo che egli sia tale in francese qual è in italiano. In tedesco è facile il tradurre in modo che l'autore sia greco, latino italiano francese in tedesco, ma non in modo ch'egli sia tale in tedesco qual è nella sua lingua. Egli non può esser mai tale nella lingua della traduzione, s'egli resta greco, francese ec. Ed allora la traduzione per esatta che sia, non è traduzione, perchè l'autore non è quello, cioè non pare p. e. ai tedeschi quale nè più nè meno parve ai greci, o pare ai francesi, e non produce di gran lunga nei lettori tedeschi quel medesimo effetto che produce l'originale nei lettori francesi ec.

[2451,3]  Quanto sia più naturale e semplice l'andamento della lingua greca (tuttochè poeticissima), che non è quello della latina; e quindi quanto men proprio suo, e quanto la lingua greca dovesse esser meglio disposta all'universalità che non era la lingua latina, si può vedere anche da questo.  2452 Sebben l'italiana e la spagnuola son figlie vere e immediate della latina, pure è molto ma molto più facile di tradurre naturalmente e spontaneamente in italiano o in ispagnuolo gli ottimi autori greci, che gli ottimi latini. E tanto è più facile quanto i detti autori greci son più buoni, cioè più veramente e puramente greci. Siccome per lo contrario, quanto ai latini, è tanto meno difficile, quanto meno son buoni, cioè meno latini, come p. e. Boezio tradotto con molta naturalezza dal Varchi, e le Vite de' SS. Padri (che non hanno quasi più nulla del latino) tradotte egregiamente dal Cavalca, e gli Ammaestram. degli antichi da F. Bartolomeo da S. Concordio ec. ec. Cicerone, Sallustio, Tito Livio, difficilissimamente pigliano un sapore italiano, se non lasciano affatto l'indole e l'andamento proprio. Al contrario di Erodoto, Senofonte, Demostene, Isocrate ec. Ora essendo l'andamento delle lingue moderne generalmente assai più piano e meno figurato ec. delle antiche, questo è un segno che la lingua greca, adattandosi alle moderne molto più della latina, doveva esser molto più semplice e naturale nella sua costruzione e forma. (30. Maggio 1822.).

[2845,1]  Vantano che la lingua tedesca è di tale e tanta capacità e potenza, che non solo può, sempre che vuole, imitare lo stile e la maniera di parlare o di scrivere usata da qualsivoglia nazione, da qualsivoglia autore, in qualsivoglia possibile genere di discorso o di scrittura; non solo può imitare qualsivoglia lingua; ma può effettivamente trasformarsi in qualsivoglia lingua. Mi spiego. I tedeschi hanno traduzioni dal greco, dal latino, dall'italiano, dall'inglese, dal francese, {dallo spagnuolo,} d'Omero, dell'Ariosto, di Shakespeare, di Lope, di Calderon ec. le quali non solamente conservano (secondo che si dice) il carattere dell'autore e del suo stile tutto intero, non solamente imitano, esprimono, rappresentano il genio e l'indole della rispettiva lingua, ma rispondono verso per verso, parola per parola, sillaba per sillaba, ai versi, alle costruzioni, all'ordine preciso  2846 delle parole, {al numero delle medesime, al metro, {al numero e} al ritmo di ciascun verso, membro di periodo,} all'armonia {imitativa,} alle cadenze, a tutte le possibili qualità estrinseche come intrinseche, che si ritrovano nell'originale; di cui per conseguenza elle non sono imitazioni, ma copie così compagne com'è la copia d'un quadro di tela fatta in tavola, o d'una pittura a fresco fatta a olio, o la copia d'una pittura fatta in mosaico, o tutt'al più in rame {inciso,} colle medesimissime dimensioni del quadro.

[3441,1]  Altrove ho rassomigliato il piacere che reca la lettura di Anacreonte (ed è nel principio di questi pensieri {#1. a pag. 30-1.}) a quello d'un'aura odorifera ec. Aggiungo che siccome questa sensazione lascia gran desiderio e scontentezza, e si vorrebbe richiamarla e non si può; così la lettura di Anacreonte; la quale lascia desiderosissimi, ma rinnovando la lettura, come per perfezionare il piacere (ch'egli par veramente bisognoso d'esser perfezionato, {anche} più che ispirar desiderio d'esser continuato), niun piacere si prova, anzi non si vede  3442 nè che cosa {l'}abbia prodotto da principio, nè che ragion ve ne possa essere, nè in che cosa esso sia consistito; e più si cerca, più s'esamina, più s'approfonda, men si trova e si scopre, anzi si perde di vista non pur la causa, ma la qualità stessa del piacer provato, chè volendo rimembrarlo, la memoria si confonde; e in somma pensando e cercando, sempre più si diviene incapaci di provar piacere alcuno di quelle odi, e risentirne quell'effetto che se n'è sentito; ed esse sempre più divengono quasi stoppa e s'inaridiscono e istecchiscono fra le mani che le tastano e palpano per ispecularle. Di qui si raccolga quanto sia possibile il tradurre in qualsiasi lingua Anacreonte (e così l'imitarlo appostatamente, e non a caso nè per natura, senza cercarlo), quando il traduttore non potrebbe neanche rileggerlo per ben conoscer la {qualità dell'}effetto ch'egli avesse a produrre colla sua traduzione; e più che lo rileggesse e considerasse, meno intenderebbe detta qualità, e più la perderebbe di vista; perocchè lo studio di Anacreonte è non pure inutile per imitarlo o per meglio  3443 gustarlo o per ben comprendere e per definire la proprietà dell'effetto e de' sentimenti ch'esso produce, ma è piuttosto dannoso che utile; nè la detta proprietà si può definire altrimenti che chiamandola indefinibile, ed esprimendola nel modo ch'ho fatto io con quella similitudine ec. Nè certo alla prima lettura si può essere il traduttore, o l'imitatore, o verun altro, ben avveduto e chiarito e informato del proprio ed intero carattere di Anacreonte; dico chiarito, e compresolo in modo ch'ei possa esattamente e data opera esprimerlo, nè pur significarlo distintamente a se stesso, nè concepirne e formarne idea chiara e precisa; chè queste qualità {della idea} sono contraddittorie e incompatibili colla natura di detto effetto e carattere. (16. Sett. 1823.).

[3475,1]  È cosa osservata che le antiche opere classiche, non solo perdono moltissimo, tradotte che sieno, ma non vaglion nulla, non paiono avere sostanza alcuna, non vi si trova pregio che l'abbia potute fare pur mediocremente stimabili, restano come stoppa e cenere. Il che non solo non accade alle opere classiche moderne, ma molte di esse nulla perdono per la traduzione, e in qualunque lingua si voglia, sono sempre le medesime, e tanto vagliono quanto nella originale. I pensieri di Cicerone non sono certo così comuni, come quelli de' sopraddetti ec., nè furono de' più  3476 comuni al suo tempo, massime tra' romani. Nondimanco io peno a credere ch'altri possa tollerar di leggere sino al fine (o far ciò senza noia) qualunque è più concettosa opera di Cicerone, tradotta in qual si sia lingua. Che vuol dir ciò, {+che vuol dir questa differenza di condizione tra l'antiche e le moderne opere, tradotte ch'elle sieno,} se non che negli antichi, anche sommi, scrittori, o tutto o il più son parole e stile, tolte o cangiate le quali cose, non resta quasi nulla, e le loro sentenze scompagnate dal loro modo di significarle paiono le più ordinarie, le più trite, le più popolari cose del mondo. Veramente i pensieri degli antichi, più o meno, son persone del volgo: detratta la veste, se le loro forme non appaiono rozze, certo paiono ordinarie, e di quelle che per tutto occorrono, senza nulla di peregrino, nulla che inviti l'occhio a contemplarle, anzi neppure a guardarle, nulla insomma nè di singolare nè di pregevole. Nelle opere moderne all'opposto tutto è pensieri e persona; stile nulla; vesti così dozzinali che più non potrebbero essere. {+E perciò appunto è necessario che le opere classiche antiche tradotte perdano tutto o quasi tutto il loro pregio cioè quello dello stile, perchè i moderni non hanno di gran lunga l'arte dello stile che gli antichi ebbero nè possono nelle loro tradizioni conservare ad esse opere il detto pregio ec. Ma non conservando lor questo, niuno altro gliene posson lasciare che vaglia la pena della lettura, e che distingua gran fatto esse opere dalle più volgari e mediocri, massime le morali, filosofiche ec.} So che la volgarità de' pensieri negli antichi, da molti è considerata come relativa a noi, che sappiam tanto di più; ma  3477 io dico che si fa torto all'antichità, allo spirito e alla ragione umana universale, se non si crede che questa volgarità, almen quanto a grandissima parte d'essi pensieri, non sia assoluta, o non fosse volgarità anche al tempo degli scrittori che gli esposero. (19. Sett. 1823.).

[3672,2]  La impotenza e strettezza della lingua francese e la sua inferiorità per rispetto all'altre di qui facilmente si può comprendere, che l'altre lingue possono, sempre che vogliono,  3673 agevolmente vestire la forma {e lo stile} della francese (com'effettivamente hanno fatto o fanno tutte le lingue colte d'europa, o per un certo tempo massimamente, come l'inglese e la tedesca, o anche oggidì, come l'italiana, la spagnuola, la russa, la svedese, la olandese ec.; e bene avrebbero potuto farlo e potrebbero farlo sufficientemente anche senza corrompersi e senza violentare dirittamente la loro propria e caratteristica indole); laddove la francese non può per niun modo prendere la forma {nè lo stile} dell'altre lingue, nè altra forma alcuna che la sua propria. E non pur dell'altre lingue che da lei sono aliene, per così dire, di famiglia e di sangue, come l'inglese, la tedesca, la russa ec. le quali pur possono vestire ed hanno vestito o vestono la forma della francese; ma neanche delle cognate, nè delle sorelle, come dell'italiana {e} della spagnuola; nè della lingua stessa sua madre, come della latina. (12. Ott. Domenica. 1823.).

[3954,1]  Si applichino eziandio le dette osservazioni alla difficoltà o impossibilità di ben tradurre, a ciò che perde un libro nelle traduzioni le meglio fatte, all'assoluta impossibilità, e contradizione ne' termini, dell'esistenza di una traduzione perfetta, massime in riguardo ai libri il cui principal pregio, o tutto il pregio o buona parte spetti allo stile, all'estrinseco, alle parole ec. o col cui effetto queste sieno particolarmente ed essenzialmente legate ec., come debbono esser necessariamente più o meno tutti i libri di vera poesia in verso o in prosa ec. ec. (7. Dec. 1823.). - Si estendano ancora le dette osservazioni alla diversità delle idee concomitanti di una stessa parola ec. e quindi dell'effetto di una stessa scrittura ec. secondo i tempi, e le nazioni, i forestieri o nazionali, posteri più o meno remoti, o contemporanei ec. E quindi alla poca durevolezza ed estensione possibile della fama e stima di una scrittura per {ottima} ch'ella sia, almeno dello stesso grado e qualità di fama e stima, e del giudizio di essa ec., massime essendo impossibili le traduzioni perfette, o dall'antico nel moderno, o d'uno in altro moderno ec., come di sopra. E le differenze occasionate ne' lettori da quelle de' tempi, costumi, climi, luoghi ec. ec. ec. (7. Dec. 1823.).

[3972,1]   3972 Risulta da quello che in più luoghi si è detto pp. 838. sgg. pp. 1683-84 pp. 1946-51 pp. 1953-57 pp. 3253-62 circa la natura di una lingua atta (massime ne' nostri tempi) veramente alla universalità, che ella non solo non può esser più delle altre lingue capace di traduzioni, di assumer l'abito dell'altre lingue, o tutte o in maggior numero o meglio che ciascun'altra, di piegarvisi più d'ogni altra, di rappresentare in qualunque modo le altre lingue; ma anzi ella dev'essere per sua natura l'estremo contrario, cioè sommamente unica d'indole, di modo ec. e sommamente incapace d'ogni altra che di se stessa, ed in se stessa minimamente varia, e da se medesima in ogni caso il men che si possa diversa. E una lingua che tenga l'estremo contrario è di sua natura, massime a' tempi nostri, estremamente incapace dell'universalità. Non bisogna dunque figurarsi che una lingua universale nè debba nè possa portare questa utilità di supplire alla cognizione di tutte le altre lingue, di esser come lo specchio di tutte l'altre, di raccoglierle, per così dir, tutte in se stessa, col poterne assumer l'indole ec.; ma solo di servire in vece di tutte le altre lingue, e di esser loro sostituita. Anzi ella non può veramente altro ch'esser sostituita all'uso dell'altre e di ciascuna altra, e non supplire ad esse ec. Ben grande sarebbe quella utilità, ma essa è contraria direttamente alla natura di una lingua universale. Tale si è infatti la francese. Nè i francesi dunque nè gli stranieri si lusinghino di avere in quella lingua tutto ciò che potrebbero avere nell'altre, ma una lingua diversissima per sua natura dall'altre, il cui uso a quello di tutte l'altre possono facilmente sostituire. Nè stimino che volendo conoscer  3973 l'altre lingue, autori ec. il posseder la francese, li dispensi più che alcun'altra lingua dallo studio di tutte l'altre, anzi per questo effetto la francese non serve a nulla, ed i francesi per parlare come nativa una lingua sommamente disposta alla universalità, si debbono contentare di avere una lingua incapacissima di traduzioni, inettissima a servir loro di specchio e di esempio, e fin anche di mezzo, per conoscere qualunque altra lingua, autore ec. Il fatto della lingua francese dimostra queste asserzioni. {+1. Sebbene i francesi coll'estrema trascuranza che hanno dell'altre lingue mostrano essere persuasi del contrario.} La natura della greca era appunto l'opposto. Ella infatti perciò, anche nel tempo antico, non potè essere universale che debolissimamente e incomparabilmente alla possibile universalità di una lingua, ed anche all'effettiva presente universalità della francese, malgrado le molte qualità, e massimamente le infinite circostanze estrinseche (potenza, commercio, letteratura e civiltà unica della nazione che la parlava) che favorirono, (e per lunghissimo tempo), e quasi necessitarono la sua universalità, molto più che le circostanze estrinseche della francese ec. (11. Dec. 1823.).

[4191,4]  Altro è che una lingua sia pieghevole, adattabile, duttile; altro ch'ella sia molle come una pasta. Quello è un pregio, questo non può essere senza informità, voglio dire, senza che la lingua manchi di una forma e di un carattere determinato, di compimento, di perfezione. Questa informe mollezza pare che si debba necessariamente attribuire alla presente lingua tedesca, se è vero, come per modo di elogio predicano gli alemanni, che ella possa nelle traduzioni prendere tutte le possibili forme delle lingue e degli autori i più disparati tra se, senza ricevere alcuna violenza. Ciò vuol dire ch'ella è una pasta informe e senza consistenza alcuna; per conseguente, priva di tutte le bellezze e di tutti i pregi che risultano dalla determinata proprietà, e dall'indole e forma compiuta, naturale, nativa, caratteristica di una lingua. La pieghevolezza, la duttilità, la elasticità (per così dire), non escludono nè la forma determinata e compiuta nè la consistenza; ma certo non ammettono i vantati miracoli delle traduzioni tedesche. La lingua italiana possiede questa pieghevolezza in sommo grado fra le moderne colte. La greca non possedeva quella vantata facoltà della tedesca. (Bologna 26. Agosto. 1826.).

[4211,7]  L'autor greco della Vita di S. Gregorio Papa, detto il Magno, avendo parlato delle opere di questo Santo, e particolarmente de' suoi Dialoghi,  4212 soggiunge (appresso Fozio. cod. 252. col. 1400. ed. grec. lat. Credo però che questa Vita si trovi stampata intera, e sarà in fronte alle opp. di S. Gregorio): ᾽Aλλὰ γὰρ πέντε καὶ ἑξήκοντα καὶ ἑκατòν ἔτη oἱ τὴν ῥωμαίαν ϕωνὴν ἀϕιέντες τῆς ἐκ τῶν πõνων αὐτοῦ ὠϕελείας μόνοι ἀπήλαυον. Zαχαρίας δέ, ὃς τoῦ ἀποστολικoῦ ἀνδρὸς ἐκείνου χρόνοις ὕστερον τoῖς εἰρημένοις κατέστη διάδοχoς, τὴν ἐν τῇ ῥωμαϊκῇ μóνῃ συγκλειομένην γνῶσιν καὶ ὠϕέλειαν εἰς τὴν ᾽Eλλάδα γλῶσσαν ἐξαπλώσας, κοινὸν τὸ κέρδος τῇ oἰκουμένῃ πάσῃ ϕιλανϑρώπως ἐποιήσατο. οὐ τοὺς διαλóγους δὲ καλουμένους μóνους, ἀλλὰ καὶ ἄλλους αὐτοῦ ἀξιολóγοuς πóνους ἐξελληνίσαι ἔργον ἔϑετο. * Ma per ispazio di 165 anni, solamente quelli che parlano latino godettero della utilità delle sue opere. Poi Zacaria, che in capo al detto spazio di tempo successe a quell'apostolico uomo (nel papato), trasportati in lingua greca i colui scritti, fece cortesemente comune a tutta la terra la notizia e la utilità di quelli, ristretta fino allora ai soli Latini. E non solo i così detti dialoghi, ma prese anche a voltare in greco altri scritti del medesimo degni di considerazione. * - Testimonianza insigne della universalità della lingua greca {eziandio} ai tempi dello scrittore di questa Vita, cioè, credo, nel sesto secolo, se costui fu contemporaneo o poco posteriore al detto Zaccaria papa. (Bologna. 5. Ott. 1826.)

[4213,7]  Οἱ γὰρ πάλαι ῥήτορες ἱκανὸν αὐτοῖς ἐνόμιζον εὑρεῖν τε τὰ ἐνθυμήματα, καὶ τῇ φράσει περιττῶς ἀπαγγεῖλα * (phrasi eximia). ἐσπoύδαζον γὰρ τὸ ὅλον περί τε τὴν λέξιν καὶ τòν ταύτης κόσμον· πρῶτον μὲν ὅπως εἴη σημαντικὴ καὶ εὐπρεπής * (significativa et venusta), εἶτα καὶ ἐναρμόνιoς ἡ τoύτων σύνϑεσις * (compositio). ἐν τoύτῳ γὰρ αὐτoῖς καὶ τὴν πρòς τoὺς ἰδιώτας διαϕορὰν ἐπὶ τὸ κρεῖττoν περιγίνεσϑαι * (ex hoc enim se praestituros vulgo loquentium). {Cecilio rettorico siciliano,} parlando di Antifonte, uno dei 10. Oratori Greci, ap. Phot. cod. 259. col. 1452. ed. gręc. lat.

[4263,2]  Alla p. 4249. fin. Il medesimo Chesterfield nota più volte come pregi distintivi e dei principali della letteratura nostra, e come di quelli che principalmente la possono far degna della curiosità degli stranieri, l'aver degli eccellenti storici, e delle eccellenti traduzioni dal latino e dal greco, mostrando poi di aver l'occhio particolarmente a quelle della Collana. Va bene il primo capo. Il secondo non può servire ad altro che a mostrar l'ignoranza grande dei forestieri circa le cose nostre. Perchè se la nostra letteratura è povera in alcuno articolo, lo è certamente in quel delle buone traduzioni dal latino e dal greco. Di quelle specialmente della Collana non ve n'è {appena} una che si possa leggere, quanto alla lingua e allo stile, e per se; e che non dica poi, almeno per la metà, il rovescio di quel che volle dire e disse l'autor greco e latino. Tutte le letterature (eccetto forse la tedesca da poco in qua) sono povere di traduzioni veramente buone: ma l'italiana in questo, se non si distingue dall'altre come più povera, non si distingue in modo alcuno. Solamente è vero che noi cominciammo ad aver traduzioni dal latino e dal greco classico (non buone, ma traduzioni semplicemente), molto  4264 prima di tutte le altre nazioni. Il che è naturale perchè anche risorse prima in Italia che altrove, la letteratura classica, e lo studio del vero latino, e del greco. E n'avemmo anche in gran copia. E queste furono forse le cagioni che produssero tra gli stranieri superficialmente acquainted with le cose nostre quella opinione, che ebbe tra gli altri il Chesterfield. {Scriveva il Chester. quelle cose circa il 1750: il Tradutt. ital. del Maff. furon pubblicati del 1720.} Nondimeno in quel medesimo tempo, {anzi alquanto innanzi,} avveniva al Maffei in Baviera, dov'ei si trovava, quel ch'egli scrive nella prefazione de' suoi Traduttori italiani ossia notizia de' Volgarizzamenti d'antichi scrittori latini e greci, che sono in luce indirizzata a una colta Signora, da lui frequentata colà. Vostro costume era d'antepor la * (lingua) francese alle altre, per l'avvantaggio di goder per essa gli antichi autori latini e greci, della lettura de' quali sommamente vi compiacete, avendogli traslatati i francesi. Qui io avea bel dire, che questo piacere potea conseguirsi ugualmente con l'italiana, e che già fin dal felice secolo del 1500 la maggior parte de' più ricercati antichi scrittori era stata in ottima volgar lingua presso di noi recata, che suscitandomisi contra tutti gli astanti, e gl'italiani prima degli altri, restava fermato, che solamente in francese queste traduzioni si avessero. * Ed ecco dagli stranieri {negato agl'italiani formalmente, e} trasferito alla letteratura francese quel medesimo pregio (e {circa} il medesimo tempo) che altri stranieri come il Chesterfield attribuivano alla italiana. Nella qual prefazione il Maffei afferma aver gl'Italiani tradotto prima, più, e meglio delle altre nazioni. * Per provar la qual proposizione, assunse di comporre, e compose quel suo catalogo dei nostri volgarizzatori. E quanto a me concedo {e credo vere} le due prime parti di essa proposizione, almen relativamente al tempo in cui il Maffei la scriveva. Concederò anche la terza, relativamente allo stesso tempo, purchè quel meglio delle altre, non escluda il male e il pessimamente assoluto. (Recanati. 27. Marzo. 1827.). {{V. p. 4304. fine.}}

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