Vago. Piacere del vago o indefinito.
Vague. Pleasure of the vague or indefinite.
75,1 169,1 185,1 472,12 514,1 646,2 1017,1 1025,12 1429,1 1430,1 1464,1 1534,1 1573,1 1744,1 1777,2 1826,2 1827,2 1900,12 1927,2 1930,1 1962,1 1982,2 1999,1 2053,1 2251,1 2257,2 2263,1 2350,1 2629,2 2645,2 2804,1 3909,12 3952,1 4060,1 4286,6 4293,2.4[75,1] Il sentimento che si prova alla vista di una campagna o
di qualunque altra cosa v'ispiri idee e pensieri vaghi e indefiniti quantunque
dilettosissimo, è pur come un diletto che non si può afferrare, e può
paragonarsi a quello di chi corra dietro a una farfalla bella e dipinta senza
poterla cogliere: e perciò lascia sempre nell'anima un gran desiderio: pur
questo è il sommo de' nostri diletti, e tutto quello ch'è determinato e certo è
molto più lungi dall'appagarci, di questo che per la sua incertezza non ci può
mai {appagare.}
[169,1] Del resto il desiderio del piacere essendo
materialmente infinito in estensione (non solamente nell'uomo ma in ogni
vivente), la pena dell'uomo nel provare un piacere è di veder subito i limiti
della sua estensione, i quali l'uomo non molto profondo gli scorge solamente da
presso. Quindi è manifesto 1. perchè tutti
170 i beni
paiano bellissimi {e sommi} da lontano, {e l'ignoto sia più bello del noto;} effetto della
immaginazione determinata[determinato] dalla
inclinazione della natura al piacere, effetto delle illusioni voluto dalla
natura. 2. perchè l'anima preferisca in poesia e da per tutto, il bello aereo,
le idee infinite. Stante la considerazione qui sopra detta, l'anima deve
naturalmente preferire agli altri quel piacere ch'ella non può abbracciare. Di
questo bello aereo, di queste idee abbondavano gli antichi, abbondano i {loro} poeti, massime il più antico cioè Omero, abbondano i fanciulli veramente
Omerici in questo, (v. il pensiero Circa l'immaginazione, p. 57. e l'altro p. 100.) gl'ignoranti ec. in somma la
natura. La cognizione e il sapere ne fa strage, e a noi riesce difficilissimo il
provarne. La malinconia, il sentimentale moderno ec. perciò appunto sono così
dolci, perchè immergono l'anima in un abbisso di pensieri indeterminati de'
quali non sa vedere il fondo nè i contorni. E questa pure è la cagione perchè
nell'amore ec. come ho detto p. 142.
Perchè in quel tempo l'anima si spazia in un vago e indefinito. Il tipo di
questo bello è[e] di queste idee non esiste nel
reale, ma solo nella immaginazione, e le illusioni sole ce le possono
rappresentare, nè la ragione ha verun potere di farlo. Ma la natura nostra n'era
fecondissima, e voleva che componessero la nostra vita. 3. perchè l'anima nostra
odi tutto quello che confina le sue sensazioni. L'anima cercando il piacere in
tutto, dove non lo trova, già non può esser soddisfatta. Dove lo trova, abborre
i confini per le sopraddette ragioni. Quindi vedendo la bella natura, ama che
l'occhio si spazi quanto è possibile. La qual cosa il Montesquieu
(Essai sur le goût, De la
curiosité. p. 374. 375.) attribuisce alla curiosità. Male.
La curiosità non è altro che una determinazione
171
dell'anima a desiderare quel tal piacere, secondo quello che dirò poi. Perciò
ella potrà esser la cagione immediata di questo effetto, (vale a dire che se
l'anima non provasse piacere nella vista della campagna ec. non desidererebbe
l'estensione di questa vista), ma non la primaria, nè questo effetto è speciale
e proprio solamente delle cose che appartengono alla curiosità, ma di tutte le
cose piacevoli, e perciò si può ben dire che la curiosità è cagione immediata
del piacere che si prova vedendo una campagna, ma non di quel desiderio che
questo piacere sia senza limiti. Eccetto in quanto ciascun desiderio di ciascun
piacere {può essere} illimitato e perpetuo nell'anima,
come il desiderio generale del piacere. Del rimanente alle volte l'anima
desidererà ed effettivamente desidera una veduta ristretta e confinata in certi
modi, come nelle situazioni romantiche. La cagione è la stessa, cioè il
desiderio dell'infinito, perchè allora in luogo della vista, lavora
l'immaginazione e il fantastico sottentra al reale. L'anima s'immagina quello
che non vede, che quell'albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va
errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe se la sua
vista si estendesse da per tutto, perchè il reale escluderebbe l'immaginario.
Quindi il piacere ch'io provava sempre da fanciullo, e anche ora nel vedere il
cielo ec. attraverso una finestra, una porta, una casa passatoia, come chiamano.
Al contrario la vastità e moltiplicità delle sensazioni diletta moltissimo
l'anima. Ne deducono ch'ella è nata per il grande ec. Non è questa la ragione.
Ma proviene da ciò, che la moltiplicità delle sensazioni, confonde l'anima,
172 gl'impedisce di vedere i confini di ciascheduna,
toglie l'esaurimento subitaneo del piacere, la fa errare d'un piacere in un
altro senza poterne approfondare nessuno, e quindi si rassomiglia in certo modo
a un piacere infinito. Parimente la vastità quando anche non sia moltiplice,
occupa nell'anima un più grande spazio, ed è più difficilmente esauribile. La
maraviglia similmente, rende l'anima attonita, l'occupa tutta e la rende
incapace in quel momento di desiderare. Oltre che la novità (inerente alla
maraviglia) è sempre grata all'anima, la cui maggior pena è la stanchezza dei
piaceri particolari.
[185,1] Qualunque cosa ci richiama l'idea dell'infinito è
piacevole per questo, quando anche non per altro. Così un filare o un viale
d'alberi di cui non arriviamo a scoprire il fine. Questo effetto è come quello
della grandezza, ma tanto maggiore quanto questa è determinata, e quella si può
considerare come una grandezza incircoscritta. Ci piacerà anche più quel viale
quanto sarà più spazioso, più se sarà scoperto, arieggiato e illuminato, che se
sarà chiuso al di sopra, o poco arieggiato, ed oscuro, almeno quando l'idea di
una grandezza infinita che ci deve presentare deriva da quella {grandezza} che cade sotto i sensi, e non è opera {totalmente} dell'immaginazione, la quale come ho detto,
p.
171 si compiace alcune volte del circoscritto, e di non vedere più che
tanto per potere immaginare ec. (25. Luglio 1820.).
[472,2] Non solo la facoltà conoscitiva, o quella di amare, ma
neanche l'immaginativa è capace dell'infinito, o di concepire infinitamente, ma
solo dell'indefinito, e di concepire indefinitamente. La qual cosa ci diletta
perchè l'anima non vedendo i confini, riceve l'impressione di una specie
d'infinità, e confonde l'indefinito coll'infinito; non però comprende nè
concepisce effettivamente nessuna infinità. Anzi nelle immaginazioni le più
vaghe e indefinite, e quindi le più sublimi e dilettevoli, l'anima sente
espressamente una certa angustia, una certa difficoltà, un certo desiderio
insufficiente, un'impotenza decisa di abbracciar tutta la misura di {quella} sua
473 immaginazione, o
concezione o idea. La quale perciò, sebbene la riempia e diletti e soddisfaccia
più di qualunque altra cosa possibile in questa terra, non però la riempie
effettivamente, nè la soddisfa, e nel partire non la lascia mai contenta, perchè
l'anima sente e conosce o le pare, di non averla concepita e veduta tutta
intiera, o che creda di non aver potuto, o di non aver saputo, e si persuada che
sarebbe stato in suo potere di farlo, e quindi provi un certo pentimento, nel
che ha torto in realtà, non essendo colpevole. (4. Gen. 1821.).
[514,1] Da fanciulli, se una veduta, una campagna, una
pittura, un suono ec. {un racconto, una descrizione, una
favola, un'immagine poetica, un sogno,} ci piace e diletta, quel
piacere e quel diletto è sempre vago e indefinito: l'idea che ci si desta è
sempre indeterminata e senza limiti: ogni consolazione, ogni piacere, ogni
aspettativa, {ogni disegno, illusione ec. (quasi anche ogni
concezione)} di quell'età tien sempre all'infinito: e ci pasce e ci
riempie l'anima indicibilmente, anche mediante i minimi oggetti. Da grandi, o
siano piaceri e oggetti maggiori, o quei medesimi che ci allettavano da
fanciulli, come una bella prospettiva, campagna, pittura ec. proveremo un
piacere, ma non sarà più simile in nessun modo all'infinito, o certo non sarà
così intensamente, sensibilmente, durevolmente ed essenzialmente vago e
indeterminato. Il piacere {di quella sensazione} si
determina subito e si circoscrive: appena comprendiamo
515 qual fosse la strada che prendeva l'immaginazione nostra da fanciulli, per
arrivare con quegli stessi mezzi, e in quelle stesse circostanze, o anche in
proporzione, all'idea ed al piacere indefinito, e dimorarvi. Anzi osservate che
forse la massima parte delle immagini e sensazioni indefinite che noi proviamo
pure dopo la fanciullezza e nel resto della vita, non sono altro che una
rimembranza della fanciullezza, si riferiscono a lei, dipendono e derivano da
lei, sono come un influsso e una conseguenza di lei; o in genere, o anche in
ispecie; vale a dire, proviamo quella tal sensazione, idea, piacere, ec. perchè
ci ricordiamo e ci si rappresenta alla fantasia quella stessa sensazione
immagine ec. provata da fanciulli, e come la provammo in quelle stesse
circostanze. Così che la sensazione presente non deriva immediatamente dalle
cose, non è un'immagine degli oggetti, ma della immagine fanciullesca; una
ricordanza, una ripetizione, una ripercussione o riflesso della immagine antica.
E ciò accade frequentissimamente. (Così io, nel rivedere quelle stampe
piaciutemi vagamente da fanciullo,
516 quei luoghi,
{spettacoli, incontri,} ec. nel ripensare
ai[a] quei racconti, favole, letture, sogni
ec. nel risentire quelle cantilene udite nella fanciullezza o nella prima
gioventù ec.) In maniera che, se non fossimo stati fanciulli, tali quali siamo
ora, saremmo privi della massima parte di quelle poche sensazioni indefinite che
ci restano, giacchè la proviamo se non rispetto e in virtù della
fanciullezza.
[646,2] La somma della teoria del piacere, e si può dir anche, della natura dell'animo
nostro e di qualunque vivente, è questa. Il vivente si ama senza limite nessuno,
e non cessa mai di amarsi. Dunque non cessa mai di desiderarsi il bene, e si
desidera il bene senza limiti. Questo bene in sostanza non è altro che il
piacere. Qualunque piacere ancorchè grande, ancorchè reale, ha limiti. Dunque
nessun piacere possibile è proporzionato ed uguale alla
647 misura dell'amore che il vivente porta a se stesso. Quindi nessun
piacere può soddisfare il vivente. Se non lo può soddisfare, nessun piacere,
ancorchè reale astrattamente e assolutamente, è reale relativamente a chi lo
prova. Perchè questi desidera sempre di più, giacchè per essenza si ama, e
quindi senza limiti. Ottenuto anche di più, quel di più similmente non gli
basta. Dunque nell'atto del piacere, o nella felicità, non sentendosi
soddisfatto, non sentendo pago il desiderio, il vivente non può provar pieno
piacere; dunque non vero piacere, perchè inferiore al desiderio, e perchè il
desiderio soprabbonda. Ed eccoti la tendenza naturale e necessaria dell'animale
all'indefinito, a un piacere senza limiti. Quindi il piacere che deriva
dall'indefinito, piacere sommo possibile, ma non pieno, perchè l'indefinito non
si possiede, anzi non è. E bisognerebbe possederlo pienamente, e al tempo stesso indefinitamente, perchè l'animale fosse pago, cioè
felice, cioè l'amor proprio suo che non ha limiti, fosse definitamente soddisfatto: cosa
648 contraddittoria e impossibile. Dunque la felicità è impossibile a
chi la desidera, perchè il desiderio, sì come è desiderio assoluto di felicità,
e non di una tal felicità, è senza limiti necessariamente, perchè la felicità
assoluta è indefinita, e non ha limiti. Dunque questo desiderio stesso è cagione
a se medesimo di non poter esser soddisfatto. Ora questo desiderio è conseguenza
necessaria, anzi si può dir tutt'uno coll'amor proprio. E questo amore è
conseguenza necessaria della vita, in quell'ordine di cose che esiste, e che noi
concepiamo, e altro non possiamo concepire, ancorchè possa essere, ancorchè
fosse realmente. Dunque ogni vivente, perciò stesso che vive (e quindi si ama, e
quindi desidera assolutamente la felicità, vale a dire una felicità senza
limiti, e questa è impossibile, e quindi il desiderio {suo} non può esser soddisfatto) perciò stesso, dico, che vive, non
può essere attualmente felice. E la felicità ed il piacere è sempre futuro, cioè
non esistendo, nè potendo esistere realmente, esiste solo nel desiderio del
vivente, e nella speranza, o aspettativa che ne segue. {{Le
649 présent n'est
jamais notre but; le passé et le présent sont nos moyens; le
seul avenir est notre objet:}} ainsi nous ne vivons pas,
mais nous espérons de vivre,
*
dice {Pascal}. Quindi
segue che il più felice possibile, è il più distratto dalla intenzione della
mente alla felicità assoluta. Tali sono gli animali, tale era l'uomo in natura.
Nei quali il desiderio della felicità cangiato nei desiderii di questa o di
quella felicità, {o fine,} e soprattutto mortificato e
dissipato dall'azione continua, da' presenti bisogni ec. non aveva e non ha
tanta forza di rendere il vivente infelice. Quindi l'attività massimamente, è il
maggior mezzo di felicità possibile.
Oltre l'attività, altri mezzi meno universali o durevoli o valevoli, ma pur
mezzi, sono gli altri da me notati nella teoria del piacere, p. e. (ed è uno de' principali) lo stupore 1. di
carattere e d'indole: gli uomini così fatti sono i più felici: gli uomini
incapaci di questa qualità, sono i più infelici: sii grande e
infelice,
*
dice la natura agli uomini grandi, {detto di D'Alembert, Éloges de l'Académie Françoise
(così, Françoise)} agli uomini
sensibili, passionati ec: il senso vivo del desiderio di felicità li tormenta:
questo desiderio
650 bisogna sentirlo il meno possibile,
quantunque innato, e continuo
necessariamente. 2. derivato da languore o torpore ec. artefatto, come per via
dell'oppio, o proveniente da lassezza ec. ec. 3. derivato da impressioni
straordinarie, dalla maraviglia di qualunque sorta, da avvenimenti, da cose
vedute, udite ec. insomma da sensazioni straordinarie di qualsivoglia genere: 4.
dalla immaginazione, dall'estasi che deriva dalla fantasia, da un sentimento
indefinito, dalla bella natura ec. e v. la
teoria del piacere. Notate che l'immaginazione {la
vivacità,} la sensibilità, le quali nocciono alla felicità per la
parte dello stupore, giovano per la parte dell'attività. E perciò sono piuttosto
un dono della natura (ancorchè spesso doloroso), di quello che un danno; perchè
effettivamente l'attività è il mezzo {di distrazione
il} più facile, più sicuro e forte, più durevole, più frequente e
generale e realizzabile nella vita. (12. Feb. 1821.).
[1017,1]
1017 Dalla mia teoria
del piacere seguita che l'uomo, desiderando sempre un piacere infinito
e che lo soddisfi intieramente, desideri sempre e speri una cosa ch'egli non può
concepire. E così è infatti. Tutti i desiderii e le speranze umane, anche dei
beni ossia piaceri i più determinati, ed anche già sperimentati altre volte, non
sono mai assolutamente chiari e distinti e precisi, ma contengono sempre un'idea
confusa, si riferiscono sempre ad un oggetto che si concepisce confusamente. E
perciò {e non per altro,} la speranza è meglio del
piacere, contenendo quell'indefinito, che {la realtà}
non può contenere. E ciò può vedersi massimamente nell'amore, dove la passione e
la vita e l'azione dell'anima essendo più viva che mai, il desiderio e la
speranza sono altresì più vive[vivi] e
sensibili, e risaltano più che nelle altre circostanze. Ora osservate che per
l'una parte il desiderio e la speranza del vero amante è più confusa, vaga,
indefinita che quella di chi è animato da qualunque altra passione: ed è
carattere (già da molti notato) dell'amore, il presentare all'uomo un'idea
infinita (cioè più sensibilmente
indefinita di quella che presentano le altre passioni), e ch'egli può concepir
meno di qualunque
1018 altra idea ec. Per l'altra parte
notate, che appunto a cagione di questo infinito, inseparabile dal vero amore,
questa passione in mezzo alle sue tempeste, è la sorgente de' maggiori piaceri
che l'uomo possa provare. (6. Maggio 1821.).
[1025,2] Sebben l'uomo desidera sempre un piacere infinito,
egli desidera però un piacer materiale e sensibile, quantunque quella infinità,
o indefinizione ci faccia velo per credere che si tratti di qualche cosa
spirituale. Quello spirituale che noi concepiamo confusamente nei nostri
desiderii, o nelle nostre sensazioni
1026 più vaghe,
indefinite, vaste, sublimi, non è altro, si può dire, che l'infinità, o
l'indefinito del materiale. Così che i nostri desiderii e le nostre sensazioni,
anche le più spirituali, non si estendono mai fuori della materia, più o meno
definitamente concepita, e la più spirituale e pura e immaginaria e
indeterminata felicità che noi possiamo o assaggiare o desiderare, non è mai nè
può esser altro che materiale: perchè ogni qualunque facoltà dell'animo nostro
finisce assolutamente sull'ultimo confine della materia, ed è confinata
intieramente dentro i termini della materia. (9. Maggio 1821.).
[1429,1] L'antico è un principalissimo ingrediente delle
sublimi sensazioni, siano materiali, come una prospettiva, una veduta romantica
ec. ec. o solamente spirituali ed interiori. Perchè ciò? per la tendenza
dell'uomo all'infinito. L'antico non è eterno, e quindi non è infinito, ma il
concepire che fa l'anima uno spazio di molti secoli, produce una sensazione
indefinita, l'idea di un tempo indeterminato, dove l'anima si perde, e sebben sa
che vi sono confini, non li discerne, e non sa quali sieno. Non così nelle cose
moderne, perch'ella non vi si può perdere, e vede chiaramente tutta la stesa del
tempo, e giunge subito all'epoca, al termine ec. Anzi è notabile che l'anima in
una delle
1430
{{dette}} estasi, vedendo p. es. una torre moderna, ma
che non sappia quando fabbricata, e un'altra antica della quale sappia l'epoca
precisa, tuttavia è molto più commossa da questa che da quella. Perchè
l'indefinito di quella è troppo piccolo, e lo spazio, benchè i confini {{non}} si discernano, è tanto angusto, che l'anima arriva
a comprenderlo tutto. Ma nell'altro caso, sebbene i confini si vedano, e quanto
ad essi non vi sia indefinito, v'è però in questo, che lo spazio è così ampio
che l'anima non l'abbraccia, e vi si perde; e sebbene distingue gli estremi, non
distingue però se non se confusamente lo spazio che corre tra loro. Come
allorchè vediamo una vasta campagna, di cui {pur} da
tutte le parti si scuopra l'orizzonte. (1. Agosto. 1821.).
[1430,1] Circa le sensazioni che piacciono pel solo
indefinito puoi vedere il mio idillio sull'infinito, e richiamar l'idea di una campagna
arditamente declive in guisa che la vista in certa lontananza non arrivi alla
valle; e quella di un filare d'alberi, la cui fine si perda di
1431 vista, o per la lunghezza del filare, o perch'esso
pure sia posto in declivio ec. ec. ec. Una fabbrica una torre ec. veduta in modo
che ella paia innalzarsi sola sopra l'orizzonte, e questo non si veda, produce
un contrasto efficacissimo e sublimissimo tra il finito e l'indefinito ec. ec.
ec. (1. Agosto 1821.).
[1464,1]
1464 Da tutto ciò si conferma ciò che ho detto altrove
pp. 1341-42 che il primo principio delle cose è
il nulla. (7. Agos. 1821.).
[1534,1] Le parole irrevocabile, irremeabile e altre tali, produrranno sempre una
sensazione piacevole (se l'uomo non vi si avvezza troppo), perchè destano
un'idea senza limiti, e non possibile a concepirsi interamente. E però saranno
sempre poeticissime: e di queste tali parole sa far uso, e giovarsi con
grandissimo effetto il vero poeta. (20. Agos. 1821.).
[1573,1] Dice Cicerone (il luogo lo cita, se ben mi ricordo, il Mai, prefazione alla versione d'isocrate, de
Permutatione) che gli uomini di gusto nell'eloquenza non
si appagano mai pienamente nè delle loro opere nè delle altrui, e che la mente
loro semper divinum aliquid atque infinitum
desiderat,
*
a cui le forze dell'eloquenza non
arrivano. Questo detto è notabilissimo riguardo all'arte, alla critica, al
gusto.
[1744,1] Da quella parte della mia teoria del piacere dove si mostra come degli oggetti
veduti per metà, o con certi impedimenti ec. ci destino idee indefinite
pp. 170-72, si spiega perchè piaccia la luce del sole o della luna,
veduta in luogo dov'essi non si vedano {e non si scopra la
sorgente della luce;} un luogo solamente in parte illuminato da essa
luce; il riflesso di detta luce, e i vari effetti materiali che ne derivano; il
penetrare di detta luce in luoghi dov'ella divenga incerta e impedita, e non
bene si distingua, come attraverso un canneto, in una selva, per li balconi
socchiusi ec. ec.; {+la detta luce veduta
in luogo {oggetto ec.} dov'ella non entri e non
percota dirittamente, ma vi sia ribattuta e diffusa da qualche altro luogo
od oggetto ec. dov'ella venga a battere; in un andito veduto al di dentro o
al di fuori, e in una loggia parimente ec.} quei luoghi dove la luce
si confonde ec. ec. colle ombre, come sotto un portico, in una loggia elevata e
pensile, fra le rupi e i burroni, in una valle, sui colli veduti dalla parte
dell'ombra, in modo che ne sieno indorate le cime; il riflesso che produce p. e.
un vetro colorato su quegli oggetti su cui si riflettono i raggi che passano per
detto vetro; tutti quegli oggetti in somma che per diverse
1745 materiali e menome circostanze giungono alla nostra vista, udito ec. in modo incerto, mal
distinto, imperfetto, incompleto, o {fuor
dell'}ordinario ec. Per lo contrario la vista del sole o della luna in una
campagna vasta ed aprica, e in un cielo aperto ec. è piacevole per la vastità
della sensazione. Ed è pur piacevole per la ragione assegnata di sopra, la vista
di un cielo diversamente sparso di nuvoletti, dove la luce del sole o della luna
produca effetti variati, e indistinti,
e non ordinari. ec. È piacevolissima e sentimentalissima la stessa luce veduta
nelle città, dov'ella è frastagliata dalle ombre, dove lo scuro contrasta in
molti luoghi col chiaro, dove la luce in molte parti degrada appoco appoco, come
sui tetti, dove alcuni luoghi riposti nascondono la vista dell'astro luminoso
ec. ec. A questo piacere contribuisce la varietà, l'incertezza, il non veder
tutto, e il potersi perciò spaziare coll'immaginazione, riguardo a ciò che non
si vede. Similmente dico dei simili effetti, che producono gli alberi, i filari,
i colli, i pergolati, i casolari,
1746 i pagliai, le
ineguaglianze del suolo {ec.} nelle campagne. Per lo
contrario una vasta e tutta uguale pianura, dove la luce si spazi e diffonda
senza diversità, nè ostacolo; dove l'occhio si perda ec. è pure piacevolissima,
per l'idea indefinita in estensione, che deriva da tal veduta. Così un cielo
senza nuvolo. Nel qual proposito osservo che il piacere della varietà e
dell'incertezza prevale a quello dell'apparente infinità, {e
dell'immensa uniformità.} E quindi un cielo variamente sparso di
nuvoletti, è forse più piacevole di un cielo affatto puro; e la vista del cielo
è forse meno piacevole di quella della terra, e delle campagne ec. perchè meno
varia (ed anche meno simile a noi, meno propria di noi, meno appartenente alle
cose nostre ec.) Infatti, ponetevi supino in modo che voi non vediate se non il
cielo, separato dalla terra, voi proverete una sensazione molto meno piacevole
che considerando una campagna, o considerando il cielo nella sua corrispondenza
{e relazione} colla terra, ed unitamente ad essa in
un medesimo punto di vista.
[1777,2] Quello che ci desta una folla di rimembranze dove il
pensiero si confonda, è sempre piacevole. Ciò fanno le immagini de' poeti, le
parole dette poetiche ec. fra le quali cose, è notabile che le immagini della
vita domestica nella poesia, ne' romanzi, {+pitture ec. ec.} ec. riescono sempre
piacevolissime, gratissime amenissime elegantissime e danno qualche bellezza, e
ci riconciliano talvolta alle più sciocche composizioni, ed agli scrittori i più
incapaci di ben presentarle. Così quelle della vita rustica
1778 ec. il cui grand'effetto deriva in gran parte dalla folla delle
rimembranze o delle idee che producono, perocch'elle son cose comuni, a tutti
note, ed appartenenti.
[1826,2] Finora s'è applicata alla politica piuttosto la
cognizione degli uomini che quella dell'uomo, piuttosto la scienza delle nazioni
che degl'individui di cui le nazioni si compongono, e che sono altrettante
fedeli immagini delle nazioni. (3. Ott. 1821.).
[1827,2] A quello che altrove ho detto pp. 1744-46
dell'effetto che fa nell'uomo la vista del cielo, si può aggiungere e paragonare
quello del mare, delle egloghe piscatorie, e d'ogni sorta d'immagine presa dalla
navigazione ec. Le idee relative al mare sono vaste, e piacevoli per questo
motivo, ma non durevolmente, perchè mancano di due qualità, la varietà, e
l'esser proprie e vicine alla nostra vita quotidiana, agli oggetti che ci
circondano, alle nostre assuefazioni rimembranze ec. (dico di chi non è marinaio
ec. di professione) ed anche alle nostri[nostre]
cognizioni pratiche; giacchè la
cognizione pratica,
1828 almeno in grosso, l'uso,
l'esperienza, una tal quale familiarità con ciò che il poeta ha per le mani, è
necessaria all'effetto delle immagini e sentimenti poetici ec.; ed è per questo
che piace soprattutto nella poesia ciò che spetta al cuore umano (che è la cosa
della quale abbiamo più cognizione pratica), siccome nella pittura, scultura ec.
l'imitazione dell'uomo, delle sue passioni ec. (3. Ott. 1821.).
[1900,2] Non solo l'eleganza, ma la nobiltà la grandezza,
tutte le qualità del linguaggio poetico, anzi il linguaggio poetico esso stesso,
consiste, se ben l'osservi, in un modo di parlare indefinito, o non ben
definito, o sempre
1901 meno definito del parlar
prosaico o volgare. Questo è l'effetto dell'esser diviso dal volgo, e questo è
anche il mezzo e il modo di esserlo. Tutto ciò ch'è precisamente definito, potrà
bene aver luogo {talvolta} nel linguaggio poetico,
giacchè non bisogna considerar la sua natura che nell'insieme, ma certo
propriamente parlando, e per se stesso, non è poetico. Lo stesso effetto e la
stessa natura si osserva in una prosa che senza esser poetica, sia però sublime,
elevata, magnifica, grandiloquente. La {vera} nobiltà
dello stile prosaico, consiste essa pure {costantemente} in non so che d'indefinito. Tale suol essere la prosa
degli antichi, greci e latini. E v'è non pertanto assai notabile diversità fra
l'indefinito del linguaggio poetico, e quello del prosaico, oratorio ec.
[1927,2] Quello che altrove ho detto pp. 1744-47 sugli effetti della luce, o
degli oggetti visibili, in riguardo all'idea dell'infinito, si deve applicare
parimente al suono, al canto, a tutto ciò che
1928
spetta all'udito. È piacevole per se stesso, cioè non per altro, se non per
un'idea vaga ed indefinita che desta, un canto (il più spregevole) udito da
lungi, {o che paia lontano senza esserlo,} o che si
vada appoco appoco allontanando, e divenendo insensibile; {+o anche viceversa (ma meno), o che sia così lontano, in
apparenza o in verità, che l'orecchio e l'idea quasi lo perda nella vastità
degli spazi;} un suono qualunque confuso, massime se ciò è per la
lontananza; un canto udito in modo che non si veda il luogo da cui parte; un
canto che risuoni per le volte di una stanza ec. dove voi non vi troviate però
dentro; il canto degli agricoltori che nella campagna s'ode suonare per le
valli, senza però vederli, e così il muggito degli armenti ec. {Stando in casa, e udendo tali canti o
suoni per la strada, massime di notte, si è più disposti a questi effetti,
perchè nè l'udito nè gli altri sensi non arrivano a determinare nè
circoscrivere la sensazione, e le sue concomitanze.} È piacevole
qualunque suono (anche vilissimo) che largamente e vastamente si diffonda, come
{in} taluno dei detti casi, massime se non si vede
l'oggetto da cui parte. A queste considerazioni appartiene il piacere che può
dare e dà (quando non sia vinto dalla paura) il fragore del tuono, massime
quand'è più sordo, quando è udito
1929 in aperta
campagna; lo stormire del vento, massime nei detti casi, quando freme
confusamente in una foresta, o tra i vari oggetti di una campagna, o quando è
udito da lungi, o dentro una città trovandosi per le strade ec. Perocchè oltre
la vastità, e l'incertezza e confusione del suono, non si vede l'oggetto che lo
produce, giacchè il tuono e il vento non si vedono. E[È] piacevole un luogo echeggiante, un appartamento ec. che ripeta il
calpestio de' piedi, o la voce ec. Perocchè l'eco non si vede ec. E tanto più
quanto il luogo e l'eco e[è] più vasto, quanto
più l'eco vien da lontano, quanto più si diffonde; e molto più ancora se vi si
aggiunge l'oscurità del luogo che non lasci determinare la vastità del suono, nè
i punti da cui esso parte ec. ec. E tutte queste immagini in poesia ec. sono
sempre bellissime, e tanto più quanto più negligentemente son messe, e toccando
il soggetto, senza mostrar
1930 l'intenzione per cui
ciò si fa, anzi mostrando d'ignorare l'effetto e le immagini che son per
produrre, e di non toccarli se non per ispontanea, e necessaria congiuntura, e
indole dell'argomento ec. V. in questo
proposito Virg.
Eneide 7. v. 8. seqq. La notte, o
l'immagine della notte è la più propria ad aiutare, o anche a cagionare i detti
effetti del suono. Virgilio da maestro
l'ha adoperata. (16. Ott. 1821.).
[1930,1]
Posteri, posterità, (e questo più perchè più generale) futuro, passato, eterno, lungo in fatto di tempo, morte, mortale, immortale, e cento simili, son parole di senso o di
significazione quanto indefinita, tanto poetica e nobile, e perciò cagione di
nobiltà, di bellezza ec. a tutti gli stili. (16. Ott. 1821.).
[1962,1]
Un des grands avantages
des dialectes germaniques en
poésie, c'est la variété et la beauté de leurs épithètes. L'allemand
sous ce rapport aussi, peut se comparer au grec; l'on sent dans un seul
1963
mot plusieurs images, comme, dans la note fondamentale d'un
accord, on entend les autres sons dont il est composé, ou comme de
certains couleurs réveillent en nous la sensations de celles qui en
dépendent. L'on ne dit en français
que ce qu'on veut dire, et l'on ne voit point errer autour des
paroles ces nuages à mille formes, qui entourent la poésie des langues
du nord, et réveillent une foule de souvenirs. A la liberté de former une seule épithète de deux
ou trois, se joint celle d'animer le langage en faisant avec
les verbes des noms:
*
(proprietà egualmente del greco, dell'italiano, e dello spagnuolo) le vivre, le vouloir, le sentir, sont des expressions
moins abstraites que la vie, la volonté, le sentiment; et tout ce qui
tend à changer la pensée en action donne toujour plus de mouvement au
style. La facilité de renverser à son gré la construction
1964 de la phrase
*
(ho detto altrove
pp. 109-11
pp.
950-52
pp. 1226-28 che come le parole, così le frasi e costruzioni ec.
possono esser termini, e che quella
lingua che più abbonda di termini,
{in pregiudizio delle parole,} suole per
analogia esser matematica nella frase ec., e che la francese è tutta un gran
termine) est aussi très-favorable à la poésie, et permet d'exciter, par les
moyens variés de la versification, des impressions analogues à celles de la peinture et de la
musique
*
. (impressioni vaghe.) Enfin l'esprit général des dialectes teutoniques, c'est l'indépendance:
les écrivains cherchent avant tout à
transmettre ce qu'il sentent; ils diroient volontiers à la
poésie comme Héloïse à son amant: S'il
y a un mot plus vrai, plus tendre, plus profond encore pour exprimer
ce que j'éprouve, c'est celui-là que je veux choisir. Le
souvenir des convenances de société poursuit en
France le talent
*
1965
jusques dans ses émotions les plus intimes; et la
crainte du ridicule est l'épée de Damoclès, qu'aucune fête
de l'imagination ne peut faire oublier.
*
De l'Allemagne, tome 1. 2.de part. ch. 9.
vers la fin.
(21. Ott. 1821.).
[1982,2] Quello che ho detto altrove pp. 1744-47
pp.
1927-30 degli effetti della luce, del suono, e d'altre tali sensazioni
circa l'idea dell'infinito, si deve intendere non solo di tali sensazioni nel
naturale, ma nelle loro imitazioni ancora, fatte dalla pittura, dalla musica,
dalla poesia
1983 ec. Il bello delle quali arti, in
grandissima parte, e più di quello che si crede o si osserva, consiste nella
scelta di tali o somiglianti sensazioni indefinite da imitare.
[1999,1] La velocità p. es. de' cavalli o veduta, o
sperimentata, cioè quando essi vi trasportano (v. in tal proposito l'Alfieri
nella sua Vita, sui principii) è
piacevolissima per se sola, cioè per la vivacità, l'energia, la forza, la vita
di tal sensazione. Essa desta realmente una quasi idea dell'infinito, sublima
l'anima, la fortifica, la mette in una indeterminata azione, o stato di attività
più o meno passeggero. E tutto ciò tanto più quanto la velocità è maggiore. In
questi effetti avrà parte anche lo straordinario. (27. Ott.
1821.)
[2053,1]
2053 La sola vastità desta nell'anima un senso di
piacere, da qualunque sensazione fisica o morale, ella provenga, e per mezzo di
qualunque de' cinque sensi. Un salone ampio e disteso, alle cui estremità appena
giunge la vista, piace sempre; e massime se se ne nota bene la vastità, per non
essere interrotta da colonne, p. e. o altri oggetti, che sminuzzino la
sensazione. Piace la vastità, in quanto vastità, anche nelle sensazioni
assolutamente dispiacevoli, sebbene il dispiacere essendo vasto, paia che debba
essere, e sia per una parte maggiore.
[2251,1]
Alla p. 2243.
Tutto ciò che è finito, tutto ciò che è ultimo, desta sempre naturalmente nell'uomo un sentimento di
dolore, e di malinconia. Nel tempo stesso eccita un sentimento piacevole, e
piacevole nel medesimo dolore, e ciò a causa dell'infinità dell'idea che si
contiene in queste parole finito,
ultimo ec. (le quali però sono di lor natura, e saranno sempre
poeticissime, per usuali e volgari che sieno, in qualunque lingua e stile. E tali son pure
2252
in qualsivoglia lingua ec. quelle altre
parole e idee, che ho notate in vari luoghi p. 1534
p.
1789
pp. 1825-26
pp.
1927-30, come poetiche per se, e per l'infinità che essenzialmente
contengono.) (13. Dic. 1821.). {{V. p. 2451.}}
[2257,2] L'altezza di un edifizio o di una fabbrica qualunque
sì di fuori che di dentro, di un monte ec. è piacevole sempre a vedere, tanto
che si perdona in favor suo anche la sproporzione. Come in una guglia altissima
e sottilissima. Anzi quella stessa sproporzione piace, perchè dà risalto
all'altezza, e ne accresce l'apparenza e l'impressione e la percezione e il
sentimento e il concetto. Ad uno il quale udiva che l'altezza straordinaria di
un certo tempio era ripresa come sproporzionata alla grandezza ec. sentii dire
che se questo era un difetto, era bel difetto, ed appagava e ricreava
2258 l'animo dello spettatore. La causa naturale ed
intrinseca {e metafisica} di questi effetti l'intendi
già bene. (16. Dic. 1821.).
[2263,1]
Antichi, antico, antichità; posteri, posterità sono
parole poeticissime ec. perchè contengono un'idea 1. vasta, 2. indefinita ed
incerta, massime posterità della quale non sappiamo
nulla, ed antichità similmente è cosa oscurissima per
noi. Del resto tutte le parole che esprimono generalità, o una cosa in generale,
appartengono a queste considerazioni. (20. Dic. 1821.).
[2350,1]
2350
Alto, altezza e simili sono
parole e idee poetiche ec. per le ragioni accennate altrove, {(p. 2257.)} e
così le immagini che spettano a questa qualità. (14. Gen.
1822.)
[2629,2] A ciò che ho detto altrove delle voci ermo, eremo, romito, hermite, hermitage, hermita ec.
tutte fatte dal greco ἔρημος, aggiungi lo spagnuolo ermo, ed ermar (con ermador ec.) che significa desolare,
vastare, appunto come il greco ἐρημόω. (3. Ottobre. 1822.).
{+Queste voci e simili
sono tutte poetiche per l'infinità o vastità dell'idea ec. ec. Così la
deserta notte, e tali immagini di solitudine, silenzio
ec.}
[2645,2] La storia greca, romana ed ebrea contengono le
reminiscenze delle idee acquistate da ciascuno nella sua fanciullezza. Ciascun
nome, ciascun fatto delle dette storie, e massime i principali e più noti ci
richiamano idee quasi primitive per noi, e sono in certo modo legati alla storia
della vita, e della fanciullezza
2646
massimente[massimamente], delle cognizioni, de'
pensieri di ciascuno di noi. Quindi l'interesse che ispirano le dette storie, e
loro parti, e tutto ciò che loro appartiene; interesse unico nel suo genere,
come fu osservato da Chateaubriand
(Génie ec.); interesse che non può esserci mai ispirato da
verun'altra storia, sia anche più bella, varia, grande, e per se più importante
delle sopraddette; sia anche più importante per noi, come le storie nazionali.
Le suddette tre sono le più interessanti perchè sono le più note; perchè sono le più domestiche, familiari, pratiche, e quasi
strette parenti di ciascun uomo civile e colto, ancorchè di patria diversissimo
da queste tre nazioni. E perciò elle sono le più, anzi le sole, feconde di
argomenti {storici} veramente propri d'epopea, di
tragedia, ec.
2647 e all'interesse dei detti argomenti,
massime nella poesia, non si può supplire in verun conto, nè con veruna
industria, cavando argomenti {o dall'immaginazione, o}
dalle altre storie, neppur dalle patrie. Aggiungasi alle tre dette storie,
quella della guerra troiana, la quale interessa sommamente per le dette ragioni,
anzi più delle altre tre, perchè i poemi d'Omero e di Virgilio, l'hanno
resa più nota e familiare a ciascuno, che verun'altra, e perch'ella a cagione
dei detti poemi, delle favole ec. è più legata alle ricordanze della nostra
fanciullezza, che non sono la storia greca e romana, e neanche l'ebrea. Tutto
ciò è relativo, e l'interesse delle dette storie non deriva particolarmente
dalle loro proprie e intrinseche qualità, ma dalla circostanza estrinseca
dell'essere le medesime familiari
2648 a ciascuno fin
dalla sua fanciullezza; tolta la qual circostanza, che ben si potrebbe togliere,
dipendendo dalla educazione ec., questo interesse o si confonderebbe e
agguaglierebbe con quello delle altre storie, e argomenti storici, o sarebbe
anche superato. (Roma. 25. Nov. 1822.).
[2804,1] Si sa che negli antichi drammi aveva gran parte il
coro. Del qual uso molto si è detto a favore e contro. {Vedi
il Viaggio d'Anacarsi
cap. 70.} Il dramma moderno l'ha sbandito, e bene
stava di sbandirlo a tutto ciò ch'è moderno. Io considero quest'uso come parte
di quel vago, di quell'indefinito ch'è la principal cagione dello charme dell'antica poesia e bella letteratura.
L'individuo è sempre cosa piccola, spesso brutta, spesso disprezzabile. Il bello
e il grande ha bisogno dell'indefinito, e questo {indefinito} non si poteva introdurre sulla scena, se non
introducendovi la moltitudine. Tutto quello che vien dalla moltitudine è
rispettabile, bench'ella sia composta d'individui tutti disprezzabili. Il
pubblico,
2805 il popolo, l'antichità, gli antenati, la
posterità: nomi grandi e belli, perchè rappresentano un'idea indefinita.
Analizziamo questo pubblico, questa posterità. Uomini la più parte da nulla,
tutti pieni di difetti. Le massime di giustizia, di virtù, di eroismo, di
compassione, d'amor patrio sonavano negli antichi drammi sulle bocche del coro,
cioè di una moltitudine indefinita, e spesso innominata, giacchè il poeta non
dichiarava in alcun modo di quali persone s'intendesse composto il suo coro.
Esse erano espresse in versi lirici, questi si cantavano, ed erano accompagnati
dalla musica degl'istrumenti. Tutte queste circostanze, che noi possiamo
condannare quanto ci piace come contrarie alla verisimiglianza, come assurde,
ec. quale altra impressione potevano produrre, se non un'impressione vaga e
indeterminata, e quindi tutta {grande,} tutta bella,
tutta poetica? Quelle massime non erano poste in bocca di un individuo, che le
recitasse in tuono ordinario e naturale.
2806 Per
grande e perfetto che il poeta avesse finto questo individuo, la idea medesima
d'individuo è troppo determinata e ristretta, per produrre una sensazione o
concezione indeterminata ed immensa. Queste qualità contrastano con quelle, e
quelle avrebbero direttamente impedita questa concezione, non che potessero
produrla. Gli uditori avrebbero conosciuto il nome, le azioni, le qualità, le
avventure di quell'individuo. Egli sarebbe stato sempre quel tal Teseo, quel tal Edipo, re di Tebe, uccisore
del padre, marito della madre, e cose simili. La nazione intera, la stessa
posterità compariva sulla scena. Ella non parlava come ciascuno de' mortali che
rappresentavano l'azione: ella s'esprimeva in versi lirici e pieni di poesia. Il
suono della sua voce non era quello degl'individui umani: egli era una musica
un'armonia. Negl'intervalli della rappresentazione questo attore ignoto,
innominato, questa moltitudine di mortali, prendeva a far delle profonde o
sublimi riflessioni
2807 sugli avvenimenti ch'erano
passati o dovevano passare sotto gli occhi dello spettatore, piangeva le miserie
dell'umanità, sospirava, malediceva il vizio, eseguiva la vendetta
dell'innocenza e della virtù, la sola vendetta che sia loro concessa in questo
mondo, cioè l'esecrare che fa il pubblico e la posterità gli oppressori delle
medesime; esaltava l'eroismo, rendeva merito di lodi ai benefattori degli
uomini, al sangue dato per la patria. (V. Oraz.
art. poet. v. 193-201.) Questo era
quasi lo stesso che legare sulla scena il mondo reale col mondo ideale e morale,
come essi sono legati nella vita: e legarli drammaticamente, cioè recando questo
legame sotto i sensi dello spettatore, secondo l'uffizio e il costume del poeta
drammatico, e quanto è possibile al dramma di rappresentare quello che è. Questo era personificare le immaginazioni del poeta,
e i sentimenti degli uditori e della nazione a cui lo spettacolo si
rappresentava. Gli avvenimenti erano
2808 rappresentati
dagl'individui; i sentimenti, le riflessioni, le passioni, gli effetti ch'essi
producevano o dovevano produrre nelle persone poste fuori di essi avvenimenti
erano rappresentati dalla moltitudine, da una specie di essere ideale. Questo
s'incaricava di raccogliere ed esprimere l'utilità che si cava dall'esempio di
quelli avvenimenti. E per certo modo gli uditori venivano ad udire gli stessi
sentimenti che la rappresentazione ispirava loro, rappresentati altresì sulla
scena, e si vedevano quasi trasportati essi medesimi sul palco a fare la loro
parte; o imitati {{dal coro,}} non meno che si fossero
gli eroi imitati e rappresentati dagli attori individui. Anche quando il coro
prendeva parte diretta all'azione, questo fare agir nel dramma la moltitudine,
era più poetico, e doveva produrre maggiore e più vivo effetto, che {il} divider tutta l'azione fra pochi individui, come noi
facciamo.
[3909,2]
Alla p. 3310.
Quanto influisca sempre l'immaginazione, l'opinione, la prevenzione ec.
sull'amore anche corporale, sui sentimenti che un uomo prova in particolare
verso una donna, o una donna verso un uomo, è cosa notissima. E in particolare
ha forza sull'amore, non solo platonico o sentimentale, ma eziandio corporale
verso gl'individui particolari, tutto ciò che ha del misterioso, e che serve a
rendere poco noto all'amante l'oggetto del suo amore, e quindi a dar campo alla
sua immaginazione di fabbricare, per dir così, intorno ad esso oggetto. Perciò
moltissimo contribuisce all'amore e al desiderio anche corporale, tutto ciò che
ha relazione ai pregi {+o alle qualità
comunque amabili} dell'animo nell'oggetto amabile, e in particolare un
certo carattere profondo, malinconico, sentimentale, o un mostrar di rinchiudere
in se più che non apparisce di fuori. Perocchè l'animo e le sue qualità, e
massimamente queste che ho specificate, son cose occulte, ed ignote all'altre
persone, e dan luogo in queste all'immaginare, ai concetti vaghi e
indeterminati; i quali concetti e le quali immaginazioni congiungendosi al
natural desiderio che porta l'individuo dell'un sesso verso quello dell'altro,
danno un infinito risalto a questo desiderio, accrescono strabocchevolmente
3910 il piacere che si prova nel soddisfarlo; le idee
misteriose e naturalmente indeterminate, che hanno relazione all'animo
dell'oggetto amato, che nascono dalle qualità e parti apparenti del suo spirito,
e massime se da qualità che abbiano del profondo e del nascosto e dell'incerto,
e che promettano o dimostrino {+altre lor
parti o} altre qualità occulte ed amabili ec., queste idee dico,
congiungendosi alle idee chiare e determinate che hanno relazione al materiale
dell'oggetto amato, e comunicando loro del misterioso e del vago, le rendono
infinitamente più belle, e il corpo della persona amata o amabile, infinitamente
più amabile, pregiato, desiderabile; e caro quando si ottenga.
[3952,1]
3952 Dal detto altrove pp. 109-11
pp. 1234-36
pp. 1701-706 circa le
idee concomitanti annesse alla significazione o anche al suono stesso e ad altre
qualità delle parole, le quali idee hanno tanta parte nell'effetto, massimamente
poetico ovvero oratorio ec., delle scritture, ne risulta che necessariamente
l'effetto d'una stessa poesia, orazione, verso, frase, espressione, parte
qualunque, maggiore o minore, di scrittura, è, massime quanto al poetico,
infinitamente vario, secondo gli uditori o lettori, e secondo le occasioni e
circostanze anche passeggere e mutabili in cui ciascuno di questi si trova.
Perocchè quelle idee concomitanti, indipendentemente ancora affatto dalla parola
o frase per se, sono differentissime per mille rispetti, secondo le dette
differenze appartenenti alle persone. Siccome anche gli effetti poetici {ec.} di mille altre cose, anzi forse di tutte le cose,
variano infinitamente secondo la varietà e delle persone e delle circostanze
loro, abituali o passeggere o qualunque. Per es. una medesima scena della natura
diversissime sorte d'impressioni può produrre e produce negli spettatori secondo
le dette differenze; come dire se quel luogo è natio, e quella scena collegata
colle reminiscenze dell'infanzia ec. ec. se lo spettatore si trova in istato di
tale o tal passione, ec. ec. E molte volte non produce impressione alcuna in un
tale, al tempo stesso che in un altro la fa grandissima. Così discorrasi delle
parole e dello stile che n'è composto e ne risulta, e sue qualità e differenze
ec. e questa similitudine è molto a proposito.
[4060,1] L'uomo (per l'amor della vita) ama naturalmente e
desidera e abbisogna di sentire, o gradevolmente, o comunque purchè sia
vivamente (la qual vivezza qualunque, non può essere senza positivo diletto, nè
sensazione indifferente
4061 veramente). {Sì} Ιl sentire dispiacevolmente {come} il non sentire sono cose assolutamente penose per lui. E talora
è men penosa, anzi più grata una sensazione con alquanto di dispiacevole, che la
privazion di sensazioni. Se l'uomo potesse sentire infinitamente, di qualunque
genere si fosse tal sensazione, purchè non dispiacevole, esso in quel momento
sarebbe felice, perchè la sensazione è così viva, il vivo (non dispiacevole in
se) è piacevole all'uomo per se stesso e qualunque ei sia. Dunque l'uomo
proverebbe in quel momento un piacere infinito, e quella sensazione, benchè
d'altronde indifferente, sarebbe un piacere infinito, quindi perfetto, quindi
l'uomo ne saria pago, quindi felice.
[4286,6]
Memorie della mia vita. Cangiando
spesse volte il luogo della mia dimora, e fermandomi dove più dove meno o mesi o
anni, m'avvidi che io non mi trovava mai contento, mai nel mio centro, mai
naturalizzato in luogo alcuno, comunque per altro ottimo, finattantochè io non
aveva delle rimembranze da attaccare a quel tal luogo, alle stanze dove io
dimorava, alle vie, alle case che io frequentava; le quali rimembranze non
consistevano in altro che in poter dire: qui fui tanto tempo fa; qui, tanti mesi
sono, feci, vidi, udii la tal cosa; cosa che del resto non sarà stata di alcun
momento; ma la ricordanza, il potermene ricordare, me la rendeva importante e
dolce. Ed è manifesto che questa facoltà e copia di ricordanze annesse ai luoghi
abitati da me, io non poteva averla se non con successo di tempo, e col tempo
non mi poteva mancare. Però io era sempre tristo in qualunque luogo nei primi
mesi, e coll'andar del tempo mi trovava
4287 sempre
divenuto contento ed affezionato a qualunque luogo.
(Firenze. 23. Luglio. 1827.). {{Colla rimembranza, egli mi diveniva quasi il luogo
natio.}}
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