Spirito. Spiritualità dell'anima, ec.
Spirit. Spirituality of the soul, etc.
601,4 1025,12 1054,1 1262,1 1388,1 1615,2 1635,2 1657,1 1691,2 1764,2 2073,1 2311 2479,1 3341,1 3497,1 4111,3 4206,4 4251,32 4288,2[601,4] La mente nostra non può non solamente conoscere, ma
neppur concepire alcuna cosa oltre i limiti della materia. Al di là, non
possiamo con qualunque possibile sforzo, immaginarci una
602 maniera di essere, una cosa diversa dal nulla. Diciamo che l'anima
nostra è spirito. La lingua pronunzia il nome di questa sostanza, ma la mente
non ne concepisce altra idea, se non questa, ch'ella ignora che cosa e quale e
come sia. Immagineremo un vento, un etere, un soffio (e questa fu la prima idea
che gli antichi si formarono dello spirito, quando lo chiamarono in greco πνεῦμα
da πνέω, e in latino spiritus da spiro: ed anche anima presso i latini si
prende per vento, come presso i greci ψυχή derivante da ψύχω, flo spiro, ovvero refrigero); immagineremo una fiamma; assottiglieremo l'idea della materia
quanto potremo, per formarci un'immagine e una similitudine di una sostanza
immateriale; ma una similitudine sola: alla sostanza medesima non arriva nè
l'immaginazione, nè la concezione dei viventi, di quella medesima sostanza, che
noi diciamo immateriale, giacchè finalmente è l'anima appunto e lo spirito che
non può concepir se stesso. In così perfetta oscurità pertanto ed ignoranza su
tutto quello che è, o si suppone fuor della materia, con che
603 fronte, o con qual menomo fondamento ci assicuriamo noi di dire
che l'anima {nostra} è perfettamente semplice, e
indivisibile, e perciò non può perire? Chi ce l'ha detto? Noi vogliamo l'anima
immateriale, perchè la materia non ci par capace di quegli effetti che notiamo e
vediamo operati dall'anima. Sia. Ma qui finisce ogni nostro raziocinio; qui si
spengono tutti i lumi. Che vogliamo noi andar oltre, e analizzar la sostanza
immateriale, che non possiamo concepir quale nè come sia, e quasi che l'avessimo
sottoposta ad esperimenti chimici, pronunziare ch'ella è del tutto semplice e
indivisibile e senza parti? Le parti non possono essere immateriali? Le sostanze
immateriali non possono essere di diversissimi generi? E quindi esservi gli
elementi immateriali de' quali sieno composte le dette
sostanze, come la materia è composta di elementi materiali. Fuor della materia
non possiamo concepir nulla, la negazione e l'affermazione sono egualmente
assurde: ma domando io: come dunque sappiamo che {l'}immateriale è indivisibile? Forse l'immateriale, e l'indivisibile
nella nostra mente sono tutt'uno? sono gli attributi di una stessa idea?
604 Primieramente ho già dimostrato come l'idea delle
parti non ripugni in nessun modo all'idea dell'immateriale. Secondariamente, se
l'immateriale è indivisibile e uno per essenza, non è egli diviso, non ha egli
parti, quando le sostanze immateriali, ancorchè tutte uguali, sono pur molte e
distinte? Dunque non vi sarà pluralità di spiriti, e tutte le anime saranno una
sola.
[1025,2] Sebben l'uomo desidera sempre un piacere infinito,
egli desidera però un piacer materiale e sensibile, quantunque quella infinità,
o indefinizione ci faccia velo per credere che si tratti di qualche cosa
spirituale. Quello spirituale che noi concepiamo confusamente nei nostri
desiderii, o nelle nostre sensazioni
1026 più vaghe,
indefinite, vaste, sublimi, non è altro, si può dire, che l'infinità, o
l'indefinito del materiale. Così che i nostri desiderii e le nostre sensazioni,
anche le più spirituali, non si estendono mai fuori della materia, più o meno
definitamente concepita, e la più spirituale e pura e immaginaria e
indeterminata felicità che noi possiamo o assaggiare o desiderare, non è mai nè
può esser altro che materiale: perchè ogni qualunque facoltà dell'animo nostro
finisce assolutamente sull'ultimo confine della materia, ed è confinata
intieramente dentro i termini della materia. (9. Maggio 1821.).
[1054,1] Come senza una lingua sono quasi impossibili le
cognizioni e nozioni, massime non corporee, o immateriali, e senza una lingua
ricca e perfetta, la moltitudine e perfezione delle dette cognizioni ed idee, e
il perfezionamento o il semplice incremento delle lingue conferisce
assolutamente a quello delle idee, conforme ha evidentemente dimostrato, oltre a
tanti altri e più antichi {+da Locke in poi,
(Sulzer, l. cit. qui dietro, p. 101. nota del Soave)}
e massime più moderni, il Sulzer nelle
Osservazioni
citate nella pag. qui dietro; così
proporzionatamente senza una lingua {(propria)}
arrendevole, varia, libera ec. è difficilissima la perfetta cognizione, e il
perfetto sentimento e gusto dei segni proprii delle altre lingue, mancando o
scarseggiando l'istrumento della concezione dei segni, come nell'altro caso
sopraddetto, l'istrumento della concezione chiara e fissa, {determinata e formata} delle cose {e delle
idee,} e della memoria di dette concezioni. (15. Maggio
1821.).
[1262,1] A quello che ho detto altrove pp. 601-602 della
impossibilità di formarsi idea veruna al di là della materia, e del nome
materiale imposto allo stesso spirito e all'anima, aggiungete che noi non
possiamo concepire verun affetto dell'animo nostro se non sotto forme o
simiglianze materiali, nè dargli ad intendere se non per via di traslati presi
dalla materia (sebbene alle volte abbiano perduto col tempo il significato
proprio e primitivo per ritenere il metaforico), come infiammare, confortare,
muovere, toccare, {inasprire, addolcire, intenerire,
addolorare,} innalzar l'animo ec. ec. Nè solo gli affetti ma gli
accidenti tutti o siano prodotti da cose interiori, o dall'azione immediata
degli oggetti esteriori, come costringere, ed altri de' sopraddetti ec. (2. Luglio
1821.). {{V. p. 1388. princip.}}
[1388,1]
1388
Alla p. 1262. al
capoverso 1. Chiunque potesse attentamente osservare e scoprire le
origini ultime delle parole in qualsivoglia lingua, vedrebbe che non v'è azione
o idea umana, o cosa veruna la quale non cada precisamente sotto i sensi, che
sia stata espressa con parola originariamente applicata a lei stessa, e ideata
per lei. Tutte simili cose, oltre che non sono state denominate se non tardi,
quantunque fossero comunissime, usualissime e necessarie alla lingua, e alla
vita ec.; non hanno ricevuto il nome se non mediante metafore, similitudini ec.
prese dalle cose affatto sensibili, i cui nomi hanno servito in qualunque modo,
e con qualsivoglia modificazione di significato o di forma, ad esprimere {le} cose non sensibili; e spesso sono restati in
proprietà a queste ultime, perdendo il valor primitivo. Osservate p. e. l'azione
di aspettare. Ell'è affatto esteriore, e materiale, ma siccome non cade
precisamente sotto i sensi, perciò non è stata espressa nelle nostre lingue se
non per via di una metafora presa dal guardare, ch'è azione tutta sensibile.
V. la p. 1106. Bensì questa
metafora
1389 è poi divenuta parola propria, perdendo
il senso primitivo.
[1615,2] Ma lo spirito è più perfetto della materia - 1. Che
cosa è lo spirito? Come sapete ch'esiste, non sapendo che cosa sia? non potendo
concepire al di là della materia una menoma forma di essere? 2. perchè è più
perfetto della materia? - Perchè non si può distruggere, e perchè non ha parti
ec. - Il non aver parti chi vi ha detto che sia maggior perfezione dell'averne?
Chi vi ha detto che lo spirito non ha parti? che avendone o no, non si possa
distruggere ec. ec.? {+Come potete
affermare o negar nulla intorno alle qualità di ciò che neppur concepite, e
quasi non sapete se sia possibile? Tutto è dunque un romanzo arbitrario
della vr̃a[vostra] fantasia, che può
figurarsi un essere come vuole.} V. un altro mio pensiero in tal
proposito pp. 601-606
pp. 629-33. (2.
Sett. 1821.).
[1635,2] Un corpo, essendo composto, dimostra l'esistenza di
altre cose che lo compongano. Ma siccome tutte le parti o sostanze materiali
componenti la materia, sono altresì composti, però bisogna necessariamente
salire ad esseri che non sieno materia. Così discorrono i Leibniziani per
arrivare alle loro Monadi o Esseri semplici {e incorporei,
(de' quali compongono i corpi)} e quindi all'Unità, ed al principio di
tutte le cose. Or dico io. Arrivate fino alla menoma parte o sostanza materiale,
e ditemi se potete, le parti o sostanze di cui questa si compone, non sono più
materia, ma spirito. Arrivate anche se potete, agli atomi o particelle
indivisibili e senza parti. Saranno sempre materia. Al di là non troverete mica
lo spirito ma il nulla. Affinate quanto volete l'idea della materia, non
oltrepasserete mai la
1636 materia. Componete quanto vi
piace l'idea dello spirito, non ne farete mai nè estensione, nè lunghezza ec.
non ne farete mai della materia. Come si può compor la materia di ciò che non è
materia? {+Il corpo non si può comporre
di non corpi, come ciò che è di ciò che non è: nè da questo si può
progredire a quello, o viceversa.} - Ma finchè la materia è materia,
ell'è divisibile e composta. - Trovatemi dunque quel punto in cui ella si
compone di cose che non sono composte, cioè non sono materia. Non v'è scala,
gradazione, nè progressione che dal materiale porti all'immateriale (come non
v'è dall'esistenza al nulla). Fra questo e quello v'è uno spazio immenso, ed a
varcarlo v'abbisogna il salto (che da' Leibniziani giustamente si nega in
natura). Queste due nature sono affatto separate e dissimili come il nulla da
ciò che è; non hanno alcuna relazione fra loro; il materiale non può comporsi
dell'immateriale più di quello che l'immateriale del materiale; e dall'esistenza
della materia (contro ciò che pensa Leibnizio) non si può argomentare quella dello spirito più di quello
che dall'esistenza dello spirito si potesse argomentare quella della materia.
V. Dutens, par. 2. tutto il capo 1. (5.
Sett. 1821.).
[1657,1] Tutto è materiale nella nostra mente e facoltà.
L'intelletto non potrebbe niente senza la favella, perchè la parola è quasi il
corpo dell'idea la più astratta. Ella è infatti cosa materiale, e l'idea legata
e immedesimata nella parola, è quasi materializzata. La nostra memoria, tutte le
nostre facoltà mentali, non possono, non ritengono, non concepiscono esattamente
nulla, se non riducendo ogni cosa a materia, in qualunque modo, ed attaccandosi
sempre alla materia quanto è possibile; e legando l'ideale col sensibile; e
notandone i rapporti {più o meno lontani,} e servendosi
di questi
1658 alla meglio. (9. Sett.
1821.). {{V. p. 1689. capoverso
2.}}
[1691,2] Voi altri riformatori dello spirito umano, e
dell'opera della natura, voi altri predicatori della ragione, provatevi un poco
a
1692 fare un romanzo, un poema ec. il cui
protagonista si finga perfettissimo e straordinario in tutte le parti morali, e
dipendenti dall'uomo, e imperfetto {o men che perfetto}
nelle parti fisiche, dove l'uomo non ha per se verun merito. Di che si parla in
questo secolo sì spirituale massime in letteratura che oramai par che sdegni
tutto ciò che sa di corporeo, di che si parla, dico, ne' poemi, ne' romanzi,
nelle opere tutte d'immaginazione e sentimento, fuorchè di bellezza del corpo?
Questa è la prima condizione in un personaggio che si vuol fare interessante.
{+La perfettibilità
dell'uomo, come altrove ha[ho] detto
p. 830, non ha che fare col corpo. E
contuttociò la perfezione del corpo, che non dipende dagli uomini nè è
opera della ragione, si è la principal condizione che si ricerca in un
eroe di poema ec. (o si dee supporre, perchè ogni menoma imperfezione
corporale suppostagli guasterebbe ogni effetto) e la più efficace,
supponendolo ancora perfetto nello spirito.} Questa
circostanza non si può tacere; quando anche si taccia, la supplirà il lettore;
ma fare espressamente un protagonista brutto, è lo stesso che rinunziare a
qualsivoglia effetto. (V. ciò che dico in tal proposito dove parlo della
compassione pp. 220-21). Mad.
di Staël non era bella: in un'anima come la sua, questa circostanza
avrà prodotto mille pensieri e sentimenti sublimi, nuovissimi a scriverli,
profondissimi, sentimentalissimi: (così di Virgilio pretende Chateaubriand) ella amava
sopra tutto l'originalità, e poco teneva il buon
1693
gusto (v. Allemagne tome 1. ch. dernier.): ella, come tutti i
grandi, dipingeva ne' suoi romanzi il suo cuore, i suoi casi, e però si serve di
donne per li principali effetti; nondimeno si guarda bene di far brutti o men
che belli i suoi eroi o le sue eroine. Tutto lo spregiudizio, tutto l'ardire,
tutta l'originalità di un autore in qualsivoglia tempo non può giunger fin qua.
Che cosa è la bellezza? lo stesso in fondo, che la nobiltà e la ricchezza: dono
del caso? È egli punto meno pregevole un uomo sensibile e grande, perchè non è
bello? {+Quale inferiorità di vero merito
si trova nel più brutto degli uomini verso il più bello?} Eppure non
solamente lo scrittore o il poeta si deve guardare dal fingerlo brutto, ma deve
anche guardarsi da entrare in comparazioni sulla {sua}
bellezza. Ogni effetto svanirebbe se parlando o di se stesso (come fa il Petrarca) o del suo eroe, l'autore
dicesse ch'egli era sfortunato nel tale amore perchè le sue forme, o anche il
suo tratto e maniere esteriori (cosa al tutto corporea) non piacevano all'amata,
o perch'egli era men bello di un suo rivale ec. ec. Che cosa è dunque il mondo
fuorchè
1694 NATURA? Ho detto [pp. 601-603]
p. 1026
p. 1262
p. 1657 che l'intelletto umano è materiale in tutte le sue operazioni
e concezioni. La teoria stessa dell'intelletto si deve applicare al cuore e alla
fantasia. La virtù, il sentimento, i più grandi pregi morali, le qualità
dell'uomo le più pure, le più sublimi, infinite, le più immensamente lontane in
apparenza dalla materia, non si amano, non fanno effetto veruno se non come
materia, e in quanto materiali. Divideteli dalla bellezza, o dalle maniere
esteriori, non si sente più nulla in essi. Il cuore può bene immaginarsi di
amare lo spirito, o di sentir qualche cosa d'immateriale: ma assolutamente
s'inganna.
[1764,2] La memoria per potersi ricordare ha bisogno che
l'oggetto della ricordanza sia in qualche maniera determinato.
Dell'indeterminato ella non si ricorda se non difficilissimamente e per poco, o
solo se ne ricorda rispetto a quella parte ch'esso può avere di determinato. Chi
vuol ricordarsi di qualunque cosa bisogna che ne determini in qualche modo
l'idea nella sua mente; e questo è ciò che facciamo tutto giorno senza pensarvi.
Le parole determinano, i versi determinano. Or questa è appunto la
1765 proprietà della materia: l'avere i suoi confini
certi e conosciuti, e il non mancar mai di termini per ogni verso, e di
circoscrizione. Tutto il secreto per aiutar la memoria, si riduce a
materializzare le cose o le idee quanto più si possa: e quanto più vi si riesce,
tanto meglio la memoria si ricorda. Bensì il progresso dell'assuefazione cioè
della facoltà della memoria fa ch'ella possa sempre più facilmente ricordarsi di
cose sempre meno materiali di quelle delle quali le era possibile il ricordarsi
da bambino e da fanciullo. (22. Sett. 1821.).
[2073,1]
2073 Escludere affatto la materia dall'essenza di Dio,
non è altro che togliergli una maniera di essere, e quindi una perfezione
dell'esistenza, vale a dire togliergli un'esistenza completa, cioè in tutti i
modi possibili, e crederlo incapace di esistere materialmente, quasi ciò per se
stesso fosse un'imperfezione; o che quegli che esiste materialmente, non potesse
anche esistere immaterialmente, e dovesse per necessità esser limitato. Anzi
sarebbe limitato quell'essere che non esistesse nè potesse esistere
materialmente, e quindi imperfetto, cioè incompleto nella sua essenza, secondo
l'unica idea che noi possiamo formarci di una perfezione assoluta, la quale non
può essere se non un'essenza che abbracci tutti i possibili modi di essere. Ora
la materia è un modo di essere non solo possibile, ma reale, e tanto ch'è
l'unico modo reale che noi possiamo effettivamente conoscere, e distintamente
immaginare; nè solo noi, ma tutte le creature che noi distintamente
2074 ed effettivamente possiamo conoscere, o
conosciamo, non possono immaginare o sentire altro modo di essere. Nè perchè Dio
esistesse materialmente, sarebbe materiale, ma abbraccierebbe anche la materia
nella sua essenza; il che è certo e convenuto anche fra' teologi, che
riconoscono in Dio il tipo, e l'idea, o la forma e la ragione antecedente di
tutte le cose possibili, e maniere di essere. Or come potrebbe l'essenza di Dio
perfettamente abbracciare e contenere la forma e il modo di essere della materia
(unica forma e modo che appartenga a tutto quel creato ed esistente che noi
conosciamo) o di qualunque altra natura possibile, s'egli non esistesse
materialmente e in qualunque altro modo possibile?
[2310,1] Eccoci dunque con questo hil nudo e manifesto nelle mani, e se attenderete alle
2311 cose dette di sopra, e se avrete niente di spirito
filosofico, vedrete quanto sia naturale e probabile che siccome ne homo cioè nemo, vuol dire
nessuna persona, così ne
hil cioè nihil volesse dire primitivamente
nessuna materia, cioè nessuna
cosa (v. p. 2309. mezzo, e
i miei vari pensieri pp. 601-602
p.1262
pp. 1388-91
pp. 1657-58 sulla necessaria e somma materialità di tutte le
primitive lingue, e di tutte le primitive idee umane, anzi non pur delle
primitive, ma di tutte le idee madri ed elementari); ovvero non materia, non cosa, cioè insomma, e formalmente ed espressamente,
nulla. (così i greci οὐδέν neque unum ec. non quidquam, μηδέν, οὔτι,
μήτι ec.)
[2479,1]
2479 Quanto prevaglia nell'uomo la materia allo
spirito, si può considerare anche dalla comparazione dei dolori. Perocchè i
dolori dell'animo non sono mai paragonabili ai dolori del corpo, ragguagliati
secondo la stessa proporzione di veemenza relativa. E sebben paia molte volte a
chi è travagliato da grave pena dell'animo, che sarebbe più tollerabile
altrettanta pena nel corpo; l'esperienza ragguagliata dell'una e dell'altra può
convincere facilmente chiunque sa riflettere che tra' dolori dell'animo e quelli
del corpo, supponendoli ancora, relativamente, in un medesimo grado, non v'è
alcuna proporzione. E quelli possono esser superati dalla grandezza o forza
dell'animo, dalla sapienza ec. (lasciando stare che il tempo consola ogni cosa),
ma questi hanno forza d'abbattere e di vincere ogni maggior costanza. (15.
Giugno 1822.).
[3341,1] I limiti della materia sono i limiti delle umane
idee. (3. Settembre. 1823.).
[3497,1] Le speranze che dà all'uomo il Cristianesimo sono
pur troppo poco atte a consolare l'infelice e il travagliato in questo mondo, a
dar riposo all'animo di chi si trova impediti quaggiù i suoi desiderii,
ributtato dal mondo, perseguitato o disprezzato dagli uomini, chiuso l'adito ai
piaceri, alle comodità, alle utilità, agli onori temporali, inimicato dalla
fortuna. La {promessa e l'aspettativa}
{di} una felicità grandissima e somma ed intiera bensì,
ma 1.o che l'uomo non può comprendere nè immaginare nè pur concepire o
congetturare in niun modo di che natura sia, nemmen per approssimazione, 2.o
ch'egli sa bene di non poter mai nè concepire nè immaginare nè averne veruna
idea finchè gli durerà questa vita, 3.o ch'egli sa espressamente esser di natura
affatto diversa ed aliena da quella che in questo mondo ei desidera, da quella
che quaggiù gli è negata, da quella il cui desiderio e la cui privazione forma
il soggetto e la causa della sua infelicità; una tal promessa, dico, e una tale
3498 espettativa è ben poco atta a consolare in
questa vita l'infelice e lo sfortunato, a placare {e
sospendere} i suoi desiderii, a compensare quaggiù le sue privazioni.
La felicità che l'uomo naturalmente desidera è una felicità temporale, una
felicità materiale, e da essere sperimentata dai sensi o da questo nostro animo
tal qual egli è presentemente e qual noi lo sentiamo; una felicità insomma di
questa vita e di questa esistenza, non di un'altra vita e di una esistenza che
noi sappiamo dover essere affatto da questa diversa, e non sappiamo in niun modo
concepire di che qualità sia per essere. La felicità è la perfezione e il fine
dell'esistenza. Noi desideriamo di esser felici perocchè esistiamo. Così
chiunque vive. È chiaro adunque che noi desideriamo di esser felici, non
comunque si voglia, ma felici secondo il modo nel quale infatti esistiamo. {#1. L'uomo non desidera la felicità
assolutamente, ma la felicità umana (così gli altri animali), nè la felicità
qualch'ella sia, ma una tale, benchè non definibile, felicità. Ei la
desidera somma e infinita, ma nel suo genere, non infinita in questo senso
ch'ella comprenda la felicità del bue, della pianta, dell'Angelo e tutti i
generi di felicità ad uno ad uno. Infinita è realmente la sola felicità di
Dio. Quanto all'infinità, l'uomo desidera una felicità come la divina, ma
quanto all'altre qualità ed al genere di essa felicità, l'uomo non potrebbe
già veramente desiderare la felicità di Dio. L'uomo che invidia al suo
simile un vestito, una vivanda, un palagio, non è propriamente mai tocco nè
da invidia nè da desiderio dell'immensa e piena felicità di Dio, se non solo
in quanto immensa, e più in quanto piena e perfetta. Veggasi la p. 3509. massime in
margine.} È chiaro che la nostra esistenza desidera la
perfezione e il fin suo, non già di un'altra esistenza, e questa a lei
inconcepibile. La nostra esistenza desidera dunque la sua propria felicità; chè
desiderando quella di un'altra esistenza, ancorch'ella in questa s'avesse poi a
tramutare, desidererebbe, si può dire, una felicità non propria ma altrui,
3499 ed avrebbe per ultimo e vero fine non se stessa,
ma altrui, il che è essenzialmente impossibile a qualsivoglia Essere in
qualsivoglia operazione o inclinazione o pensiero ec. Laonde la felicità che
l'uomo desidera è necessariamente una felicità conveniente e propria al suo
presente modo di esistere, e della quale sia capace la sua presente esistenza.
Nè egli può mai lasciare di desiderar questa felicità per niuna ragione, nè per
niuna ragione può mai desiderare altra felicità che questa. E non è più
possibile che l'uomo mortale desideri veramente la felicità de' Beati, di quello
che il cavallo la felicità dell'uomo, o la pianta quella dell'animale; di quel
che l'animale erbivoro invidii al carnivoro o la sua natura, o la carne di cui
lo vegga cibarsi, all'uomo il piacere degli studi e delle cognizioni, piacere
che l'animale non può concepire nè che possa esser piacere, nè come, nè qual
piacere sia; e così discorrendo. E ben vero che nè l'uomo, nè forse l'animale nè
verun altro essere, può esattamente definire {+nè a se stesso nè agli altri,} qual sia
assolutamente e in generale la felicità ch'ei desidera; perocchè
3500 niuno forse l'ha mai provata, nè proveralla, e
perchè infiniti altri nostri concetti, ancorchè ordinarissimi e giornalieri,
sono per noi indefinibili. Massime quelli che tengono più della sensazione che
dell'idea; che nascono più dall'inclinazione e dall'appetito, che
dall'intelletto, dalla ragione, dalla scienza; che sono più materiali che
spirituali. Le idee sono per lo più definibili, ma i sentimenti quasi mai;
quelle si possono bene e chiaramente e distintamente comprendere ed abbracciare
e precisar col pensiero, questi assai di rado o non mai. Ma ciò non ostante, sì
l'animale che l'uomo sa bene e comprende, o certo sente, che la felicità ch'ei
desidera è cosa terrena. Quell'infinito medesimo a cui tende il nostro spirito
(e in qual modo e perchè, s'è dichiarato altrove pp. 165. sgg.
pp.
179-81
pp.
3027-29), quel medesimo è un infinito terreno, bench'ei non possa aver
luogo quaggiù, altro che confusamente nell'immaginazione e nel pensiero, o nel
semplice desiderio ed appetito de' viventi. Oltre di ciò niuno è che viva
senz'alcun desiderio determinato e chiaro e definibilissimo, negativo o
positivo, nel conseguimento
3501 del quale o di più
d'uno di loro, ei ripone sempre o espressamente o confusamente, benchè pur
sempre per errore, la sua felicità e 'l suo ben essere. Quel trovarsi senz'alcun
desiderio al mondo, se non quello di un non so che, {#1. quell'essere infelice senza mancare di niun bene nè
patire assolutamente niun male,} è impossibile; e se Augusto diceva d'essere in questo caso,
poteva parergli che così fosse, ma s'ingannava; e niuno mai si trovò veramente
in tal caso nè è per trovarvisi, perchè a niuno mai mancò nè è per mancar
materia di qualche desiderio determinato, più o men vivo, o ch'esso miri a cosa
che ci manchi, o a cosa che noi abbiamo e ci dispiaccia. {#2. Anzi a nessuno è per mancar mai materia di molti e
vivi desiderii determinati di questa specie.} Or tutti questi
desiderii determinati che noi abbiamo, ed avremo sempre, e che non soddisfatti,
ci fanno infelici, sono tutti di cose terrene. Promettere all'uomo, promettere
all'infelice una felicità celeste, benchè intera e infinita, {e superiore senza paragone alla terrena, e a' piccoli beni ch'egli
desidera,} si è come a un che si muor di fame e non può ottenere un
tozzo di pane, preparargli un letto morbidissimo, o promettergli degli
squisitissimi e beatissimi odori. Con questo divario che l'affamato concepirebbe
pure il piacer che fosse per provare il suo odorato da quella sensazione,
3502 e questo piacere sarebbe della medesima natura di
quello ch'ei desidera e non ottiene, cioè materiale e sensibile come l'altro.
Non così possiamo dire de' piaceri celesti promessi a chi desidera e non ottiene
i terreni, nel qual caso l'uomo si trova naturalmente e necessariamente sempre,
e l'infelice massimamente, benchè tutti a rigore sono infelici, e lo sono perchè
tutti e sempre si trovano nel detto caso. Ora i piaceri celesti, al contrario di
ciò che s'è detto qui sopra, son di natura affatto diversi da quelli che noi
desideriamo e non ottenghiamo, e non ottenendo siamo infelici; e questa lor
natura non può da noi per verun modo mai essere conceputa. Onde segue che la
consolazione che può derivare dallo sperarli, sia nulla in effetto; perchè a chi
desidera una cosa si promette un'altra ch'è diversissima da quella; a chi è
misero per un desiderio non soddisfatto, si promette di soddisfare un desiderio
ch'ei non ha e non può per sua natura avere nè formare; a chi brama un piacer
noto, e si duole di un male noto, si promette un piacere e un bene ch'ei non
conosce nè può conoscere, {e} ch'ei non vede nè può
vedere come sia per esser bene, {e} come possa
piacergli;
3503 a chi è misero in questa vita, e
desidera necessariamente la felicità di questa esistenza, ed altra esistenza non
può concepire nè desiderarne la felicità, si promette la beatitudine di una
tutt'altra esistenza e vita, di cui questo solo gli si dice, ch'ella è
sommamente e totalmente e più ch'ei non può immaginare diversa dalla sua
presente, e ch'ei non può figurarsi per niun conto qual ella sia. Come l'uomo
non può nè collo intelletto nè colla immaginazione nè con veruna facoltà nè
veruna sorta d'idee oltrepassare d'un sol punto la materia, e s'egli crede
oltrepassarla, e concepire o avere un'idea qualunque di cosa non materiale,
s'inganna del tutto; così egli non può col desiderio passare d'un sol punto i
limiti della materia, nè desiderar bene alcuno che non sia di questa vita e di
questa sorta di esistenza ch'ei prova; e s'ei crede desiderar cosa d'altra
natura, s'inganna, e non la desidera, ma gli pare di desiderarla. Come dunque ei
non può desiderar bene alcuno d'altra natura, così la promessa e la speranza di
tali beni, non può per modo alcuno
3504 consolarlo
realmente nè de' mali di questa vita nè della mancanza de' di lei beni, {+nè (quando e' non fosse infelice)
rallegrarlo e dilettarlo e compiacerlo colla dolcezza dell'aspettativa, e
intrattenerlo e contribuire quaggiù al suo contento.} Di più, l'uomo
si pasce per verità e si sostiene e vive grandissima parte della sua vita, anzi
pur tutta la vita sua, della speranza, ancorchè lontana, la qual è un piacere,
ma come e perchè? Perchè l'uomo va immaginando e contemplando seco stesso {a parte} a parte il godimento ch'egli attende o spera, e
prova diletto nel considerare e rappresentarsi il modo in che egli ne godrà,
{+e le sue qualità e condizioni e
circostanze,} anticipando ed {anzi}
assaporando {effettivamente} colla immaginazione mille
volte il piacer futuro. Ma questa contemplazione, questa rappresentazione,
quest'anticipazione, questo gusto o assaggio, questo deliro o sogno che ci fa
parere e ci rende infatti presente il piacer futuro, ancor più ch'ei nol sarà
quando si troverà presente in effetto (se egli si troverà mai presente), come
può aver luogo intorno a un piacere assolutamente inconcepibile, non solo nel
più e nel meno, o nella specie, ma nel genere, di modo che le nostre idee non
hanno alcun potere di abbracciarne o di avvicinarne nè pure una menoma parte?
Come ci può per verun deliro {o veruno sforzo}
dell'immaginazione {o dell'intelletto} parer presente
3505 quello a cui nè l'immaginazione nè
l'intelletto non si possono {neppure} a grandissimo
tratto avvicinare; quello che non è fatto nè per questa immaginazione nè per
questo intelletto; quello ch'è di natura affatto diversa da ciò che
l'immaginazione o l'intelletto può concepire o congetturare; quello che non
sarebbe ciò ch'egli è, s'a noi fosse possibile pure il congetturarlo; quello che
spetta a tutt'altra natura che la nostra presente? Come può per alcun modo o in
alcuna parte entrar nella mente nostra {una tutt'}altra
natura?
[4111,3] Quando noi diciamo che l'anima è spirito, non
diciamo altro se non che ella non è materia, e pronunziamo in sostanza una
negazione, non un'affermazione. Il che è quanto dire che spirito è una parola senza idea, come tante altre. Ma
perocchè noi abbiamo trovato questa parola grammaticalmente positiva, crediamo,
come accade, avere anche un'idea positiva della natura dell'anima che con quella
voce si esprime. Nel metterci però a definire questo spirito, potremo bene
accumulare mille negazioni o visibili o nascoste, tratte dalle idee e proprietà
della materia, che si negano nello spirito, ma non potremo aggiungervi niuna
vera affermazione, niuna qualità positiva, se non tratta dagli effetti {sensibili, e quindi in certa guisa materiali,} (il
pensiero, il senso ec.) che noi gratis
ascriviamo esclusivamente a esso spirito. E quel che dico dell'anima dico degli
altri enti immateriali, compreso il Supremo. (11. Luglio. Domenica.
1824). - Tanto è dire spirituale, quanto immateriale; questa, voce {affatto} negativa
grammaticalmente, quella ideologicamente. (11. Luglio. Domenica.
1824.).
[4206,4] È chiaro e noto che l'idea e la voce spirito non si può in somma e in conclusione definire
altrimenti che sostanza che non è materia, giacchè
niuna sua qualità positiva possiamo noi nè conoscere, nè nominare,
4207 nè anco pure immaginare pp. 1635-36
p.
4111. Ora il nome e l'idea di materia, idea e nome anch'essa astratta,
cioè ch'esprime collettivamente un'infinità di oggetti, tra se differentissimi
in verità (e noi poi non sappiamo se la materia sia omogenea, {+e quindi una sola sostanza
identica,} o {vero} distinta in elementi,
{+e quindi in altrettante
sostanze,} di natura ed essenza differentissimi, com'ella è distinta
in diversissime forme), l'idea dico ed il nome di materia abbraccia tutto quello
che cade o può cader sotto i nostri sensi, tutto quello che noi conosciamo, e
che noi possiamo conoscere e concepire; ed essa idea ed esso nome non si può
veramente definire che in questo modo, o almeno questa è la definizione che più
gli conviene, in vece dell'altra dedotta dall'enumerazione di certe sue qualità
comuni, come divisibilità, larghezza, lunghezza, profondità e simili. Per tanto
il definire lo spirito, sostanza che non è
materia, è precisamente lo stesso che definirla sostanza che non è di quelle che noi conosciamo o possiamo
conoscere o concepire, e questo è quel solo che noi venghiamo a dire e
a pensare ogni volta che diciamo spirito, o che
pensiamo a questa idea, la quale non si può, come ho detto, definire altrimenti.
Frattanto questo spirito, non essendo altro che quello che abbiam veduto, è
stato per lunghissimo spazio di secoli creduto contenere in se tutta la realtà
delle cose; e la materia, cioè quanto noi conosciamo e concepiamo, e quanto
possiamo conoscere e concepire, è stata creduta non essere altro che apparenza,
sogno, vanità appetto allo spirito. È impossibile non deplorar la miseria
dell'intelletto umano considerando un così fatto delirio. Ma se pensiamo poi che
questo delirio si rinnuova oggi completamente; che nel secolo 19.° risorge da
tutte le parti e si ristabilisce radicatamente lo spiritualismo, forse anche più
spirituale, per dir così, che in addietro; che i filosofi più illuminati della
più illuminata nazione moderna, si congratulano di riconoscere per
caratteristica di questo secolo, l'essere esso éminemment
4208
religieux,
*
cioè spiritualista; che può fare un
savio, altro che disperare compiutamente della illuminazione delle menti umane, e gridare: o Verità, tu sei sparita
dalla terra per sempre, nel momento che gli uomini incominciarono a
cercarti
*
. Giacchè è manifesto che questa e simili
innumerabili follie, dalle quali pare ormai impossibile e disperato il guarire
gl'intelletti umani, sono puri parti, non mica dell'ignoranza, ma della scienza.
L'idea chimerica dello spirito non è nel capo nè di un bambino nè di un puro
selvaggio. Questi non sono spiritualisti, perchè sono pienamente ignoranti. E i
bambini, e i selvaggi puri, e i pienamente ignoranti sono per conseguenza a
mille doppi più savi de' più dotti uomini di questo secolo de' lumi; come gli
antichi erano più savi a cento doppi per lo meno, perchè più ignoranti de'
moderni; e tanto più savi quanto più antichi, perchè tanto più ignoranti.
(Bologna. 26. Sett. 1826.). {{V. p.
4219.}}
[4251,2]
Grispignolo. {Lappa - lappula. lat., lappola. ital.}
[4288,2] La materia pensante si considera come un paradosso.
Si parte dalla persuasione della sua impossibilità, e per questo molti grandi
spiriti, come Bayle, nella considerazione di questo problema, non hanno saputo
determinar la loro mente a quello che si chiama, e che per lo innanzi era lor
sempre paruto, un'assurdità enorme. Diversamente andrebbe la cosa, se il
filosofo considerasse come un paradosso, che la materia non pensi; se partisse
dal principio, che il negare alla materia la facoltà di pensare, è una
sottigliezza della filosofia. Or così appunto dovrebbe esser disposto l'animo
degli uomini verso questo problema. Che la materia pensi, è un fatto. Un fatto,
perchè noi pensiamo; e noi non sappiamo, non conosciamo di essere, non possiamo
conoscere, concepire, altro che materia. Un fatto, perchè noi veggiamo che le
modificazioni del pensiero dipendono totalmente dalle sensazioni, dallo stato
del nostro fisico; che l'animo nostro corrisponde in tutto alle varietà ed alle
variazioni del nostro corpo. Un fatto, perchè noi sentiamo corporalmente il
pensiero: ciascun di noi sente che il pensiero non è nel suo braccio, nella sua
gamba; sente che egli pensa con una parte materiale di se, cioè col suo
cervello, come egli sente di vedere co' suoi occhi, di toccare colle sue mani.
Se la questione dunque si riguardasse, come si dovrebbe, da questo lato; cioè
che chi nega il pensiero alla materia nega un fatto, contrasta all'evidenza,
sostiene per lo meno uno stravagante paradosso; che chi crede la materia
pensante, non solo non avanza nulla di strano, di ricercato, di recondito, ma
avanza una cosa ovvia, avanza quello che è dettato dalla natura, la proposizione
più naturale e più ovvia che possa esservi in questa materia; forse le
conclusioni degli uomini su tal punto sarebbero diverse da quel che sono, e i
profondi filosofi
4289 spiritualisti di questo e de'
passati tempi, avrebbero ritrovato e ritroverebbero assai minor difficoltà ed
assurdità nel materialismo. (Firenze. 18. Sett.
1827.)
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