Perfezione assoluta. Ente perfettissimo. Dio.
Absolute perfection. The most perfect being. God.
Vedi Infinito. See Infinite. 1339,1 1341,1 1355,1 1461,1 1469,1 1613,1-1619,2 1625,1 1627,1.2 1637,1 1645,1 1710,1 1712,1 1790,1 1791,2 1907,2 2073,1 2178,1 2232,2 2263,2 2395,1 3760,1 4142,1 4204,1 4248,9 4257,11 4274,3[1339,1]
Alla p. 1257.
Insomma questa idea benchè entri subito nel bello ideale, è figlia della madre
comune di tutte le idee, cioè dell'esperienza che deriva dalle nostre
sensazioni, e non già di un insegnamento e di una forma ispirataci e impressaci
dalla natura nella mente avanti l'esperienza, il che non è più bisogno
dimostrare dopo Locke. Ma quello che mi
tocca provare si è, che queste sensazioni, sole nostre maestre, c'insegnano che
le cose stanno così, perchè così stanno, e
1340 non
perchè così debbano assolutamente stare, cioè perch'esista un bello e un buono
assoluto ec. Questo noi lo deduciamo pure dalle nostre sensazioni, {+(e lo deduciamo naturalmente, come ne
deduciamo naturalmente le idee innate, della quale opinione questa è una
conseguenza)} ma questo è ciò che non ne possiamo dedurre; e non
possiamo, appunto perchè tutto ci è insegnato dalle sole sensazioni, le quali
sono relative al puro modo di essere ec. e perchè nessuna cognizione o idea ci
deriva da un principio anteriore all'esperienza. Quindi è chiaro che la
distruzione delle idee innate distrugge il principio della bontà, bellezza,
perfezione assoluta, e de' loro contrarii. Vale a dire di una perfezione ec. la
quale abbia un fondamento, una ragione, una forma anteriore alla esistenza dei
soggetti che la contengono, e quindi eterna, immutabile, necessaria, primordiale
ed esistente prima dei detti soggetti, e indipendente da loro. Or dov'esiste
questa ragione, questa forma? e in che consiste? e come la possiamo noi
conoscere o sapere, se ogn'idea ci deriva dalle sensazioni relative ai soli
oggetti esistenti? Supporre il bello e il buono assoluto, è tornare alle idee di
Platone, e risuscitare le idee innate
dopo averle distrutte, giacchè tolte queste, non v'è altra possibile
1341
ragione per cui le cose debbano
assolutamente e astrattamente e necessariamente essere così o così, buone queste
e cattive quelle, indipendentemente da ogni volontà, da ogni accidente, da ogni cosa di fatto, che in realtà è la
sola ragione del tutto, e quindi sempre e solamente relativa, e quindi tutto non
è buono, bello, vero, cattivo, brutto, falso, se non relativamente; e quindi la
convenienza delle cose fra loro è relativa, se così posso dire, assolutamente.
(17. Luglio 1821.).
[1341,1] In somma il principio delle cose, e di Dio stesso, è
il nulla. Giacchè nessuna cosa è assolutamente necessaria, cioè non v'è ragione
assoluta perch'ella non possa non essere, o non essere in quel tal modo ec. E
tutte le cose sono possibili, cioè non v'è ragione assoluta perchè una cosa
qualunque, non possa essere, o essere in questo o quel modo ec. E non v'è
divario alcuno assoluto fra tutte le possibilità, nè differenza assoluta fra
tutte le bonta[bontà] e perfezioni
possibili.
[1355,1] Una cosa è tanto più perfetta quanto le sue qualità
sono meglio ordinate al suo fine. Questa perfezione evidentemente relativa, si
può misurare, e paragonare anche con
perfezioni d'altri generi. Ma la maggiore o minor perfezione dei
diversi fini come si può misurare? come si possono comparare i diversi fini? Che
ragione assoluta, che norma comparativa esiste indipendentemente da checchessia,
per giudicare questo fine più perfetto o migliore di quello, fuori di un
medesimo sistema di fini? (Giacchè dentro un medesimo sistema, i fini subalterni
{si possono paragonare:} non sono {{però}} veramente fini, ma mezzi, e parti, e qualità
{{anch'essi}} del sistema) Come dunque si può
assolutamente giudicare della maggiore o minor perfezione astratta delle cose? E
come può sussistere un bene o un male assoluto, una bontà o bellezza assoluta, o
i loro contrari? (20. Luglio 1821.).
[1461,1] Noi stessi nelle nostre riflessioni giornaliere le
meno profonde, conosciamo e sentiamo che la virtù (p. e.) è un fantasma, e che
non c'è ragione per cui la tal cosa sia virtù, se non giova, nè vizio se non
nuoce; e siccome una cosa ora giova, ora nuoce; a questo giova, a quello no; ad
un genere di esseri sì, ad un altro no, ec. ec. così veniamo a confessare che la
virtù, il vizio, il cattivo, il buono è relativo. Noi
1462 non troviamo nell'ordine di questo mondo alcuna ragione perchè
una cosa che giova a me (anche grandemente) e nuoce ad altri (anche
leggermente), non si possa fare, e sia colpa; perchè un atto segreto che non
giova nè a me nè ad altri, e non nuoce a veruno, e non ha spettatori, possa
essere virtuoso o vizioso; perchè p. e. una bugia che non nuoce ad alcuno, e
neppur dà mal esempio, perchè non è conosciuta; una bugia che giovi sommamente
ad altri o a me stesso, senza nuocere ad alcuno, sia male e colpa. Le ragioni di
tutto ciò noi siamo costretti a riporle in un Essere dove personifichiamo il
bene, la virtù, la verità, la giustizia ec. facendolo assolutamente, e per
assoluta necessità, buono: che se così non facessimo, neppure in lui avremmo
trovato il confine delle cose, e la ragione per cui questo o quello sia
assolutamente buono o cattivo. Noi consideriamo dunque detto Essere come un
tipo, a norma del quale convenga giudicare della bontà o bellezza ec. della
bruttezza o malvagità delle cose (ed ecco le ἰδέαι di Platone). Quello che
1463
somiglia o piace a lui, è dunque assolutamente, primordialmente, universalmente
e necessariamente buono, e viceversa. Benissimo: altra ragione infatti che
questa non vi può essere del buono ec. assoluto; e, come ho detto altrove pp.
1340-42 tolte le idee di Platone, l'assoluto si perde. Ma qual ragione ha questo tipo di esser
tale quale noi ce lo figuriamo, e non diverso? Come sappiamo noi che gli
appartengono quelle qualità che noi gli ascriviamo? - Elle son buone, e la
necessità è la ragione per cui gli appartengono, e per cui egli esiste in quel
tal modo e non altrimenti. - Ma son elle buone necessariamente? son elle buone
assolutamente? primordialmente? universalmente? Che ragione abbiamo per
crederlo, quando, come vengo dal dire, non ne troviamo nessuna in questo mondo,
vale a dire in quanto possiamo conoscere; anzi quando la osservazione depone in
contrario quaggiù stesso, benchè dentro un medesimo ordine di cose? - La ragione
che abbiamo è Dio. - Dunque noi proviamo l'idea dell'assoluto coll'idea di Dio,
e l'idea di Dio coll'idea dell'assoluto. {+Iddio è l{'unica} prova delle
nostre idee, e le nostre idee l'unica prova di Dio.}
[1469,1] Il formare il nostro Dio degli attributi che a noi
paiono buoni, benchè non lo sieno che relativamente, è un'opinione meno assurda,
ma della stessa natura, andamento origine, di quella che attribuiva agli Dei
figura e qualità e natura quasi del tutto umana; di quella che, come dice Senofane presso Clem. Alessandr., se il cavallo o il bue sapesse
dipingere, gli farebbe dipingere e immaginare i suoi Dei in forma e natura di
cavalli o di buoi. {+
V. il mio Discorso sui
romantici dove si cita questo passo con altre
osservazioni.} Anzi la nostra opinione è un raffinamento, un
perfezionamento, di questa quanto assurda, tanto naturale (v. il cit.
Discorso) opinione
1470 antica;
raffinamento prodotto da quello spirito metafisico che produsse il
Cristianesimo, o da quello che presso gli antichi Orientali (la cui storia
rimonta tanto più indietro delle nostre) produsse il sistema di un solo Dio,
seguito dagli Ebrei, e da questi comunicato ai Gentili d'{epoca e civiltà} più moderna, quando il secolo fu adattato a fare che
tal dottrina fosse ricevuta, e divenisse universalmente popolare. Ho detto che
questa è meno assurda, ma intendo, quanto al nostro modo di ragionare, e
all'ordinario sistema delle nostre concezioni, perchè assolutamente parlando,
ella è altrettanto assurda, {o piuttosto} falsa,
giacchè l'assurdo si misura dalla dissonanza col nostro modo di ragionare. (8. Agosto 1821.). Del resto la nostra
opinione intorno a un Dio composto degli attributi che l'uomo giudica buoni, è
una vera continuazione dell'antico sistema che lo componeva degli attributi
umani. ec. {+L'antica e la moderna
Divinità è parimente formata sulle idee puramente umane, benchè diverse
secondo i tempi. Il suo modello è sempre l'uomo. ec.}
(8. Agos. 1821.).
[1625,1] Non attribuiamo a Dio se non un solo modo di
esistere, e una sola perfezione. Ma se niuna perfezione è assoluta, egli non
sarà dunque perfetto, avendo questa sola. L'unica perfezione assoluta, è di
esistere in tutti i possibili modi, ed in tutti esser perfetto, cioè
perfettamente conveniente, dentro la natura
1626 e la
proprietà di quel modo di essere. La perfezione assoluta abbraccia tutte le
possibili qualità, anche contrarie, perchè non v'è contrarietà assoluta, ma
relativa: e se è possibile un modo di essere contrario a quello che noi
concepiamo in Dio e nelle cose a noi note (che certo è possibile, non essendovi
ragione assoluta e indipendente che lo neghi), Iddio non sarebbe nè infinito nè
perfetto, anzi imperfettissimo, s'egli non esistesse anche in quel modo, e non
fosse in perfetta relazione e convenienza con quel modo di essere. Noi dunque
non conosciamo se non una sola parte {dell'essenza} di
Dio, fra le infinite, {+o vogliamo dire una sola delle
infinite sue essenze.} Egli ha precisamente le perfezioni
che noi gli diamo: egli esiste verso noi in quel modo che la religione insegna;
i suoi rapporti verso noi, sono perfettamente quali denno essere verso noi, e
quali richiede la natura del mondo a noi noto. Ma egli esiste in infiniti altri
modi, ed ha infinite altre parti, che non possiamo in veruna maniera concepire,
se non immaginandoci questo medesimo. La Religione Cristiana è dunque
interamente vera, e i miei non si oppongono, anzi favoriscono i suoi dogmi.
1627
(4. Sett. 1821.).
[1637,1]
1637 Dal detto in altri pensieri pp. 1619-23 risulta che Dio poteva
manifestarsi a noi in quel modo e sotto quell'aspetto che giudicava più
conveniente. Non manifestarsi, come ai Gentili; manifestarsi meno, e in forma
alquanto diversa, come agli Ebrei; più, come a' Cristiani: dal che non bisogna
concludere ch'egli ci si è manifestato tutto intero, come noi crediamo. Errore
non insegnato dalla Religione, ma da' pregiudizi che ci fanno credere assoluto
ogni vero relativo. La rivelazione poteva esserci e non esserci. Ella non è
necessaria primordialmente, ma stante le convenienze relative, originate dal
semplice voler di Dio. Egli si nascose a' Gentili, rivelossi alquanto agli
Ebrei, manifestò al mondo una maggior parte di se, nella pienezza de' tempi,
cioè quando gli uomini furono in istato di meglio comprenderlo. Egli si è
rivelato perchè ha voluto e l'ha stimato conveniente, e quanto e come e sotto la
forma che ha stimato conveniente, secondo le diverse circostanze delle sue
creature: forma sempre vera, perch'egli esiste in tutti i modi possibili.
[1645,1] Da che le cose sono, la possibilità è {primordialmente} necessaria, e indipendente da checchè
si voglia. Da che nessuna verità o falsità, negazione o affermazione è assoluta,
com'io dimostro, tutte le cose son dunque possibili, ed è quindi necessaria e
preesistente al tutto l'infinita possibilità. Ma questa non può esistere senza
un potere il quale possa fare che le cose sieno, e sieno in qualsivoglia modo
possibile. Se esiste l'infinita possibilità esiste l'infinita onnipotenza,
perchè se questa non esiste, quella non
1646 è vera.
Viceversa non può stare l'infinita onnipotenza senza l'infinita possibilità.
L'una e l'altra sono, possiamo dire, la stessa cosa. Se dunque è necessaria
l'infinita possibilità, preesistente al tutto, indipendente da ogni cosa, da
ogni idea ec. (ed infatti se non v'è ragione possibile perchè una cosa sia
impossibile, ed impossibile in un tal modo ec., la infinita possibilità è
assolutamente necessaria); lo è dunque ancora l'onnipotenza. Ecco Dio: e la sua
necessità dedotta dall'esistenza, e la sua essenza riposta nell'infinita
possibilità, e quindi formata di tutte le possibili nature. ec. Questa idea non
è che abbozzata. V. la p. 1623.
(7. Sett. 1821.).
[1710,1]
1710 L'amore universale, anche degl'inimici, che noi
stimiamo legge naturale (ed è infatti la base della nostra morale, siccome della
legge evangelica in quanto spetta a' doveri dell'uomo verso l'uomo, ch'è quanto
dire a' doveri di questo mondo) non solo non era noto agli antichi, ma contrario
alle loro opinioni, come pure di tutti i popoli non inciviliti, o mezzo
inciviliti. Ma noi avvezzi a considerarlo come dovere sin da fanciulli, a causa
della civilizzazione e della religione, che ci alleva in questo parere sin dalla
prima infanzia, e prima ancora dell'uso di ragione, lo consideriamo come innato.
Così quello che deriva dall'assuefazione e dall'insegnamento, ci sembra
congenito, spontaneo, ec. Questa non era la base di nessuna delle antiche
legislazioni, di nessun'altra legislazione moderna, se non fra' popoli
inciviliti. Gesù Cristo diceva agli
stessi Ebrei, che dava loro un precetto nuovo ec. Lo spirito della legge
Giudaica non solo non conteneva l'amore, ma l'odio verso chiunque non era
Giudeo. Il Gentile,
1711 cioè lo straniero, era nemico
di quella nazione; essa non aveva neppure nè l'obbligo nè il consiglio di tirar
gli stranieri alla propria religione, d'illuminarli ec. ec. Il solo obbligo, era
di respingerli quando fossero assaliti, di attaccarli pur bene spesso, di non
aver seco loro nessun commercio. Il precetto diliges proximum tuum sicut
te ipsum
*
, s'intendeva non già i tuoi simili, ma i tuoi connazionali. Tutti i doveri sociali degli Ebrei si restringevano
nella loro nazione.
[1712,1] Il sistema di Platone delle idee preesistenti alle cose, esistenti per se, eterne,
necessarie, indipendenti e dalle cose e da Dio:
1713
non solo non è chimerico, bizzarro, capriccioso, arbitrario, fantastico, ma tale
che fa meraviglia come un antico sia potuto giungere all'ultimo fondo
dell'astrazione, e vedere sin dove necessariamente conduceva la nostra opinione
intorno all'essenza delle cose e nostra, alla natura astratta del bello e
brutto, buono e cattivo, vero e falso. Platone scoprì, quello ch'è infatti, che la nostra opinione intorno
alle cose, che le tiene indubitabilmente per assolute, che riguarda come
assolute le affermazioni, e negazioni, non poteva nè potrà mai salvarsi se non
supponendo delle immagini e delle ragioni di tutto ciò ch'esiste, eterne
necessarie ec. e indipendenti dallo stesso Dio, perchè altrimenti 1. si dovrà
cercare la ragione di Dio, il quale se il bello il buono il vero ec. non è
assoluto nè necessario, non avrà nessuna ragione di essere, nè di esser tale o
tale, 2. posto pur che l'avesse, tutto ciò che noi crediamo assoluto e
necessario non avrebbe altra ragione che il voler di Dio;
1714 e quindi il bello il buono il vero, a cui l'uomo suppone
un'essenza astratta, assoluta indipendente, non sarebbe tale, se non perchè Dio
volesse, potendo volere altrimenti, e al contrario. Ora, trovate false e
insussistenti le idee di Platone, è
certissimo che qualunque negazione e affermazione assoluta, rovina interamente
da se, ed è maraviglioso come abbiamo distrutte quelle, senza punto dubitar di
queste. (16. Sett. 1821.).
[1790,1] Nel tentativo di una
transazione tra gli antichi e i moderni aggiunto per terzo tomo dal
traduttore Napoletano all'opera del Dutens, Origine delle scoperte
attribuite a' moderni, cap. ult. §. 2.
v. due bei passi di S. Tommaso ne' quali viene ad affermare la
perfezione di tutto ciò che è, non rispetto ad alcuna ragione antecedente, ma perciò solo che è così
fatto; e la possibilità di altri ordini di cose, diversissimi di perfezione, e
infiniti di numero. (25. Sett. 1821.).
[1791,2] Si può dire (ma è quistione di nomi) che il mio
sistema non distrugge l'assoluto, ma lo moltiplica; cioè distrugge ciò che si ha
per assoluto, e rende assoluto ciò che si chiama relativo. Distrugge l'idea
astratta ed antecedente del bene e del
male, del vero e del falso, del perfetto
1792 e
imperfetto indipendente da tutto ciò che è; ma rende tutti gli esseri {possibili} assolutamente perfetti, cioè perfetti per se,
aventi la ragione della loro perfezione in se stessi, e in questo, ch'essi
esistono così, e sono così fatti; perfezione indipendente da qualunque ragione o
necessità estrinseca, e da qualunque preesistenza. Così tutte le perfezioni
relative diventano assolute, e gli assoluti in luogo di svanire, si
moltiplicano, e in modo ch'essi ponno essere e diversi e contrari fra loro;
laddove finora si è supposta impossibile la contrarietà in tutto ciò che
assolutamente si negava o affermava, che si stimava assolutamente e
indipendentemente buono o cattivo; {+restringendo la contrarietà, e la possibilità sua, a' soli relativi, e loro
idee.}
(25. Sett. 1821.)
[1907,2] Non v'è cosa più sciocca e ingiuriosa alla natura
del dire e ripetere continuamente che la perfezione non è propria delle cose
create, che niente al mondo è perfetto, che le cose umane sono imperfette, che
non vi può esser uomo perfetto ec. ec. Che cosa mancava a quella insigne maestra
ch'è la natura per far le sue opere perfette? forse l'intelligenza? forse il
potere? Certo che nulla è nè può esser perfetto secondo la frivola idea che noi
ci formiamo di una perfezione assoluta,
1908 che non
esiste, di una perfezione indipendente da qualunque genere di cose, ed anteriore
ad essi, quando in essi soli è rinchiusa ogni perfezione, da essi deriva, e in
essi e nel loro modo di essere, ha l'unica ragione dell'esser suo, e dell'esser
perfezione. Certo che nulla è perfetto in un modo che non è, in un modo in cui
le cose non sono; e la natura delle cose che sono, non può corrispondere a
quello ch'è fuor di loro, e non è riposto in nessun luogo. Noi sognando andiamo
a cercare la perfezione di ciò che vediamo, fuori dell'esistenza, mentr'ella
esiste qui con noi, e coesiste a ciascun genere di cose che conosciamo, {+e non sarebbe perfezione in verun altro
caso possibile.} Non è maraviglia dunque se tutto ci pare imperfetto,
quando per perfetto intendiamo l'esistere in un modo in cui le cose non son
fatte, laddove la perfezione non consiste e non ha altra ragione di esser tale,
che nel modo in cui le cose son fatte, ciascuna nel suo genere.
[2073,1]
2073 Escludere affatto la materia dall'essenza di Dio,
non è altro che togliergli una maniera di essere, e quindi una perfezione
dell'esistenza, vale a dire togliergli un'esistenza completa, cioè in tutti i
modi possibili, e crederlo incapace di esistere materialmente, quasi ciò per se
stesso fosse un'imperfezione; o che quegli che esiste materialmente, non potesse
anche esistere immaterialmente, e dovesse per necessità esser limitato. Anzi
sarebbe limitato quell'essere che non esistesse nè potesse esistere
materialmente, e quindi imperfetto, cioè incompleto nella sua essenza, secondo
l'unica idea che noi possiamo formarci di una perfezione assoluta, la quale non
può essere se non un'essenza che abbracci tutti i possibili modi di essere. Ora
la materia è un modo di essere non solo possibile, ma reale, e tanto ch'è
l'unico modo reale che noi possiamo effettivamente conoscere, e distintamente
immaginare; nè solo noi, ma tutte le creature che noi distintamente
2074 ed effettivamente possiamo conoscere, o
conosciamo, non possono immaginare o sentire altro modo di essere. Nè perchè Dio
esistesse materialmente, sarebbe materiale, ma abbraccierebbe anche la materia
nella sua essenza; il che è certo e convenuto anche fra' teologi, che
riconoscono in Dio il tipo, e l'idea, o la forma e la ragione antecedente di
tutte le cose possibili, e maniere di essere. Or come potrebbe l'essenza di Dio
perfettamente abbracciare e contenere la forma e il modo di essere della materia
(unica forma e modo che appartenga a tutto quel creato ed esistente che noi
conosciamo) o di qualunque altra natura possibile, s'egli non esistesse
materialmente e in qualunque altro modo possibile?
[2178,1] A quello che ho detto dell'essenza di Dio pp. 2073-74. Lasciando in
piedi tutto ciò che la fede insegna su questo punto, io non fo che spaziarmi in
ciò ch'è permesso al filosofo, cioè nelle speculazioni sull'arcana essenza di
Dio, speculazioni non men lecite al filosofo che al teologo, giacchè anche
questi dopo che ha lasciato intatta la rivelazione, e che scorre col pensiero a
quelle cose a cui la rivelazione non giunge, senza però escluderle nè
contraddirle, allora, dico, il teologo si confonde col filosofo. Di più le mie
osservazioni combinano cogli insegnamenti cristiani, non solo affermando, ma
rendendo quasi palpabile, e sminuzzando, e quasi materializzando quella verità,
che l'essenza di Dio non può esser concepita dall'uomo. Anzi dimostrando ancora
che l'uomo s'inganna
2179 in quelle medesime confuse
immagini ch'egli se ne forma, e rintuzzando in ciò le pretensioni dell'umano
intelletto. Del resto la religione affermando dell'essenza di Dio quel ch'ella
sa, e insegnando ch'ella non può esser conosciuta, lascia {con ciò stesso} libero il campo a quelle speculazioni razionali e
metafisiche su questo punto, che possono arrivare più o meno avanti
nell'infinito spazio di questo arcano, spazio ch'essendo infinito, nessun
avanzamento di speculazione correrà mai pericolo di toccarne il termine. Ed è
per ciò, e consentaneamente a ciò, che molti padri, e Dottori, si sono ingegnati
di spiegare o dilucidare quale in un modo, quale in un altro, il mistero della
trinità, dell'incarnazione ec. non già coi lumi rivelati, e già noti a tutti, ma
col discorso umano e ragionato; ed hanno pertanto (senza biasimo) applicato il
discorso umano alla speculazione dell'essenza di Dio, al di là
2180 o fuori de' termini della rivelazione senza
lederli, e perciò senza essere ripresi. (27. Nov. 1821.).
[2232,2] Non esiste nè può esistere nè sommo bene, nè sommo
male; tanto come sommo, quanto come bene o male, nessuna cosa essendo per se o
buona o cattiva. Bensì il sommo bene o male
2233 può
esistere dentro i limiti di una stessa natura, dipendentemente, e posteriormente
all'ordine e all'essenza di lei, relativamente ad essa, agli esseri ch'ella
comprende, alle qualità che dentro il suo sistema, e dopo il suo sistema, e a
cagione e in virtù del suo sistema, sono buone o cattive, più o meno buone o
cattive. (7. Dic. 1821.).
[2263,2] Soglion dire i teologi, {i
Padri,} e gl'interpreti in proposito di molte parti dell'antica divina
legislazione ebraica, che il legislatore
2264 si
adattava alla rozzezza, materialità, incapacità, e spesso (così pur dicono) alla
durezza, indocilità, sensualità, tendenza, ostinazione, caparbietà ec. del
popolo ebraico. Or questo medesimo non dimostra dunque evidentemente la non
esistenza di una morale eterna, assoluta, antecedente
(il cui dettato non avrebbe il divino legislatore potuto mai preterire d'un
apice); e che essa, come ha bisogno di adattarsi alle diverse circostanze e
delle nazioni e de' tempi (e delle specie, se diverse specie di esseri avessero
morale, e legislazione), così per conseguenza da esse dipende, e da esse sole
deriva? (20. Dic. 1821.).
[2395,1]
Πάντα γὰρ ἀγαϑὰ μὲν καὶ
καλά ἐστι πρὸς ἃ ἂν εὖ ἔχῃ, κακὰ δὲ καὶ αἰσχρὰ πρὸς ἃ ἂν κακῶς.
*
Quippe omnia bona sunt ac pulcra,
ad quae bene se habent; mala vero ac turpia, ad quae
male.
*
Leunclav. Parole di Socrate ad Aristippo appresso Senofonte
᾽Aπομνημονευμάτων βιβλ. γ΄. κεϕ. 8. §.
7. (17. Marzo 1822.).
[3760,1] Niente d'assoluto. Qual cosa par più assoluta e
generale, almen fra gli uomini, di quello che la corruzione sia nauseosa? Or le
sorbe e le nespole, perocchè nello stato che per loro è vera maturità e
perfezione, per noi non son buone a mangiare; bensì nello stato che per loro è
vera, non pur vecchiezza, ma morte e corruzione; perciò mezze e corrotte si
mangiano. - Lo schifoso è interamente relativo. La lumaca non fa schifo a se
stessa. Non è schifoso a noi quello che in noi, o da noi uscito o prodotto ec. è
schifoso agli altri. Il porco si diletta di ravvolgersi nel fango e lordure ec.
E quanti uomini trattano e amano, e mangiano e gustano ec.
3761 cose che agli altri (a tutti o a più o ad alcuni, nella stessa
nazione o in diverse) riescono schifosissime. - La sorba, la nespola, secondo
noi, è perfetta quando è corrotta, misurando noi {la}
perfezione di queste, come d'infinite altre cose, dall'uso nostro ec. Ma chi non
vede che questa perfezione è al tutto relativa? {e relativa a
noi soli, anzi al solo uso del nostro palato e stomaco, ed in quanto la
sorba è atta a divenirci una volta cibo, cosa a lei affatto accidentale ed
estrinseca?} E che la sorba non ne è perciò meno corrotta e
degenerata? nè, per se stessa e per sua natura, meno perfetta allor quando ec. e
non in altro tempo ec. (23. Ott. 1823.).
[4142,1] Del resto quello che nella struttura ec. del mondo e
delle sue parti, p. e. di un animale, a noi pare ammirabile, e di estrema
difficoltà ad essere immaginato, non fu infatti niente difficile. Le cose
4143 sono come sono perchè così debbono essere, stante
la natura loro assoluta, o quella delle forze e dei principii (qualunque essi
sieno) che le hanno prodotte. Se questa natura fosse stata diversa, se le cose
dovessero essere altrimenti, altrimenti sarebbero, nè però sarebbero men buone e
men bene andrebbero (o vogliamo dir più cattive e camminerebbero peggio) di quel
che fanno ora che sono così come noi le veggiamo. Anzi allora questo che noi
chiamiamo ordine e che ci pare artifizio mirabile, sarebbe (e se noi lo
potessimo concepire, ci parrebbe) disordine e inartifizio totale ed estremo.
Niuno artifizio insomma è nella natura, perchè la natura stessa è cagione che le
cose vadan bene essendo ordinate in un tal modo piuttosto che in un altro, e
questo modo non è necessario assolutamente all'andar bene, ma solo relativamente
al tale e non altrimenti essere della natura, la quale se altrimenti fosse, le
cose non andrebbero bene, non potrebbero conservarsi ec., se non con altro modo
ec. (Bologna. 8. Ottobre. 1825.).
[4204,1] Contraddizioni innumerabili, evidenti e continue si
trovano nella natura considerata non solo metafisicamente e razionalmente, ma
anche materialmente. La natura ha dato ai tali animali l'istinto, {le arti,} le armi da perseguitare e assalire i tali
altri, a questi le armi da difendersi, l'istinto di preveder l'attacco, di
fuggire, di usar mille diverse astuzie per salvarsi. La natura ha dato agli uni
la tendenza a distruggere, agli altri la tendenza a conservarsi. La natura ha
dato ad alcuni animali l'istinto e il bisogno di pascersi di certe tali piante,
frutta ec., ed ha armato queste tali piante di spine per allontanar gli animali,
queste tali frutta di gusci, di bucce, d'inviluppi d'ogni genere,
artificiosissimi e diligentissimi, o le ha collocate nell'alto delle piante ec.
La natura ha creato le pulci e le cimici perchè ci succino il sangue, ed
ha[a] noi ha dato l'istinto di cercarle e di
farne strage. L'enumerazione di tali ed analoghe contrarietà si estenderebbe in
infinito, ed abbraccierebbe ciascun regno, {ciascuno
elemento,} e tutto il sistema della natura. Io avrò torto senza
dubbio, ma la vista di tali fenomeni mi fa ridere. Qual è il fine, qual è il
voler sincero e l'intenzione vera della natura? Vuol ella che il tal frutto sia
mangiato dagli animali o non sia mangiato? Se sì, perchè l'ha difeso con sì dura
crosta e con tanta cura? se no,
4205 perchè ha dato ai
tali animali l'istinto {e l'appetito} e forse anche il
bisogno di procacciarlo e mangiarselo? I naturalisti ammirano la immensa
sagacità ed arte della natura nelle difese somministrate alla tale o tale specie
animale o vegetabile o qualunque, contro le offese esteriori di qualunque sia
genere. Ma non pensano essi che era in poter della natura il non crear queste
tali offese? che essa medesima è l'autrice unica delle difese e delle offese,
del male e del rimedio? E qual delle due sia il male e quale il rimedio nel modo
di vedere della natura, non si sa. Si sa ben che le offese non sono meno
artificiosamente e diligentemente condotte dalla natura che le difese; che il
nibbio {o il ragno} non è meno sagace di quel che la
gallina o la mosca sia amorosa o avveduta. Intanto che i naturalisti e gli
ascetici esaminando le anatomie de' corpi organizzati, andranno in estasi di
ammirazione verso la provvidenza per la infinita artificiosità ed accortezza
delle difese di cui li troverà forniti, io finchè non mi si spieghi meglio la
cosa, paragonerò la condotta della natura a quella di un medico, il quale mi
trattava con purganti continui, ed intendendo che lo stomaco ne era molto
debilitato, mi ordinava l'uso di decozioni di china e di altri attonanti per
fortificarlo e minorare l'azione dei purganti, senza però interromper l'uso di
questi. Ma, diceva io umilmente, l'azione dei purganti non sarebbe minorata
senz'altro, se io ne prendessi de' meno efficaci o in minor dose, quando pur
debba continuare d'usarli? (Bologna. 25. Sett.
1826.). {{V. p. seg. [p.
4206,2]}}
[4248,9] Certo molte cose nella natura vanno bene, cioè vanno
in modo che esse cose si possono conservare e durare, che altrimenti non
potrebbero. Ma infinite (e forse in più numero che quelle) vanno male, e sono
combinate male, sì morali sì fisiche, con estremo incomodo delle creature; le
quali cose di leggieri si sarebbono potute combinar bene. Pure perch'elle non
distruggono l'ordine presente delle cose, vanno naturalmente e regolarmente
male, e sono mali naturali e regolari. Ma noi da queste non argomentiamo già che
la fabbrica dell'universo sia opera di causa non intelligente; benchè da quelle
cose che vanno bene crediamo poter con certezza argomentare che l'universo sia
fattura di una intelligenza. Noi diciamo che questi mali sono misteri; che
paiono mali a noi, ma non sono, benchè non ci cade in mente di dubitare che
anche quei beni sieno misteri, e che ci paiano beni e non siano. Queste
considerazioni confermano il sistema di Stratone da Lampsaco, spiegato da me in un'operetta a posta.
(18. Febbraio. Domenica di Sessagesima. 1827.).
[4257,11] Lodasi senza fine il gran magisterio della natura,
l'ordine incomparabile dell'universo. Non si hanno parole sufficienti a
commendarlo. Or che ha egli, perch'ei possa dirsi lodevole? Almen tanti mali,
quanti beni; almen tanto di cattivo, quanto di buono; tante cose che vanno male,
quante che camminan bene. Dico
4258 così per non
offender le orecchie, e non urtar troppo le opinioni: per altro, io son
persuaso, e si potrebbe mostrare, che il male v'è di gran lunga più che il bene.
Ora un tal magisterio, sarà poi tanto grande? un tal ordine tanto commendevole?
Ma il male par male a noi, non è veramente. E il bene, chi ci ha detto che sia
bene veramente, e non paia solo a noi? Se noi non possiamo giudicare dei fini,
nè aver dati sufficienti per conoscere se le cose dell'universo sien veramente
buone o cattive, se quel che ci par bene sia bene, se quel che male sia male;
perchè vorremo noi dire che l'universo sia buono, in grazia di quello che ci par
buono; e non piuttosto, che sia malo, in vista di quanto ci par malo, ch'è
almeno altrettanto? Astenghiamoci dunque dal giudicare, e diciamo che questo è
uno universo, che questo è un ordine: ma se buono o cattivo, non lo diciamo.
Certo è che per noi, e relativamente a noi, nella più parte è cattivo; e
ciascuno di noi per questo conto l'avria saputo far meglio, avendo {la materia e} l'onnipotenza in mano. Cattivo è ancora
per tutte le altre creature, e generi e specie di creature, che noi conosciamo:
perchè tutte si distruggono scambievolmente, tutte periscono; e, quel ch'è
peggio, tutte deperiscono, tutte patiscono a lor modo. Se di questi mali
particolari di tutti, nasca un bene universale, non si sa di chi {+(o se dal mal essere di tutte le parti, risulti il ben
essere del tutto; il qual tutto non esiste altrimenti nè altrove che nelle
parti; poichè la sua esistenza, altrimenti presa, è una pura idea o
parola);} se vi sia qualche creatura, o ente, o specie di enti, a cui
quest'ordine sia perfettamente buono; se esso sia buono assolutamente e per se;
e che cosa sia, e si trovi, bontà assoluta e per se; queste sono cose che noi
non sappiamo, non possiamo sapere; che niuna di quelle che noi sappiamo, ci
rende nè pur verisimili, non che ci autorizzi a crederle. Ammiriamo dunque
quest'ordine, questo universo: io lo ammiro più degli altri: lo ammiro per la
sua pravità e deformità, che a me paiono estreme. Ma per lodarlo, aspettiamo di
sapere almeno, con certezza, che egli non sia il pessimo dei possibili. - Quel
che ho detto di bontà e di cattività, dicasi eziandio di bellezza e bruttezza di
questo ordine ec. (21. Marzo. 1827.)
{{A
4259 veder se sia più il bene o
il male nell'universo, guardi ciascuno la propria vita; se più il bello o il
brutto, guardi il genere umano, guardi una moltitudine di gente adunata.
Ognun sa e dice che i belli son rari, e che raro è il bello.}}
[4274,3] Perchè l'esistenza dell'universo fosse prova di
quella di un essere infinito, creatore di esso, bisognerebbe provare che
l'universo fosse infinito, dal che risultasse che solo una potenza infinita
l'avesse potuto creare. La quale infinità dell'universo, nessuna cosa ce la può
nè provare, nè darcela a congetturare probabilmente. E quando poi l'universo
fosse infinito, la infinità sarebbe già nell'universo, non sarebbe più propria
esclusivamente del creatore, di quell'essere unico e perfettissimo; allora
bisognerebbe provare che l'universo non fosse quello che lo credono i panteisti
e gli spinosisti, cioè dio esso medesimo; ovvero, che l'universo essendo
infinito di estensione, non potesse anco essere infinito di tempo, cioè eterno,
stato sempre, e sempre futuro. Nel qual caso non avremmo più bisogno di un altro
ente infinito. Il quale sarebbe sempre ignoto e nascosto: dove che l'universo è
palese
4275 e sensibile. (7. Apr. Sabato di
Passione. 1827. Recanati.). {{Chi vi ha poi detto che esser infinito sia una
perfezione?}}
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