[1712,1] Il sistema di Platone delle idee preesistenti alle cose, esistenti per se, eterne,
necessarie, indipendenti e dalle cose e da Dio:
1713
non solo non è chimerico, bizzarro, capriccioso, arbitrario, fantastico, ma tale
che fa meraviglia come un antico sia potuto giungere all'ultimo fondo
dell'astrazione, e vedere sin dove necessariamente conduceva la nostra opinione
intorno all'essenza delle cose e nostra, alla natura astratta del bello e
brutto, buono e cattivo, vero e falso. Platone scoprì, quello ch'è infatti, che la nostra opinione intorno
alle cose, che le tiene indubitabilmente per assolute, che riguarda come
assolute le affermazioni, e negazioni, non poteva nè potrà mai salvarsi se non
supponendo delle immagini e delle ragioni di tutto ciò ch'esiste, eterne
necessarie ec. e indipendenti dallo stesso Dio, perchè altrimenti 1. si dovrà
cercare la ragione di Dio, il quale se il bello il buono il vero ec. non è
assoluto nè necessario, non avrà nessuna ragione di essere, nè di esser tale o
tale, 2. posto pur che l'avesse, tutto ciò che noi crediamo assoluto e
necessario non avrebbe altra ragione che il voler di Dio;
1714 e quindi il bello il buono il vero, a cui l'uomo suppone
un'essenza astratta, assoluta indipendente, non sarebbe tale, se non perchè Dio
volesse, potendo volere altrimenti, e al contrario. Ora, trovate false e
insussistenti le idee di Platone, è
certissimo che qualunque negazione e affermazione assoluta, rovina interamente
da se, ed è maraviglioso come abbiamo distrutte quelle, senza punto dubitar di
queste. (16. Sett. 1821.).
[2150,1]
2150 Lo stile, e la lingua di Cic. non è mai tanto semplice quanto nel Timeo,
perocch'egli è tradotto dal greco di Platone. E pure Platone fra i
greci del secol d'oro è (se non vogliamo escludere Isocrate) senza controversia il più elegante e
lavorato di stile e di lingua, e il Timeo è delle sue opere più astruse, e forse anche più lavorate,
perch'esso principalmente contiene il suo sistema filosofico. Platone il principe della raffinatezza nella lingua e
stile greco {prosaico,} riesce maravigliosamente
semplice in latino, e nelle mani di Cicerone, a fronte della lingua e stile originale degli altri latini,
e di esso Cicerone principe della
raffinatezza nella prosa latina. {+La
maggiore raffinatezza ed eleganza dell'aureo tempo della letteratura greca,
riesce semplicità trasportata non già ne' tempi corrotti ma nell'aureo della
letteratura latina, e per opera del suo maggiore scrittore.}
(23. Nov. 1821.).
[2708,1]
Cartesio distrusse gli errori de'
peripatetici. In questo egli fu grande, e lo spirito umano deve una gran parte
de' suoi progressi moderni al disinganno proccuratogli da Cartesio. Ma quando questi volle insegnare e
fabbricare, il suo sistema
2709 positivo che cosa fu?
Sarebbe egli grande, se la sua gloria riposasse sull'edifizio da lui posto, e
non sulle ruine di quello de' peripatetici? Discorriamo allo stesso modo di Newton, il cui sistema positivo che già
vacilla anche nelle scuole, non ha potuto mai essere per i veri e profondi
filosofi altro che un'ipotesi, e una
favola, come Platone chiamava il
suo sistema delle idee, e gli altri particolari {o secondari
e subordinati} sistemi o supposizioni da lui immaginate, esposte e
seguite. (21. Maggio. 1823.).
[2717,1] Chi vuol vedere un piccolo esempio della infinita
varietà della lingua greca, e come ella sia innanzi un aggregato di più lingue
che una lingua sola, secondo che ho detto altrove pp. 2060-62
e vuol vederlo in uno stesso scrittore e in uno stesso libro; legga il Fedro di
Platone. Nel quale troverà, non dico
tre stili, ma tre vere lingue, l'una nelle parole che compongono il Dialogo
tra Socrate e Fedro, la quale è la solita e propria di Platone, l'altra nelle due orazioni contro
l'amore, in persona di Lisia e di Socrate; la terza nell'orazione di questo in lode dell'amore.
Perciocchè Platone in queste orazioni
adopra e vocaboli e frasi e costrutti
2718
notabilissimamente e visibilmente diversi da quelli che compongono la lingua
ordinaria de' suoi Dialoghi, sebbene in questi egli tratta bene
spesso le medesime o simili materie a quelle delle tre suddette orazioni,
massime dell'ultima. E i vocaboli, le frasi i costrutti dell'ultima orazione (di
stile tutta poetica, ma non perciò tumida o esagerata o eccessiva o tale che non
sia vera prosa) sono pure diversissimi da quelli delle altre due. Nè in veruna
di queste {tre} lo scrittore fa forza alla lingua, o
dimostra affettazione, come fecero poi quei greci più recenti che si scostarono
dalla maniera propria per seguire e imitare l'altrui. Ma certo chi non
conoscesse altra lingua greca che la consueta di Platone, non senza una certa difficoltà potrebbe
intendere quelle tre orazioni. (23. Maggio. 1823.).
[2728,1] Ma io escludo dal bene scrivere i professori di
scienze matematiche o fisiche, e {di quelle} che
tengono dell'uno e dell'altro genere insieme, o che all'uno o all'altro
s'avvicinano. E di questa sorta di scienze in verità non abbiamo buoni {ed eleganti} scrittori nè antichi nè moderni, se non
pochissimi. I greci trattavano queste scienze in modo mezzo poetico, perchè poco
sperimentavano e molto immaginavano. Quindi erano in esse meno lontani
dall'eleganza. Ma certo essi ne furono tanto più lontani, quanto più furono
esatti. {+Platone è fuori di questa classe.} Gli antichi
lodano assai lo stile d'Aristotele e di
Teofrasto. Può essere ch'abbiano
riguardo ai loro scritti politici, morali, metafisici, piuttosto che ai
naturali. Io dico il vero che nè in questi
2729 nè in
quelli non sento grand'eleganza. {+(Quel ch'io ci trovo è
purità di lingua e un sufficiente e moderato atticismo: l'uno e l'altro,
effetto del secolo e della {dimora} anzi che
dello scrittore {, e insomma natura e non
arte}. Niuna eleganza però nè di stile nè di parole. Anzi sovente grandissima
negligenza sì nella scelta sì nell'ordine e congiuntura de' vocaboli; poca
proprietà, e non di rado niuna sintassi.)} Ben la sento e moltissima
in Celso, vero e forse unico modello
fra gli antichi e i moderni del bello stile scientifico-esatto. Col quale si
potrà forse mettere Ippocrate. I latini
ebbero pochi scrittori scientifici-esatti. E di questi, fuori di Celso, qual è che si possa chiamare
elegante? Non certamente Plinio, il
quale se si vorrà chiamar puro, si chiamera così, perchè anch'egli per noi fa
testo di latinità. Lascio Mela, Solino, Varrone, Vegezio, Columella ec. Il
nostro Galileo lo chiami elegante chi non
conosce la nostra lingua, e non ha senso dell'eleganza. (V. Giordani, Vita del Cardinale
Pallavicino). Il Buffon sarebbe unico fra' moderni per il modo elegante di trattare le
scienze esatte: ma oltre che la storia naturale si presta all'eleganza più
d'ogni altra di queste scienze; tutto ciò che è elegante in lui, è estrinseco
alla scienza propriamente detta,
2730 ed appartiene a
quella che io chiamo qui filosofia propria, la quale si può applicare ad ogni
sorta di soggetti. Così
fece il Bailly nell'Astronomia. Sempre
che usciamo dei termini dottrinali e insegnativi d'una scienza esatta, siamo
fuori del nostro caso. La scienza non è più la materia {ma
l'occasione} di tali scritture; {+non s'impara la scienza da esse, nè questa fa progressi
diretti, per mezzo loro, nè riceve aumento diretto dalle proposizioni
ch'esse contengono:} elle sono considerazioni sopra la scienza.
(28. Maggio. Vigilia del Corpus Domini. 1823.). {{I pensieri di Buffon non compongono e non espongono la scienza, non sono e non
contengono i dogmi della medesima, o nuovi dogmi ch'esso {le} aggiunga, ma la considerano, e versano sopra di lei e sopra i
suoi dogmi. Si può ornare una materia coi pensieri e colle parole. Tutte le
materie sono capaci dell'ornamento de' pensieri, perchè sopra ogni cosa si
può pensare, e stendersi col pensiero quanto si voglia, più o meno lontano
dalla materia strettamente presa. Ma non tutte si possono ornare colle
parole. Il Buffon adornò la
scienza con pensieri
2731 filosofici, e a questi
pensieri non somministrati ma occasionati dalla storia naturale, applicò
l'eleganza delle parole, perch'essi n'erano materia capace. Ma i fisici, i
matematici ordinariamente non possono e non vogliono andar dietro a tali
pensieri, ma si ristringono alla sola scienza.}}
[3420,2]
Alla p. 3404.
Quanto nel cit. pensiero ho detto dello stile di Floro, si può, e meglio, applicare a quello di Platone, riputato, {sì} quanto allo stile e a' concetti, sì quanto alla dizione, {+Puoi vedere la pag. 3429.} esser
3421 quasi un poema (v. Fabric.
B. G. in Plat. §. 2. edit. vet. vol. 2. p. 5.); e nondimeno sommo e
perfetto esempio di bellissima prosa, elegantissima bensì e soavissima (non meno
che gravissima: suavitate et gravitate princeps Plato
*
: Cic. in Oratore),
amenissima ec., ma pur verissima prosa, e tale che la meno poetica delle moderne
prose francesi (e mi contento di parlare delle sole riconosciute per buone), è
molto più poetica di quella di Platone
che tra le greche classiche è di tutte la più poetica. Non altrimenti che molto
più poetiche della prosa platonica {sono} assaissime
prose sacre e profane de' posteriori sofisti e de' padri greci ec. la cui
moltitudine avanza forse {+e senza
forse} quella che ci rimane delle prose classiche antiche. Ma per vero
dire, nè quelle son prose, nè le moderne francesi lo sono, ma sofistumi l'une e
l'altre, quelle in ogni cosa, queste in quanto allo stile. (12. Sett.
1823.).
[3625,1]
Alla p. 2821.
fine. Nótisi il significato continuativo di confuto nell'esempio di Titinnio appo il Forcell. dove questo verbo
sta nel senso proprio, e questo si è quello di confundo, ma continuato, come excepto in un
luogo di Virgilio da me altrove
esaminato p. 1107, per excipio. Nótisi
ancora che nell'improprio suo ma più comune significato, confuto è vero continuativo di confundo.
Anche noi diciamo (e così i francesi ec.) confondere uno
colle ragioni, confondere le ragioni di uno,
confondere l'avversario ec. e ciò vale confutare, ma questo esprime azione e quello è quasi
un atto, e quasi il termine e l'effetto del confutare
ec. Le quali osservazioni confermano la derivazione di confuto da noi e dagli etimologi stabilita. Così mi par di spiegare la
traslazione del suo significato da quel di mescere
insieme a quel di confutare, e così mi par di
doverlo intendere; non ispiegarlo per compescere e
derivar la metafora da questo lato, come fa il Vossio (ap. Forcell.) il quale anche
3626 par che derivi confuto da futum nome (dunque da questo anche futo?), per la solita ignoranza in materia de'
continuativi. E se tal derivazione egli dà (come è anche più naturale ch'ei
faccia) anche al confuto di Titinnio, e lo spiega pure per compesco, s'inganna assai. {V. p. 3635}
Significazioni analoghe a quella nostra metaforica di confondere gli avversari ec. vedile nel Forcell. in confundo, confusio, confusus, {#1. e nel
Gloss. in Confundere,} avvertendo che la lingua latina antichissima
aveva delle metafore e degli usi di parole molto più simili ai moderni che non
ebbe poi l'aurea latinità, o piuttosto il latino più illustre scritto; e n'ebbe
in grandissima copia; e che queste parole e questi usi, e generalmente le
proprietà del volgare o familiar latino, più si veggono negli scrittori de'
bassi tempi (or v. gli esempi di Sulpicio Severo nel Forc. in confundo e confusus), e ne'
volgari moderni che negli aurei scrittori, perchè questi seguivano più
l'illustre, e quelli il familiare, questi fuggivano il volgo, e quelli o per
ignoranza o
3627 per elezione, gli andavan dietro,
questi avevano una lingua illustre e una parlata, quelli non avevano già più una
lingua illustre che fosse per essere intesa quando anche l'avessero saputa
scrivere, ma lingua scritta e parlata era per loro una cosa sola, o tra se molto
meno diversa che non nell'aureo secolo e ne' prossimi a quello. Siccome eziandio
tra gli scrittori aurei, i più antichi e i più familiari, semplici e rimessi di
stile, più conservano dell'antico latino, più rappresentano della frase volgare
e parlata, {+più hanno delle voci e
locuzioni, e delle significazioni ed usi di voci, conformi ai volgari. Così
Cornelio, Fedro, Celso ec.} più somigliano quella degli scrittori bassi e
de' volgari moderni. I più antichi (coi quali vanno quelli che più si tennero
all'antico per loro instituto, come Varrone, Frontone ec.)
perchè il linguaggio illustre e scritto non era ancor ben formato e determinato,
nè molto nè ben distinto dal parlato e familiare. I più semplici e rimessi
perchè o per istituto o per un poco meno di abilità nello scrivere {e minore studio fatto della lingua, o minor diligenza posta
nel comporre,} non vollero o non seppero troppo scostarsi dal
linguaggio più noto e succhiato da loro col latte, cioè dal familiare e parlato.
Onde a noi
3628 paiono amabilissimi e pregevolissimi
per la loro semplicità ec. ma certo a' contemporanei dovettero riuscire poco
colti. Osservo infatti che fra gli scrittori dell'aureo secolo quelli che fra noi tengono le prime lodi per la
semplicità e dello stile e della lingua (la quale in loro è sempre notabilmente
affine alla frase italiana e moderna, ed anche a quella de' tempi bassi), o non
si trovano pur nominati dagli antichi, o appena, o in modo che la loro stima si
vede essere stata come di autori, al più, di second'ordine. Tali sono Corn. Nepote, Celso, Fedro, giudicato dal Le Fevre
il più vicino alla semplicità di Terenzio
(v. Desbillons
Disputat. II. de Phaedro, in fine), e
simili. De' quali gli stessi moderni, vedendo la diversità della loro frase da
quella degli altri aurei, e giudicandola non latina (perchè non molto illustre)
hanno disputato se appartenessero al secol d'oro, ed anche se fossero antichi,
ed hanno penato a riconoscerli per autori dell'aurea latinità; e le Vite di
Cornelio sono state
attribuite ad Emilio Probo
{+(autore assai basso)} per ben
lungo tempo e in molte edizioni ec., Celso è stato creduto più moderno di quello che è, ec. Fedro è stato attribuito al Perotti,
3629
e negato da molti che la sua latinità fosse latina ec. (v. la cit. Disput. del
Desbillons). Non così è
accaduto nè anticamente accadde agli scrittori greci più semplici. Effetto e
segno che il linguaggio illustre in Grecia era, come
altrove ho sostenuto pp. 844. sgg., assai men diviso dal volgare e parlato,
e che la lingua e lo stile greco per sua natura e per sua formazione e
circostanze è più semplice ec. Onde lo stile e la lingua p. e. di Senofonte fu subito acclamata, non men
che fosse quella di Platone ch'è
lavoratissima, ec. e gli scrittori greci più semplici e familiari non hanno
aspettato i tempi moderni a divenir famosi e lodati ec. Senofonte e Platone nel loro secolo sono i due estremi quello della semplicità e
bella sprezzatura, questo dell'eleganza, diligenza e artifizio. Pur l'uno e
l'altro furono sempre quanto allo stile quasi parimente stimati da' Greci e
contemporanei e posteri, e così da' latini e dagli altri in perpetuo ec.
(8. Ott. 1823.).
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Lingue. (pnr) (2)
Latina (lingua). (1827) (1)
. Suo luogo filosofico, notato, ec. (1827) (1)
Continuativi latini. (1827) (1)
Volgare latino. (pnr) (1)
Scrittori greci de' bassi tempi ec. (1827) (1)
Greci, ignoranti del latino ec. (1827) (1)
Loro stile. (1827) (1)
Idee eterne di . (1827) (1)