Greci, ignoranti del latino ec.
Greeks, ignorant of Latin, etc.
981,1 988,1 999,2 1024,1 1025,1 1029,1 1052,2 1093,1 1363,12 1518,1 2312,3 2402,1 2450 2589,1 2624,marg. 3371-2 4173,8 4211,7 4237,2 4243,3Greci, amavano la Grecia in comune, come loro patria.
The Greeks, all together loved Greece as their homeland.
2628,1Scrittori greci de' bassi tempi ec.
Greek writers of the middle ages, etc.
2793,2 3421 4026,7[981,1]
Alla p. 740.
La lingua greca si era conservata sempre pura, in gran parte per la grande
ignoranza in cui erano i greci del latino. La quale si fa chiara sì da altri
esempi che ho allegati in altro pensiero p. 44 (cioè quelli
di Longino nel giudizio timidissimo
che dà di Cicerone, e di Plutarco nella prefazione alla Vita di
Demostene, della quale v. il Toup ad Longin. p. 134.) sì ancora da questo, che
laddove i latini citavano ad ogni momento parole e passi greci, {colle lettere greche,} gli scrittori greci non mai {citavano {o usavano} parole latine se
non con elementi greci,} e con maraviglia, e come cosa unica notò il
Mingarelli in un'opera di Didimo Alessandrino, Teologo del quarto
secolo, da lui per la prima volta pubblicata, due o tre parole latine
barbaramente scritte in caratteri latini. (Didym.
Alexandr.
De Trinitate Lib. 1. cap. 15. Bonon.
typis Laelii a Vulpe 1769. {fol.} p. 18. gr. et
lat. cura Johannis Aloysii
Mingarellii. Vide ib. eius not. 3. e la Lettera a Mons.
Giovanni Archinto
Sopra un'opera inedita di un antico teologo
stampata già in Venezia nella Nuova Raccolta
del Calogerà 1763. tomo XI.
e ristampata nell'Appendice alla detta opera: Capo 3. pag. 465. fine
- 466. principio. del che non si troverà
982 così facilmente altro esempio in altro
scrittore greco.
*
) {+Il che
dimostra sì che gli stessi scrittori sì che i lettori greci erano
ignorantissimi del latino, da che gli scrittori non giudicavano di poter
citare parole latine, com'elle erano scritte; e di rado anche le usavano
in lettere greche, al contrario de' latini rispetto alle voci greche e
passi greci in caratteri latini ec.} Quanto poi i greci
dovessero lottare colle circostanze per mantenersi in questa verginità anche prima di Costantino, e dopo la conquista della
Grecia fatta dai Romani si può raccogliere da queste
parole del Cav. Hager, nel luogo cit.
qui dietro (p. 980.)
p. 245. Basta consultare la celebre opera di
S.
Agostino, De civitate Dei,
onde vedere quanto i Romani al medesimo tempo
erano solleciti d'imporre non solo il loro giogo, ma anche la loro
lingua a' popoli da loro sottomessi: Opera data est, ut imperiosa
civitas, non solum iugum, verum etiam linguam suam, domitis
gentibus per pacem societatis, imponeret
*
(Lib. XIX, cap.
7.)
Ai Greci medesimi, dice Valerio Massimo, non davano giammai
risposta che in lingua latina: illud quoque magna
perseverantia custodiebant, ne Graecis unquam nisi latine
responsa darent
*
, (Lib. II., c. 2. n. 2.)
e ciò quantunque la lingua greca fosse tanto
famigliare a' Romani; nulla dimeno per diffondere la lingua latina
obbligavano perfino que' Greci, che non la sapevano, a spiegarsi per
mezzo di un interprete in latino: Quin etiam... per interpretem loqui
cogebant... quo scilicet latinae vocis honos per omnes gentes
venerabilior diffunderetur.
*
*
(ibid.).
[988,1] I latini erano veramente δίγλωττοι rispetto alla
lingua loro e alla greca 1. perchè parlavano l'una come l'altra, ma non così i
greci generalmente, anzi ordinariamente: 2. perchè scrivendo citavano del
continuo parole e passi greci, in lingua e caratteri greci, ovvero usavano
parole o frasi greche nella stessa maniera; ma non i greci viceversa, del che
vedi p. 981.
{{e p. 1052. capoverso
3.}}
{{e p.
2165.}}
[999,2] In prova di quanto la lingua greca, fosse universale,
e giudicata per tale, ancor dopo il pieno stabilimento, e durante la maggiore
estensione del dominio romano e de' romani pel mondo; si potrebbe addurre il
Nuovo Testamento, Codice della nuova religione sotto i primi
imperatori, scritto tutto in greco, quantunque da scrittori {Giudei (così tutti chiamano gli Ebrei di que' tempi),} quantunque
l'Evangelio di S. Marco si creda scritto in
Roma e ad uso degl'italiani, {+giacchè è rigettata da' {tutti i} buoni critici l'opinione che
quell'Evangelio fosse scritto originariamente in
latino;}
(Fabric.
B. G. 3. 131.) quantunque v'abbia
un'Epistola
di S. Paolo cittadino Romano,
diretta a' Romani, un'altra agli
Ebrei; quantunque v'abbiano le
Epistole dette Cattoliche, cioè universali, di S. Giacomo, e di S. Giuda Taddeo. Ma senza entrare nelle
quistioni intorno alla lingua originale del nuovo testamento, o delle diverse
sue parti, osserverò quello che dice il Fabric.
B. G. edit. vet. t. 3. p. 153. lib. 4. c.
5. §. 9 parlando dell'Epistola di S.
Paolo a' Romani: graece scripta est, non latine, etsi Scholiastes
Syrus notat scriptam esse Romane ומאבח, quo vocabulo Graecam
1000 linguam significari,
Romę tunc et in omni fere Romano imperio
vulgatissimam, Seldenus ad
Eutychium
observavit.
*
E p. 131. nota (d.) §. 3. parlando delle testimonianze Orientalium recentiorum
*
che
dicono essere stato scritto il Vangelo di S. Marco in lingua romana,
dice che furono o ingannati, o male intesi dagli altri, nam per Romanam linguam etiam ab illis Graecam
quandoque intelligi observavit Seldenus.
*
Intendi l'Opera di Giovanni Selden intitolata: Eutychii
Aegyptii Patriarchae Orthodoxorum Alexandrini Ecclesię suae Origines
ex eiusdem Arabico nunc primum edidit ac Versione et Commentario
auxit Joannes Seldenus. {+Per lo contrario Giuseppe Ebreo nel proem. dell'Archeol. §.
2. principio e fine, chiama Greci tutti coloro che non erano
Giudei, o sia gli Etnici, compresi per cons. anche i romani. E così nella Scrittura Ἕλληνες passim opponuntur
Iudaeis, et vocantur ethnici, a Christo
alieni
*
(Scapula). Così ne' Padri antichi. Il che pure
ridonda a provare la mia proposizione. E Gioseffo avendo detto di scrivere per tutti i Greci (cioè i non ebrei), scrive in
greco. V. anche il Forcell.
v. Graecus in
fine.}
[1024,1]
1024 Sebbene la lingua Celtica fosse così bella ed atta
alla letteratura, {e per conseguenza, formata, e stabilita e
ferma (espressioni del Buommattei
in simil senso),} come si vede oggidì ne' monumenti che ne avanzano, e
come ho detto p. 994. fine; sebben
fosse così antica e radicata ec. nondimeno laddove i greci ancorchè sudditi
romani, e vivendo in Roma o in
italia, scrivevano sempre in greco {e non mai in latino;} nessuno scrittor gallo, nelle
medesime circostanze, scrisse mai {che si sappia} in
lingua celtica, ma in latino. (9. Maggio 1821.).
[1025,1] La cognizione stessa che i greci di qualunque tempo,
ebbero de' padri e teologi latini ec. soli scrittori latini ch'essi
conoscessero, non fu {(se non forse ne' più barbari secoli di
mezzo)} paragonabile a quella che ebbero i latini dei padri, ed autori
ecclesiastici greci, massime nei primi secoli del cristianesimo, e negli ultimi
anni dell'impero greco
(Andrès loc. cit. da me p.
1023. t. 3. p. 55.), quando la dimostrarono principalmente
in occasione del concilio di Firenze. (ivi) (9.
Maggio 1821.).
[1029,1]
1029 La lingua latina superò per esempio la lingua
antica Spagnuola, la Celtica ec. mediante la semplice introduzione nella
Spagna, nelle Gallie ec. del
governo, leggi, costumi Romani. Ma a superar la greca non le bastò neppure il
trasportar nella Grecia la stessa
Roma, e quasi la stessa
Italia. (11. Maggio 1821.).
[1052,2] Dell'ignoranza del latino presso i greci v. Luciano, Come vada scritta la
storia. (14. Maggio 1821.).
[1093,1] La letteratura di una nazione, la quale ne forma la
lingua, e le dà la sua impronta, e le comunica il suo genio, corrompendosi,
corrompe conseguentemente anche la lingua, che le va sempre a fianco e a
seconda. E la corruzione della letteratura non è mai scompagnata dalla
corruzione della lingua, influendo vicendevolmente anche questa sulla corruzione
di quella, come senza fallo, anche lo spirito della lingua contribuisce a
determinare e formare lo spirito della letteratura. Così è accaduto alla lingua
latina, così all'italiana nel 400, nel 600, e negli ultimi tempi, così pure nel
600, e negli ultimi tempi alla spagnuola: tutte corrotte al corrompersi della
rispettiva letteratura. Eppure la lingua greca, con esempio forse unico,
corrotta, anzi, dirò, imputridita la letteratura, si mantenne incorrotta
1094 più secoli, e molto altro spazio poco alterata,
come si può vedere in Libanio, in Imerio, in S. Gregorio Nazianzeno, e altri tali sofisti più antichi o più moderni di
questi, che sono corrottissimi nel gusto, e non corrotti {o
leggermente corrotti} nella lingua. Tanta era per una parte la
libertà, la pieghevolezza, e dirò così la capacità della lingua greca formata, che poteva anche essere applicata a pessimi
stili, senza allontanarsi dall'indole della sua formazione, e senza perdere le
sue forme proprie, e il suo naturale; ed essere adoperata da una letteratura
guasta senza guastarsi essa stessa, adattandosi tanto al buono come al cattivo,
e ricevendo nella immensa capacità delle sue forme, e nella sua {varietà,} copia e ricchezza, sì l'uno come l'altro.
Simile in ciò all'italiana, dove si può scrivere purissimamente cose di pessimo
gusto, ed usare un pessimo stile, in ottima o non corrotta lingua, come ho detto
altrove pp. 243-45
p.
321
pp.
686. sgg.
pp.
766-67. Dal che nasce la difficoltà di scriver bene in italiano, a
differenza del francese, che avendo una sola
lingua, ha anche un solo
stile, e chiunque scrive in francese, non può non iscrivere in istile appresso a poco, buono. E
però non dobbiamo farci maraviglia di quello che dicono, che tutti i francesi
più o meno scrivono bene.
[1363,2] I greci ponevano nella stessa
roma iscrizioni greche, quali sono le famose Triopee
fatte porre da Erode Attico, benchè
trattino di oggetti, si
1364 può dir, tutti e del tutto
romani. (21. Luglio 1821.).
[1518,1] Da queste osservazioni si deduce che dopo che i
costumi greci furono radicati in Roma; dopo che i romani
andavano ad imparar le maniere del bel vivere in grecia,
come si va ora a Parigi; dopo che la moda, la bizzarria,
l'ozio derivato dalla monarchia, l'influenza della letteratura greca ec. ebbe
grecizzati i costumi e la conversazione di Roma; dopo che
le case de' nobili eran piene di filosofi, di medici, di precettori, di
domestici e uffiziali greci d'ogni sorta;
1519 dopo che
la letteratura Romana fu definitivamente modellata sulla greca, come la russa,
la svedese, la inglese del secolo d'Anna sulla francese; dopo tutto ciò la lingua romana
doveva necessariamente (quando anche non si sapesse di fatto) imbarbarire a
forza di grecismo, sì quanto ai particolari, sì quanto all'indole. E bisogna
attentamente osservare che il grecismo di que' tempi, non era già quello d'Erodoto o di Senofonte, e perciò la lingua e stile romano non fu
mai semplice nè inartifiziato; ma quello di Luciano, di Polibio ec.
cioè contorto, lavorato, elegante artifiziosamente, e similissimo all'andamento
del latino. (v. p.
1494-6. ) Il quale andamento molto si sbaglierebbe chi lo credesse
passato dal latino nel greco. Fu tutto l'opposto, e derivò dall'influenza del
greco di allora, il quale nè allora nè mai fu soggetto all'influenza del latino.
E se {+la lingua} e lo stile latino
classico fu sommamente più artifiziato per indole, che il greco classico, ciò si
deve attribuire all'indole della grecità contemporanea al classico latino.
(18. Agos. 1821.)
[2312,3] I greci conoscevano la letteratura latina appresso a
poco come i francesi conoscono oggidì le letterature straniere (specialmente
l'italiana), e com'essi le hanno conosciute da poi che la lingua letteratura e
costumi loro sono stati
2313 pienamente formati.
Eccetto quella differenza che è prodotta dalla diversità de' tempi e del
commercio fra le nazioni, per cui la Francia conosce
certo più le letterature forestiere, di quel che la
Grecia conoscesse la latina. Ma parlo
proporzionatamente. E non è questa la sola somiglianza (estrinseca però) che
passa fra lo spirito, il costume, la letteratura francese, e la greca. (31
Dic. 1821.).
[2402,1] Intorno alla gelosia che avevano i romani della
preminenza della loro lingua sulla greca, vedi Dione p. 946. nota 86.
(23. Aprile 1822.).
[2450,1] E così accadde cosa osservabilissima: cioè che la
lingua greca per essersi conservata pura, divenne e si mantenne (ed ancora si
mantiene) la più potente e ricca e capace di tutte le lingue occidentali. Non
per altro se non perch'ella restringendosi in se sola, non lasciò mai di porre a
frutto e a moltiplico il proprio capitale. E viceversa per esser divenuta così
potente, si mantenne pura più lungo tempo di qualunqu'altra (ancor dopo ch'ebbe
a fare con una nazione civile e signora sua, come la latina). Giacchè non ebbe
alcun bisogno nè di parole nè di modi stranieri per esprimere qualunque cosa
occorresse: e i greci avendo alle mani facile e pronto e spendibile il capitale
proprio, non si curarono dell'altrui, il quale sarebbe stato loro più difficile
a usare, e manco manuale del proprio. L'opposto di quello che avviene a noi per
aver trasandato di porre a frutto il nostro bellissimo e vastissimo capitale,
che benchè sia tale (oltre che la maggior parte ce n'è ignota), non basta
2451 nè potrà mai bastare al continuo e sempre nuovo
bisogno della società favellante, se non lo faremo fruttare, come non solo
concede amplissimamente, ma porta e vuole l'indole e la natura sua. (30.
Maggio 1822.). {{V. p. 2455.}}
[2589,1] La letteratura greca fu per lungo tempo (anzi
lunghissimo) l'unica del mondo (allora ben noto): e la latina (quand'ella sorse)
naturalissimamente non fu degnata dai greci, essendo ella derivata in tutto
dalla greca; e molto meno fu da essi imitata. Come appunto in[i] francesi poco degnano di conoscere e neppur pensano
d'imitare la letteratura russa o svedese, o l'inglese del tempo d'Anna, tutte nate
dalla loro. Così anche, la lingua greca fu l'unica formata e colta nel mondo
allora ben conosciuto (giacchè p. e. l'india non era ben
conosciuta). Queste ragioni fecero naturalmente che la letteratura e lingua
greca si conservassero tanto tempo incorrotte, che d'altrettanta durata non si
conosce altro esempio. Quanto alla lingua n'ho già detto altrove p.
996,1
pp.
1093-94
pp.
2408-10. Quanto alla letteratura, lasciando stare Omero, è prodigiosa la durata della letteratura greca
non solo incorrotta, ma nello stato di
creatrice. Da Pindaro, Erodoto, Anacreonte, Saffo, Mimnermo, gli altri
lirici ec. ella dura senza interruzione fino a Demostene; se non che, dal tempo di Tucidide a Demostene, ella si restringe alla sola
Atene per
2590 circostanze
ch'ora non accade esporre. V. Velleio lib. 1. fine. Nati,
anzi propagati e adulti i sofisti e cominciata la letteratura greca {(non la lingua)} a degenerare, (massime per la perdita
della libertà, da Alessandro, cioè da
Demostene in poi), ella con
pochissimo intervallo risorge in Sicilia e in
Egitto, e ancora quasi in istato di creatrice. Teocrito, Callimaco, Apollonio Rodio ec. Finito il suo stato di creatrice, e dichiaratasi
la letteratura greca imitatrice e figlia di se stessa, cioè ridotta (come sempre
a lungo andare interviene) allo studio e imitazione de' suoi propri classici
antichi, l'esser questi classici, suoi, e questa imitazione, di se stessa, la
preserva dalla corruzione, e purissimi di stile e di lingua riescono Dionigi Alicarnasseo, Polibio, e tutta la ϕορά di scrittori greci
contemporanei al buon tempo della letteratura latina; i quali appartengono alla
classe, e sono in tutto e per tutto una ϕορά d'imitatori dell'antica letteratura
greca, e di quella ϕορά durevolissima di scrittori greci classici, ch'io chiamo
ϕορά creatrice. Corrotta già
2591 la letteratura
latina, e sfruttata e indebolita, la greca sopravvive alla sua figlia ed alunna,
e s'ella produce degli Aristidi, degli
Erodi attici, e altri tali retori
di niun conto nello stile (non barbari però, e nella lingua purissimi), ella pur
s'arricchisce d'un Arriano, d'un Plutarco, d'un Luciano, {ec.} che
quantunque imitatori, pur sanno così bene scrivere, e maneggiar lo stile e la
lingua antica o moderna, che quasi in parte le rendono la facoltà creatrice.
Aggiungi che in tal tempo la grecia, colla sua
letteratura e lingua incorrotta, era serva, e l'Italia
signora colla sua letteratura e lingua imbastardita e impoverita. (30.
Luglio 1822.).
[2622,1] Le nazioni civili dell'Asia,
dopo la conquista d'Alessandro erano
veramente δίγλωττοι cioè parlavano e scrivevano la lingua greca, non come
propria, ma come lingua colta, e nota universalmente,
2623 e letta da per tutto (e così deve intendersi il luogo di Cic.
pro
Archia), e come noi o gli svedesi o i russi o gli olandesi
scrivono il francese: noi (più di rado) per cagione della sua universalità;
quegli altri, come anche i polacchi, e al tempo di Federico i prussiani, per non aver lingua che sia
{o fosse} ancora abbastanza capace ec. Nè si dee
credere che le lingue patrie di quelle nazioni, fossero spente, neanche diradate
dall'uso, e sostituita loro la greca nella conversazione quotidiana, come
accadde della latina, nelle nazioni latinizzate. Restano anche oggi le lingue
asiatiche antiche, o dialetti derivati da quelle, o composti di quelle e d'altre
forestiere, come dell'arabica ec. E v. ciò che s'è detto altrove pp.
1000-1001 di Giuseppe Ebreo,
e Porfirio
Vit.
Plotini c. 17. nel Fabric.
B. G. t. 4. p. 119.-20. (e quivi la nota)
κατὰ μὲν πάτριον
διάλεκτον
*
. Di questi δίγλωττοι che scrivevano in lingua
non loro, e pure scrivevano anche egregiamente, fu Luciano da Samosata, {+v. le sue opp., dove fa cenno della sua
lingua patria,} e tali altri di que' tempi; anzi tutti gli Asiatici
2624 che scrissero in greco (eccetto quelli delle
Colonie, come Arriano, Dionigi Alicarnasseo ec.), alcuni Galli
non Marsigliesi nè d'altra colonia greco-gallica (come Favorino), alcuni Africani, massime Egiziani (perchè
nel resto dell'Affrica, {esclusa la Cirenaica,} trionfò la lingua latina, ma
come lingua de' letterati e del governo ec. non come popolare, per quanto
sembra), alcuni italiani (come M.
Aurelio) ec. ec. (9. Sett. 1822.). {+Questo appunto fu quello che la lingua latina non
ottenne mai, o quasi mai, cioè d'esser bene intesa, parlata, letta, scritta
da quelli che non la usavano quotidianamente come propria, e così si deve
intendere il citato luogo di Cic.
latina suis finibus, exiguis
sane, continentur.
*
Pur non erano tanto
ristretti neppur allora, quanto all'uso quotidiano, essendo già stabilito il
latino in Affrica ec.}
[3366,1] La lingua latina s'introdusse, si piantò e rimase in
quelle parti d'europa nelle quali entrò anticamente e si
stabilì la civilizzazione. Ciò non fu che nella Spagna e
nelle Gallie. Quella fino dagli antichi tempi produsse i
Seneca, Quintiliano, Columella, Marziale ec. poi
Merobaude, S. Isidoro ec. e altri moltissimi di mano in mano, i
quali divennero letterati e scrittori latini, senza neppure uscire, come quei
primi, dal loro paese, o quantunque in esso educati, e non, come quei primi, in
Roma. Le Gallie produssero
Petronio Arbitro, {Favorino ec.}
poi Sidonio, S. Ireneo ec. La civiltà v'era già innanzi i romani
stata introdotta da coloni greci. Di più la corte latina v'ebbe sede per alcun
tempo. La Germania benchè soggiogata anch'essa da'
Romani, e parte dell'impero latino, non diede mai adito a
civiltà nè a lettere, nè a' buoni nè a' mediocri nè a' cattivi tempi di
quell'impero. Ella fu sempre barbara. Non si conta fra gli scrittori latini di
veruna latinità
3367 (se non dell'infimissima) niuno
che avesse origine germanica o fosse nato in Germania,
come si conta pur quasi di tutte l'altre provincie e parti
dell'impero romano. Quindi è che la
Germania benchè suddita latina, benchè vicina
all'italia, anzi confinante, come la
Francia, e più vicina assai che la
Spagna, non ammise l'uso della lingua latina, e non
parla latino {(cioè una lingua dal latino derivata),}
ma conserva il suo antico idioma. (Forse anche fu cagione di ciò e delle cose
sopraddette, che la Germania non fu mai intieramente
soggiogata, nè suddita pacifica, come la Spagna e
le Gallie, sì per la naturale ferocia della nazione,
sì per esser ella sui confini delle romane conquiste, e prossima ai popoli
d'europa non conquistati, e nemici de' romani, e
sempre inquieti e ribellanti, onde ad essa ancora nasceva e la facilità, e lo
stimolo, e l'occasione, e l'aiuto e il comodo di ribellare). Senza ciò la lingua
latina avrebbe indubitatamente spento la teutonica, nè di essa resterebbe
maggior notizia o vestigio che della celtica e dell'altre che la lingua latina
spense affatto in Ispagna e in
3368
Francia. Delle quali la teutonica non doveva mica esser
più dura nè più difficile a spegnere. Anzi la celtica doveva anticamente essere
molto più colta e perfetta o formata che la teutonica, il che si rileva sì dalle
notizie che s'hanno de' popoli che la parlarono, e delle loro istituzioni (come
de' Druidi, de' Bardi, cioè poeti ec.), e della loro religione, costumi,
cognizioni ec. sì da quello che avanza pur d'essa lingua celtica, e de' canti
bardici in essa composti ec. L'inghilterra par che
ricevesse fino a un certo segno l'uso della lingua latina, certo, se non altro,
come lingua letterata e da scrivere. {Il latino si stabilì in
Inghilterra a un di presso come il greco
nell'alta Asia, e l'italiano in Dalmazia, nell'isole
greche e siffatti dominii de' Veneziani: cioè come lingua di qualunque
persona colta e della scrittura, ma non parlata dal popolo, benchè forse
intesa. Così il turco in grecia ec.}
Ella ha pure scrittori non solo dell'infima, ma anche della media latinità, come
Beda ec. Ma era già troppo tardi,
sì perchè la lingua latina era già corrotta e moribonda per tutto, anche in
italia sua prima sede, sì perchè l'impero
latino era nel caso stesso. Quindi i Sassoni facilmente
distrussero la lingua latina in inghilterra, ancora
inferma e mal piantata, propria solo dei dotti (com'io credo), e le sostituirono
la
3369 teutonica, trionfando allo stesso tempo (almeno
in molta parte dell'isola) anche dell'idioma nazionale, indigeno, ἐπιχώριος e
volgare, cioè del celtico ec., al qual trionfo doveva pure aver già contribuito
la lingua latina, soggiogata poi anch'essa, e più presto ed interamente
dell'indigena, da quella de' conquistatori. Laddove nelle
Gallie i Franchi non poterono mica introdurre la
lingua loro, benchè conquistatori, nè estirpar la latina, ben radicata, e per
lunghezza di tempo, e perchè insieme con essa erano penetrati e stabiliti nelle
Gallie, i costumi, la civiltà, le lettere, la
religione latina, e perchè {quivi} detta lingua non era
già propria ai soli dotti, ma comune al volgo, ond'essi conquistatori
l'appresero, e parlata ec. Così dicasi de' Goti, Longobardi ec. in
italia; de' Vandali {ec.} in
Ispagna. Che se la lingua latina in
italia, in Francia, in
ispagna, trionfò delle lingue germaniche benchè
parlate da' conquistatori, può esser segno ch'ella ne avrebbe pur trionfato
nella Germania ov'elle parlavansi da' conquistati, se non
l'avessero impedito le cagioni dette di sopra. Perocchè si vede che la lingua
latina trionfava
3370 dell'altre, non tanto come lingua
di conquistatori e padroni, superante quella de' conquistati e de' servi, nè
come lingua indigena o naturalizzata, superante le forestiere, avventizie e
nuove; quanto come lingua colta e formata, superante le barbare, incolte,
informi, incerte, imperfette, povere, insufficienti, indeterminate. Altrimenti
non sarebbe stato, come fu, impossibile ai successivi conquistatori
d'Italia, Francia,
Spagna, il far quello che i latini ne' medesimi
paesi, conquistandoli, avevano fatto; cioè l'introdurre le proprie lingue in
luogo di quelle de' vinti. Nel mentre che i Sassoni in
inghilterra, certo nè più civili nè più potenti de'
Franchi, de' Goti, {de' mori,} ec., i Sassoni, dico, in
inghilterra, e poscia i Normanni, trionfavano pur
senza pena delle lingue indigene di quell'isola, perchè mal formate ancor esse,
benchè non affatto barbare, ed {anzi} (p. e. la
celtica) più colte ec. delle loro. Ma queste vittorie della lingua latina sì
nell'introdursi fra' conquistati, e forestiera scacciare le lingue indigene; sì
nel mantenersi malgrado i conquistatori, e in luogo di cedere, divenir propria
anche di questi, si dovettero, come ho detto, in grandissima parte, alla civiltà
dei
3371 costumi latini e alle lettere latine con essa
lingue[lingua] introdotte o conservate: di
modo che detta lingua non riportò tali vittorie, solamente come colta e perfetta
per se, ma come congiunta ed appartenente ai colti e civili costumi, opinioni e
lettere latine. Perocchè, come ho detto, sempre ch'ella ne fu disgiunta, cioè
dovunque la civiltà e letteratura latina, e l'uso del viver latino, o non
s'introdusse, o non si mantenne, o scarsamente s'introdusse o si conservò; nè
anche s'introdusse la lingua latina, come in Germania, o
non si mantenne, come accadde in Inghilterra. E ciò si
vede non solo in queste parti d'europa, che non ammisero
la civiltà latina per eccesso di barbarie, o che non ammettendola, restarono
barbare; ma eziandio in quelle dove una civiltà ed una letteratura indigena
escluse la forestiera, in quelle che non ammettendo i costumi nè le lettere
latine, restarono però, quali erano, civili e letterate, cioè nelle nazioni
greche. Le quali non ricevendo l'uso del viver latino, non ricevettero neppur la
lingua, benchè la sede dell'
3372
impero romano, e Roma e il
Lazio, per così dire, fossero trasportate e
lunghissimi secoli dimorassero nel loro seno. Ma la
Grecia contuttociò non parlò mai nè scrisse latino,
ed ora non parla nè scrive che greco. Ed essa era pur la parte più civile
d'europa, non esclusa la stessa
Roma, al contrario appunto della
Germania. Sicchè da opposte, ma analoghe e
corrispondenti e ragguagliate e proporzionate, cagioni, nacque lo stesso
effetto.
[4173,8]
Magnum videlicet
illis
*
(Athenaei) temporibus videbatur, duabus
linguis posse loqui: quod in nescio quo habitum loco miraculi refert
Galenus: δίγλωττóς
τις, inquit, ἐλέγετο πάλαι, καὶ ϑαῦμα τοῦτ᾽ ἦν, ἄνϑρωπος εἷς,
ἀκριβῶν διαλέκτους δύο
*
. Bilinguis olim quidam dicebatur: eratque res
miraculo mortalibus, homo unus duas exacte linguas
tenens.
*
Haec Galenus in secundo de Differentiis
pulsuum.
*
Casaub.
Animadv. in Athenae. lib. 1. cap.
2. (Bologna 14. Aprile.
1826.).
[4211,7] L'autor greco della Vita di S. Gregorio Papa, detto il Magno, avendo parlato delle
opere di questo Santo, e particolarmente de' suoi Dialoghi,
4212 soggiunge (appresso Fozio. cod. 252. col.
1400. ed. grec. lat. Credo però che questa Vita si trovi stampata intera, e
sarà in fronte alle opp. di S.
Gregorio): ᾽Aλλὰ γὰρ πέντε καὶ ἑξήκοντα καὶ
ἑκατòν ἔτη oἱ τὴν ῥωμαίαν ϕωνὴν ἀϕιέντες τῆς ἐκ τῶν πõνων αὐτοῦ ὠϕελείας
μόνοι ἀπήλαυον. Zαχαρίας δέ, ὃς τoῦ ἀποστολικoῦ ἀνδρὸς ἐκείνου χρόνοις
ὕστερον τoῖς εἰρημένοις κατέστη διάδοχoς, τὴν ἐν τῇ ῥωμαϊκῇ μóνῃ
συγκλειομένην γνῶσιν καὶ ὠϕέλειαν εἰς τὴν ᾽Eλλάδα γλῶσσαν ἐξαπλώσας, κοινὸν τὸ κέρδος τῇ
oἰκουμένῃ πάσῃ ϕιλανϑρώπως ἐποιήσατο. οὐ τοὺς διαλóγους δὲ
καλουμένους μóνους, ἀλλὰ καὶ ἄλλους αὐτοῦ ἀξιολóγοuς πóνους ἐξελληνίσαι
ἔργον ἔϑετο.
*
Ma per ispazio di 165 anni, solamente quelli che
parlano latino godettero della utilità delle sue opere. Poi Zacaria, che in capo al detto
spazio di tempo successe a quell'apostolico uomo (nel papato),
trasportati in lingua greca i colui scritti, fece cortesemente comune a
tutta la terra la notizia e la utilità di quelli, ristretta fino allora
ai soli Latini. E non solo i così detti dialoghi, ma prese anche a
voltare in greco altri scritti del medesimo degni di
considerazione.
*
- Testimonianza insigne della universalità della lingua
greca
{eziandio} ai tempi dello scrittore di questa
Vita, cioè, credo, nel sesto secolo, se costui fu
contemporaneo o poco posteriore al detto Zaccaria papa. (Bologna. 5. Ott.
1826.)
[4237,2] Tenacità dei Greci verso la loro lingua, e loro
ignoranza delle altre, in ispecie della latina. V. Dati, pref. alle prose fiorentine,
nella Raccolta
di prose ad uso delle regie scuole di
Torino, Torino
1753. p. 620. segg.
[4243,3] Disprezzo e ignoranza dei greci per la letteratura
latina. V. Speroni
Diall. ed.
Ven. 1596. p. 420. - Si potrebbero in ciò i
greci assomigliare ai francesi.
[2628,1]
Isocrate nel Panegirico p. 133.
cioè prima del mezzo, (quando entra a parlare delle due guerre Persiane)
lodando i costumi e gl'istituti di coloro che ressero
Atene e Sparta innanzi al
tempo d'esse guerre, dice, ἴδια μὲν ἄστη τὰς ἑαυτῶν
πόλεις ἡγούμενοι, κοινὴν δὲ πατρίδα τὴν ῾Eλλάδα νομίζοντες
εἶναι
*
. (30. Settembre 1822.)
[2793,2] Gli scrittori greci de' secoli medii e bassi, cioè
dal terzo inclusive in poi, sono pieni d'improprietà di lingua (com'è quella di
Coricio sofista del sesto secolo nell'Orazione εἰς Σοῦμμον στρατηλάτην in Summum ducem, §. 11. ap. Fabric.
B. G. edit. vet. vol. 8. p. 869. lib. 5. cap. 31. di
usare la voce δικαστής in vece di κριτής o di μάρτυς), pieni di frasi strane
quanto alla lingua, pieni di solecismi, e di mille contravvenzioni alle antiche
regole della sintassi e grammatica greca, ma non hanno barbarismi. La loro
lingua per tutto ciò che appartiene all'eleganza, è diversissima da quella degli
antichi scrittori: ma per tutto il resto è la stessa. Si può dir ch'essi
ignorino il buon uso della lingua che scrivono, che non la sappiano adoperare;
ma la lingua che scrivono è quella degli antichi: quella che gli antichi
scrissero
2794 bene, essi la scrivono male. Molte {loro} parole che non si trovano negli antichi, sono però
cavate dal fondo della lingua greca o per derivazione o per composizione ec.;
rade volte ripugnano all'indole d'essa lingua, e per esser chiamate buone,
greche, pure e di buona lega, non manca loro se non la sanzione dell'antichità.
In somma il grecismo di questi scrittori è per lo più cattivo o pessimo, ma la
loro lingua è pura. Le voci e frasi poetiche versate a due mani nelle prose, le
voci o frasi antiquate, le metafore o strane affatto e barbare, o poetiche, non
offendono la purità della lingua, ed appartengono piuttosto al conto dello
stile. Il periodo di questi scrittori, il giro della dicitura, per lo più rotto,
slegato, saltellante, ineguale, ovvero intralciato, duro, aspro, monotono, e
lontanissimo dalla semplicità e dalla maestà dell'antica elocuzione greca,
appartiene certo in gran parte alla lingua, al cui genio è contrarissima la
struttura dell'orazione di quei bassi scrittori, ma non nuoce alla purità. Il
numero e l'armonia è diversissimo
2795 in questi
scrittori da quel ch'egli è negli antichi, ma ciò non solo per la negligenza di
quelli, bensì ancora per la diversa pronunzia introdotta appoco appoco nella
lingua greca, massimamente estendendosi ella a tanti e sì diversi e tra se
lontani paesi, e subentrando a sì diverse favelle, o prendendo luogo accanto ad
esse e in compagnia di esse, o in mezzo ad esse: giacchè bisogna considerare che
la più parte degli scrittori greci dal 3. secolo in poi, non furono greci di
nazione, o certo non furono greci di paese, ma Asiatici ec., e greci solamente
di lingua, e questo ancora non sempre dalla nascita, ma per istudio, come p. e.
Porfirio, della cui lingua patria,
vedi la Vita di
Plotino, capo 17. e l'Holstenio
de Vita et scriptis Porphyrii cap.
2.
(17. Giugno. 1823.). {V. p. 2827.}
[3420,2]
Alla p. 3404.
Quanto nel cit. pensiero ho detto dello stile di Floro, si può, e meglio, applicare a quello di Platone, riputato, {sì} quanto allo stile e a' concetti, sì quanto alla dizione, {+Puoi vedere la pag. 3429.} esser
3421 quasi un poema (v. Fabric.
B. G. in Plat. §. 2. edit. vet. vol. 2. p. 5.); e nondimeno sommo e
perfetto esempio di bellissima prosa, elegantissima bensì e soavissima (non meno
che gravissima: suavitate et gravitate princeps Plato
*
: Cic. in Oratore),
amenissima ec., ma pur verissima prosa, e tale che la meno poetica delle moderne
prose francesi (e mi contento di parlare delle sole riconosciute per buone), è
molto più poetica di quella di Platone
che tra le greche classiche è di tutte la più poetica. Non altrimenti che molto
più poetiche della prosa platonica {sono} assaissime
prose sacre e profane de' posteriori sofisti e de' padri greci ec. la cui
moltitudine avanza forse {+e senza
forse} quella che ci rimane delle prose classiche antiche. Ma per vero
dire, nè quelle son prose, nè le moderne francesi lo sono, ma sofistumi l'une e
l'altre, quelle in ogni cosa, queste in quanto allo stile. (12. Sett.
1823.).
[4026,7] Dico altrove {+p.
2827.} che la mutata pronunzia della lingua greca, dovette di
necessità ne' secoli inferiori, alterandone l'armonia, alterarne la costruzione
l'ordine e l'indole ec. perchè da un medesimo periodo o costrutto diversamente
4027 pronunziato, non risultava più o niuna, o
certo non la stessa armonia di prima. Aggiungi che anche indipendentemente {da} questo, gli scrittori, ed anche i poeti greci de'
secoli inferiori (come pure i latini, gl'italiani, e tutti gli altri ne' tempi
di corrotto gusto e letteratura) amavano e volevano un'armonia diversa per se ed
assolutamente e in quanto armonia da quella degli antichi, cioè sonante, alta,
sfacciata, uniforme, cadenziosa ec. Questa dagli esperti si ravvisa a prima
vista in tutti o quasi tutti i prosatori e poeti greci di detti secoli, anche
de' migliori, ed anch'essi atticisti, formati sugli antichi, imitatori, ec.
Tanto che questo numero, diverso dall'antico e della qualità predetta, che quasi
in tutti, più o meno, e più o men frequente, vi si ravvisa, e[è] un certo e de' principali e più appariscenti segni,
almeno a un vero intendente, per discernere gl'imitatori e più recenti, che
spesso sono del resto curiosissimamente conformi agli antichi, da' classici
originali e de' buoni tempi della greca letteratura. Ora il diverso gusto
nell'armonia e numero di prosa e verso (nel quale aggiungi i nuovi metri,
occasionati da tal gusto e dalla mutata pronunzia della lingua) contribuì non
poco ad alterare, anche negli scrittori diligenti ed archeomani i costrutti e
l'ordine della lingua, come era necessario, e come si vede, guardandovi
sottilmente, per es. in Longino,
perchè vi trovi non di rado in parole antiche un costrutto non antico, e si
conosce ch'è fatto per il numero che ne risulta, e altrimenti non sarebbe
risultato, e il quale altresì non è antico. (Così dicasi dell'alterazione
cagionata ne' costrutti ec. dalla mutata pronunzia). Questa causa di corruzione
è da porsi fra quelle che produssero e producono universalmente l'alterazione e
corruttela di tutte le lingue, nelle quali tutte (o quasi tutte) i secoli di
gusto falso e declinato pigliarono un numero conforme al descritto di sopra e
diverso da quello de' loro antichi. Si
4028 conosce a
prima vista, {e indubbiamente, (almen da un intendente ed
esercitato)} per la differenza e per la detta qualità del numero, un
secentista da un cinquecentista, ancorchè quello sia de' migliori, ed anche
conforme in tutto il resto agli antichi. Il Pallavicini, ottimo per se in quasi tutto il restante, pecca
moltissimo nella sfacciataggine e uniformità (vera o apparente, come dico
altrove pp. 4026-28) del numero, alla quale subito si riconosce
il suo stile, diverso principalmente per questo (quanto all'estrinseco, cioè
astraendo dalle antitesi e concettuzzi che spettano piuttosto alle sentenze e ai
concetti, come appunto si chiamano) da' nostri antichi, da lui tanto studiati, e
tanto e così bene espressi e seguiti. Che dirò del numero di Apuleio, Petronio ec. rispetto a quello di Cic. e di Livio? non che di
Cesare, e de' più antichi e
semplici, che Cic. nell'Oratore dice mancar tutti del numero {+s'intende del colto, perchè senza un numero non possono
essere. V. p. seg. [p. 4029,1]..} Che dirò di Lucano, dell'autore del Moretum, Stazio ec. rispetto a Virgilio? Marziale a Catullo ec.? Or
questa mutazione e depravazione del numero dovette necessariamente essere una
delle maggiori cagioni dell'alterazione della lingua sì greca, sì latina e
italiana, sì ec., massime quanto ai costrutti e l'ordine, e quindi alla frase e
frasi, e quindi all'indole, insomma al principale. Anche si dovettero depravar
le {semplici} parole per servire al numero, {+e grattar l'orecchio avido di nuovi e
spiccati suoni,} o sformando le vecchie, o inducendone delle nuove e
strane, o componendone, come in greco, o troncandole come tra noi (l'uso de'
troncamenti è singolarmente proprio del Pallavicini, e de' secentisti e de' più moderni da loro in poi),
avendo riguardo sì al suono della parola in se, sì al suo effetto nella
composizione e nel periodo. (9. Feb. 1824.). Veggasi il detto
altrove pp. 848-49
{su d'alcuni} sforzati costrutti d'Isocrate per evitare il concorso {(conflitto)} delle vocali ec. ec. (9. Feb. 1824.).
(Riferiscasi ancora a questo proposito per quanto gli può toccare, il detto
altrove pp. 1157-60 sul
vario gusto de' greci, lat. e ital. in diversi tempi, circa il concorso,
l'abbondanza ec. delle vocali.) Ora se questo accadeva a Isocrate ottimo giudice, ed esposto
4029 migliaia d'altri tali, e scrivente per piacere a
essi, nel centro della lingua pel tempo e pel luogo, fiorente la lingua e la
letteratura, nel suo gran colmo ec. ec. che cosa doveva accadere ne' secoli
bassi ne' quali ec. fra gl'imitatori ec. la più parte, com'era allora non greci
di patria, ma dell'Asia, e questa anche alta, non la
minore ec. ec. molti ancora non greci neppur di genitori, come Gioseffo, Porfirio e tanti altri ec. ec.? (10. Feb.
1824.).
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