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Inconvenienti accidentali nella natura.

Accidental inconveniences in nature.

1079,1 1530,2 1789,2 1959,1 2599,1 3374,1 3792 3883 4248,9

[1079,1]  {Alla p. 366.} In una macchina vastissima e composta d'infinite parti, per quanto sia bene e studiosamente fabbricata e congegnata, non possono non accadere dei disordini, massime in lungo spazio di tempo; disordini  1080 che non si possono imputare all'artefice, {nè all'artifizio;} e ch'egli non poteva nè prevedere distintamente nè impedire. {V. p. 1087 fine.} Di questo genere sono quelli che noi chiamiamo inconvenienti accidentali nell'immenso e complicatissimo sistema della natura, e nella sua lunghissima durata. Che sebben questi non ci paiano sempre minimi, bisogna considerarli in proporzione della detta immensità, e complicazione, e della gran durata del tempo.

[1530,2]  A quello che ho detto altrove pp. 1079-81 pp. 1087-89 per iscusar gl'inconvenienti accidentali che occorrono nel sistema della natura, aggiungete, che talvolta, anzi spessissimo, essi non sono inconvenienti se non relativi, e la natura gli ha ben preveduti, ma lungi dal prevenirgli, li ha per lo contrario inclusi nel suo grand'ordine, e disposti a' suoi fini. La natura è madre benignissima del tutto, ed anche de' particolari generi e specie che in esso si contengono, ma non degl'individui. Questi servono sovente a loro  1531 spese al bene del genere, della specie, o del tutto, al quale serve pure talvolta con proprio danno la specie e il genere stesso. È già notato che la morte serve alla vita, e che l'ordine naturale, è un cerchio di distruzione, {e} riproduzione, e di cangiamenti regolari e costanti quanto al tutto, ma non quanto alle parti, le quali accidentalmente servono agli stessi fini ora in un modo ora in un altro. Quella quantità di uccelli che muore nella campagna coperta di neve, per mancanza di alimenti, la natura non l'ignora, ma ha i suoi fini in questa medesima distruzione, sebben ella non serva immediatamente a nessuno. Per lo contrario la distruzione degli animali che fanno gli uomini o altri animali alla caccia, serve immediatamente ai cacciatori, ed {è} un inconveniente accidentale, e una disgrazia per quei poveri animali; ma inconveniente relativo, e voluto dalla natura, che gli ha destinati per cibo ec. ad altri viventi più forti. (20. Agos. 1821.).

[1789,2]  Sugl'inconvenienti accidentali nel sistema della natura v. Dutens par. 4. c. 5. §. 325-26.  1790 Questa materia si può insomma riportare alla famosa quistione dell'origine o principio del male. (25. Sett. 1821.)

[1959,1]  A noi soli incombe il toglier via dal sistema della natura quegl'inconvenienti accidentali che derivano dalla nostra propria accidentale corruzione, cioè opposizione colle altre parti del detto sistema, e coll'ordine voluto dalla natura riguardo a noi. (20. Ott. 1821.).

[2599,1]  L'uniformità è certa cagione di noia. L'uniformità è noia, e la noia uniformità. D'uniformità vi sono moltissime specie. V'è anche l'uniformità prodotta dalla continua varietà, e questa pure è noia, come ho detto altrove p. 51, e provatolo con esempi. V'è la continuità di tale o tal piacere, la qual continuità è uniformità, e perciò noia ancor essa, benchè il suo soggetto sia il piacere. Quegli sciocchi poeti, i quali vedendo che le descrizioni nella poesia sono piacevoli hanno ridotto la poesia a {continue} descrizioni, hanno tolto il piacere, e sostituitagli la noia (come i bravi poeti stranieri moderni, detti descrittivi): ed io ho veduto persone di niuna letteratura, leggere avidamente l'Eneide  2600 (ridotta nella loro lingua) la qual par che non possa esser gustata da chi non è intendente, e gettar via dopo i primi libri le Metamorfosi, che {pur} paiono scritte per chi si vuol divertire con poca spesa. Vedi quello che dice Omero in persona di Menelao: Di tutto è sazietà, della cetra, del sonno * ec. La continuità de' piaceri, (benchè fra loro diversissimi) o di cose poco differenti dai piaceri, anch'essa è uniformità, e però noia, e però nemica del piacere. E siccome la felicità consiste nel piacere, quindi la continuità de' piaceri (qualunque si sieno) è nemica della felicità per natura sua, essendo nemica e distruttiva del piacere. La Natura ha proccurato in tutti i modi la felicità degli animali. Quindi ell'ha dovuto allontanare e vietare agli animali la continuità dei piaceri. (Di più abbiamo veduto {parecchie volte} pp. 172-77 pp. 2433-34 come la Natura ha combattuto la noia in tutti i modi possibili, ed avutala in quell'orrore che gli antichi le attribuivano rispetto al vuoto.) Ecco come i mali vengono ad esser necessarii alla stessa felicità, e pigliano vera e reale essenza  2601 di beni nell'ordine generale della natura: massimamente che le cose indifferenti, cioè non beni e non mali, sono cagioni di noia per se, come ho provato altrove pp. 1554-55, e di più non interrompono il piacere, e quindi non distruggono l'uniformità, così vivamente e pienamente come fanno, e soli possono fare, i mali. Laonde le convulsioni degli elementi e altre tali cose che cagionano l'affanno e il male del timore all'uomo naturale o civile, e parimente agli animali ec. le infermità, e cent'altri mali inevitabili ai viventi, anche nello stato primitivo, (i quali mali benchè accidentali uno per uno, forse il genere e l'università loro non è accidentale) si riconoscono per conducenti, e in certo modo necessarii alla felicità dei viventi, e quindi con ragione contenuti e collocati e ricevuti nell'ordine naturale, il qual mira in tutti i modi alla predetta felicità. E ciò non solo perch'essi mali danno risalto ai beni, e perchè più si gusta la sanità dopo la malattia, e la calma dopo la tempesta: ma perchè senza essi mali, i beni  2602 non sarebbero neppur beni, {a poco andare,} venendo a noia, e non essendo gustati, nè sentiti come beni e piaceri, e non potendo la sensazione del piacere, in quanto realmente piacevole, durar lungo tempo ec. (7. Agosto 1822.).

[3374,1]  Dico in più luoghi pp. 1661-63 pp. 1680-82 pp.1923-25 che la natura non ingenera nell'uomo quasi altro che disposizioni. Or tra queste bisogna distinguere. Altre sono disposizioni a poter essere, altre ad essere. Per quelle l'uomo può divenir tale o tale; può, dico, e non più. Per queste l'uomo, naturalmente vivendo, e tenendosi lontano dall'arte, indubitatamente diviene quale la natura ha voluto ch'ei sia, bench'ella non l'abbia fatto, ma disposto solamente a divenir tale. In queste si deve considerare l'intenzione della natura: in quelle no. E se per quelle l'uomo può divenir tale o tale, ciò non importa che tale o tale divenendo, egli divenga quale la natura ha voluto ch'ei fosse: perocchè la natura per quelle disposizioni non ha fatto altro che lasciare all'uomo la possibilità di divenir tale o tale; nè quelle sono  3375 altro che possibilità. Ho distinto due generi di disposizioni per parlar più chiaro. Ora parlerò più esatto. Le disposizioni naturali a poter essere e quelle ad essere, non sono diverse individualmente l'une dall'altre, ma sono individualmente le medesime. Una stessa disposizione è ad essere e a poter essere. In quanto ella è ad essere, l'uomo, seguendo le inclinazioni naturali, e non influito da circostanze non naturali, non acquista che le qualità destinategli dalla natura, e diviene quale ei dev'essere, cioè quale la natura ebbe intenzione ch'ei divenisse, quando pose in lui quella disposizione. In quanto ella è disposizione a poter essere, l'uomo influito da varie circostanze non naturali, sião[siano] intrinseche siano estrinseche, acquista molte qualità non destinategli dalla natura, molte qualità contrarie eziandio all'intenzione della natura, e diviene qual ei non dev'essere, cioè quale la natura non intese ch'ei divenisse, nell'ingenerargli quella disposizione. Egli {però non} divien tale {per} natura, benchè questa disposizione sia naturale: perocchè essa {disposizione} non era ordinata a questo  3376 ch'ei divenisse tale, ma era ordinata ad altre qualità, molte delle quali affatto contrarie a quelle che egli ha per detta disposizione acquistato. Bensì s'egli non avesse avuto naturalmente questa disposizione, egli non sarebbe potuto divenir tale. Questa è tutta la parte che ha la natura in ciò che tale ei sia divenuto. Siccome, se la disposizion fisica del nostro corpo non fosse qual ella è per natura, l'uomo non potrebbe, per esempio, provare il dolore, divenir malato. Ma non perciò la natura ha così disposto il nostro corpo acciocchè noi sentissimo il dolore e infermassimo; nè quella disposizione è ordinata a questo, ma a tutt'altri e contrarii risultati. E l'uomo non inferma per natura; bensì può per natura infermare; ma infermando, ciò gli accade contra natura, o fuori e indipendentemente dalla natura, la quale non intese disporlo a infermare.

[3791,1]  Or che la specie umana costantemente {e regolarmente} perisca per le sue proprie mani, e ne perisca in questo modo così gran parte e così ordinatamente come avviene per la guerra, è cosa da un lato  3792 tanto contraria {e ripugnante} alla natura quanto il suicidio, conforme di sopra (p. 3784.) si è detto, dall'altro lato priva affatto di esempio {e di analogia} in qualsivoglia altra specie conosciuta, sia inanimata o animata, sia d'animali insocievoli o de' più socievoli dopo l'uomo. Che una specie di cose distrugga e consumi l'altra, questo è l'ordine della natura, ma che una specie qualunque (e massime la principale, com'è l'umana) distrugga e consumi regolarmente se stessa, tanto può esser secondo natura, quanto che un individuo {qualunque} sia esso stesso regolarmente la causa e l'istrumento della propria distruzione. Cani, orsi e simili animali vengono molte fiate a contesa tra loro, e fannosi non di rado del male, ma rado è che una bestia sia uccisa dalla sua simile, anzi pur che ne soffra più che un male passeggero e curabile. E quando pur ne rimanga uccisa, primieramente questo è un di quei disordini affatto accidentali, non voluti, ma neanche provvedibili dalla natura, e di cui ella non ha colpa, accadendo e contro le sue intenzioni e contro le sue provvisioni, che, benchè non in quel caso particolare, nel generale però riescono sufficienti ed ottengono il loro fine. {#1. Questo caso, rispetto alla natura e all'ordine sì generale delle cose, sì generale della specie, è così accidentale come se un animale ammazza un suo simile involontariamente inscientemente ec., o se ammazza nello stesso modo qualche animale d'altra specie ec., o s'è ucciso dalla caduta di un albero, o da un fulmine, o da morbo ec. ec. ec.} Secondariamente che proporzione, anzi che simiglianza può aver l'uccisione di uno o di quattro o dieci animali fatta da' loro simili qua e là sparsamente, in lungo intervallo, e per forza di una passione momentanea e soverchiante, con quella di migliaia d'individui umani fatta in mezz'ora, in un luogo stesso, da altri individui lor simili, niente passionati, che combattono per una querela o altrui, o non propria d'alcun di loro, ma comune (laddove niuno  3793 animale combatte mai per altro che per se solo; al più, ma di rado co' suoi simili, per li figli, che son come cosa, anzi parte di lui), e che neppur conoscono affatto quelli che uccidono, e che di là ad un giorno, o ad un'ora, tornano all'uccisione della stessa gente, e seguono talvolta finchè non l'hanno tutta estirpata ec. ec.? lasciando gli altri infiniti mali e infelicità che reca la guerra ai popoli; mali e infelicità {parte} reali in ogni caso, e che tali sarebbero anche nello stato naturale del genere umano (come le mutilazioni ec.); parte che son tali, posta fra {gli uomini} una società stretta, e le abitudini, e quindi i bisogni, di questa (come la devastazione de' campi, e ruina delle città, e le carestie, oltre le pesti ec. ec.): i quali deono essere riconosciuti per mali massimamente da quelli che sostengono esser propria dell'uomo una società com'è la presente, e com'è quella che cagiona la guerra; ma oltre di ciò eziandio da chi negandola, per così dire, in diritto, dee pur supporla nel fatto, supponendo la guerra ec. e quindi supporre tutte le abitudini e i bisogni ch'ella non può a meno di produrre negli uomini ec. Solamente fra le api, la cui società è naturale, si potrebbe voler trovare un esempio della nostra guerra, fatta in più persone da ciascuna parte ec. Ma ben guardando, anche le battaglie dell'api, oltre che son rarissime e niente regolari e inevitabili (a paragon delle nostre), sono effetto di passione momentanea, come le battaglie singolari {+o poco più che singolari, e inordinate e confuse} de' cani, orsi ec. onde per l'una e per l'altra cagione son da considerarsi per disordini accidentali,  3794 come di quelle dei cani ec. si è detto. Del combattere in due partiti d'una stessa specie, fuor dell'api, non si troverà credo altro esempio che negli uomini, perchè gli altri animali quando anche combattano tra loro in molti, combattono uno contro un altro confusamente senza veruno amico, o ciascuno contro tutti, perchè ciascuno combatte per se solo, mosso dalla propria passione, e a fine del proprio, non dell'altrui nè di commun bene.

[3882,1]  Alla p. 3801. Sì nelle nazioni barbare o selvagge sì nelle civili, sì nelle corrotte ec. la società ha prodotto infiniti o costumi o casi {fatti ec.} particolari, {+volontari o involontarii ec.} che o niuno può negare esser contro la natura sì generale, sì nostra, contro il ben essere della specie, della società stessa ec. contro il ben essere eziandio delle altre creature che da noi dipendono ec.; ovvero se ciò si nega, ciò non viene che dall'assuefazione, e dall'esser quei costumi ec. nostri propri: onde dando noi del barbaro ai costumi e fatti d'altre nazioni e individui, ec. meno snaturati talora de' nostri, non lo diamo a questi ec. E generalmente noi chiamiamo barbaro quel ch'è diverso  3883 dalle nostre assuefazioni ec. non quel ch'è contro natura, in quanto e perciocch'egli è contro natura. Ma tornando al proposito, tali costumi o fatti snaturatissimi che senza la società non avrebbero mai avuto luogo, nè esempio alcuno in veruna delle specie dell'orbe terracqueo, hanno avuto {{ed hanno}} ed avranno sempre luogo in qualsivoglia società, selvaggia, civile, civilissima, barbara, dove e quando gli uni, quando gli altri, ma da per tutto cose snaturatissime. Il che vuol dire che la società gli ha prodotti, e che non potea e non può non produrli, cioè non produr costumi e fatti snaturati, e se non tali, tali, e se non questi, quelli, ma sempre ec. P. e. il suicidio, disordine contrario a tutta la natura intera, alle leggi fondamentali dell'esistenza, ai principii, alle basi dell'essere di tutte le cose, anche possibili; contraddizione ec. da che cosa è nato se non dalla società? ec. ec. {+V. p. 3894.} Ora in niuna specie d'animali, neanche la più socievole, si potrà trovare che abbiano mai nè mai avessero luogo non pur costumi, ma fatti particolari, non pur così snaturati come quelli degl'individui e popoli umani in qualunque società, ma molto meno. Eccetto solo qualche accidentalissimo disordine, o involontario, e quindi da non attribuirsi alla specie, o volontario, ma di volontà determinata da qualche straordinarissima circostanza e casualissima. E la somma di questi casi non sarà neppure in una intera specie, {+contando dal principio del mondo,} comparabile a quella de' casi di tal natura in una sola popolazione di uomini dentro un secolo,  3884 anzi talora dentro un anno. Questo prova bene che la naturale società ch'è tra gli animali non è causa di cose contrarie a natura per se medesima {e necessariamente,} ma per solo accidente, e il contrario circa la società umana. E si conferma che l'uomo è per natura molto men disposto a società {che} moltissimi altri animali ec. (14. Nov. 1823.).

[4248,9]  Certo molte cose nella natura vanno bene, cioè vanno in modo che esse cose si possono conservare e durare, che altrimenti non potrebbero. Ma infinite (e forse in più numero che quelle) vanno male, e sono combinate male, sì morali sì fisiche, con estremo incomodo delle creature; le quali cose di leggieri si sarebbono potute combinar bene. Pure perch'elle non distruggono l'ordine presente delle cose, vanno naturalmente e regolarmente male, e sono mali naturali e regolari. Ma noi da queste non argomentiamo già che la fabbrica dell'universo sia opera di causa non intelligente; benchè da quelle cose che vanno bene crediamo poter con certezza argomentare che l'universo sia fattura di una intelligenza. Noi diciamo che questi mali sono misteri; che paiono mali a noi, ma non sono, benchè non ci cade in mente di dubitare che anche quei beni sieno misteri, e che ci paiano beni e non siano. Queste considerazioni confermano il sistema di Stratone da Lampsaco, spiegato da me in un'operetta a posta. (18. Febbraio. Domenica di Sessagesima. 1827.).