25-30. Ottobre. 1823.
[3773,1]
3773 Vogliono che l'uomo per natura sia più sociale di
tutti gli altri viventi. Io dico che lo è men di tutti, perchè avendo più
vitalità, ha più amor proprio, e quindi necessariamente ciascun individuo umano
ha più odio verso gli altri individui sì della sua specie sì dell'altre, secondo
i principii da me in più luoghi sviluppati [p. 55]
pp. 872. sgg.
[pp.
1078-79]
[pp.
1083-84]
[pp.
2204-206]
[p.
2644]
pp. 2736. sgg.
[p.
3291]. Or qual altra qualità è più antisociale, più esclusiva per sua
natura dello spirito di società, che l'amore estremo verso se stesso, l'appetito
estremo di tirar tutto a se, e l'odio estremo verso gli altri tutti? Questi
estremi si trovano tutti nell'uomo. Queste qualità sono naturalmente nell'uomo
in assai maggior grado che in alcun'altra specie di viventi. Egli occupa nella
natura terrestre il sommo grado per queste parti, siccome generalmente egli
tiene la sommità fra gli esseri terrestri.
[3773,2] Il fatto dimostra, al contrario di quel che gli
altri lo interpretano, che l'uomo è per natura il più antisociale di tutti i
viventi che per natura hanno qualche società fra loro. Da che il genere umano ha
passato i termini di quella scarsissima e larghissima società che la natura gli
avea destinata, più scarsa ancora e più larga che non è
3774 quella destinata e posta effettivamente dalla natura in molte
altre specie di animali; filosofi, politici e cento generi di persone si sono
continuamente occupati a trovare una forma di società perfetta. D'allora in poi,
dopo tante ricerche, dopo tante esperienze, il problema rimane ancora nello
stato medesimo. Infinite forme di società hanno avuto luogo tra gli uomini per
infinite cagioni, con infinite diversità di circostanze. Tutte sono state
cattive; e tutte quelle che oggi hanno luogo, lo sono altresì. I filosofi lo
confessano; debbono anche vedere che tutti i lumi della filosofia, oggi così
raffinata, come non hanno mai potuto, così mai non potranno trovare una forma di
società, non che perfetta, ma passabile in se stessa. Nondimeno ei dicono {ancora} che l'uomo è il più sociale de' viventi. Per
società perfetta non intendo altro che una forma di società, in cui gl'individui
che la compongono, per cagione della stessa società, non nocciano gli uni agli
altri, o se nocciono, ciò sia accidentalmente, e non immancabilmente; una
società i cui individui non cerchino sempre e inevitabilmente di farsi male gli
uni agli altri. Questo è ciò che vediamo accadere fra le api, fra le {formiche, fra i}
3775 castori, {fra le gru} e
simili, la cui società è naturale, e nel grado voluto dalla natura. I loro
individui cospirano tutti e sempre al ben pubblico, e si giovano
scambievolmente, unico fine, unica ragione del riunirsi in società; e se l'uno
nuoce mai all'altro, ciò non è che per accidente, nè il fine e lo scopo di
ciascheduno è immancabilmente e continuamente quello di soverchiare o di nuocere
in qualunque modo altrui. {+E talora gli
uni fanno male ad alcun degli altri, o tutti ad un solo o a pochi, per lo
solo oggetto del ben comune o del ben dei più, come quando le api puniscono
le pigre. Nol fanno già esse per il bene di un solo. {+Nè chi 'l fa, lo fa pel solo ben suo, anzi pel bene
ancora di chi è punita.} Ed anche questo far male ad alcuno è un
cospirare al ben comune.} Ma nelle società umane quello non si trovò
mai, questo sempre. Leggi, pene, premi, costumi, opinioni, religioni, dogmi,
insegnamenti, coltura, esortazioni, minacce, promesse, speranze e timori di
un'altra vita, niente ha potuto far mai, niente è {nè
sarà} bastante di fare, che l'individuo di qualsivoglia società umana,
conformata come si voglia, non dico giovi altrui, ma si astenga dall'abusarsi, o
vogliamo dire dal servirsi di qualunque vantaggio egli abbia sugli altri, per
far bene a se col male altrui, dal cercare di aver più degli altri, di
soverchiare, di volgere in somma quanto è possibile, tutta la società al suo
solo utile o piacere, il che non può avvenire senza disutile e dispiacere degli
altri individui. Infinite {e diversissime} furono
3776
{e sono} le forme dei costumi, delle opinioni, delle
istituzioni, de' governi, le varietà delle leggi ec. infinite e diversissime
quelle che i filosofi {ec.} in tutti i secoli e nazioni
civili hanno immaginato ed immaginano e che non sono mai state poste in effetto,
ma in ciascuna di queste forme è sempre avvenuto, o certo sempre avverrebbe il
medesimo. Quali mezzi, quali artifizi non si sono immaginati o impiegati per
impedirlo? che studio, che dottrina, che esperienza, che fatica, che forza
d'ingegno si è risparmiata per ottener questo effetto? quanti geni sommi non vi
si sono applicati? ma tutto è stato pienissimamente indarno; e chiunque abbia
fior di giudizio dee senza difficoltà convenire, che tutto lo sarà sempre
ugualmente, qualunque {affatto} nuova e strana
circostanza si possa mai offrire, e qualunque novissima arte e via ritrovare. Il
che insomma vuol dire che una società perfetta, e niente più perfetta che nel
modo spiegato di sopra, senza il quale l'idea della società è contraddittoria
ne' termini; una società, dico, perfetta fra gli uomini, anzi pure una società
vera è impossibile. Or come può star che sia impossibile, se la natura ce
l'avesse
3777 destinata, e se l'uomo fuor di una tal
società non potesse conseguire la sua perfezione e felicità naturale? Veggiamo
pur che quella società ch'è stata destinata dalla natura ad animali tanto
inferiori a noi, è stata sempre fin dal principio, ed è costantemente, perfetta
nel suo genere, bench'essi non abbiano avuti e non abbiano nè legislatori, nè
filosofi, nè esperienze d'altre forme di società ec. Veggiamo eziandio ch'ella è
perfetta, non pure nel genere suo, ma rispetto al genere ed all'idea della
società assolutamente, la quale importa, moltitudine maggiore o minore
d'individui cospiranti in una o altra forma al bene di tutta la moltitudine, e
ad essa in niun modo mai, se non accidentalmente, pregiudicanti; del resto poi
comunicanti tra se più o meno, e moltissimo o pochissimo; ciò nulla rileva,
purchè in tanto cospirino al ben comune, in quanto e' comunicano insieme, poco o
molto che ciò sia. Non dobbiamo dunque dedurre da tutto il sopraddetto, sì
ragioni, sì esperienze di tanti e tanti secoli, che il genere umano per natura,
o non è destinato a società veruna tra se, o (com'è vero) è destinato ad un
genere, o per meglio dire, ad un grado di società diverso affatto da tutti
quelli che in esso lui ebbero luogo dal primissimo principio del suo (così
detto) dirozzamento, fino al dì d'oggi? Cioè ad una scarsissima comunione de'
suoi individui tra loro, nella qual comunione, in quanto ella si stendeva ed
esigeva, ciascuno avrebbe cospirato al comun bene degl'individui in essa
compresi, e niuno, se non
3778 per caso, gli avrebbe
nociuto; onde sarebbe risultata agli uomini una specie di società perfetta in se
stessa e relativamente ai subbietti suoi proprii, e perfetta in ordine all'idea
ed alle condizioni essenziali della società assolutamente considerata. La quale
specie di società essendosi bentosto perduta, niun'altra specie di società
perfetta ha potuto mai rimpiazzarla in non so quante migliaia d'anni, nè mai la
rimpiazzerà, perchè la natura non si rimpiazza, nè più d'una sola perfezione
(cioè del suo naturale stato) può convenire a niuna specie d'esseri creati, e
quindi non più d'una felicità.
[3778,1] Stante la natura generale de' viventi, e massime
quella dell'uomo in particolare, una società stretta, {+la quale è cosa dimostrata che necessariamente produce
tra gli uomini la disudsuguaglianza di mille generi e intorno a mille beni e
mali,} non può a meno di eccitare e di mettere in movimento, com'ella
fa in effetto, le passioni dell'invidia, dell'emulazione, della gara, della
gelosia, conseguenze necessarie, o piuttosto specie e nuances dell'odio verso gli altri, naturale ad ogni essere che ami
naturalmente se stesso. Or qual cosa è più antisociale di queste passioni? Elle
non avrebbero avuto luogo nella società scarsa e larga destinataci dalla natura,
il cui uffizio sarebbesi limitato al vero fine d'ogni società, quello di
soccorrersi scambievolmente ne' bisogni (che in natura son pochi), e massime in
quei bisogni (che sono anche meno) i quali esiggono la cospirazione di più
individui, come sarebbe il difendersi dagli altri animali nemici, al qual
effetto anche gli animali meno socievoli, si riuniscono e fanno tra loro una
società temporanea, che dura quanto il pericolo, come i cavalli si stringono
insieme in una ruota, ove ciascuno resta co' piedi di dietro al di fuori, per
difendersi dal lupo, ec. Le dette passioni,
3779
ripeto, non avrebbero avuto luogo, sì per la poca strettezza di quella società,
sì perchè in essa e nello stato naturale dell'uomo, i vantaggi naturali dell'uno
individuo sull'altro sarebbero stati pochi, rari, e piccoli, e i sociali non vi
sarebbero stati affatto. La disuguaglianza tra gli uomini che la società rende
naturalmente somma e di mille generi, sarebbe stata quasi nulla, e limitata a
ben poche cose. Infatti fra gli altri animali, fra cui la società è scarsa, la disug̃lianza[disuguaglianza]
fra gli individui è rara e sempre scarsissima; così i vantaggi degli uni sugli altri.
Quindi le dette passioni, che sono necessariamente suscitate da' vantaggi e
dalla disuguaglianza ch'è inevitabilmente prodotta da una società stretta, sono
fra gli altri animali rarissime e debolissime. E quelle che nascono
dall'orgoglio naturale di ciascheduno individuo, necessariamente punto ed
afflitto e molestato dal comando, dalle dignità, dalle preminenze qualunque,
dalla stima e dalla gloria degli altri individui della stessa specie e
compagnia, non avrebbero avuto luogo nella società scarsa in modo alcuno, nè
l'hanno tra gli animali i più socievoli, perchè nè in quella si sarebbero
trovati, nè fra questi si trovano gli oggetti che le suscitano, anzi neppur
l'idea loro, non che il desiderio. E quanto al comando, se ve n'ha vestigio
alcuno tra gli animali, come tra le api, tra' buoi, tra gli elefanti (v. Arriano
Indica), esso viene da superiorità di
natura e quasi di specie, intorno a cui non ha luogo invidia nè emulazione; come
le pecore non possono invidiare al montone che le conduce e quasi governa
perch'egli è di sesso più forte, nè le donne invidiano agli uomini la loro
maggior fortezza, nello stesso modo che noi non l'invidiamo al leone. Oltre di
che il comando
3780 e qualunque specie di preminenza
fra gli animali, come dalla natura fu posta, così da tutti gli altri individui
soggetti è sempre riconosciuta per utile a tutti loro, {+ed utile non solo in potenza non solo in destinazione,
ma in atto e in effetto continuamente,} e come a tale essi vi si
soggettano naturalmente, non pur senza la menoma ripugnanza, ma con piacere, e
molto si dolgono s'ella, per qualche accidente, vien loro a mancare, come alle
api il re ec. Ma in una società stretta, massime umana, è d'inevitabile
necessità che abbiano luogo tutte le dette preminenze, come altresì è necessario
ch'elle sempre offendano grandemente l'orgoglio naturale degli altri individui.
E fra esse preminenze è d'indispensabile necessità che v'abbia luogo il comando,
e questo fra gli uomini non può esser effetto di superiorità di natura o di
specie, ma è necessario che l'uguale per natura, sia signor degli uguali. E il
comando e la soggezione fra gli uomini è incontrastabilmente inevitabile che
sebbene utili per istituto, il più delle volte sieno anzi dannosissime in
effetto a chi ubbidisce e sottosta[sottostà], e
per tale siano riconosciute da loro, seguendone naturalmente {un'invidia e} un odio sommo verso chi comanda; odio antisocialissimo,
massimamente che il comando è necessario, ec. Ed è ancora inevitabile che non di
rado, (anzi quasi sempre), il comando e la signoria per l'origine medesima e per
istituto sieno dirette al danno de' sottoposti ed al solo bene de' signori: come
sono le signorie acquistate per viva forza o per arte, contro il volere e
l'intenzione de' subbietti, le quali si chiamano tirannie. E certo è che tutti o
la più parte de' principati passati e presenti hanno avuto principio dalla forza
o dall'artifizio, e che tutti i troni d'europa
3781 si possono, genealogizzando, far risalire a queste
radici. Insomma, com'egli è cosa certissima che tutto il mondo è il patrimonio
della forza (sia fisica, cioè vigore, sia morale, cioè ingegno, arte ec. ch'è
tutt'uno), e ch'egli è fatto per li più forti, ne segue che in una società
stretta, inevitabilmente, qualunque forma se gli possa mai dare, i più deboli
individui denno essere, furono sono e saranno la preda, la vittima, il retaggio
de' più forti. Onde non si può assolutamente dare, molto meno fra uomini, una
società stretta, che ottenga il fine della società, cioè il ben comune {degl'individui che la compongono,} ed il cui risultato
sia il {detto} ben comune. Senza di cui la società non
può avere ragione alcuna. In una società larga i più forti non hanno nè mezzo nè
occasione nè desiderio nè stimolo alcuno di esercitare e porre in opera la
superiorità delle loro forze sopra gl'individui di essa società, se non
solamente alcuna volta per accidente, in modo scarso e passeggero. Ciò ch'ei si
propongono di ottenere, non è a spese della lor società, nè di alcuno de' suoi
individui; esso è fuori di lei; la lor società è troppo scarsa perchè alcuno
possa farci sopra dei disegni, e riporre la sua felicità in beni dipendenti o
appartenenti in alcun modo alla medesima società, di cui appena si avveggono di
esser parte, e che loro è, per così dire, fuori degli occhi, e quindi anche del
pensiero, almeno il più del tempo. ec. I lupi fanno società per attaccare un
ovile, ma i disegni ch'
3782 essi formano sì nel tempo
di questa passeggera società, sì nel resto, e i vantaggi che essi, e tra essi
massimamente i più forti, si propongono di ottenere, non sono sopra gli altri
lupi, ma sopra le pecore. Se poi nella division della preda, nasce fra loro
qualche discordia, e se in questa i più forti hanno il più, queste son cose
accidentali e poco durevoli, e che non lasciano ne' più deboli alcun rancore,
perchè la società subito si discioglie, sicchè l'effetto della discordia si
limita a quei pochi momenti, e in ultimo è maggior l'utile che quei lupi hanno
riportato da quella società, senza cui non avrebbero penetrato l'ovile, e
maggior l'utile che i più deboli hanno ricevuto da' più forti che han combattuto
più di loro ec., di quello che sia il danno che quei lupi hanno riportato da tal
discordia, e i più deboli da' più forti. Ma tutto l'opposto accade nelle società
umane: dove i più forti non servono ad altro che a far male ai più deboli e alla
società, e la superiorità qualunque di forze è sempre dannosa altrui, perchè
sempre (almeno oggidì, e per lo passato il più delle volte) adoperata in solo
bene di chi la possiede.
[3782,1] La società stretta, ponendo gl'individui a contatto
gli uni degli altri, dà necessariamente l'essor
all'odio innato di ciascun vivente verso altrui, il qual odio in nessuno animale
è tanto, neppur verso gl'individui di specie diversa e naturalmente nemica,
quanto egli è negl'individui di una società stretta verso gli altri individui
della medesima società! Perchè ogni
3783 odio
naturalmente si accresce a mille doppi colla continua presenza dell'oggetto
odiato, e delle sue azioni ec. massime quando quest'odio sia naturale, in modo
che, per natura, e' non possa esser mai deposto. Ora, checchè si voglia dire, e
in qualunque modo (anche sotto l'aspetto di amore) si mascheri l'odio verso
altrui (così fecondo in trasfigurazioni come l'amor proprio suo gemello), egli è
così vero che l'uomo è odioso all'uomo naturalmente, com'è vero che il falcone è
odioso naturalmente al passero. E quindi tanto è consentaneo riunire insieme in
una repubblica sotto buone leggi i falconi e i passeri (quando anche ai falconi
si tagliassero gli artigli, e si operasse in modo che di forza fisica non
eccedessero i loro compagni), quanto riunire gli uomini insieme in istretta
società sotto qualsivoglia legislazione. E quando anche la società stretta non
accrescesse il detto odio, certo non si potrà negare ch'ella lo sveglia e
l'accende, e ch'ella sola somministra le occasioni di esercitarlo, rendendo così
fatalissimo alla specie {e mettendo in opera} l'odio
scambievole innato negl'individui {d'essa specie,} il
quale senza società o in società larga, sarebbe stato affatto o quasi affatto
innocuo alla specie, ed inefficace, e per mancanza o insufficienza di occasioni
e di stimoli neppur sentito. Il che sarebbe stato conforme alle intenzioni della
natura, ed anche alla ragione assoluta, non essendo presumibile che la natura
abbia voluto che niuna specie (molto manco l'umana) perisse per le sue medesime
mani, o fosse infelicitata (e per conseguenza impeditagli la perfezione e il
fine del suo essere) da'
3784 suoi propri individui;
sicchè ella {medesima} fosse causa di distruzione e
d'infelicità, e quindi imperfezione, a se stessa, e la sua medesima esistenza
cagionasse {direttamente e come propria, non altrui,
opera} la sua non esistenza, sia col distruggersi, sia
coll'infelicitarsi, che è privarsi del proprio fine e complemento, e quindi
rendersi non esistenza, e peggio ancora. {#1. Come il suicidio, o il tormentar se stesso per odio, quello è, questo,
se potesse essere, sarebbe evidentemente contro natura, così la guerra tra
gl'individui d'una specie medesima, le uccisioni scambievoli, e i mali
qualunque proccurati da' simili ai simili, sono cose evidentemente contro
natura, mentre pur sono assolutamente inevitabili, e non accidentali (se non
a una per una, non generalmente e tutte insieme), ma essenziali e costanti
in qualsivoglia società stretta. V. p. 3928.} Queste, essendo contraddizioni evidentissime e
formalissime, sono escluse dal ragionamento assoluto; il principio stesso della
nostra ragione, o si riconosce per falso, e non possiamo più discorrere, o
impedisce di supporre queste contraddizioni nella natura; le quali però vi
avrebbero necessariamente luogo s'ella avesse voluto in qualunque specie una
società stretta, siccome sempre in una societa[società] stretta, qualunque sia stata o sia o sia per essere la sua
forma, hanno avuto ed avranno luogo le cose sopraddescritte. Dal che si deduce
efficacissimamente che il supporre nella natura l'intenzione di una società
stretta in qualsivoglia specie, e massime nell'umana (che da una parte, essendo
la prima, doveva esser la più felice e perfetta, dall'altra, in una società
stretta, è necessariamente più di tutte sottoposta ai detti inconvenienti)
ripugna dirittamente al principio stesso della ragione. La natura non ha posto
nel vivente l'odio verso gli altri, ma esso da se medesimo è nato dall'amor
proprio per natura di questo. Il quale amor proprio è un bene sommo
è[e] necessario, e in ogni modo nasce per se
medesimo dall'esistenza sentita, e sarebbe contraddizione un essere che sentisse
di essere e non si amasse, {come altrove ho dichiarato [p.
2499.]} Ma da questo principio ch'è un bene e che la natura
non poteva a meno di porre nel vivente, e che
3785
anzi, senza l'opera diretta della natura, nasce necessariamente dalla stessa
vita (onde la natura medesima, per così dire, lo aveva e lo ha, verso se stessa,
indipendentemente dal suo volere {#1. Vedi
la pag. 3813}); ne nasce
necessariamente l'odio verso altrui, ch'è un male, perchè dannoso di sua natura
alla specie, come ne nascono cento altre conseguenze, che sono mali, e producono
di lor natura effetti dannosissimi, non pure alla specie e agli altri individui,
ma all'individuo medesimo. Or questi effetti non sono stati voluti dalla natura,
nè ella n'ha colpa, (come l'avrebbe), perchè ella ha provveduto che quelle {cattive} conseguenze dell'amor proprio fossero
inefficaci, e tali sarebbero state nell'esser naturale di quel tale individuo e
specie. Così ella dunque ha provveduto che l'odio verso gli altri individui
della stessa specie fosse inefficace, se non per qualche assoluto accidente,
perchè privo di occasione e di stimolo e di circostanza ove potesse operare. E
ciò ha fatto destinando agl'individui di una stessa specie, e fra questi agli
uomini, o niuna società, o scarsa e larga.
[3785,1] Una società stretta pone necessariamente in
contrasto gl'interessi degl'individui, rende necessario alla soddisfazione dei
desiderii degli uni, il male degli altri; alla superiorità, ai vantaggi, alla
felicità degli uni, l'inferiorità, gli svantaggi, l'infelicità degli altri;
desta il desiderio di beni che non si possono conseguire senza il male degli
altri, di beni che consistono nel male altrui, che corrispondono per lor natura
ad altrettanti mali
3786 degli altri individui, {ed altrettali, anzi, per lo più, maggiori che quei beni non
sono.} Dunque una società stretta nuoce necessariamente a grandissima
parte (e la maggiore, perchè i più deboli sono sempre i più) de' suoi individui:
dunque il suo effetto è il contrario del fin proprio ed essenziale della
società, ch'è il bene comune de' suoi individui, o almeno dei più: dunque ella è
il contrario di società, e ripugna {per essenza} non
pure alla natura in genere, ma alla natura e alla nozione stessa della
società.
[3786,1] Sì il contrasto degl'interessi, sì l'altre cose qui
dietro esposte, fanno in modo che l'odio naturale d'ogn'individuo verso gli
altri, in una società stretta, non pur si sviluppa tutto intero, e riceve tanta
efficacia e tanto atto quanto egli ha di potenza, ma fa necessariamente, che,
contro le intenzioni della natura e il ben essere della specie, quell'odio
naturale che in potenza {e in natura} è molto minore
verso i suoi simili che verso gli altri viventi, in atto sia molto maggiore
verso i suoi simili, anzi quasi tutti i suoi atti e i suoi effetti sieno rivolti
contro i soli suoi simili. Perocchè l'individuo di una società stretta, coi soli
suoi simili ha stretto e quotidiano commercio ed affare. Or l'odio verso altrui
non si può sviluppare nè porre in atto se non quando si abbia o si abbia avuto
affare coll'oggetto odioso. E tanto più si sviluppa ed opera quanto questo
affare è o è stato maggiore, e più frequente, più lungo, più continuo. E in
conformità di questi evidenti principii, veggiamo infatti che mentre l'individuo
umano da principio odiava assai più sì in potenza sì in atto gli altri viventi,
3787 massime gli a lui dannosi ec. ora in atto odia
senza alcun paragone più i suoi simili che gli altri viventi qualunque, anche
gli a lui più micidiali, perchè da questi è lontano, o poco affar ci può avere,
e niun commercio di spirito; a quelli e[è]
sempre presente, e sempre ha affar seco loro, e commercio {continuo e} grandissimo, sì di corpo, sì, che è molto più, di
spirito. Per le quali cose è veramente un zucchero l'odio che oggidì l'uomo
porta a qualsivoglia più misantropo animale rispetto a quello ch'ei porta a'
suoi simili, e ciascun vede quanto sarebbe ridicolo il farne paragone. Sicchè
l'odio verso gli altri, qualità {come naturale, così}
distruttiva della vera società, non solo in una società stretta non si scema
nulla {rispetto ai suoi simili} da quel ch'egli era in
natura, ma anzi, se non in potenza, certo in atto s'accresce a mille doppi, anzi
pure svolgendosi da tutti gli altri viventi, si raccoglie tutto, si termina e si
rivolge ne' soli suoi simili. Onde se il vivente, stante il detto odio, è
antisociale per natura, in virtù della societa[società] stretta, non pur diviene più sociale, ma infinitamente più
antisociale che da principio, perchè da principio egli odiava i suoi simili
quasi solo in potenza, e in atto soli o molto più gli altri viventi, e nella
società stretta il suo odio dimentica quasi affatto gli altri viventi, ed in
atto odia, si può dir, soli i suoi simili, e gli odia più assai che da principio
non fece i dissimili, co' quali ebbe sempre molto meno affare {+ed intimo commercio,} che non ha
ora co' simili suoi.
[3788,1]
3788 Dalle quali cose tutte, parlando in somma, si
raccoglie che il dir società stretta,
massime umana, è contraddizione, non
solo rispetto alla natura ec. ma assolutamente, rispetto a se stessa, ne'
termini, e rispetto alla nozione di queste parole. Perocchè società importa quello che disopra (p. 3777.) si è definito; e società
stretta importa communione d'individui sommamente nocentisi scambievolmente, e
odiantisi in atto gli uni gli altri sopra ogni altra cosa, giacchè, stante la
natura de' viventi, non vi può essere società stretta i cui individui non sieno
tali, come si è dimostrato.
[3788,2] Quindi non è maraviglia se mai non si è trovata nè
mai si troverà, fra le infinite eseguite, immaginate, eseguibili e immaginabili,
forma alcuna di società perfetta, da quella primitiva e naturale in fuori.
Perocchè gli elementi di tali forme dovevano ben sempre esser discordi, poichè
la idea medesima d'esse forme è contraddittoria per natura. E quella prima
società non è stata mai potuta nè si potrà mai rimpiazzare, perchè la natura
{universale,} nè particolare e speciale, non si
rimpiazza, nè si rimpiazza la felicità e la perfezione destinata a qualsivoglia
essere o specie dalla natura, nè veruna specie e veruno esser creato è capace di
più che una sola e determinata felicità {e} perfezione,
la quale non altrove si può trovare nè può consistere, che nel suo naturale
stato, nè d'altronde derivare. Nè volle il destino; nè comporta la natura delle
cose che
3789 niuna specie e niuno essere mortale e
creato sia l'autore del sistema e dell'ordine che dee condurlo alla propria
felicità e perfezione (come avverrebbe se l'uomo fosse destinato a quella
società che noi pensiamo, la quale è capace e bisognevole di una forma, non che
eseguita ma immaginata dagli uomini, e infinite ne può ricevere e n'ha ricevute,
tutte parimente buone o cattive, tutte o quasi tutte a lei ed alla sua idea
convenienti, [cioè tutte contraddittorie e discordevoli in se stesse ec.] e la
natura niuna forma le prescrisse nè potè prescriverle, non avendola voluta;
quando però ella ben ne prescrisse, ed intere, e costanti, a quelle società
ch'ella volle, come a quella de' castori, e delle gru ec.): ma la natura stessa
e sola, o vogliamo dire il Creatore, dovette esser l'autore, come di ciascuna
creatura, così del sistema, ordine e modo che la dovesse condurre alla
perfezione della {sua} esistenza, vale a dire alla
felicità, e render compiuta l'opera di Lui.
[3789,1] Tutto questo discorso esclude una società stretta,
non solo dalla specie umana, ma da tutte le specie viventi; tanto però
maggiormente, quanto elle sono in maggior grado viventi, {#1. contro quello che si presume,} e quindi hanno
più vivo amor proprio, e {quindi} più vive passioni e
più vivo e maggiore odio verso altrui. Il che vuol dire che il detto discorso
esclude la società stretta, dalla specie umana massimamente. Venendo ora più da
presso a mostrare quanto sia vero che l'odio verso gli altri, specialmente verso
i simili, è
3790 assai maggiore nell'uomo che negli
altri animali, e quindi l'uomo è il più insociale di tutti gli animali, perchè
una società stretta di uomini, al comune degl'individui che la compongono, nuoce
assai più che non farebbe in niun'altra specie; considereremo la guerra, male
affatto inevitabile in una società stretta di uomini, e niente accidentale, al
che dimostrare se non bastasse l'esperienza di tutte le nazioni e di tutti i
secoli, sì dee bastare il riflettere che siccome una stretta società pone
necessariamente in atto l'odio naturale degl'individui verso gl'individui simili
nel modo e per le cagioni mostrate di sopra, altrettanto ella fa necessariamente
fra classe e classe, ceto e ceto, ordine ed ordine, compagnia e compagnia,
popolo e popolo. E come la guerra nasca inevitabilmente da una società stretta
qual ch'ella sia, nótisi che non v'ha popolo sì selvaggio e sì poco corrotto, il
quale avendo una società, non abbia guerra, e continua e crudelissima. Videsi
questo, per portare un esempio, nelle selvatiche nazioni d'America, tra le quali non
v'aveva così piccola e incolta e povera borgatella di quattro capannucce, che
non fosse in continua e ferocissima guerra con questa o quell'altra simile
borgatella vicina, di modo che di tratto in tratto le borgate intere
scomparivano, e le intere provincie erano spopolate di uomini per man dell'uomo,
e immensi deserti si vedevano e veggonsi ancora da' viaggiatori, dove pochi
vestigi di coltivazione e di luogo anticamente o recentemente abitato,
3791 attestano i danni, la calamità, e la distruzione
che reca alla specie umana l'odio naturale verso i suoi simili posto in atto e
renduto efficace dalla società. {+Vedi l'op. cit. da me a p. 3795., passim, e
sommariamente nel cap. 116.} E certo non v'ha nè v'ebbe al
mondo così piccola e remota isoletta, {così scarsa}
d'abitatori, e così poco di costumi corrotta, dove tra quelle decine d'abitanti
umani stretti in società, non sia stata e non sia {divisione,} discordia e guerra mortalissima, e diversità di {parti e moltiplicità di} nazioni. Come sia nata e
dovesse necessariamente nascere la guerra tra gli uomini, l'ho detto p. 2677. segg. dove si può vedere
che la colpa di questo nascimento è tutta della società stretta, posta la quale,
ei non poteva mancare. E tanto è l'odio dell'uomo verso l'uomo, e tanto il danno
che inevitabilmente ne nasce in una società stretta, che la divisione in popoli
diversi, e la nimistà tra popolo e popolo, posta una società stretta, è
piuttosto utile che dannosa al genere umano, tenendo lontana la {molto} più terribile e fiera guerra intestina, sia
aperta, come ho detto nel citato
luogo, sia la coperta guerra dell'egoismo, che infelicita tutti
gl'individui d'una stessa nazione, gli uni per opera degli altri, come
lungamente ho disputato pp.
872. sgg. parlando dell'utilità dell'amor patrio e nazionale e quindi
dell'odio verso gli estrani, e del danno che nasce dalla mancanza di nazionalità
e dal preteso amore universale ec. Il tutto, supposta una società stretta, e che
questa non si possa più (come già non puossi) evitare.
[3791,1] Or che la specie umana costantemente {e regolarmente} perisca per le sue proprie mani, e ne
perisca in questo modo così gran parte e così ordinatamente come avviene per la
guerra, è cosa da un lato
3792 tanto contraria {e ripugnante} alla natura quanto il suicidio, conforme
di sopra (p. 3784.) si è detto,
dall'altro lato priva affatto di esempio {e di
analogia} in qualsivoglia altra specie conosciuta, sia inanimata o
animata, sia d'animali insocievoli o de' più socievoli dopo l'uomo. Che una
specie di cose distrugga e consumi l'altra, questo è l'ordine della natura, ma
che una specie qualunque (e massime la principale, com'è l'umana) distrugga e
consumi regolarmente se stessa, tanto può esser secondo natura, quanto che un
individuo {qualunque} sia esso stesso regolarmente la
causa e l'istrumento della propria distruzione. Cani, orsi e simili animali
vengono molte fiate a contesa tra loro, e fannosi non di rado del male, ma rado
è che una bestia sia uccisa dalla sua simile, anzi pur che ne soffra più che un
male passeggero e curabile. E quando pur ne rimanga uccisa, primieramente questo
è un di quei disordini affatto accidentali, non voluti, ma neanche provvedibili
dalla natura, e di cui ella non ha colpa, accadendo e contro le sue intenzioni e
contro le sue provvisioni, che, benchè non in quel caso particolare, nel
generale però riescono sufficienti ed ottengono il loro fine. {#1. Questo caso, rispetto alla natura e all'ordine sì
generale delle cose, sì generale della specie, è così accidentale come se un
animale ammazza un suo simile involontariamente inscientemente ec., o se
ammazza nello stesso modo qualche animale d'altra specie ec., o s'è ucciso
dalla caduta di un albero, o da un fulmine, o da morbo ec. ec. ec.}
Secondariamente che proporzione, anzi che simiglianza può aver l'uccisione di
uno o di quattro o dieci animali fatta da' loro simili qua e là sparsamente, in
lungo intervallo, e per forza di una passione momentanea e soverchiante, con
quella di migliaia d'individui umani fatta in mezz'ora, in un luogo stesso, da
altri individui lor simili, niente passionati, che combattono per una querela o
altrui, o non propria d'alcun di loro, ma comune (laddove niuno
3793 animale combatte mai per altro che per se solo; al
più, ma di rado co' suoi simili, per li figli, che son come cosa, anzi parte di
lui), e che neppur conoscono affatto quelli che uccidono, e che di là ad un
giorno, o ad un'ora, tornano all'uccisione della stessa gente, e seguono
talvolta finchè non l'hanno tutta estirpata ec. ec.? lasciando gli altri
infiniti mali e infelicità che reca la guerra ai popoli; mali e infelicità {parte} reali in ogni caso, e che tali sarebbero anche
nello stato naturale del genere umano (come le mutilazioni ec.); parte che son
tali, posta fra {gli uomini} una società stretta, e le
abitudini, e quindi i bisogni, di questa (come la devastazione de' campi, e
ruina delle città, e le carestie, oltre le pesti ec. ec.): i quali deono essere
riconosciuti per mali massimamente da quelli che sostengono esser propria
dell'uomo una società com'è la presente, e com'è quella che cagiona la guerra;
ma oltre di ciò eziandio da chi negandola, per così dire, in diritto, dee pur
supporla nel fatto, supponendo la guerra ec. e quindi supporre tutte le
abitudini e i bisogni ch'ella non può a meno di produrre negli uomini ec.
Solamente fra le api, la cui società è naturale, si potrebbe voler trovare un
esempio della nostra guerra, fatta in più persone da ciascuna parte ec. Ma ben
guardando, anche le battaglie dell'api, oltre che son rarissime e niente
regolari e inevitabili (a paragon delle nostre), sono effetto di passione
momentanea, come le battaglie singolari {+o poco più che singolari, e inordinate e confuse} de' cani, orsi ec.
onde per l'una e per l'altra cagione son da considerarsi per disordini
accidentali,
3794 come di quelle dei cani ec. si è
detto. Del combattere in due partiti d'una stessa specie, fuor dell'api, non si
troverà credo altro esempio che negli uomini, perchè gli altri animali quando
anche combattano tra loro in molti, combattono uno contro un altro confusamente
senza veruno amico, o ciascuno contro tutti, perchè ciascuno combatte per se
solo, mosso dalla propria passione, e a fine del proprio, non dell'altrui nè di
commun bene.
[3794,1] Quanto sia maggiore la facoltà di odiare che {ha} l'uomo verso tutti, e posta la società stretta,
verso i suoi simili; maggiore, dico, di quella che ha verun'altra specie di
animali, basti osservare le orribili e smisuratissime crudeltà che l'uomo col
fatto si è mostrato e mostrasi infinite volte capace di esercitare verso i suoi
simili a se nemici, sieno d'altra nazione, e questa nemica o amica, ed in tal
caso esercitate dalle nazioni intere per costume o straordinariamente, ovver
dagl'individui in particolare; sieno della stessa nazione e società qualunque.
Nè l'uomo primitivo verso gli altri animali a lui più nemici, nè animale alcuno
{(per feroce, per insociale ch'ei sia),} non pure
verso i suoi simili, ma verso l'altre specie a lui più nemiche, esercitò nè
esercita mai (se non per bisogno, come nel cibarsene ec. ma non per odio, nè a
fine di straziarlo, benchè lo strazi) {neppur nel più caldo
dell'ira e nello stesso combattimento} crudeltà così grande che sia
degna d'esser comparata a quelle che gl'individui {umani} di una stessa nazione verso i loro compagni, le nazioni verso
le nazioni nemiche, i governi verso i lor sudditi colpevoli o supposti tali, i
tiranni ec. ec. esercitarono {infinite volte} ed
esercitano dopo la vittoria, dopo il pericolo, a sangue freddo, spesse volte
senza passione veruna, neppur passata, (come nelle pene de' rei), per
3795 uso, per regola, per legge, per tradizione de'
maggiori ec. ec. ec.
[3795,1] Chi non sa che cosa possa nell'uomo lo spirito di
vendetta? il quale rende eterna l'ira e l'odio {verso i suoi
simili} cagionato da una piccolissima offesa, {+vera o falsa, giusta o ingiusta ec. e dalle altre
cagioni che adirano gli uomini verso gli uomini} sia nelle nazioni,
sia negl'individui, sia privato sia pubblico ec. Or questo spirito ch'è
inevitabile in qualunque società umana stretta, fu ignoto all'uomo primitivo, è
ignoto a qualunque altro animale, in cui l'ira non dura più che qualunque altra
passione momentanea, e la ricordanza dell'ingiuria non più dell'ira; e la
vendetta o è subito ottenuta e fatta (e basta ben poco a placarli e
soddisfarli), o dipoi non è ricercata niente più che se l'ingiuria non avesse
avuto luogo.
[3795,2] Questo spirito di vendetta ec. le crudeltà
sopraddette ec. sono così naturali all'uomo posto in società stretta, la quale
sviluppi il suo odio innato verso i simili ec., che non v'è bisogno di molta
corruzione a cagionarle, anzi elle si trovano immancabilmente in qualunque più
primitiva e più bambina società. Non si manchi di vedere intorno a questo
proposito, e intorno ad altri orribilissimi costumi, propri solo dell'uomo verso
i suoi simili, e dell'uomo anche mezzo naturale e quasi primitivo, la Parte primera de la Chronica
del Peru di Pedro de Cieça
de Leon (soldato spagnuolo che fu alla conquista {e scoprimenti} di quei paesi, ove visse più di
diciassett'anni, {+Terminò questa prima
parte nel Perù l'anno 1550, in età d'anni 32. de' quali n'avea passati 17.
nell'Indie meridionali, come dice nell'ultime linee del tomo.} e
vide esso medesimo, ed ebbe parte o udì da testimonii di vista e dagl'indiani
stessi, {ec.} le cose, i costumi, gli avvenimenti, i
luoghi ec. ch'esso racconta; e protesta sì nella
3796
prefazione sì in altri molti luoghi, e dimostra col suo scrivere semplicissimo e
inornato, anzi incolto e senza niuna arte, di narrare la purissima verità:
mostra ancora molto buon giudizio, eccetto solamente in ordine a superstizioni,
dove manifesta quella credulità che in tali materie è propria della sua nazione
e fu propria del suo secolo e de' passati) en Anvers 1554. {+en casa de Jinan Steelsio. Impresso
por Juan
Lacio} in 8.vo piccolo, cap. 12. 16. (p. 41.) 19. (car.
49. p. 2.) principalmente, oltre gli altri luoghi che si trovano notati
nell'indice sotto il titolo Indios amigos de comer carne
humana
*
.
[3796,1] Tutte queste cose dimostrano che, come si è detto di
sopra, la società stretta, in luogo di scemare, accresce {per
sua natura} in mille doppi l'odio naturale dell'uomo verso i di lui
simili, il qual è incompatibile coll'idea, colla nozione, ragione, fine, natura
ec. di qualsivoglia società. Dico, accresce l'odio, non l'ira, se non in quanto
mette anche questa in atto {assai} più spesso, e le dà
molto più frequenti e maggiori occasioni e cagioni ec. ec. Gli altri animali
verso i lor simili non provano mai o
quasi mai, e ben pochi di loro, odio, ma {sola} ira
(ch'è cosa accidentale, e disordine accidentale ch'ella si volga sopra i simili
ec.). Eccetto talvolta alcuni di quelli che noi contra la natura loro stringiamo
in società e sforziamo a vivere insieme: come talora un cane odia abitualmente
per invidia un altro cane suo compagno, e i tori nella mandra si odiano per
gelosia ec. E questo stesso dimostra come la società {stretta
ponga} subito in azione l'odio naturale anche negl'individui
3797 e specie ec. che fuori di essa società mai non provano odio, o mai verso i loro
simili, e sono anche mansuetissimi {per natura, e}
verso gli estrani ec. ec.
[3797,1]
{Io noto che generalmente parlando,} le dette crudeltà
ec. tanto sono {più} frequenti e maggiori, e le guerre
tanto più feroci e continue e micidiali ec. quanto i popoli sono più vicini a
natura. E astraendo dall'odio e dagli effetti suoi, non si troverà popolo alcuno
{così} selvaggio, cioè così vicino a natura, nel
quale se v'è società stretta, non regnino costumi, superstizioni ec. tanto più
lontani e contrarii a natura quanto lo stato della lor società ne è più vicino,
cioè più primitivo. Qual cosa più contraria a natura di quello che una specie
{di animali} serva al mantenimento e cibo di se
medesima? Altrettanto sarebbe aver destinato un animale a pascersi di se
medesimo, distruggendo effettivamente quelle proprie parti di ch'ei si nutrisse.
La natura ha destinato molte specie di animali a servir di cibo e sostentamento
l'une all'altre, ma che un animale si pasca del suo simile, e ciò non per
eccesso straordinario di fame, ma regolarmente, e che lo appetisca, e lo
preferisca agli altri cibi; questa incredibile assurdità non si trova in altra
specie che nell'umana. Nazioni intere, di costumi quasi primitive, se non che
sono strette in una informe società, usano ordinariamente o usarono per secoli e
secoli questo costume, e non pure verso i nemici, ma verso i compagni, i
maggiori, i genitori vecchi, le mogli, i figli. {#1. L'antropofagia era e fu per lunghissimi secoli
propria di forse tutti i popoli barbari e selvaggi d'America sì meridionale
che settentrionale (escludo il paese comandato dagl'incas, i quali tolsero questa barbarie, e l'impero
messicano e tutti i paesi un poco colti ec.) e lo è ancora di
molti, e lo fu ed è di moltissimi altri popoli selvaggi affatto separati tra
loro e dagli americani. L'antropofagia fu ben conosciuta da Plinio e dagli altri antichi ec. ec.
E forse tutti i popoli ne' loro principii (cioè per lunghissimo tempo)
furono antropofagi. v. p.
3811.}
{{(Veggansi i luoghi
citati nella pagina antecedente
[p.
3795,2]).}}
3798 Le superstizioni, le vittime umane, anche di
nazionali e compagni, immolate non per odio, ma per timore, come altrove s'è
detto [p. 2208]
[pp.
2388-89]
[pp.
2669-70]
pp. 3641-43 , e poi per
usanza; i nemici ancora immolati crudelissimamente agli Dei senza passione
alcuna, ma per solo costume; il tormentare il mutilare ec. se stessi per vanità,
per superstizione, per uso; l'abbruciarsi vive le mogli spontaneamente dopo le
morti de' mariti; il seppellire uomini e donne vive insieme co' lor signori
morti, come s'usava in moltissime parti dell'America meridionale; ec.
ec. son cose notissime. Non v'è uso, o azione, o proprietà {o
credenza} ec. tanto contraria alla natura che non abbia avuto o non
abbia ancor luogo negli uomini riuniti in società. E sì i viaggi sì le storie
tutte delle nazioni antiche dimostrano che quanto la società fu o è più vicina
a' suoi principii, tanto la vita degl'individui e de' popoli fu o è più lontana
e più contraria alla natura. Onde con ragione si considerano tutte le società
primitive e principianti, come barbare, e così generalmente si chiamano, e tanto
più barbare quanto più vicine a' principii loro. Nè mai si trovò, nè si trova,
nè troverassi società, come si dice, di selvaggi, cioè primitiva, che non si
chiami, e non sia veramente, o non fosse, affatto barbara e snaturata. (o
vogliansi considerar quelle che mai non furon civili, o quelle che poscia il
divennero, quelle che il sono al presente ec. ec.). Dalle quali osservazioni si
deduce per cosa certa e incontrastabile che l'uomo non ha potuto arrivare a
quello stato di società che or si considera come a lui conveniente e naturale, e
come perfetto o manco
3799 imperfetto, se non passando
per degli stati evidentemente contrarissimi alla natura. Sicchè se una nazione
qualunque, si trova in quello stato di società che oggi si chiama buono, s'ella
è o fu mai, come si dice, civile; si può con certezza affermare ch'ella fu, e
per lunghissimo tempo, veramente barbara, cioè in uno stato contrario affatto
alla natura, alla perfezione, alla felicità dell'uomo, ed anche all'ordine e
all'analogia generale della natura. I primi passi che l'uomo fece o fa verso una
società stretta lo conducono di salto in luogo così lontano dalla natura, e in
uno stato così a lei contrario, che non senza il corso di lunghissimo tempo, e
l'aiuto di moltissime circostanze e d'infinite casualità (e queste
difficilissime ad accadere) ei si può ricondurre in uno stato, che non sia
affatto contrario alla natura ec.
[3799,1] Or dunque, poichè tutto questo è certo e dimostrato
da tutte le storie e notizie di tutte le nazioni antiche o moderne ec., poichè
da un lato è da tenere per fermissimo che la società e l'uomo non ha potuto nè
può divenir civile senza {divenir} prima e durare per
lunghissimo tempo, affatto barbaro, cioè in istato affatto contro natura; e
dall'altro lato si vuole che nello stato di società civile consista la
perfezione e felicità dell'uomo, e la condizione sua propria e vera e
destinatagli ed intesa in principio dalla natura ec.; io domando se è possibile,
se è ragionevole, il credere che la natura abbia destinato ad una specie di
esseri (e massime alla più perfetta) una perfezione e felicità, per ottener la
quale le convenisse assolutamente passare per uno {e
più} stati onninamente contrari alla
3800
natura sua ed alla natura universale, e quindi per uno e più stati di somma
infelicità, di somma imperfezione sì rispetto a se medesima e sì a tutto il
resto della natura. Una perfezione e felicità della quale essa specie per
lunghissimi secoli, e infiniti individui suoi per tutta la vita loro, non solo
non dovessero esser partecipi, ma averne anzi necessariamente tutto il
contrario. Una perfezione e felicità le quali esigessero assolutamente gli
estremi {delle cose} a loro {contrarie,} cioè gli estremi dell'imperfezione e dell'infelicità,
senza i quali estremi essa perfezione e felicità della specie non avrebbero mai
potuto aver luogo. Una perfezione e felicità di cui fosse proprio ed essenziale
il dover nascere dall'estrema imperfezione e infelicità della specie, e il non
poter nascere d'altronde nè senza queste. Una perfezione e felicità
ch'essenzialmente supponesse la somma corruzione e infelicitazione della specie
per moltissimi secoli, e d'infiniti suoi individui per sempre. Conseguentemente
domando se l'estrema barbarie e corruttela ch'ebbe luogo anticamente nelle
nazioni antiche o moderne, spente o superstiti, passate o presenti, che
divennero poi civili; e quella che ancora ha luogo in tanto innumerabile
quantità di popoli ancor selvaggi {ec. ec.} e che
durerà per tempo indeterminabile e forse per sempre ec. domando, dico, se questa
barbarie e corruzione, senza cui la civiltà non può nè potè nascere, fu voluta e
ordinata dalla natura, la quale, secondo costoro, volle e ordinò la civiltà
dell'uomo. Domando pertanto se tutto ciò che {di contrario
alla natura ebbe ed ha luogo} nelle società selvagge, primitive ec.,
fu ed è secondo natura. Domando se la natura rispetto
3801 all'uomo ha bisogno del suo contrario, lo esige, lo suppone. Se
fu intenzione della natura, se è cosa naturale che l'uomo divenisse e divenga
naturale (cioè perfetto) mediante l'essere stato sommamente contrario e diverso
dalla natura sua e generale. Se è proprietà dell'uomo l'acquistare la sua vera
proprietà, mediante l'averla affatto deposta e contrariata ec. ec. Se
l'antropofagia, se i sacrifizi umani, se le superstizioni, le {infinite} opinioni ed usi barbari ec. ec. le guerre
mortalissime che nell'America, unite
all'antropofagia ec., sino agli ultimi secoli, distrussero innumerabili
popolazioni e spopolarono d'uomini molti e vasti paesi, e che una volta essendo
state comuni a tutti i popoli, e ciò quando il genere umano era ancora scarso,
misero necessariamente l'intera specie in pericolo di scomparire affatto dal
mondo per sua propria opera; sono cose secondo natura, intese dalla natura,
supposte, volute, ordinate dalla natura; non accidenti, non disordini, ma
secondo l'ordine, e derivanti dal sistema naturale e da' naturali principii;
necessarie al conseguimento ed effettuamento della perfezione e felicità della
specie. V. p.
3882.
e vedi la pag. 3920.
3960-1[3659,1.]
[3801,1] I Californi, popoli di vita forse unico, non avendo
tra loro società quasi alcuna, {+se non
quella che hanno gli altri animali, e non i più socievoli (come le api ec.),
quella ch'è necessaria alla propagazione della specie ec.} e credo,
nessuna o imperfettissima lingua, anzi linguaggio, sono selvaggi e non sono
barbari, cioè non fanno nulla contro natura (almeno per costume), nè verso se
stessi, nè verso i lor simili, nè verso checchessia. Non è dunque la natura, ma
la società stretta la qual fa che tutti gli altri selvaggi sieno o
3802 sieno stati di vita e d'indole così contrari alla
natura. La scambievole communione, voglio dire una società stretta, non può
menomamente incominciare in un pugno d'uomini, che ciascheduno di questi non ne
divenga subito, non che lontano {e diverso,} come siam
noi, ma contrario dirittamente alla natura. Tanto la società stretta {fra gli uomini} è secondo natura.
[3802,1] Non è dubbio che l'uomo civile è più vicino alla
natura che l'uomo selvaggio e sociale. Che vuol dir questo? La società è
corruzione. In processo di tempo e di circostanze e di lumi l'uomo cerca di
ravvicinarsi a quella natura onde s'è allontanato, e certo non per altra forza e
via che della società. Quindi la civiltà è un ravvicinamento alla natura. Or
questo non prova che lo stato assolutamente primitivo, ed anteriore alla società
ch'è l'unica causa di quella corruzione dell'uomo, a cui la civiltà proccura per
natura sua di rimediare, è il solo naturale e quindi vero, perfetto, felice e
proprio dell'uomo? Come mai quello stato ch'è prodotto dal rimedio si dee, non
solo comparare, ma preferire a quello ch'è anteriore alla malattia? Il quale già
nel nostro caso, voglio dir lo stato veramente primitivo e naturale, non è mai
più ricuperabile all'uomo una volta corrotto (non da altro che dalla società), e
lo stato civile (socialissimo anch'esso, anzi sommamente sociale) n'è ben
diverso. Bensì egli è preferibile al corrotto stato selvaggio: questa preferenza
è ben ragionevole, {e segue} ed è secondo il nostro e
il sano discorso: ma non al vero primitivo ec. ec. {{V. p. 3932.}}
[3803,1]
3803 Dai superiori ragionamenti appoggiati e
accompagnati ai fatti e alle storie degli uomini, e queste paragonate con quello
che avviene negli altri animali ec. si dee dedurre che dalla società che passa
p. e. tra le api e i castori, e gli altri animali che per natura hanno tra loro
più stretta comunione di vita, e dagli esempi naturali siffatti, ben si può
argomentare che agli uomini non si convenga una società più stretta di quella;
ma non già perch'ella si trovi in parecchie specie naturalmente, si può
argomentare che agli uomini convenga neppure una società altrettanto stretta,
giacchè gli uomini, contro quello che si stima, cioè che sieno per natura i più
socievoli animali, sono anzi i meno socievoli, o certo manco socievoli di quello
che sieno parecchi altri, cioè gli animali che veramente sono i più socievoli
per natura. Onde, non che all'uomo convenga una società più stretta che all'api
ec., come lo è di gran lunga quella ch'egli ha presentemente, ed ebbe da tempo
immemorabile, si dee concludere che non gliene conviene se non una molto più
larga ec. come ho accennato p.
3773. fine, e come risulta dagli estremi danni dell'umana società stretta
(danni verso se stessa e la specie umana, e verso l'altre specie ancora e
l'ordine della natura terrestre, in quanto egli può essere ed è influito
dall'uomo, massime dall'uomo in società) considerati di sopra, e dall'estrema
insociabilità dell'uomo, dimostrata in tutto il passato discorso.
[3804,1]
3804 - Moltissimi, anzi la più parte degli argomenti
che si adducono a provare la sociabilità naturale dell'uomo, non hanno valore
alcuno, benchè sieno molto persuasivi; perciocch'essi veramente non sono tirati
dalla considerazione dell'uomo in natura, che noi pochissimo conosciamo, ma
dell'uomo quale noi lo conosciamo e siamo soliti di osservarlo, cioè dell'uomo
in società ed infinitamente alterato dalle assuefazioni. Le quali essendo una
seconda natura, fanno che tuttodì si pigli per naturale, quello che non è se non
loro effetto, e bene spesso contrario onninamente a natura, o da lei
diversissimo. Onde gli effetti della società, quello che sola la società ha reso
necessario, quello che non è vero se non posta la società, che senza questa non
avrebbe avuto luogo ec., si fanno tuttogiorno servire nelle argomentazioni de'
filosofi a dimostrare la naturale sociabilità dell'uomo, la necessità della
società assolutamente e secondo la nostra natura ec. Di questo genere è quella
inclinazione che tutti abbiamo a far parte ad altrui delle nostre sensazioni
vive e non ordinarie, piacevoli o dispiacevoli ec., inclinazione della quale ho
parlato altrove più volte ed osservato, [pp. 85-86]
[p. 230]
[pp. 266-68]
[pp. 339-40]
[pp.
486-88]
pp. 2471-72 , che
bench'ella sembri affatto spontanea ed innata, non è che l'effetto
dell'assuefazione e del nostro vivere in società, e nell'uomo posto fuori di
essa per qualunque circostanza, e massime nell'uomo primitivo e veramente
incorrotta[incorrotto], non ha luogo e gli è
ignota. Ed infiniti altri sono gli effetti di questo genere che paiono
naturalissimi, e dimostrativi della naturale sociabilità dell'uomo, e che per
tali
3805 si recano tuttogiorno, ma che per vero non
sono naturali, se non in quanto naturalmente hanno luogo, posta la società, e le
rispettive circostanze ed assuefazioni non naturali; e naturalmente nascono da
tali cagioni; nè possono non nascere, supposte queste. È cosa onninamente e
naturalmente difficilissima il discernere tra l'assoluto naturale, e gli effetti
dell'assuefazione, massime dell'assuefazione universale, e contratta o
cominciata a contrarre fin dalla nascita o da' primi momenti del vivere, com'è
l'assuefazione della società, e infinite assuefazioni subalterne da questa
dipendenti e cagionate ec. o parti di lei, o da lei supposte ec.; e massime
ancora nell'uomo, ch'essendo {di gran lunga} più
conformabile e modificabile d'ogni altro animale, facilissimamente e presto si
adatta alle assuefazioni, per innaturali ch'elle sieno, e se le converte in
natura, e le abbraccia ed arripit, e seco loro
s'immedesima in modo che appena l'occhio del più acuto filosofo è bastante a
distinguerle dalle disposizioni naturali, e gli effetti loro dalle naturali
qualità ed operazioni ec. Quindi non è maraviglia se tanti argomenti ci paiono
dimostrativi della naturale sociabilità dell'uomo, e se di questa quasi tutti
sono persuasi intimamente, e credono assurdo e impossibile il contrario, e
stimano questa persuasione naturalissima, e fondata sopra il più certo ed intimo
{e spontaneo} senso, ed autenticata dalla più
chiara e sincera e manifesta voce della natura; e mai non deporranno questa
credenza. Perocchè
3806 tutti gli uomini che di queste
cose possono discorrere o pensare in qualsivoglia modo, filosofi o non filosofi
o plebei, sono nati, allevati, formati e vissuti sempre nella società e nelle
assuefazioni ad essa appartenenti. Onde, non veramente per prima natura, ma per
seconda natura, essi sono tutti in verità esseri sociali, ed a cui la società è
propria e necessaria. E s'alcuno è nato e cresciuto fuori della società esso non
discorre nè pensa di queste cose, o non prima che la società e le sue
assuefazioni, coll'abitudine, gli si sieno convertite in natura. Sicchè nel
creder l'uomo naturalmente sociale, e fatto per la società, e di lei bisognoso
assolutamente, e la società natural cosa e indispensabile all'uomo, i saggi e
gl'idioti, i civili e i barbari, gli antichi e i moderni, e tutte le {diversissime} nazioni e tutte le classi dissimilissime
di persone, consentono insieme e consentirono e consentiranno forse più
interamente, fortemente, costantemente e per più lungo tempo, che non fecero non
fanno e non sono per fare intorno ad alcun'altra quistione speculativa. Ma
questo consenso quanto vaglia a dimostrar la proposizione da lui favorita, le
cose sopraddette il deggiono fare {giustamente e
adeguatamente} estimare.
[3806,1]
Amongst unequals no society,
*
dice Milton, cioè fra disuguali non è società ec. ec. {Puoi vedere la p. 3891.} Or quello che si suol dire
dell'amicizia e delle secondarie società fra gli uomini, io lo trasporto, e dee
parimente valere circa la società del genere umano generalmente
3807 considerata. Di tutte le specie d'animali (così
degli altri esseri) l'umana è quella i cui individui sono, non solo
accidentalmente, ma naturalmente, constante e inevitabilmente, più vari tra
loro. Come l'uomo è di gran lunga più conformabile d'ogni altro animale, e
quindi più modificabile, ogni menoma circostanza, ogni menomo accidente (sia
individuale, sia nazionale ec. {+sia
fisico sia morale ec.}) basta a produrre tra l'uno uomo e l'altro
{+(e così fra l'una nazione e
l'altra)} notabilissime diversità. E come è assolutamente inevitabile
la menoma varietà delle menome circostanze e accidenti, così è inevitabile la
diversità degli umani individui ec. che ne deriva. Inevitabile si è l'una e
l'altra in tutte le specie di animali, ma la seconda è molto maggiore nell'uomo
perchè dal poco diverso nasce in lui il diversissimo, stante la sua somma
modificabilità estremamente moltiplice, e la somma delicatezza e quindi
suscettibilità della sua natura rispetto agli altri animali, come si è detto.
Nel modo che la specie umana è divenuta, per la sua conformabilità, più diversa
da tutte l'altre specie animali {+e da
ciascuna di loro,} che non è veruna di queste rispetto {ad altra} veruna di esse; e nel modo che l'uomo nelle
sue diverse età, e in diversi tempi, anche naturalmente, è più diverso da se
medesimo che niuno altro animale; più diverso l'uomo giovane da se stesso
fanciullo, che non è niuno animale decrepito da se stesso appena nato; tanto che
{un} uomo in diverse età {+o in diverse circostanze naturali o accidentali, locali,
fisiche, morali, ec. di clima ec. native, cioè di nascita ec. o avventizie
ec. volontarie o no ec.} appena si può dire esser lo stesso
3808 uomo, ed il genere umano universalmente in diverse
età, o in diverse circostanze naturali o accidentali, locali ec. appena si può
dire esser lo stesso genere; nel modo stesso gl'individui di nostra specie sono
per natura di essa specie molto più vari tra loro che non son quelli di
verun'altra. Ciò accade ancora, ed inevitabilmente, e naturalmente, nell'uomo
naturale, nel selvaggio ec. Onde anche considerando l'uomo in natura, si può,
eziandio per questa parte, conchiudere che la sua specie è meno di verun'altra,
disposta a società, perchè composta d'individui naturalmente più diversi tra
loro, che non son quelli d'altra specie veruna. Ma come la società introduce e
porta al colmo tra gli uomini quella disuguaglianza che si considera negli
stati, nelle fortune, nelle professioni ec. così ella accresce a mille doppi,
promuove inevitabilmente e porta per sua natura al colmo la diversità sì fisica
sì morale, di facoltà, d'inclinazioni, di carattere, di forze, corpo ec. ec.
degl'individui, delle nazioni, de' tempi, delle varie età di un individuo ec.
ec. Ella accresce le diversità naturali ed ingenite di uomo ad uomo, ed altre
infinite e grandissime che nello stato naturale dell'uomo non avrebbero avuto
luogo, necessariamente e per sua natura ne introduce e cagiona. Ella distrugge
mille conformità e somiglianze naturali di uomo ad uomo. La natura è un canone
generale e costante, indipendente dall'arbitrio, poco soggetta agli
3809 accidenti (rispetto alla dipendenza che hanno
dagli accidenti e circostanze le opere ec. dell'uomo), una da per tutto, una
sempre rispetto a ciascuna specie, consistente in leggi certe ed eterne, ec. La
società, opera dell'uomo, dipendente dalla volontà che non ha niuna legge certa,
altrimenti non sarebbe volontà, arbitraria, incostante, varia secondo gli
accidenti e le circostanze de' tempi, de' luoghi, de' voleri, delle mille cose
che la cagionano e che determinano la sua forma e il modo del suo essere, non è
una in se stessa, perchè ha avuto ed ha necessariamente infinite forme, e queste
sempre variabili e variate; non è una in nessuna delle sue forme, perchè in
ciascuna di queste v'ha mille varietà che diversificano l'una dall'altra
necessariamente le parti che la compongono, chi comanda da chi ubbidisce, chi
consiglia da chi è consigliato, ec. ec. Nella società l'uomo perde {quanto è possibile} l'impronta della natura. Perduta
questa, ch'è la sola cosa stabile nel mondo, la sola universale, o comune al
genere o specie, non v'ha altra regola, {filo,} canone,
tipo, forma, che possa essere stabile e comune, alla quale tutti gl'individui
agguagliandosi, sieno conformi tra loro ec. ec. La società rende gli uomini, non
pur diversi e disuguali tra loro, quali essi sono in natura, ma dissimili. Onde
anche per questo argomento si conchiude che l'essenza e natura della società,
{massime umana,} contiene contraddizione in se
stessa; perocchè la società umana naturalmente distrugge il più necessario
elemento,
3810 mezzo, nodo, vincolo della società, ch'è
l'uguaglianza e parità scambievole degl'individui che l'hanno a comporre; o
vogliamo dire accresce per proprietà sua la naturale disparità de' suoi
subbietti, e l'accresce tanto che li rende affatto incapaci di società
scambievole, di quella medesima società che gli ha così diversificati, anzi
d'ogni società, anche di quella che per natura sarebbe stata loro e possibile e
destinata e propria; insomma, per tornare al principio di questo discorso, rende
i suoi soggetti quali son quelli tra' quali naturalmente no society,
*
anzi fa più, perchè se la
società, secondo Milton, è impossibile
tra disuguali, essa li rende dissimili. E in verità niuno animale meno che
l'uomo ha ragion di chiamare suoi
simili gl'individui della sua specie, nè ha più ragione di trattarli
come dissimili, e come individui di specie diversa. Il che egli non manca di
fare. E il farlo, com'ei lo fa ordinariamente, massime nella società, è ben
prova {effettiva} del sopraddetto ec. ec. (25-30.
Ottobre. 1823.).