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Qualità umane che si credono innate, e derivano realmente dall'assuefazione.

Human qualities that are believed to be innate but actually derive from habit.

Vedi Assuefazione. See Habit. 2472,1 2489,1 2596,1 2862,1 3027,2 3301,1 3374,1 3466,1 3518,1 3525,1 3804,1 3824,1 4254,4

[2472,1]  Ma che anche questa inclinazione, non sia naturale nè primitiva (come pare), ma effetto delle assuefazioni, e dell'abito di società contratto dagli uomini vivendo cogli altri uomini, lo provo e lo sento io medesimo, che quanto era prima inclinato a comunicare altrui ogni mia sensazione non ordinaria (interiore o esteriore), così oggi fuggo ed odio non solo il discorso, ma spesso anche la presenza altrui nel tempo di queste sensazioni. Non per altro se non per l'abito che ho contratto di dimorar quasi sempre meco stesso, e di tacere quasi tutto il tempo, e di viver tra gli uomini come isolatamente e in solitudine. Lo stesso si dee credere che avvenga ai solitari effettivi, ai selvaggi, a quelli che o non hanno società o poca, e rara, all'uomo naturale insomma, privo del linguaggio, o con poco uso del medesimo, al muto, a chi per qualche accidente ha dovuto per lungo tempo viver lontano dal consorzio degli uomini, come naufragi, {+pellegrini in luoghi di favella non conosciuta,} carcerati ec. frati silenziosi ec. (11. Giugno. 1822.)

[2489,1]  Di più l'amor proprio essendo una qualità del vivente, e queste qualità, come ho provato in più luoghi pp. 1820-21 p. 1911, essendo disposizioni, e queste disposizioni conformabili, e che possono fruttificare e produrre delle facoltà, e questo massimamente nell'uomo, ne segue che l'amor proprio, specialmente nell'uomo, è conformabile e coltivabile come le altre qualità. Anzi tanto più quanto egli abbraccia tutte le qualità dell'animo del vivente. Quindi anche l'amor proprio fa progressi, come ne fa lo spirito umano, ed è maggiore non solo in una specie o individuo naturalmente più vivo e sensitivo, ma anche in un individuo colto rispetto ad uno non colto, in un secolo colto rispetto  2490 ad un altro meno colto, in una nazione civile rispetto a una barbara, e in uno individuo medesimo, è maggiore dopo lo sviluppo delle sue qualità o disposizioni sensitive, sentimento, vitalità, ingegno, è maggiore, dico, che non era prima.

[2596,1]   2596 Quanta sia l'influenza dell'opinione e dell'assuefazione anche sui sensi, l'ho notato altrove p. 1733 coll'esempio del gusto, che pur sembra uno de' sensi più difficili ad essere influiti da altro che dalle cose materiali. Aggiungo una prova evidente. Io mi ricordo molto bene che da fanciullo mi piaceva effettivamente e parevami di buon sapore tutto quello che (per qualunque motivo ch'essi s'avessero) m'era lodato per buono da chi mi dava a mangiare. Moltissime delle quali cose, ch'effettivamente secondo il gusto dei più, sono cattive, ora non solo non mi piacciono, ma mi mi dispiacciono. Nè per tanto il mio gusto intorno ai detti cibi s'è mutato a un tratto, ma appoco appoco, cioè di mano in mano che la mente mia s'è avvezzata a giudicar da se, e s'è venuta rendendo indipendente dal giudizio e opinione degli altri, e dalla prevenzione che preoccupa la sensazione. La qual assuefazione ch'è propria dell'uomo, e ch'è generalissima, potrà essere ridicolo, ma pur è verissimo il dire che influisce anche in queste minuzie, e determina il giudizio  2597 del palato sulle sensazioni che se gli offrono, e cambia il detto giudizio da quello che soleva essere prima della detta assuefazione. In somma tutto nell'uomo ha bisogno di formarsi; anche il palato: ed è cosa facilissimamente osservabile che il giudizio de' fanciulli sui sapori, e sui pregi e difetti dei cibi relativamente al gusto, è incertissimo, {confusissimo} e imperfettissimo: e ch'essi in moltissimi, anzi nel più de' casi non provano punto nè il piacere che gli {uomini fatti} provano nel gustare tale o tal cibo, nè il dispiacere nel gustarne tale o tal altro. Lascio i villani, e la gente avvezza a mangiar poco, o male, o di poche qualità di cibi, il cui giudizio intorno ai sapori (anzi il sentimento ch'essi ne provano) è poco meno imperfetto e dubbio che quel dei fanciulli. Tutto ciò a causa dell'inesercizio del palato.

[2862,1]   2862 L'amicizia, non che la piena ed intima confidenza tra' fratelli, rade volte si conserva all'entrar che questi fanno nel mondo, ancorchè siano stati allevati insieme, ed abbiano esercitato l'estremo grado di questa confidenza sino a quel momento; e di più seguano ancora a convivere. E pure se l'uomo è capace di piena ed intima confidenza, e s'egli dovrebbe conservarla perpetuamente verso qualcuno, questo dovrebb'essere verso i fratelli coetanei, ed allevati con lui nella fanciullezza: e dico dovrebb'essere, non per forza naturale {della} {congiunzione di sangue,} la qual forza è nulla e immaginaria, e niente ha che fare nel produr quella confidenza o nel conservarla, ma per forza naturale dell'abitudine e dell'abitudine contratta {nel} primo principio delle idee e delle abitudini dell'individuo, e nella prima capacità di contrarle, {e conservata} tutto quel tempo che dura la maggiore intensità e disposizione {ed ampiezza,} e il maggior esercizio di questa capacità. Nondimeno questa confidenza così fortemente stabilita e radicata si perde per la varietà che s'introduce nel carattere de' fratelli mediante il commercio cogli altri individui della società. Ma se questo  2863 commercio non avesse avuto luogo, quella confidenza sarebbe stata perpetua, com'ella non è mai cessata fino a quell'ora. Che vuol dir ciò, se non che nei caratteri degli uomini, novantanove parti son opera delle circostanze? e che per diversissimi ch'essi appariscano, come spesso accade anche tra fratelli, in questa diversità non è opera della natura, se non una parte così menoma che saria stata impercettibile? È quasi impossibile il caso che tutte le minute circostanze e avvenimenti che incontrano all'un de' fratelli nell'uso della società, incontrino all'altro, o sieno uguali a quelle che incontrano all'altro, ancorchè postogli da vicino. Questa diversità diversifica due caratteri {che parevano affatto, ed erano quasi affatto, compagni,} e com'ella è inevitabile, così la diversificazione di {questi} caratteri nella società non può mancare. E ho detto le minute circostanze, contentandomi di queste, perchè {anche} la somma di cose minutissime basta a produrre grandissimi e visibilissimi effetti sull'indole degli uomini, massime allora ch'eglino sono principianti nel mondo, e che {in essi} la capacità delle abitudini e delle opinioni, ossia la formabilità dell'indole, è ancor  2864 {molta e} grande e in buon essere. (30. Giugno. 1823.).

[3027,2]  Ho discorso altrove p. 826 di quel luogo di Cic. nella Vecchiezza, dove dice che l'animo nostro, non si sa come, sempre mira alla posterità ec. e ne deduce ch'egli abbia un sentimento naturale della sua propria eternità e indestruttibilità. Ho mostrato come questo effetto viene dal desiderio dell'infinito, ch'è una conseguenza dell'amor proprio, e dal continuo ricorrer che l'uomo fa colla speranza  3028 al futuro, non potendo esser mai soddisfatto del presente, nè trovandovi piacere alcuno, e d'altronde non rinunziando mai alla speranza, fino a trapassar con essa di là dalla morte, non trovando più in questa vita dove ragionevolmente fermarla. Ma il suddetto effetto non è naturale. Esso viene dall'esperienza già fatta, che la memoria degli uomini insigni si conserva, dal veder noi medesimi conservata presentemente e celebrata la memoria di tali uomini, e dal conservarla e celebrarla noi stessi. Onde introdotta nel mondo questa fama superstite alla morte, essa è stata ed è bramata e cercata, come tanti altri beni {+o di opinione o qualunque,} di cui la natura niun desiderio ci aveva ispirato, e che sono comparsi nel mondo di mano in mano per varie circostanze, non da principio, nè creati dalla natura. Nei primissimi principii della società, quando ancor non v'era esempio di rammemorazioni e di lodi tributate ai morti, neppur gli uomini coraggiosi e magnanimi, quando anche desiderassero la stima de' loro compagni e contemporanei, pensarono mai  3029 a travagliare per la posterità, nè, molto meno, a trascurare il giudizio de' presenti per proccurarsi quello de' futuri, o rimettersi alla stima de' futuri. Che se il tempo che ho detto, colle circostanze che ho supposte non v'è mai stato, supponendo però ch'egli sia stato o sia mai per essere in alcun luogo, certamente ne verrebbe l'effetto che ho ragionato, cioè che niuno benchè magnanimo, benchè insigne tra' suoi connazionali o compagni, avrebbe o concepirebbe alcuna cura o pensiero della posterità. (25. Luglio. dì di San Giacomo. 1823.).

[3301,1]  Come l'uomo sia quasi tutto opera delle circostanze e degli accidenti: quanto poco abbia fatto in lui la natura: quante di quelle medesime qualità che in lui più naturali si credono, anzi di quelle ancora che non d'altronde mai si credono poter derivare che dalla natura, nè per niun modo acquistarsi, e necessariamente in lui svilupparsi e comparire, non altro sieno in effetto che acquisite, e {tali che} nell'uomo posto in diverse circostanze, non mai si sarebbero sviluppate, nè sarebbero comparse, nè per niun modo esistite: come la natura non ponga quasi  3302 nell'uomo altro che disposizioni, ond'egli possa essere tale o tale, ma niuna o quasi niuna qualità ponga in lui; di modo che l'individuo non sia mai tale quale egli è, per natura, ma solo per natura possa esser tale, e ciò ben sovente in maniera che, secondo natura, tale ei non dovrebb'essere, anzi pur tutto l'opposto: come insomma l'individuo divenga (e non nasca) quasi tutto ciò ch'egli è, qualunque egli sia, cioè sia divenuto. Qual cosa pare più naturale, più inartifiziale, {più spontanea,} meno fattizia, più ingenita, meno acquistabile, più indipendente e più disgiunta dalle circostanze e dagli accidenti, che quel tal genere di sensibilità con cui l'uomo suol riguardare la donna, e la donna l'uomo, ed essere trasportato l'uno verso l'altra; quel tal genere, dico, di affetti e di sentimenti che l'uomo, e massimamente il giovane nella prima età, senz'ombra di artifizio, senza intervento di volontà, anzi tanto più quanto egli è più giovane, più semplice ed inesperto, e quanto meno il suo carattere  3303 è stato modificato e influito dall'uso del mondo e dalla conversazione degli uomini e pratica della società, suol provare alla vista {+o al pensiero} di donne giovani e belle, o nel trattenersi seco loro; e così le donne giovani cogli uomini giovani e belli? quel tressaillement, quell'emozione, quell'ondeggiamento e confusione di pensieri e di sentimenti tanto più indistinti e indefinibili quanto più vivi, che parte par che abbiano del materiale, parte dello spirituale, ma molto più di questo, in modo che par ch'egli appartengano interamente allo spirito, anzi alla più alta e più pura e più intima parte di esso? Or questo genere di sentimenti e di affetti e di pensieri, questa qualità del giovane, cioè questa tale sensibilità, e la facoltà ed abito di provare questi siffatti sentimenti, non è per niun modo naturale nè innata, ma acquisita, ossia prodotta di pianta dalle circostanze, e tale che se queste non fossero state, l'uomo neppur conoscerebbe nè potrebbe pur concepire questa qualità, nè anche sospettare d'esserne capace.  3304 Il genere umano naturalmente è nudo, e, seguendo la natura, almeno in molte parti del globo, egli non avrebbe mai fatto uso de' vestimenti, siccome le vesti sono affatto ignote p. e. ai Californii. {Nè l'uomo nè} il giovane non avrebbe mai veduto {nè immaginato} nelle donne (e così la donna negli uomini) nulla di nascosto. E nulla vedendo di nascosto, {{}} {potendo desiderare o sperar di vedere,} e ben conoscendo fin dal principio la nudità {e la forma} dell'altro sesso, egli non avrebbe mai provato per la donna altro affetto, altro sentimento, altro desiderio, che quello che per le {lor} femmine provano gli altri animali; nè avrebbe concepito intorno a lei altro pensiero che quello di mescersi seco lei carnalmente; nè l'aspetto o il pensiero o la compagnia della donna avrebbe in lui cagionato, neppur nella primissima gioventù, verun altro effetto che un desiderio il più puramente e semplicemente sensuale che possa mai dirsi, {un impeto a soddisfare tal desiderio,} ed un piacere (molto languido in se stesso per l'abitudine {+e l'assuefazione} incominciata sin dalla nascita, e sempre continuata) altrettanto carnale {che quel desiderio,} e interamente, unicamente  3305 e manifestissimamente materiale, cioè appartenente e derivante dalla sola materia e dal senso, nè più nè meno che quel piacere che in lui avrebbe prodotto la vista di un color rosso bello e vivo o altra tal sensazione; se non solamente che quel diletto sarebbe stato per natura maggiore di questi; siccome tra gli altri diletti, {o} naturalmente {{o per circostanze,}} qual è maggiore qual è minore, non in se, ma rispetto agli uomini e agli animali, insomma agli esseri che li provano, e ne' quali essi diletti nascono ed hanno l'essere.

[3374,1]  Dico in più luoghi pp. 1661-63 pp. 1680-82 pp.1923-25 che la natura non ingenera nell'uomo quasi altro che disposizioni. Or tra queste bisogna distinguere. Altre sono disposizioni a poter essere, altre ad essere. Per quelle l'uomo può divenir tale o tale; può, dico, e non più. Per queste l'uomo, naturalmente vivendo, e tenendosi lontano dall'arte, indubitatamente diviene quale la natura ha voluto ch'ei sia, bench'ella non l'abbia fatto, ma disposto solamente a divenir tale. In queste si deve considerare l'intenzione della natura: in quelle no. E se per quelle l'uomo può divenir tale o tale, ciò non importa che tale o tale divenendo, egli divenga quale la natura ha voluto ch'ei fosse: perocchè la natura per quelle disposizioni non ha fatto altro che lasciare all'uomo la possibilità di divenir tale o tale; nè quelle sono  3375 altro che possibilità. Ho distinto due generi di disposizioni per parlar più chiaro. Ora parlerò più esatto. Le disposizioni naturali a poter essere e quelle ad essere, non sono diverse individualmente l'une dall'altre, ma sono individualmente le medesime. Una stessa disposizione è ad essere e a poter essere. In quanto ella è ad essere, l'uomo, seguendo le inclinazioni naturali, e non influito da circostanze non naturali, non acquista che le qualità destinategli dalla natura, e diviene quale ei dev'essere, cioè quale la natura ebbe intenzione ch'ei divenisse, quando pose in lui quella disposizione. In quanto ella è disposizione a poter essere, l'uomo influito da varie circostanze non naturali, sião[siano] intrinseche siano estrinseche, acquista molte qualità non destinategli dalla natura, molte qualità contrarie eziandio all'intenzione della natura, e diviene qual ei non dev'essere, cioè quale la natura non intese ch'ei divenisse, nell'ingenerargli quella disposizione. Egli {però non} divien tale {per} natura, benchè questa disposizione sia naturale: perocchè essa {disposizione} non era ordinata a questo  3376 ch'ei divenisse tale, ma era ordinata ad altre qualità, molte delle quali affatto contrarie a quelle che egli ha per detta disposizione acquistato. Bensì s'egli non avesse avuto naturalmente questa disposizione, egli non sarebbe potuto divenir tale. Questa è tutta la parte che ha la natura in ciò che tale ei sia divenuto. Siccome, se la disposizion fisica del nostro corpo non fosse qual ella è per natura, l'uomo non potrebbe, per esempio, provare il dolore, divenir malato. Ma non perciò la natura ha così disposto il nostro corpo acciocchè noi sentissimo il dolore e infermassimo; nè quella disposizione è ordinata a questo, ma a tutt'altri e contrarii risultati. E l'uomo non inferma per natura; bensì può per natura infermare; ma infermando, ciò gli accade contra natura, o fuori e indipendentemente dalla natura, la quale non intese disporlo a infermare.

[3466,1]  Ces hommes qui existent ainsi * (les Chartreux de Rome) sont pourtant les mêmes à qui la guerre et toute son activité suffiraient à peine s'ils s'y étaient accoutumés. C'est un sujet inépuisable de réflexion que  3467 les différentes combinaisons de la destinée humaine sur la terre. Il se passe dans l'intérieur de l'ame mille accidents, il se forme mille habitudes qui font de chaque individu un monde et son histoire. Connaître un autre parfaitement serait l'étude d'une vie entière; qu'est-ce donc qu'on entend par connaître les hommes? les gouverner, cela se peut, mais les comprendre, Dieu seul le fait. * Corinne, livre 10. Chap. 1. t. 2. p. 114. Ciò vuol dire che l'uomo è sommamente e infinitamente o indeterminatamente conformabile, e non è possibile conoscer mai tutti i modi e tutte le differenze in cui lo spirito degl'individui, secondo la diversità delle circostanze (ch'è infinita o indeterminabile), si conforma o si può conformare; per la stessa ragione per cui non si possono conoscere tutte le circostanze possibili ad aver luogo, che possono influire sullo spirito degl'individui, nè tutte quelle che hanno effettivamente influito su tale o tale individuo determinato, nè le loro combinazioni scambievoli, nè le loro minute diversità che producono non piccole differenze di carattere ec.  3468 La maggior cognizione adunque che si possa avere dell'uomo è quella di sapere perfettamente e ragionatamente che gli uomini non si possono mai ben conoscere, perchè l'uomo è indefinitamente variabile negl'individui, e l'individuo stesso per se. E il più certo segno di tal cognizione si è quello di non maravigliarsi mai un punto, e di esser bene e ragionatamente e veramente disposto a non maravigliarsi di qualunque strana {e inaudita e nuova} indole, carattere, qualità, facoltà, azione di qualunque individuo umano noto o ignoto ci possa venire agli orecchi o agli occhi, ci accada o possa accader d'intendere o di vedere, {+in bene o in male.} Chi è veramente giunto a questa disposizione, e l'ha in se ben perfetta, radicata e costante, ed efficace, può dire di conoscer l'uomo il più ch'è possibile all'uomo. È[E] più infatti non può se non Dio, come ben dice la Staël, perchè Dio solo può conoscere e conosce tutti i possibili. Or gli uomini non si possono perfettamente {conoscere,} chi non conosca poco men che tutti i possibili, dico, i possibili di questa natura e di questa terra. (19. Sett. 1823.).

[3518,1]  Superiorità della natura sulla ragione, dell'assuefazione (ch'è seconda natura) sulla riflessione. - Mio timor panico d'ogni sorta di scoppi, non solo pericolosi, (come tuoni ec.), ma senz'ombra di pericolo (come spari festivi ec.); timore che stranamente e invincibilmente  3519 mi possedette non pur nella puerizia, ma nell'adolescenza, quando io era bene in grado di riflettere e di ragionare, e così faceva io infatti, ma indarno per liberarmi da quel timore, benchè ogni ragione mi dimostrasse ch'egli era tutto irragionevole. {Io non credeva che vi fosse pericolo, e sapeva che non v'era pericolo nè che temere; ma io temeva niente manco che se io avessi saputo e creduto e riflettuto il contrario. (puoi vedere la p. 3529.).} Non potè nè la ragione nè la riflessione liberarmi di quel timore irragionevolissimo, perch'esso m'era cagionato dalla natura. Nè io certo era de' più stupidi e irriflessivi, nè di quelli che men vivono secondo ragione, e meno ne sentono la forza, e son meno usi di ragionare, e seguono più ciecamente l'istinto o le disposizioni naturali. Or quello che non potè per niun modo la ragione nè la riflessione contro la natura, lo potè in me la natura stessa e l'assuefazione; e il potè contro la ragione medesima e contro la riflessione. Perocchè coll'andar del tempo, anzi dentro un breve spazio, essendo io stato forzato in certa occasione a sentire assai da vicino e frequentemente di tali scoppi, perdei quell'ostinatissimo e innato timore in modo, che non solo trovava piacere in quello  3520 che per l'addietro m'era stato sempre di grandissimo odio e spavento senza ragione, ma lasciai pur di temere e presi anche ad amare nel genere stesso quel che ragionevolmente sarebbe da esser temuto; nè la ragione o la riflessione che già non poterono liberarmi dal timor naturale, poterono poscia, nè possono tuttavia, farmi temere o solamente non amare, quello che per natura o assuefazione, irragionevolmente, io amo e non temo. {#1. Nè io son pur, come ho detto, de' più irriflessivi, nè manco di riflettere ancora in questo proposito all'occasione, ma indarno per concepire un timore che non mi è più naturale.} Questo ch'io dico di me, so certo essere accaduto e accadere in mille altri tuttogiorno, o quanto all'una delle due parti solamente, o quanto ad ambedue. - Quello che non può in niun modo la riflessione, può {{e fa}} l'irriflessione. (25. Sett. 1823.). {{V. p. 3908.}}

[3525,1]  L'uomo tanto può fare e patire quanto egli è assuefatto di fare e di patire (o che l'assuefazione continui, o che quantunque passata, ne restino gli effetti totalmente o in parte), niente più niente meno. (26. Sett. 1823.).

[3804,1]   3804 - Moltissimi, anzi la più parte degli argomenti che si adducono a provare la sociabilità naturale dell'uomo, non hanno valore alcuno, benchè sieno molto persuasivi; perciocch'essi veramente non sono tirati dalla considerazione dell'uomo in natura, che noi pochissimo conosciamo, ma dell'uomo quale noi lo conosciamo e siamo soliti di osservarlo, cioè dell'uomo in società ed infinitamente alterato dalle assuefazioni. Le quali essendo una seconda natura, fanno che tuttodì si pigli per naturale, quello che non è se non loro effetto, e bene spesso contrario onninamente a natura, o da lei diversissimo. Onde gli effetti della società, quello che sola la società ha reso necessario, quello che non è vero se non posta la società, che senza questa non avrebbe avuto luogo ec., si fanno tuttogiorno servire nelle argomentazioni de' filosofi a dimostrare la naturale sociabilità dell'uomo, la necessità della società assolutamente e secondo la nostra natura ec. Di questo genere è quella inclinazione che tutti abbiamo a far parte ad altrui delle nostre sensazioni vive e non ordinarie, piacevoli o dispiacevoli ec., inclinazione della quale ho parlato altrove più volte ed osservato, pp. 85-86 p. 230 pp. 266-68 pp. 339-40 pp. 486-88 pp. 2471-72 , che bench'ella sembri affatto spontanea ed innata, non è che l'effetto dell'assuefazione e del nostro vivere in società, e nell'uomo posto fuori di essa per qualunque circostanza, e massime nell'uomo primitivo e veramente incorrotta[incorrotto], non ha luogo e gli è ignota. Ed infiniti altri sono gli effetti di questo genere che paiono naturalissimi, e dimostrativi della naturale sociabilità dell'uomo, e che per tali  3805 si recano tuttogiorno, ma che per vero non sono naturali, se non in quanto naturalmente hanno luogo, posta la società, e le rispettive circostanze ed assuefazioni non naturali; e naturalmente nascono da tali cagioni; nè possono non nascere, supposte queste. È cosa onninamente e naturalmente difficilissima il discernere tra l'assoluto naturale, e gli effetti dell'assuefazione, massime dell'assuefazione universale, e contratta o cominciata a contrarre fin dalla nascita o da' primi momenti del vivere, com'è l'assuefazione della società, e infinite assuefazioni subalterne da questa dipendenti e cagionate ec. o parti di lei, o da lei supposte ec.; e massime ancora nell'uomo, ch'essendo {di gran lunga} più conformabile e modificabile d'ogni altro animale, facilissimamente e presto si adatta alle assuefazioni, per innaturali ch'elle sieno, e se le converte in natura, e le abbraccia ed arripit, e seco loro s'immedesima in modo che appena l'occhio del più acuto filosofo è bastante a distinguerle dalle disposizioni naturali, e gli effetti loro dalle naturali qualità ed operazioni ec. Quindi non è maraviglia se tanti argomenti ci paiono dimostrativi della naturale sociabilità dell'uomo, e se di questa quasi tutti sono persuasi intimamente, e credono assurdo e impossibile il contrario, e stimano questa persuasione naturalissima, e fondata sopra il più certo ed intimo {e spontaneo} senso, ed autenticata dalla più chiara e sincera e manifesta voce della natura; e mai non deporranno questa credenza. Perocchè  3806 tutti gli uomini che di queste cose possono discorrere o pensare in qualsivoglia modo, filosofi o non filosofi o plebei, sono nati, allevati, formati e vissuti sempre nella società e nelle assuefazioni ad essa appartenenti. Onde, non veramente per prima natura, ma per seconda natura, essi sono tutti in verità esseri sociali, ed a cui la società è propria e necessaria. E s'alcuno è nato e cresciuto fuori della società esso non discorre nè pensa di queste cose, o non prima che la società e le sue assuefazioni, coll'abitudine, gli si sieno convertite in natura. Sicchè nel creder l'uomo naturalmente sociale, e fatto per la società, e di lei bisognoso assolutamente, e la società natural cosa e indispensabile all'uomo, i saggi e gl'idioti, i civili e i barbari, gli antichi e i moderni, e tutte le {diversissime} nazioni e tutte le classi dissimilissime di persone, consentono insieme e consentirono e consentiranno forse più interamente, fortemente, costantemente e per più lungo tempo, che non fecero non fanno e non sono per fare intorno ad alcun'altra quistione speculativa. Ma questo consenso quanto vaglia a dimostrar la proposizione da lui favorita, le cose sopraddette il deggiono fare {giustamente e adeguatamente} estimare.

[3824,1]  Somma conformabilità dell'uomo ec. Tutto in natura, e massime nell'uomo, è disposizione. ec. Straordinaria, ed, apparentemente, più che umana facoltà {e potenza} che i ciechi, o nati o divenuti, hanno negli orecchi, nella ritentiva, nell'inventiva, {nell'attendere} nella profondità del pensare, nell'apprender la musica ed esercitarla e comporne ec. ec. Similmente dei sordi nell'attenzione, nella contenzione e concentrazione del pensiero, nell'imparar cose che paiono impossibili ai sordi nati, fino a leggere, a scrivere, a parlare fors'anche ec. come nelle scuole de' sordi muti. ec. Le quali straordinarie potenze delle parti morali, che si scuoprono nell'uomo per la sola forza delle circostanze, e talora in un individuo medesimo che dapprima non le aveva, come in uno divenuto cieco a una certa età, ec.; sono analoghe a quelle, altrettanto straordinarie, delle parti fisiche, occasionate pur dalle sole circostanze, e che in tanto si credono possibili fisicamente all'uomo, in quanto solamente si vede in fatti qualche individuo che {per forza delle sue} circostanze, è giunto a possederle. Come quello che nato senza braccia, suppliva co' piedi a tutte le funzioni delle mani, fino alle più squisite p. 2269. Delle quali potenze niuno {pure} immagina che l'uomo e le rispettive sue parti morali  3825 o fisiche sieno in alcun modo capaci, se non vede o non conosce i fatti a uno per uno. Così dico di centomila altre facoltà straordinarie morali o fisiche possedute oggi o ne' tempi addietro da individui, o da razze, o da nazioni particolari, per sola forza di circostanze, o di esercizio, o di costumi ec. Come son quelle de' giocolieri indiani, ed eran quelle de' giocolieri messicani ec. de' nostri saltatori, giuocatori di forze, ed anche di lestezza di mano ec. E quel che dico delle facoltà dicasi ancora delle qualità {straordinarie} morali o fisiche, de' costumi, delle abitudini d'ogni sorta ec. straordinarie, o che a noi son tali ec. (4. Nov. 1823.).

[4254,4]  I know, by my own experience, that the more one works, the more willing one is to work. We are all, more or less, des animaux d'habitude. I remember very well, that when I was in business, I wrote four or five hours together every day, more willingly than I should now half an hour. * Chesterfield, Letters to his son, lett. 318. I have so little to do, that I am surprised how I can find time to write to you so often. Do not stare at the seeming paradox; for it is an undoubted truth, that the less one has to do, the less time one finds to do it in. One yawns, one procrastinates; one can do it when one will, and therefore one seldom does it at all; whereas those who have a great deal of business, must (to use a vulgar expression) buckle to it; and then they always  4255 find time enough to do it in. Lett. 320. * It is not without some difficulty that I snatch this moment of leisure from my extreme idleness, to inform you of the present lamentable and astonishing state of affairs here. * Lett. 321. (12. Marzo. 1827.). {{v. p. 4281.}}

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Inconvenienti accidentali nella natura. (1827) (1)
Abilità degli animali ad assuefarsi a cose non naturali ec. (1827) (1)
Uomo, solo titolo di cui l'uomo si può pregiare. (1827) (1)
Chi più fa, ha più tempo e voglia di fare; chi meno, meno. Applicazione ai letterati, agli uomini di affari, agli antichi. Osservazioni notabili. (1827) (1)