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[1254,1]   1254 La facilità di contrarre abitudine, qualità ed effetto essenziale de' grandi ingegni, porta seco per naturale conseguenza ed effetto la facilità di disfare le abitudini già contratte, mediante nuove abitudini opposte che facilmente si contraggono; e quindi la potenza sì della durevolezza, come della brevità delle abitudini.

[1364,3]  La facoltà imitativa è una delle principali parti dell'ingegno umano. L'imparare in gran parte non è che imitare. Ora la facoltà d'imitare non è che una facoltà di attenzione esatta e  1365 minuta all'oggetto e sue parti, e una facilità di assuefarsi. Chi facilmente si assuefa, facilmente e presto riesce ad imitar bene. Esempio mio, che con una sola lettura, riusciva a prendere uno stile, avvezzandomicisi subito l'immaginazione, e a rifarlo ec. Così leggendo un libro in una lingua forestiera, m'assuefacevo subito dentro quella giornata a parlare, anche meco stesso e senza avvedermene, in quella lingua. Or questo non è altro che facoltà d'imitazione, derivante da facilità di assuefazione. Il più ingegnoso degli animali, e più simile all'uomo, la scimia, è insigne per la sua facoltà e tendenza imitativa. Questa principalmente caratterizza e distingue il suo ingegno da quello delle altre bestie. Ampliate questo pensiero, e mostrate la gradazione delle facoltà organiche interiori, nelle diverse specie di animali fino all'uomo; e come tutta consista in una maggiore o minor facoltà di attendere, e di assuefarsi, la qual seconda facoltà, deriva in gran parte, ed è molto giovata dalla prima, e sotto qualche aspetto è tutt'uno. (21. Luglio 1821.). {{v. p. 1383. capoverso 2.}}

[1370,1]  Non solamente tutte le facoltà dell'uomo sono una facoltà di assuefarsi, ma la stessa facoltà di assuefarsi dipende dall'assuefazione. A forza di assuefazioni si piglia la facilità di assuefarsi, non solo dentro lo stesso genere di cose, ma in ogni genere. Il fanciullo non ha ancora un abito di assuefazioni, e perciò è difficile ad assuefarsi, e ad imparare. Chi ha molto imparato più facilmente impara, sempre proporzionatamente alle facoltà o disposizioni de' suoi organi, che variano secondo gl'ingegni, le circostanze fisiche passeggere o stabili, le altre circostanze esteriori o interiori, l'età massimamente ec. ec. Dico, più facilmente impara, o in quello stesso genere di cose, cioè in un tal genere al quale i suoi organi siano più disposti, e quindi più facili ad assuefarsi; ovvero in altri generi, o in qualunque altro genere, perchè ogni assuefazione influisce sulla facilità generale di assuefarsi, e quindi d'imparare, di conoscere, di abilitarsi interiormente o esteriormente ec. L'apprendere, quanto alla memoria, non è che assuefarsi, ma esercitando  1371 la memoria, si acquista la facilità di questa assuefazione, cioè d'imparare a memoria. I fanciulli mancando ancora di esercizio, poco sanno imparare a memoria, ma cominciando da poche righe, arriveranno ben presto ad imparare libri intieri, perchè i loro organi sono meglio disposti all'assuefazione che quelli d'ogni altra età, e per isviluppare questa facoltà non hanno bisogno che di esercitarla, cioè di assuefarla essa stessa. Tutto in somma nell'uomo è assuefazione. E seppure esistono differenze d'ingegni, cioè organi più o meno disposti ad attendere ed assuefarsi, ad assuefarsi a questa o quella cosa, a più o meno cose, o a tutte; la qual differenza anch'io stimo ch'esista; ella è però tale che le diverse assuefazioni possono affatto cancellarla, e rivolgerla anche al contrario, cioè render l'uomo di piccolo ingegno, assai più penetrante ec. ec. e in somma di maggiore ingegno, che l'uomo del più grande ingegno naturale. E ciò non solo nelle cose ed assuefazioni materiali, o negli studi esatti ec. ma anche nelle discipline più sottili, anche nelle cose spettanti alla immaginazione e al genio.  1372 L'uomo insomma principalmente, e dopo l'uomo gli altri viventi, i loro ig̃egni[ingegni] cognizioni, abilità, facoltà, opinioni, pensieri, detti, fatti, {+le loro qualità, non in quanto ingenite, ma in quanto sviluppate (ch'è come dire, non in potenza, ma in atto, perchè le qualità non isviluppate son come non esistessero, oltre le infinite modificazioni, onde sono suscettibili di parere diversissime ed anche opposte qualità)} sono figli nati dell'assuefazione. (22. Luglio. 1821.).

[1378,2]  La facilità, anzi quasi la facoltà di attendere che tanto è necessaria all'assuefazione, o la facilita, l'abbrevia, e la produce, anch'essa però si accresce e perfeziona, e quasi nasce mediante l'assuefazione. (23. Luglio 1821.).

[1399,1]  Per la ragione per cui troviamo poca varietà nella fisonomia delle bestie d'una medesima specie ec. come ho detto altrove p. 1196, accade che in una città forestiera, tutto al primo momento ci paia appresso a poco uniforme, e troviamo sempre proporzionatamente assai più vario il paese a cui siamo avvezzi (ancorchè uniformissimo) che qualunque altro; almeno ne' primi giorni. Onde non sappiamo distinguere le contrade ec. Massime se v'ha realmente qualche uniformità in quel nuovo paese, sebben però più vario del nostro; ovvero s'egli è di una forma e di un gusto ec. assai differente dal nostrale, nel qual caso non li[ci] troveremo mai {{bastante}} varietà, prima della lunga attenzione ed assuefazione  1400 Così ci accade nel leggere gli scritti assai forestieri per noi, come degli orientali, di Ossian, ec. o de' loro imitatori nostrali. Così in cento generi di cose. (28. Luglio 1821.).

[1421,2]  L'attendere {e il riflettere} non è altro che il fissare la mente o il pensiero, il fermarlo ec. Abito che produce la scienza, l'invenzione, l'uomo riflessivo ec. Abito puro, come facilmente può considerare ciascun uomo riflessivo in se stesso, e notare ch'egli esercita quest'abito anche senz'avvedersene, e nelle cose che meno gl'importano, e giornalmente. Abito però poco comune, e però poco frequenti sono i pensatori, e i riflessivi ec. (31. Luglio 1821.). {{V. p. 1434. princip.}}

[1432,1]  Si ha una perfetta immagine degli organi dell'ingegno, e de' loro progressi ec. negli organi esteriori dell'uomo, e nelle abilità di cui sono capaci, e nella maniera ed ordine con cui le acquistano. P. e. gli organi della voce rispetto al canto. Non si acquistano  1433 tali abilità che coll'esercizio e assuefazione ma questi vi ha gli organi più disposti, quegli meno; questi ha bisogno di meno esercizio, quegli di più; questi può riuscire perfettamente, quegli non mai; questi è ben disposto alla tale abilità, quegli alla tal altra: tutti da fanciulli hanno gli organi più suscettibili di contrarre qualsivoglia abilità possibile all'uomo, perchè gli organi allora sono meglio arrendevoli: e non c'è quasi abilità possibile di cui qualunque fanciullo non sia capace, con più o meno esercizio; e capace anche di riuscirvi in tutta la perfezione possibile. Ma passata la fanciullezza le disposizioni degli organi variano di più, secondo la maggiore o minor facoltà generale che l'individuo ha contratto, mediante maggiori o minori esercizi, che producono essi stessi una maggiore o minor capacità di contrarre abitudini ec. e d'imparare. Tali nè più nè meno sono gli organi del cervello, e le differenze loro sono della stessissima natura, e vengono dalle stesse cagioni. (1. Agos. 1821.).

[1450,1]  Da quanto ho detto altrove p. 1254 che l'ingegno è facilità di assuefarsi, e che questa facilità include quella di mutare assuefazioni, di contrarne delle nuove in pregiudizio delle passate ec. risulta che i grandi ingegni denno ordinariamente esser mutabilissimi (di opinioni, di gusti, di stili, di modi, ec. ec.) non già per  1451 quella volubilità che nasce da leggerezza, e questa da poca forza d'ingegno e di concezioni e sensazioni ec. ma per la facilità di assuefarsi, e quindi di far progressi. Però la mutabilità, quando conduca sempre più avanti, ancorchè produca nell'uomo delle condizioni tutte contrarie alle passate, è sempre indizio di grande ingegno, anzi sua necessaria qualità. Ed infatti grandissima differenza si suol trovare p. e. tra le prime e le ultime opere di un grande scrittore (sia nel genere, sia nello stile, sia nelle opinioni, sia ne' pregi particolari o qualità ec. sia in tutte queste cose insieme), e nessuna o pochissima in quelle de' mediocri, o degl'infimi. Paragonate il Rinaldo del Tasso, o la prima Tragedia del Metastasio o dell'Alfieri colle ultime ec. Così pure nelle inclinazioni della vita o degli studi, ne' gusti letterarii ec. Così dico anche rispetto alle sue assuefazioni e abilità materiali ec. (4. Agos. 1821.).

[1451,1]  Non c'è sommo ingegno che nel suo  1452 primissimo periodo non si trovi appresso a poco a livello cogl'infimi ingegni, {posti in quello stesso periodo.} Dal che si vede che il grande ingegno non si forma se non mediante l'uso dell'esercizio e delle assuefazioni, il qual uso gli facilita poi l'abito di assuefarsi, che è quanto dire, gli produce il talento ec. ec. (4. Agos. 1821.).

[1452,1]  Ciascun uomo è come una pasta molle, suscettiva d'ogni possibile figura, impronta ec. S'indurisce col tempo, e da prima è difficile, finalmente impossibile il darle nuova figura ec. Tale è ciascun uomo, e tale diviene col progresso dell'età. Questa è la differenza caratteristica che distingue l'uomo dagli altri viventi. La maggiore o minore conformabilità primitiva, è la principal differenza di natura fra le diverse specie di animali, e fra i diversi individui di una stessa specie. La maggiore o minore conformabilità acquisita (mediante l'uso generale delle assuefazioni, che produce la facilità delle assuefazioni particolari) e le diverse forme ricevute  1453 da ciascun individuo di ciascuna specie, è tutta la differenza di accidente che si trova fra detti individui. Quindi considerate quanto sia ragionevole l'opinione delle cose assolute, anche dentro i limiti, e l'ordine effettivo della natura qual ella è, e dilatate questo pensiero.

[1453,2]  Malamente si distingue la memoria dall'intelletto, quasi avesse una regione a parte nel nostro cervello. La memoria non è altro che una facoltà che l'intelletto ha di assuefarsi alle concezioni, diversa dalla facoltà di concepire o d'intendere. ec. Ed è tanto necessaria all'intelletto, ch'egli senza di essa, non è capace di verun'azione, {+(l'azione dell'intelletto è diversa dalla {semplice} concezione ec.)} perchè ogni  1454 azione dell'intelletto è composta, (cioè di premesse e conseguenza) nè può tirarsi la conseguenza senza la memoria delle premesse. Bensì questa facoltà, che quantunque inerentissima all'intelletto, e spesso appena distinguibile dalla facoltà di concepire e di ragionare, è però diversa, può sommamente illanguidirsi ec. senza che quella di concepire ec. s'illanguidisca nè si perda ec. e può essere anche originariamente debole, in un intelletto ben provvisto delle altre facoltà. Osservate però (contro quello che si suol dire che l'ingegno è indipendente ec. dalla memoria) che non v'è quasi grande ingegno che non abbia grande memoria, almeno originariamente. E ciò 1. perchè la facilità di assuefarsi ec. che forma i grandi ingegni, cagiona naturalmente ed include anche la facoltà della memoria ec. 2. perchè un ingegno senza memoria, ancorchè sia grande, non si conosce per tale, non potendo produrre notabili effetti ec.

[1455,1]  La forza dell'assuefazione nell'uomo, e come lo sviluppo di tutte le sue facoltà dipenda da essa, si può vedere ne' suoi organi esteriori, paragonando quelli de' fanciulli (e più, de' bambini) a quelli degli adulti, non relativamente alle abilità particolari, ma all'uso quotidiano che fa ciascun uomo di detti organi, p. e. delle mani. Le quali troveremo inettissime ne' fanciulli a quelle medesime cose che noi più facilmente operiamo. E ciò non già per la sola debolezza ec. degli organi, inerente a quella età, ma anche del tutto indipendentemente da questa, per la mancanza sì delle assuefazioni  1456 particolari a questa o quella operazione, sì dell'esercizio generale che abilita l'organo ad eseguir senza il menomo stento una operazione del tutto nuova ec. delle quali, rispetto p. e. alle mani, ce ne capita tuttogiorno. Così che osservando gli organi esteriori de' fanciulli, appena si crederebbe ch'essi fossero gli stessi che i nostri, e che avessero in potenza le stesse facoltà ec. Meno bisognosi di assuefazione sono gli organi degli animali, secondo quello che ho detto p. 1452-53. {+Che cosa è l'uomo? Un animale più assuefabile degli altri.} (5. Agosto. 1821.).

[1508,1]  Senza notabile facoltà di memoria nessun ingegno può acquistare, svilupparsi, assuefarsi, imparare, cioè nessun ingegno può nè divenire nè meno esser grande; perchè quelle sensazioni, concezioni, idee, che non sono se non momentanee, e si perdono, non possono produrne e prepararne delle altre, e non possono quindi servire alla grandezza di un ingegno, tutte le cui cognizioni sono acquisite, e le cui facoltà sono quasi nulle, e conformi a quelle de' menomi  1509 ingegni senza la coltura dell'esperienza, la qual esperienza è vana senza la memoria. La memoria si può generalmente considerare come la facoltà di assuefazione che ha l'intelletto. La qual facoltà è il tutto nell'uomo. (17. Agos. 1821.).

[1523,1]  La facoltà di assuefarsi, in che consiste la memoria, e l'assuefazione ad assuefarsi in che consiste quasi interamente  1524 la detta facoltà, fanno che la memoria possa anche assuefarsi (come tutto giorno accade) a ritenere un'impressione ricevuta una sola volta, supplendo l'assuefazione generale all'assuefazione particolare, e venendo anche questo ad essere un effetto dell'assuefazione di richiamare. I bambini che non hanno ancora quest'assuefazione, o insufficiente, non ritengono impressione che non abbiano ricevuta più volte, e alla quale non si siano individualmente assuefatti. E le stesse più buone memorie non riterranno a lungo un'impressione non più ripetuta, s'essi medesimi di tratto in tratto non se la ripetono, mediante l'immaginazione che la richiama, vale a dire mediante successive reminiscenze, che formano l'assuefazione particolare a quella tale impressione. E ciò che dico della memoria, dico delle altre abitudini, ed abilità ec. (dipendenti pur da lei) che talvolta si possono acquistare in un batter d'occhio, come imparare un'operazione di mano tanto da poterla rifare, dopo averla veduta fare una sola volta. ec. Dove concorre la facoltà e facilità di assuefazione della memoria,  1525 con quella degli organi esteriori. Ma queste pure si perdono ordinariamente se non si ripetono, e se l'assuefazione istantaneamente contratta, non si coltiva, mediante il rinnuovamento non dell'impressione stessa, ma del suo effetto ec. Ancor qui però vi sono delle differenze secondo la maggiore o minor facoltà di assuefazione e di ritentiva, naturale e acquisita, che hanno i diversi individui. (19. Agos. 1821.).

[1527,2]  La stessa ragione che inclina gli uomini {e i viventi} a credere assoluto il relativo, li porta a credere effetto ed opera della natura, quello ch'è puro effetto ed opera dell'assuefazione, e a creder facoltà o qualità congenite quelle che sono meramente acquisite. Ma egli è ben vero che questa considerazione estingue il bello e il grande: e quel sommo ingegno, o quella somma virtù considerata come figlia delle circostanze e delle abitudini, non della natura; perde tutto  1528 il nobile, tutto il mirabile, tutto il sublime della nostra immaginazione. Le qualità più eroiche e più poetiche, lo stesso sentimento, entusiasmo, genio, la stessa immaginazione diventa impoetica, s'ella non si considera come dono della natura; e lo scrittor di gusto, e massime il poeta deve ben guardarsi dal considerarla altrimenti, o dal presentarla sotto altro aspetto. Virgilio diverrebbe nella nostra immaginazione poco diverso da Mevio (qual egli era infatti naturalmente), Achille da Tersite; Newton si riconoscerebbe superiore per solo caso al più povero fisico peripatetico. (20. Agos. 1821.).

[1540,1]  Come tutto sia assuefazione ne' viventi, si può anche vedere negli effetti della  1541 lettura. Un uomo diviene eloquente a forza di legger libri eloquenti; inventivo, originale, pensatore, matematico, ragionatore, poeta, a forza ec. Sviluppate questo pensiero, applicandovi l'esempio mio, e distinguendolo secondi[secondo] i gradi di adattabilità, e formabilità naturale o acquisita degl'individui. Quei romanzieri la cui fecondità ec. d'invenzione ci fa stupire, hanno per lo più letto gran quantità di romanzi, racconti ec. e quindi {la loro immaginazione ha} acquistata una facoltà che qualunque ingegno, in parità di circostanze esteriori e indipendenti dalla sua natura, sarebbe capace di acquistare, in grado per lo meno somigliante. (21. Agos. 1821.).

[1541,1]  Lo stesso dico degli altri studi indipendenti dalla lettura. Ed è tanto vero che le dette facoltà vengono dall'assuefazione, ch'elle si acquistano, e si perdono coll'interruzione dell'esercizio, e tale che poco fa era dispostissimo a ragionare, oggi non lo è più. E s'egli da' ragionatori, passa agli scrittori d'immaginazione, la sua mente, mutato abito,  1542 acquista una facoltà d'immaginare ec. ec. ec. Così m'è accaduto mille volte. Bensì, com'è naturale, questi abiti si possono (mediante sempre l'assuefazione) confermare in modo che anche interrotto l'esercizio, non si perdano, benchè s'indeboliscano; o si possano presto ripigliare ec. ec. ec. Questo effetto è generale in tutte le assuefazioni. (21. Agos. 1821.).

[1542,1]  Un altr'abito bisogna ancora contrarre e massimamente nella fanciullezza. Quello cioè di applicare le dette assuefazioni alla pratica, quello di metterle a frutto, e di farle servire all'esecuzione di cose proprie. P. e. molti vi sono, che hanno squisito giudizio, moltissima lettura, cognizione ec. Non manca loro altro che il detto abito per essere insigni scrittori: ma stante questa mancanza, metteteli a scrivere, essi non sanno far nulla. Essi non hanno l'abito, e quindi la facoltà dell'applicazione, e dell'esecuzione propria ec. Perciò un uomo il quale (volendo seguitare l'esempio di sopra) abbia letto molti romanzi, e sia d'ottimo giudizio ec. ec. può benissimo non saperne nè scrivere nè concepire, perchè non ha l'abito  1543 dell'applicazione, e del fissare la mente a tirar profitto coll'opera propria da quelle assuefazioni; non ha l'esercizio dello scrivere, nè del pensare a questo fine, nè del mirare a ciò nell'assuefarsi ec. ec. ec. {+non ha l'abito dell'attendere e del riflettere alle minuzie, ch'è necessario per assuefarsi a porre in opera le {altre} assuefazioni; non ha l'abito della fatica ec. E perciò molti ancora, anzi i più, leggono anche moltissimo, non solo senza contrarne abilità d'eseguire (ch'è insomma abilità d'imitazione), ma neppur di pensare, e senza guadagnar nulla, nè contrarre quasi verun'abitudine, cioè attitudine. {v. p. 1558.}} (22. Agos. 1821.).

[1543,1]  Tutti più o meno (massimamente le persone che hanno coltivato il loro intelletto, e sviluppatene le qualità, e quelle che sono ammaestrate da molta esperienza ec.) concepiscono in vita loro delle idee, delle riflessioni, delle immagini ec. o nuove, o sotto un nuovo aspetto, o tali insomma che bene {e convenientement}e espresse nella scrittura, potrebbero esser utili o piacevoli, e separar quello scrittore, se non altro, dal numero de' copisti. Ma perchè gl'ingegni (massime in italia) non hanno l'abito di fissar fra se stessi, circoscrivere, e chiarificare le loro idee, perciò queste restano per lo più nella loro mente in uno stato incapace di esser consegnate e adoperate nella scrittura; e i più, quando si mettono a scrivere, non trovando niente del loro che faccia al caso, si contentano di copiare, o compilare, o travestire l'altrui; e neppur si ricordano, nè credono, nè  1544 s'immaginano, nè pensano in verun modo a quelle idee proprie che pur hanno, e di cui potrebbero far sì buon uso. Mancano pure dell'abito di saper convenientemente esprimere idee nuove, o in nuova maniera, cioè di applicare per la prima volta la parola e l'espressione conveniente ad un'idea, di fabbricarle una veste adattata alla scrittura; e perciò, quando anche le concepiscano chiaramente, le lasciano da banda, non sapendo darle giorno, e disperando, anzi neppur desiderando di potere, e si rivolgono alle idee altrui che hanno già le loro vesti belle e fatte. Che se essi talvolta si lasciano portare a volere esprimere le dette idee proprie, per la mancanza di abilità acquistata coll'esercizio, lo fanno miserabilmente. Questo esercizio è tanto necessario, che io per l'una parte loderò moltissimo, per l'altra piglierò sempre buonissima speranza di un fanciullo o di un giovane, il quale ponendosi a scrivere e comporre, vada sempre dietro alle idee proprie, e voglia a ogni costo esprimerle, siano pur frivole com'è naturale nei principii della riflessione, e malamente espresse, com'è naturale ne' principii dello scrivere e dell'applicare  1545 i segni ai pensieri. A me pare ch'io fossi uno di questi. (22 Agos. 1821.).

[1552,3]  L'indebolimento della memoria, non è scancellamento d'immagini o d'impressioni ec. ma inabilitamento degli organi, ad eseguire le solite operazioni a cui sono assuefatti, tanto generali che particolari, e a contrarre  1553 nuove assuefazioni particolari, cioè nuove reminiscenze. (23. Agos. 1821.).

[1568,2]  La massima conformabilità dell'uomo rispetto a tutte le altre creature note, fa che si  1569 trovino assai maggiori e più numerose differenze fra gl'individui umani, e fra le successive condizioni di uno stesso individuo, che in qualunque altra specie di esseri. (27. Agosto 1821.).

[1628,2]  Forza dell'assuefazione generale. Le impressioni de' sensi sono sempre vivissime ne' fanciulli. L'uomo ci si avvezza, ed elle perdono in forza e durata. Ma non si avvezza solamente ad una per una. Un'impressione tanto nuova per un uomo quanto la più nuova che possa provare un fanciullo, fa meno effetto in quello che in questo: perchè quegli è avvezzo alle  1629 impressioni. Quanto più l'uomo (in proporzione delle circostanze individuali) è avvezzo alle novità, tanto l'impressione delle novità è per lui meno forte e durevole: e finalmente gli farà maggiore impressione la monotonia ec. che la novità. E pur nessuno può essere avvezzo a una nuova impressione in particolare; ma l'uomo si avvezza alle nuove impressioni in generale. ec. ec. (4. Sett. 1821.).

[1630,1]  Gli ammaestramenti che si danno ordinariamente agli animali che ci servono, e ch'essi apprendono benissimo, con maggiore o minor prontezza, secondo i generi, gl'individui e le circostanze (come cavalli, cani ec.) e con sufficientissimo raziocinio, (come il cane che s'arresta nel bivio, aspettando che il padrone scelga la sua strada); e quelli che si danno ad altri animali per solo piacere, come ad orsi, scimie, gatti, cani, topi, e fino alle pulci, come s'è veduto ultimamente; dimostrano che la suscettibilità ed assuefabilità a cose non naturali, non è propria esclusivamente dell'uomo, ma solo in maggior grado, generalmente parlando: perchè vi sarà qualche uomo meno assuefabile, ed ammaestrabile di una scimia. (5. Sett. 1821.).

[1631,1]  La memoria dipendendo dalle assuefazioni particolari, e dalla generale, e quasi non esistendo (come si vede ne' fanciulli) senza queste, può considerarsi come facoltà presso a poco acquisita. (5. Sett. 1821.).

[1632,2]  Non c'è uomo {+così mal disposto e disadatto ad apprendere, o ad apprendere una tal cosa, il quale} lunghissimamente  1633 esercitato in qualsivoglia disciplina ed attitudine o di mente o di mano ec. non la possieda o meglio, o almeno altrettanto quanto il più grande ingegno ec. che incominci o da poco tempo abbia cominciato ad esercitarvisi. Ecco la differenza degl'ingegni. Ad altri bisogna più esercizio ad altri meno, ma tutti alla fine son capaci delle stesse cose: e il più sciocco ingegno con ostinata fatica può divenire uno de' primi matematici ec. del mondo. (5. Sett. 1821.).

[1633,1]  Una perfetta immagine degl'ingegni possono essere le complessioni. Chi nasce più robusto e meglio disposto, chi meno. L'esercizio {del corpo} agguaglia il meno robusto, al più robusto inesercitato. In parità d'esercizio, chi è nato debole non potrà mai agguagliarsi a chi è nato robusto. Ma se a costui manca affatto l'esercizio, egli, ancorchè nato il più robusto degli uomini, sarà non solo uguale, ma inferiore al più debole degli uomini che abbia fatto notabile esercizio (Esempio dei Galli rispetto ai Romani. V. il Dionigi del Mai lib. 14. c. 17.-19. ed altri).  1634 Dal che segue che l'esercizio assolutamente parlando è superiore alla natura, e principal cagione della forza corporale. {+(La natura però avea dato all'uomo essenzialmente l'occasione e la necessità di esercitare il suo corpo. Quindi l'esercizio essendo figlio della natura, lo è anche il vigore e il ben essere che ne deriva. Lasciando che le generazioni de' forti sono pure naturalmente forti, siccome viceversa, benchè ancor qui si possa notare il gran potere dell'esercizio.} Applicate queste considerazioni a qualsivoglia facoltà mentale. Similmente ponno applicarsi alle altre facoltà corporali (o sieno radicalmente naturali, o del tutto acquisite, ma bisognose di una disposizione naturale) diverse dalla forza. (5. Sett. 1821.).

[1646,1]  Poniamo che la classe possidente o benestante sia complessivamente alla classe povera o laboriosa ec. come 1. a 10. Certo è nondimeno che per 30. uomini insigni e famosi in qualsivoglia pregio d'ingegno ec. che sorgano nella prima classe, appena uno ne sorgerà nell'altra, e quest'uno probabilmente sarà passato sin da fanciullo nella prima, mediante favorevoli  1647 circostanze di educazione ec. Scorrete massimamente le campagne (giacchè le città sviluppano {sempre} alquanto le facoltà mentali anche dei poveri) e ditemi, se potete, il tal contadino è un genio nascosto. E pur è certo che vi sono {fra i contadini} tante persone proprie a divenir geni, quante nelle altre classi in proporzione del numero rispettivo di ciascuna. E nessuna è più numerosa di questa. Che cosa è dunque ciò che si dice, che il genio si fa giorno attraverso qualunque riparo, e vince qualunque ostacolo? Non esiste genio in natura, cioè non esiste (se non forse come una singolarità) nessuna persona le cui facoltà intellettuali sieno per se stesse strabocchevolmente maggiori delle altrui. Le circostanze e le assuefazioni col diversissimo sviluppo di facoltà non molto diverse, producono la differenza degl'ingegni; producono specialmente il genio, il quale appunto perchè tanto s'innalza sull'ordinario (il che lo fa riguardare come certissima opera della natura); perciò appunto è figlio assoluto dell'assuefazione ec. (7. Sett. 1821.).

[1653,1]   1653 Il fanciullo non può contenere i suoi desideri, o difficilmente, secondo ch'egli è più o meno assuefatto a soddisfarli. L'uomo difficilmente concepisce un desiderio così vivo come il menomo de' fanciulli, e di tutti facilmente è padrone, benchè {+certo non abbia cambiato natura, e} la vita umana si componga tutta di desiderii, e l'uomo (o l'animale) non possa vivere senza desiderare, perchè non può vivere senz'amarsi, e questo amore essendo infinito, non può esser mai pago. Tutto dunque è assuefazione nell'uomo. Questa osservazione si può estendere a tutte le passioni e a tutte le parti esteriori ed interiori dell'uomo, e della sua vita. (8. Sett. 1821.).

[1658,2]  L'assioma de' Leibniziani (se non erro) nihil in natura fieri per saltum * , quella gradazione continua con cui la natura assuefa le cose a diversissimi stati, e nasconde il passaggio dall'inverno all'estate, ec. ec. ec. del che parla Senofonte, tutto ciò non dimostra egli che tutta la natura è un sistema di assuefazione? La gradazione importa l'assuefazione, e viceversa. (9. Sett. 1821.).

[1661,1]  Il talento non è altro che facoltà d'imparare, cioè di attendere, e di assuefarsi. Per imparare intendo anche le facoltà d'inventare, di pensare, di sentire, di giudicare ec. Nessuno impara le sue proprie invenzioni, pensieri, sentimenti, o i giudizi particolari ch'egli porta, ma impara a farlo, e non lo può fare se non l'ha imparato, e se non ha acquistato con maggiore o minore esercizio e copia di sensazioni, cioè di esperienze, queste tali facoltà, che paiono affatto innate, e sono realmente acquisite più o meno facilmente. La nostra mente in origine non ha altro che maggiore  1662 o minor delicatezza e suscettibilità di organi, cioè facilità di essere in diversi modi affetta, capacità, e adattabilità, o a tutti o a qualche determinato genere di apprensioni, di assuefazioni, concezioni, attenzioni. Questa non è propriamente facoltà, ma semplice disposizione. Nella mente nostra non esiste originariamente nessuna facoltà, neppur quella di ricordarsi. Bensì ell'è disposta in maniera che le acquista, alcune più presto, alcune più tardi, mediante l'esercizio; ed in alcuni ne acquista (gli altri dicono sviluppa) più, in altri meno, in alcuni meglio, in altri imperfettamente, in alcuni più, in altri meno facilmente, {+in alcuni così in altri così modificate, secondo le circostanze, che diversificano quasi i generi di una stessa facoltà.} Come una persona di corporatura sveltissima ed agilissima, è dispostissima al ballo. Non però ha la facoltà del ballo, se non l'impara, ma solo una disposizione a poterlo facilmente e perfettamente imparare ed eseguire. Così dico di tutte le altre facoltà ed abilità materiali. Nelle quali ancora, oltre la disposizione  1663 felice del corpo, giova ancora quella della mente, e la facoltà acquisita di attendere, di assuefarsi e d'imparare. Senza cui, gli organi esteriori i meglio disposti alla tale o tale abilità, stentano bene spesso non poco ad apprenderla, {e conservarla.} (10. Sett. 1821.).

[1675,2]  Scire nostrum est reminisci dicono i Platonici. Male nel loro intendimento, cioè che l'anima non faccia che ricordarsi di  1676 ciò che seppe innanzi di unirsi al corpo. Benissimo però può applicarsi al nostro sistema {{, e di Locke.}} Perchè infatti l'uomo, {(e l'animale)} niente sapendo per natura ec. tanto sa, quanto si ricorda, cioè quanto ha imparato mediante le esperienze de' sensi. Si può dire che la memoria sia l'unica fonte del sapere, ch'ella sia legata, e quasi costituisca tutte le nostre cognizioni ed abilità materiali o mentali, e che senza memoria l'uomo non saprebbe nulla, e non saprebbe far nulla. E siccome ho detto pp. 1383-84 pp. 1453-55 pp. 1523-25 p. 1631 che la memoria non è altro che assuefazione, nasce (benchè prestissimo) da lei, ed è contenuta in lei, così vicendevolmente può dirsi ch'ella contiene tutte le assuefazioni, ed è il fondamento di tutte, vale a dire d'ogni nostra scienza e attitudine. Anche le materiali sono legate in gran parte colla memoria. Insomma siccome la memoria è essenzialmente assuefazione dell'intelletto, così può dirsi che tutte le assuefazioni dell'animale sieno quasi memorie proprie de' respettivi organi che si assuefanno. (11. Sett. 1821.). {{v. p. 1697. principio.}}

[1680,1]  La stessa nostra ragione è una facoltà acquisita. Il bambino che nasce non è ragionevole: il selvaggio lo è meno dell'incivilito, l'ignorante meno dell'istruito: cioè ha effettivamente minor facoltà di ragionare, tira più difficilmente la conseguenza, e più difficilmente e oscuramente vede il rapporto fra le parti del sillogismo il più chiaro. Vale a  1681 dire che non solo un'ignoranza particolare gl'impedisce di vedere o capire questo o quello, ma egli ha una minor forza generale di raziocinio, meno abitudine e quindi meno facilità e capacità di ragionare, e quindi meno ragione. {+Giacchè non solo egli non comprende questa o quella parte di un sillogismo, ma anche comprendendole a perfezione tutte tre, (o le due premesse) separatamente, non ne vede il rapporto, e non conosce come la conseguenza ne dipenda, ancorchè il sillogismo gli venga formalmente fatto. La qual cosa non si può insegnare. Or questa è reale inferiorità ed incapacità di ragione. V. p. 1752. principio.} Di questo genere sono quelle teste che si chiamano dure e storte, e da queste cause viene la rarità di quel senso che si chiama comune. Notate ch'io dico facoltà e non disposizione. Distinsi altrove p. 1453 pp. 1661-63 l'una dall'altra. La mente umana ha una disposizione (ma per se stessa infruttuosa) a ragionare: essa per se non è ragione, come ho spiegato in altro proposito con esempi; e questa disposizione originariamente e riguardo al puro intelletto è tale che {anche quanto ad} essa l'uomo {primitivo} affatto inesperto è poco o nulla superiore all'animale. Gli organi suoi esteriori ec. che gli producono in pochi momenti un numero di esperienze decuplo di quello che gli altri animali si possano proccurare, lo mettono ben presto al di sopra degli altri viventi. L'esperienze  1682 riunite di tutta una vita, poi quelle di molti uomini, {e poi di molti tempi} unite insieme, onde nasce la favella, e quindi gl'insegnamenti ec. ec. hanno messo il genere umano in lunghissimo tempo, e mettono giornalmente il fanciullo in brevissimo tempo assai di sopra a tutti gli animali, e gli danno la facoltà della ragione. L'uomo primitivo in età di sett'anni non era già ragionevole, come oggi il fanciullo. Ne sa più il bambino che balbetta; ragiona meglio, è più ragionevole, di quello che fosse l'uomo primitivo in età di vent'anni ec. ec. ec. Questo si può confermare coll'esempio de' selvaggi, i quali hanno pur tuttavia molta e già vecchia società. (12. Sett. 1821.).

[1682,1]  La stessa adattabilità e conformabilità che ho detto esser singolare nell'uomo pp. 1452-53, non è propriamente innata ma acquisita. Essa è il frutto dell'assuefazione generale, che lo rende appoco appoco più o meno adattabile ed assuefabile. Di lei non esiste originariamente nell'uomo, che una disposizione, la quale non è già lei. L'uomo stenta moltissimo da principio ad assuefarsi, a prender  1683 questa o quella forma, poi mediante l'assuefazione di farlo, appoco appoco se lo facilita. Ciò si può vedere ne' caratteri sociali. L'uomo che poco o nulla ha trattato, o da gran tempo non suol trattare, stenta moltissimo, anzi non sa punto accomodarsi al carattere, al temperamento, al gusto, al costume diverso delle persone, de' luoghi, de' tempi, delle occasioni. Egli non è dunque punto socievole. Viceversa accade all'uomo solito a praticare cogli uomini. Egli si adatta subito al carattere il più nuovo ec. L'assuefazione deriva dall'assuefazione. La facoltà di assuefarsi, dall'essersi assuefatto. (12. Sett. 1821.).

[1697,1]  Alla p. 1676. fine. Parimente si può dire che tutte le assuefazioni, e quindi tutte le cognizioni, e tutte le facoltà umane, non sono altro che imitazione. La memoria non è che un'imitazione della sensazione passata, e le ricordanze successive, imitazioni delle ricordanze passate. {+La memoria (cioè insomma l'intelletto) è quasi imitatrice di se stessa.} Come s'impara se non imitando? Colui che insegna (sia cose materiali, sia cose immateriali) non insegna che ad imitare più in grande o più in piccolo, più strettamente o più largamente. Qualunque abilità materiale che si acquista per insegnamento, si acquista per sola imitazione. Quelle che si acquistano da se, si acquistano mediante successive esperienze a cui l'uomo va attendendo, e poi imitandole, e nell'imitarle, acquistando pratica, {e imitandole meglio} finch'egli vi si perfeziona. Così dico delle facoltà intellettuali. La stessa facoltà del pensiero, la stessa facoltà inventiva o perfezionativa in qualunque genere materiale o spirituale, non è che una facoltà d'imitazione, non particolare ma generale. L'uomo imita  1698 anche inventando, ma in maniera più larga, cioè imita le invenzioni con altre invenzioni, e non acquista la facoltà inventiva (che par tutto l'opposto della imitativa) se non a forza d'imitazioni, ed imita nel tempo stesso che esercita detta facoltà inventiva, ed essa stessa è veramente imitativa. V. la p. 1540. fine, e segg. (14. Sett. 1821.).

[1714,1]  Quando l'uomo è in un certo abito di pensare e riflettere, il che avviene perch'egli ha pensato e riflettuto, per qualunque ragione, ogni menomo accidente e sensazione della giornata, anche disparatissime, lo muovono a riflettere. Cessato quest'abito, dirò così, attuale, anche senza notabile cagione, come spesso accade, (e basta il sonno della notte a distorne l'uomo pel dì seguente) e massime, se per qualunque motivo, s'è contratto un leggero ed effimero abito di distrazione, le più gravi circostanze della vita, e le più straordinarie sensazioni, non bastano bene spesso a promuovere la riflessione. Molto  1715 più notabile è questo effetto e differenza, ne' differenti, ma più radicati abiti di distrazione o di riflessione, che una stessa persona contrae vicendevolmente e perde; e anche più nelle diverse persone, benchè d'ingegno ugualissimamente capace. (16. Sett. 1821.).

[1716,1]  La memoria la più indebolita dimentica l'istante passato, e ricorda le cose della fanciullezza. Ciò vuol dire che la memoria perde la facoltà di assuefarsi (in cui ella consiste), e conserva le rimembranze passate, perchè vi è assuefatta da lungo tempo; perde la facoltà dell'assuefazione, ma non le assuefazioni contratte, se elle sono ben radicate ec. ec. ec. (16. Sett. 1821.).

[1718,1]   1718 Il fanciullino non riconosce le persone che ha veduto una sola o poche volte, s'elle non hanno qualche straordinario distintivo che colpisca la fantasia del fanciullo. Egli confonde facilmente una persona a lui poco nota o ignota con altra o altre a lui note, una contrada del suo paese da lui non ben conosciuta con la contrada in cui abita, un'altra casa colla sua, un'[un] altro paese col suo ec. ec. ec. Eppure l'uomo il più distratto, il meno avvezzo ad attendere, il più smemorato ec. riconosce a prima vista la persona veduta anche una sola volta, distingue a prima vista le persone nuove da quelle che conosce ec. ec. ec. {+(I detti effetti si debbono distinguere in proporzione della diversa assuefabilità degli organi de' fanciulli, della diversa loro forza immaginativa, che rende più o meno vive le sensazioni ec. ec.)} Applicate questa osservazione a provare che la facoltà di attendere, e quindi quella di ricordarsi, nascono precisamente dall'assuefazione generale: applicatela anche alla mia teoria del bello pp. 1184-201 , del quale io dico che il fanciullo ha debolissima idea, non lo distingue da principio dal brutto, non conosce nè discerne i pregi o difetti in questo particolare, se non saltano agli occhi ec. ec. ec. (17. Settembre, 1821.).

[1719,1]   1719 Quanto il corpo influisca sull'anima. Un abito di attività o di energia che abbia contratto il corpo per qualunque cagione, dà dell'attività, dell'energia, della prontezza ec. anche allo spirito, sia pure il meno esercitato in se stesso. E siccome il detto abito può essere effimero e passeggero, così anche il detto effetto è molte volte giornaliero, ed anche di sole ore. Questa osservazione si può molto stendere tanto in se stessa, quanto applicandola ad altri generi di assuefazioni ed abiti corporali costanti o passeggeri, che parimente producono una simile assuefazione o abito o facoltà nello spirito, ancorchè esso non entri punto e non prenda veruna parte in quella del corpo: come se io, senza alcuna riflessione o azione del pensiero, mi trovo oggi in circostanza di agire assai e far molto esercizio corporalmente e materialmente. Molti esempi di ciò si potrebbero addurre, tanto individuali, quanto anche nazionali, ed applicabili a spiegare molti diversi caratteri di diversi popoli. (17. Sett. 1821.).

[1720,1]   1720 Le verità contenute nel mio sistema non saranno certo ricevute generalmente, perchè gli uomini sono avvezzi a pensare altrimenti, e al contrario, nè si trovano molti che seguano il precetto di Cartesio: l'amico della verità debbe una volta in sua vita dubitar di tutto. * Precetto fondamentale per li progressi dello spirito umano. Ma se le verità ch'io stabilisco avranno la fortuna di essere ripetute, e gli animi vi si avvezzeranno, esse saranno credute, non tanto perchè sian vere, quanto per l'assuefazione. Così è sempre accaduto. Nessuna opinione vera o falsa, ma contraria all'opinione dominante e generale, si è mai stabilita nel mondo istantaneamente, e in forza di una dimostrazione lucida e palpabile, ma a forza di ripetizioni e quindi di assuefazione. Da principio fischiate, oggi regnano, o hanno regnato lungo tempo. Bene spesso vinte dagli ostacoli opposti loro dall'opinione dominante, e abbandonate in dimenticanza, sono poi state o copiate, o di nuovo inventate da altri più fortunati, a cui la diversità delle circostanze ha proccurato  1721 che le loro opinioni venissero ripetute in maniera che assuefattivi gli orecchi e gli animi, cominciativi ad allevare i fanciulli, esse si sono stabilite, e stabilite in modo da far considerare come sogni le opinioni contrarie, o antiche e passate, o nuove ed ardite ec. Tutto ciò non è che una prova del mio stesso sistema, il quale fa consistere le facoltà, le opinioni, le inclinazioni, la ragione umana ec. nell'assuefazione. (17. Sett. 1821.). {{V. p. 1729.}}

[1726,1]   1726 L'assuefazione ed esercitazione del corpo, indipendente dallo spirito, va come quella o del puro spirito, o in certo modo composta, e dipendente in parte da lui. Anch'essa si divide in generale e particolare. L'esercitazione generale del corpo, rende capaci o meglio disposti alle facoltà particolari. Il corpo si rende capace di agire, di soffrire ec. a forza di fare di agire, di soffrire. Prima di ciò egli non ne ha che la disposizione. Una nuova sofferenza riesce più o meno facile, secondo che il corpo è generalmente abituato a soffrire. Così un nuovo genere di azione. Vi sono poi le assuefazioni particolari a questa o quella sofferenza, azione, ec. che nel mentre che contribuiscono all'assuefazione generale, ed a facilitare le altre sofferenze ed azioni, rendono però particolarmente facile quella tale ch'è il loro soggetto. Per acquistare simili assuefazioni e facoltà corporee, la forza ec. {sì generali che particolari,} altri hanno bisogno di più, altri di meno esercizio, secondo la diversa disposizione naturale {o accidentale} degl'individui; altri possono arrivare più, altri meno avanti; altri acquistare più, altri meno facoltà, ed altri queste, altri quelle ec.  1727 ec. Chi ha aquistate più assuefazioni o facoltà, o chi ha acquistata questa o quella in maggior grado, chi ha insomma più o meglio assuefatto ed esercitato il suo corpo, acquista più facilmente e con meno esercizio le altre assuefazioni e facoltà, anche quelle che prima sembravano affatto aliene o difficilissime alla sua natura. ec. ec. ec. (17. Sett. 1821.).

[1727,1]  L'insegnare non è quasi altro che assuefare. (18. Sett. 1821.).

[1741,2]  Le circostanze mi avevan dato allo studio delle lingue, e della filologia antica. Ciò formava tutto il mio gusto: io disprezzava quindi la poesia. Certo non mancava d'immaginazione, ma non credetti d'esser poeta, se non dopo letti parecchi poeti greci. {+(Il mio passaggio però dall'erudizione al bello non fu subitaneo, ma gradato, cioè cominciando a notar negli antichi e negli studi miei qualche cosa più di prima ec. Così il passaggio dalla poesia alla prosa, dalle lettere alla filosofia. Sempre assuefazione.)} Io non mancava nè d'entusiasmo, nè di fecondità, nè di forza d'animo, nè di passione; ma non credetti d'essere eloquente, se non dopo letto Cicerone.  1742 Dedito tutto e con sommo gusto alla bella letteratura, io disprezzava ed odiava la filosofia. I pensieri di cui il nostro tempo è così vago, mi annoiavano. Secondo i soliti pregiudizi, io credeva di esser nato per le lettere, l'immaginazione, il sentimento, e che mi fosse al tutto impossibile l'applicarmi alla facoltà tutta contraria a queste, cioè alla ragione, alla filosofia, alla matematica delle astrazioni, e il riuscirvi. Io non mancava della capacità di riflettere, di attendere, di paragonare, di ragionare, di combinare, della profondità ec. ma non credetti di esser filosofo se non dopo lette alcune opere di Mad. di Staël.

[1761,1]  Dunque, (e queste osservazioni si potrebbero moltiplicare e variare in infinito) anche fra gli animali i diversi individui di una medesima specie sono suscettibili di diversissime assuefazioni, come lo sono gli stessi individui di variare assuefazione, il tutto secondo le circostanze. Qual è dunque la nostra superiorità sugli animali fuorchè un maggior grado di assuefabilità e conformabilità, come fra le diverse specie di animali altre hanno queste qualità in maggiore altre in minor grado; alcune, come le scimie, poco meno dell'uomo? Dimostrato che tutte le  1762 facoltà umane ec. ec. ec. non sono altro che assuefazione, è dimostrato che la natura dell'animo umano, come quella del corpo, è la stessa che quella dell'animo dei bruti. Solamente varia nella specie, ovvero nel grado delle qualità, come pur variano in questo i diversi animi delle diverse specie di bruti. Il bruto è più tenace e servo dell'assuefazione. Ciò viene {appunto} da minore assuefabilità della nostra, perchè questa, quanto è maggiore per natura, e resa maggiore per esercizio, tanto più rende facile il cangiare, deporre, variare, modificare assuefazione, come ho spiegato altrove pp. 1370-72 pp. 1452-53 p. 1630 pp. 1682-83. Gli animali sono tanto più servi dell'assuefazione quanto meno sono assuefabili proporzionatamente alla natura diversa delle specie e degl'individui; vale a dire quanto minor talento hanno, cioè disposizione ad assuefarsi. {V. p. 1770. capoverso 2.} Quindi il mulo difficilissimo ad assuefarsi, è tenacissimo dell'assuefazione e suo schiavo. Egli è un animale stupido. Gli animali stupidi sono servi dell'assuefazione più de' vivaci ec. ec. Paragonate su queste teorie l'asino al cavallo, la pecora  1763 al cane ec. ec. gli animali indocili (cioè poco assuefabili, e però tenacissimi dell'assuefazione o contratta da loro, o comunicata loro) ai docili ec. ec. (21. Sett. 1821.).

[1763,1]  Qualunque assuefazione o abito, non è altro che un'imitazione, in questo modo, che l'atto presente, imita l'atto o gli atti passati. Ciò tanto nell'uomo, quanto negli animali: tanto nelle assuefazioni che si contraggono da se, {e spontaneamente,} e senza volontà determinata, attenzione ec. quanto in quelle che ci vengono comunicate, insegnate, ec. ec. o per forza, o per amore, o per istudio, e con attenzione e volontà di assuefarsi ec. ec. ec. Il cavallo che accelera il passo o si mette in moto ad una certa voce, imita quello che fece altre volte, e quello che l'uomo da principio lo costrinse a fare, nel mentre che gli fece udir quella voce. Così e non altrimenti, l'uomo apprende, impara, ed acquista sì le facoltà e discipline intellettuali, che le abilità, e le facoltà materiali o miste. Qui pure, la natura dell'animo umano è quella stessa del bruto. (21. Sett.  1764 1821.)

[1765,1]  Io ho per fermo che il bambino appena nato, o certo nel primo tempo che succede al pieno sviluppo de' suoi organi {nell'utero della madre,} non si ricordi dell'istante precedente. Quest'è un'opinione che mi par dimostrata dal vedere come la facoltà della memoria vada sempre crescendo a forza di assuefazione, onde il fanciullo si ricorda più del bambino, il giovane più del fanciullo (del quale spesso ci maravigliamo se mostra  1766 memoria di qualche cosa alquanto lontana, di cui però ci sovveniamo senza pena, e consideriamo come uno sforzo e una felicità di memoria in loro, quello che ci pare ordinarissimo in un grande e in noi stessi) e così di mano in mano finch'ella viene a declinare colla declinazione della macchina umana. Io dunque penso che nel bambino perfettamente organizzato, non esista assolutamente memoria, prima dell'assuefazione de' sensi, e dell'esperienze ec. (22. Sett. 1821.).

[1767,1]  La forza e la facilità e varietà dell'assuefazione sì nell'individuo, che nel genere umano, cresce sempre in proporzione ch'ella è cresciuta, appunto come il moto de' gravi. Ecco tutto il progresso e dell'individuo e dello spirito umano. Questo pensiero è importantissimo, e in matematica o fisica non si può trovare più giusta immagine di detti progressi, che il moto accelerato. (22. Sett. 1821.).

[1786,3]  Più l'uomo è avvezzo a imparare (cioè assuefarsi), più facilmente impara. Or lo stesso accade ne' bruti. Un animale domestico ec. ec. contrae più facilmente e presto di un salvatico della stessa specie, un'assuefazione egualmente nuova per ambedue.  1787 (24. Sett. 1821.).

[1794,2]  Non solo il fanciullo non ha nessun'idea del bello umano, e ha bisogno dell'assuefazione per acquistarla, ma per perfezionarla, e gustare tutti i piaceri che può dar la sua vista, è bisogno un'assuefazione lunga, variata, particolare, e conviene anche per essa divenire intendenti, come per gustare il bello delle arti, o delle scritture.  1795 Anche per essa, vi bisogna attenzione {{particolare,}} e facoltà generale di attendere, contratta coll'assuefazione. Il giovane tenuto in stretta custodia, le persone ritirate, le monache ec. ec. distinguono certo il bello dal brutto, ma il più bello dal più brutto, se la cosa non è più che notabile, non lo distinguono, non lo sentono, non hanno nè un giudizio nè un senso fino intorno alla bellezza, insomma non se intendono. Questo accade anche alle persone di gran talento, di gran sentimento, ed entusiasmo, se, e finchè si trovano in dette e simili circostanze, nelle quali quasi tutti si trovano per qualche tempo. Questo accade alle persone nutrite nella devozione, scrupolose ec. I loro giudizi in questi particolari sono stranissimi, e forse più strani rispetto al sesso diverso, che al proprio, appunto per la minore attenzione che v'hanno messo ec. a causa dello scrupolo. Questo accade agl'ignoranti, rozzi, ec. o sieno villani, o anche delle classi elevate ec. perchè non hanno l'abito nè quindi la facoltà di attendere ec. ec. In  1796 {{somma}} non si acquista l'idea della bellezza o bruttezza umana o qualunque, se non considerando ben bene come gli uomini (o qualunque oggetto fisico o morale) son fatti. E quindi la bellezza o bruttezza non dipende che dal puro modo di essere di quel tal genere di cose; il qual modo non si conosce per idea innata, ma per la sola esperienza, e non si conosce bene, se non vi si unisce l'attenzione o volontaria, o spontanea ed abituale. (26. Sett. 1821.)

[1819,1]  Che sotto un governo dispotico non esista mai un gran talento; che le circostanze pubbliche li facciano nascere, e che una rivoluzione, un principe benefico e illuminato {ec.} sia padrone di produrli, come si è sperimentato in mille occasioni, immediatamente e in gran copia; che i grandi talenti sorgano ordinariamente e fioriscano tutti in un tempo; che un secolo si trovi decisamente non solo più fecondo di qualunque altro di grandi talenti in un tal genere, ma in modo che passato quel tal giro di anni, non si trovi più in quel genere un talento degno di memoria, o di essere paragonato ai sopraddetti, (v. il Saggio di Algarotti, e la fine  1820 del primo lib. di Velleio); che nelle repubbliche abbondino gli eloquenti, e fuori di esse non si trovi un uomo magniloquente, ec. ec. ec. tutto ciò da che deriva, e che cosa dimostra, se non che il talento è l'opera in tutto delle circostanze; sì il talento in genere, che il talento tale o tale? - Le circostanze lo sviluppano, ma esso già esisteva indipendentemente da queste. - Che cosa vuol dire sviluppare una facoltà già esistente ed intera? Forse applicarla, e renderla ἐνεργῆ cioè operativa? Signor no, perchè questo non si può fare, se prima non si sono abilitati gli animi ad operare, e in quel tal modo. Che gli organi, e con essi le disposizioni, cioè le qualità che li compongono, si sviluppino, lo intendo. Ma che una facoltà, che senza le circostanze corrispondenti, senza l'assuefazione e l'esercizio, è affatto nulla e impercettibile a qualunque senso umano, si debba dire e credere sviluppata, e non prodotta dalle circostanze,  1821 questo non l'intendo. Che cosa è una facoltà? in che consiste la sua esistenza? come è ella innata in chi non l'ha se l'assuefazione e le circostanze non gliela proccurano? ec. Le disposizioni sono innate, ovvero si acquistano mediante lo sviluppo, cioè il rispettivo perfezionamento, di quegli organi che le contengono come loro qualità, e come la carta contiene la disposizione ad essere scritta, a prender questa o quella forma. Ma si può egli perciò dire che la carta abbia per se stessa la facoltà di parlare alla mente di chi legge, e che quegli che vi scrive sopra, sviluppi in lei questa facoltà, e non gliela dia? Ben ci può essere una carta che sia suscettibile di questa o quella forma, inchiostro ec. e di un altro no. E così negl'individui di una stessa specie variano, sono maggiori o minori, mancano ancora affatto delle disposizioni o qualità che in altri individui si trovano. Questa è tutta la differenza innata o sviluppata de' talenti umani,  1822 sì rispetto a se stessi, che rispetto alle altre specie di animali. {ec.} Differenza di disposizioni, non mica di facoltà. Differenza, mancanza, scarsezza, inferiorità, o superiorità che nessun principe e nessuna circostanza (se non fisica) può toglier di mezzo; laddove il contrario accade in ordine alle facoltà. Queste nascono dalle circostanze, queste dipendono {affatto} da' principi, dall'educazione ec. laddove le disposizioni non ne dipendono. (1. Ott. 1821.)

[1824,1]  La forza dell'assuefazione generale rende sempre gradatamente più facile il dissuefarsi, e il passare da una assuefazione ad altra diversa o contraria. Ciò sì negl'individui, sì nelle nazioni, sì nel genere umano. (1. Ott. 1821.).

[1911,1]  Alla p. 1906. fine. Infatti siccome le qualità che l'uomo porta dalla natura, non sono altro che disposizioni, così la corrispondenza che deve rappresentar nell'esterno queste qualità interne, {non} può esser più che una disposizione dell'esterno a rappresentarle. (13. Ott. 1821.).

[1923,1]  Notate. L'uomo in assoluto stato di natura, il bambino, non differisce dagli animali (massime da quelli che nella catena del genere animale sono più vicini alla specie umana), se non per un menomo grado ch'egli ha di maggior disposizione ad assuefarsi. La differenza è dunque veramente menoma, e perfettamente gradata, fra l'uomo {in natura,} e l'animale il più intelligente, come fra questo e l'altro un po' meno intelligente ec. Ma di menoma, diventa somma, coll'esser coltivata, cioè col porre in atto e in esercizio quella alquanto maggiore disposizione che l'uomo ha ad assuefarsi. Un'assuefazioncella ch'egli può acquistare, e l'animale no, perchè alquanto meno disposto, ne facilita un'altra. Due assuefazioni (se così posso esprimermi) già acquistate, mediante  1924 quel piccolissimo mezzo di più, che la natura ha dato all'uomo, gliene facilitano altre sei o otto, ed accrescono nella stessa proporzione la facilità di acquistarle. Ecco che l'uomo viene acquistando mediante le sole assuefazioni la facoltà di assuefarsi. La quale da una piccolissima disposizione naturale, quasi dal grano di senapa, cresce sempre gradatamente, ma con proporzioni sempre crescenti, in modo che a forza di assuefazioni acquistate, e della facoltà di assuefarsi, l'uomo arriva a differenziarsi infinitamente da qualunque animale e dall'intera natura. E similmente col progresso delle generazioni arriva colla stessa proporzione crescente, a sempre più differenziarsi dal suo stato naturale, dagli uomini primitivi, dagli antichi ec. ec. L'andamento, o il così detto perfezionamento dello spirito umano rassomiglia interamente alla progressione geometrica che dal menomo termine, con proporzione crescente arriva all'infinito. Siccome  1925 appunto l'uomo da una menoma differenza o superiorità di naturale disposizione arriva ad una interminabile differenza dagli altri animali. E non è dubbio che quella che si chiama perfettibilità dell'uomo è suscettibile di aumento in infinito come la progression geometrica, e di aumento sempre proporzionalmente maggiore. (15. Ott. 1821.).

[1925,1]  La lingua del bambino chi dirà che abbia la facoltà di favellare? Non ne ha che la disposizione. Così quella del muto. Così quella di chi per circostanze non fisiche non ha mai acquistato la pronunzia di tale o tal lettera. Se ciò è avvenuto per circostanze fisiche, allora con ragione diremo ch'egli non aveva la disposizione necessaria ad acquistar la facoltà di quella pronunzia. (15. Ott. 1821.).

[1930,2]  L'{effetto della} significazione della fisonomia umana, riconosce anch'esso per sua prima cagione ed origine l'esperienza e l'assuefazione. Il bambino non sa nulla che cosa significhi  1931 la più viva e marcata fisonomia, e quindi in ordine alla di lei significazione, non può provarne verun effetto nè piacevole nè dispiacevole. Col tempo, e tanto più presto quanto egli è più disposto naturalmente ad assuefarsi, e disposto o assuefatto ad attendere, e quindi a confrontare, e a legare i rapporti, egli conosce che l'uomo dabbene, o l'uomo che gli fa carezze ec. ha, o piglia la tale o tal aria di fisonomia ec. e appoco appoco si forma le idee delle varie corrispondenze che sono tra il di fuori e il di dentro degli uomini. Ma vi s'inganna assai più degli uomini, quantunque, anzi perciò appunto ch'egli è più suscettibile d'impressione nelle cose sensibili ec. ec. ec.

[1945,1]  Da tutto ciò si rilevi come l'armonia cioè il bello sia pura opera e creatura dell'assuefazione tanto che se questa non esiste non esiste neppur l'idea dell'armonia, neanche dov'ella parrebbe più naturale. (18. Ott. 1821.).

[1951,1]  Ho detto p. 1103 p. 1255 p. 1718 che i fanciulli non ancora avvezzi ad attendere e ricordarsi, facilmente misconoscono e confondono le persone che non  1952 hanno viste da qualche tempo ec. Similmente una notabile mutazione di vestito {ec.} impedisce loro di riconoscere una persona già nota, e ritarda anche la conoscenza delle notissime e familiari. Tutti cotali effetti accadono pure negli animali, meno abituati dell'uomo all'attenzione, e quindi alla ricordanza. (19. Ott. 1821.).

[1960,1]  Non crediamo già che le bestie non sieno capaci anch'esse di corruzione. Non tanto quanto l'uomo perchè meno conformabili; non tanto generale, perchè essendo meno conformabili sono meno sociali; non tanto estensibile agli oggetti estranei alla loro specie, perchè quella stessa natura che le fa tanto meno conformabili dell'uomo, dà loro tanto minore influenza sulle cose, influenza il cui sommo grado deriva nell'uomo dalla di lui somma conformabilità che nel sistema della natura, tutta conformabile, costituisce la superiorità dell'uomo fra tutti gli esseri. Ma pur sono capacissime di corruzione individuale, ed estensibile anche fino a un certo segno alle loro particolari società. Sono capacissime di misfatti, e quella bestia, che per pigrizia o altro uccide il proprio figlio, pecca contro natura e contro coscienza. Noi conosciamo poco la natura degli animali, e crediamo che tutti  1961 e in tutto ciò che fanno ec. ec. sieno precisamente conformi alle leggi e all'ordine della loro natura. Ma così pur giudicheranno essi dell'uomo, e quella specie di quell'altra ec. (20. Ott. 1821.).

[2017,2]  Il talento non essendo nella massima parte che opera dell'assuefazione, è certo che coloro che ammirano in altrui questo o quel talento, abilità, opera ec. ammirano e si stupiscono di quello, di cui essi medesimi in diverse circostanze, sarebbero stati appresso a poco capacissimi. (30. Ott. 1821.).

[2028,1]  L'uomo si assuefa ad assuefarsi, ed impara ad imparare, e ne ha bisogno. V. Staël De l'Allemagne t. 1. 1.re part. ch. 18. p. 155. fine-156. L'uomo del più gran talento non va esente da questo bisogno, anzi con ciò solo può formarsi il talento, e senza ciò, come spessissimo accade, la maggior disposizione possibile, resta affatto infruttuosa, ed ignota a quello stesso che la possiede. Vale a dire che nessuna facoltà esiste primitivamente nell'uomo; neppur quella d'imparare, che anch'essa bisogna acquistarsi. (1. Nov. 1821.).

[2046,1]  Chi vuol vedere come le facoltà umane sieno tutte acquisite, e la differenza che passa fra l'acquisito e il naturale o innato, osservi che tutte le facoltà {di cui l'uomo è capace,} sono maggiori assai nell'uomo maturo {(e civile ec.)} che nel fanciullo, se pur questi non ne manca affatto, e crescono insieme coll'uomo: laddove le inclinazioni che sono ingenite, e ben diverse dalle facoltà, generalmente parlando, come qua e là ho mostrato di questa o di quella, e come si può dire di tutte (purchè sieno naturali e non acquisite anch'esse), sono tanto maggiori, {più vive, notabili, numerose ec.} quanto l'uomo è più vicino allo stato di natura, cioè o fanciullo, o primitivo, o selvaggio, o ignorante ec. E quantunque le facoltà umane crescano coll'età e dell'individuo, e de' popoli o del mondo, nondimeno, essendovi due generi di disposizioni ad  2047 esse facoltà, altre acquisite, altre naturali ed ingenite o in tutti o in qualcuno, quelle crescono allo stesso modo delle facoltà, queste, perchè sono qualità naturali, sono assai maggiori nell'uomo naturale, e massime nel fanciullo, che nell'uomo civilizzato o nell'adulto, come tuttogiorno si osserva che i fanciulli son capaci di avvezzarsi, di imparare ec. cose che gli uomini fatti non possono, se da fanciulli non hanno incominciato. Insomma tutto quello ch'è naturale, è tanto più forte e notabile, quanto il soggetto è meno coltivato ec. e tutto ciò che coltivato è più forte ec. non è naturale ec. ec. (4. Nov. 1821.).

[2047,1]  La memoria è la generale conservatrice delle abitudini. O piuttosto (giacchè vediamo che, perduto quello che si chiama memoria, pur si conservano le abitudini) siccome la memoria,  2048 in quanto facoltà, è una pura abitudine, così ciascun'altra abitudine è una memoria. Di memoria son provveduti tutti i sensi, tutti gli organi, tutte le parti fisiche o morali dell'uomo, che son capaci di avvezzarsi, e di abilitarsi, e di acquistare qualunque facoltà. La memoria è da principio una disposizione, poi una facoltà di assuefarsi che ha l'intelletto umano; l'assuefabilità, e le assuefazioni delle altre parti dell'uomo, sono disposizioni e facoltà di ricordarsi, di ritenere, che hanno esse parti. La memoria è un'[un] abito, gli abiti altrettante memorie, attribuite dalla natura a ciascuna parte assuefabile del vivente, in quanto disposizioni, ed acquistate in quanto facoltà ed assuefazioni. Questo pensiero si può molto stendere, e cavarne delle belle conseguenze, intorno alla natura della memoria, ed alla sua analogia colle altre  2049 disposizioni e facoltà dell'uomo. Siccome la memoria per diverse circostanze s'indebolisce o come disposizione, o come facoltà, o nell'uno e nell'altro modo, così pure per diverse circostanze fisiche, morali ec. accade all'assuefabilità ed alle assuefazioni delle altre parti ed organi degli animali. {+E come coll'esercizio l'altre assuefazioni ed assuefabilità, o si acquistano, o si accrescono ec. così la memoria ch'è assuefabilità, e le reminiscenze che sono assuefazioni ec.} (4. Nov. 1821.).

[2110,1]  Qualunque sensazione a cui l'animo umano non attenda punto, non può assolutamente essere ricordata neppure il momento dopo. La memoria non istà mai senza l'attenzione. Giornalmente noi proviamo di tali sensazioni alle quali punto non attendiamo, e di queste non possiamo mai ricordarci, sebbene la sensazione, quantunque non attesa, l'abbiamo però realmente provata. Per es. quel romore che fa il pendolo dell'oriuolo, senza che noi v'attendiamo punto, a causa dell'assuefazione. E cento altre tali. Se l'attenzione è menoma, menoma è la memoria in tutti i sensi. Per es. un discorso al quale non abbiamo badato quasi nulla, sebben tutto l'abbiamo udito e compreso, volendo poi richiamarlo alla  2111 memoria, stenteremo assai {+anche un {sol} momento dopo,} (laddove un discorso assai più lungo e complicato, al quale abbiamo ben atteso, o volontariamente, o per forte impressione ch'esso ci abbia fatto, lo ricorderemo agevolmente molto tempo dopo.) Se poi saremo riusciti a richiamarlo, in tutto o in parte, ce ne ricorderemo di quindi innanzi agevolmente, per l'attenzione che avremo posta nel richiamarlo. Insomma non si dà memoria senz'attenzione (volontaria o involontaria che sia, come altrove ho distinto pp. 1733-34): perciocchè la memoria è l'assuefazione dell'intelletto, e l'intelletto non si assuefa senz'attendere, perchè senz'attendere (più o meno) non opera. L'attenzione raddoppia o triplica la sensazione, in modo che quella sensazione alla quale non abbiamo atteso, l'abbiamo provata una sola volta, e perciò non vi ci siamo potuti assuefare, cioè porla nella memoria; ma quella a cui abbiamo atteso, l'abbiamo provata {e ripetuta rapidamente e senz'avvedercene, nel nostro pensiero} come due, tre, quattro volte, secondo che l'attenzione è stata maggiore  2112 o minore, (l'attenzione, {dico,} o l'impressione che sia) e quindi vi ci siamo assuefatti più o meno, vi abbiamo più o meno accostumato l'animo, cioè ce la siamo posta nella memoria (volendo o non volendo, cercatamente o no) più o meno fortemente e durevolmente. (17. Nov. 1821.).

[2132,1]  La facoltà inventiva è una delle ordinarie, e principali, e caratteristiche qualità e parti dell'immaginazione. Or questa facoltà appunto è quella che fa i grandi filosofi, e i grandi scopritori delle grandi verità. E si può dire che da una stessa sorgente,  2133 da una stessa qualità dell'animo, diversamente applicata, e diversamente modificata e determinata da diverse circostanze e abitudini, vennero i poemi di Omero e di Dante, e i Principii matematici della filosofia naturale di Newton. Semplicissimo è il sistema e l'ordine della macchina umana in natura, pochissime le molle, e gli ordigni di essa, e i principii che la compongono, ma noi discorrendo dagli effetti che sono infiniti e infinitamente variabili secondo le circostanze, le assuefazioni, e gli accidenti, moltiplichiamo gli elementi, le parti, le forze del nostro sistema, e dividiamo, e distinguiamo, e suddividiamo delle facoltà, dei principii, che sono realmente unici e indivisibili, benchè producano e possano sempre produrre non solo nuovi, non solo diversi, ma dirittamente contrarii effetti. L'immaginazione per tanto è la sorgente della ragione, come del sentimento, delle  2134 passioni, della poesia; ed essa facoltà che noi supponiamo essere un principio, una qualità distinta e determinata dell'animo umano, o non esiste, o non è che una cosa stessa, una stessa disposizione con cento altre che noi ne distinguiamo assolutamente, e con quella stessa che si chiama riflessione o facoltà di riflettere, con quella che si chiama intelletto ec. Immaginazione e intelletto è tutt'uno. L'intelletto acquista ciò che si chiama immaginazione, mediante gli abiti e le circostanze, e le disposizioni naturali analoghe; acquista nello stesso modo, ciò che si chiama riflessione ec. ec. (20. Nov. 1821.)

[2151,1]  Osservate le incredibili abilità che acquistano i ciechi nella musica, e in altro, i sordi nell'intendere per segni ec. e la tanto maggiore facilità e prontezza, con cui essi, sebbene sieno d'intelletto tardissimo, arrivano a quello a cui con molto maggior fatica e tempo arrivano, o anche non arrivano i sani, sebbene di grande ingegno. E poi ditemi in che cosa consista il talento, s'esso dipenda o no dalle circostanze, se esso sia altro che una conformabilità, ed assuefabilità, maggiore o minore, ma comune a tutti, e determinata ne' suoi effetti, o nell'uso ed applicazione di essa, dalle pure circostanze accidentali; se l'uomo in se stesso sia capace o no di cose incredibili, e quasi illimitate; se questa capacità  2152 sia o non sia una mera disposizione naturale, comune a tutta la specie, ma secondo le assuefazioni e le circostanze, posta più o meno a frutto. (23. Nov. 1821.).

[2152,1]  Di molte facoltà umane che si considerano come naturali, o poco meno, o volute dalla natura ec., considerandole bene si vedrà, che la natura non ne avea posto nell'uomo neppure (per dir così) la disposizione, una disposizione cioè determinata, diretta, vicina, ma così lontana, ch'essa non è quasi altro che possibilità. Così è. Infinite sono {e comunissime} e giornaliere quelle facoltà umane, delle quali l'uomo non deve alla natura, altro che la purissima possibilità di acquistarle, e contrarle. (23. Nov. 1821.).

[2162,1]  Si vedono e si osservano tuttogiorno, uomini di goffissimo e tardissimo ingegno, incapaci non solo di eseguire ec. ma d'intendere ogni altra cosa, essere sottilissimi, penetrantissimi, prontissimi ad intendere, abilissimi nelle cose di loro professione e mestiere, e in queste vincere i più grandi talenti, anche quelli che nelle medesime cose sono abbastanza esercitati, e periti. Che vuol dir ciò? quel misero ingegno, pare assolutamente un altro nelle cose del suo mestiere, quantunque non comprenda nulla, non solo del resto, ma neanche di cose appartenenti alla stessa sfera della sua professione, nelle quali egli non sia esercitato. Ma dove egli è abituato, intende alla prima perfettamente, ed eseguisce ec. tutto l'occorrente, ancorchè si tratti  2163 di qualche novità, dentro il piccolo spazio delle sue cognizioni. Vuol dire che l'ingegno umano, non è che abitudine, le facoltà umane pure abitudini, acquistabili tutte da tutti, benchè più o meno facilmente, con più lunga o più corta assuefazione. Vuol dire che quel tale si è fin da fanciullo, o lungamente esercitato ed abituato in quel genere di cognizioni, e di abilità, e deve quest'abilità alle pure circostanze che gli hanno proccurato quell'assuefazione. Giacchè suppongo che non si vorrà stimare innata e naturale in un falegname la facoltà di maneggiare perfettamente il suo mestiere, ad esclusione di ogni altra facoltà. E sarà necessario supporre in lui nient'altro che una disposizione naturale, capace d'ogni altra facoltà mediante l'assuefazione, ma dalle circostanze determinata a questa facoltà sola. Giacchè che vuol dire che tutti coloro  2164 che si esercitano da fanciulli e assiduamente in qualunque facoltà, nel mestiero del padre, ec. vi riescono abilissimi, e più di qualunque altro, benchè di gran talento, ed essi di pochissimo? Come si combinano sempre le facoltà pretese innate, con quelle professioni che il caso della nascita o della vita, ci porta a coltivare decisamente e studiosamente? Come si combina che un uomo privo d'ogni altra facoltà innata (quali si suppongono quelli di poco talento) abbia sempre, e porti seco nel nascere, appunto quella facoltà o quella disposizione naturale e antecedente, che serve a quella professione che il mero caso, e l'imprevedibile concorso delle circostanze gli destinano? (24. Nov. 1821.).

[2164,1]  Non è dunque vero ciò che dicono coloro, i quali riconoscendo la forza delle circostanze e delle assuefazioni sui talenti,  2165 e acconsentendo a chiamar la natura piuttosto dispositrice, che conformatrice, spingono però all'eccesso quella sentenza, che l'individuo nasca con disposizioni particolarmente ed esclusivamente determinate a queste o quelle facoltà o abitudini, ed all'acquisto delle medesime, e a distinguersi in esse, e sovrastare agli altri individui, secondo loro, diversamente disposti per natura. (24. Nov. 1821.).

[2184,1]  Non solo l'uomo è opera delle circostanze, in quanto queste lo determinano a tale o tal professione ec. ec. ma anche in quanto al genere, al modo, al gusto di quella tal professione a cui l'assuefazion sola e le circostanze l'hanno determinato. P. e. io finchè non lessi se non autori francesi, l'assuefazione parendo natura, mi pareva che il mio stile naturale fosse quello solo, e che là mi conducesse l'inclinazione. Me ne disingannai, passando a diverse letture, ma anche in queste, e di mese in mese, variando il gusto degli autori ch'io leggeva, variava l'opinione ch'io mi formava circa la mia propria  2185 inclinazione naturale. E questo anche in menome e determinatissime cose, appartenenti o alla lingua, o allo stile, o al modo e genere di letteratura. Come, avendo letto fra i lirici il solo Petrarca, mi pareva che dovendo scriver cose liriche, la natura non mi potesse portare a scrivere in altro stile ec. che simile a quello del Petrarca. Tali infatti mi riuscirono i primi saggi che feci in quel genere di poesia. I secondi meno simili, perchè da qualche tempo non leggeva più il Petrarca. I terzi dissimili affatto, per essermi formato ad altri modelli, o aver contratta, a forza di moltiplicare i modelli, le riflessioni ec. quella specie di maniera o di facoltà, che si chiama originalità. (Originalità quella che si contrae? e che infatti non si possiede mai se non s'è acquistata? Anche Mad. di Staël dice che bisogna leggere più che si possa per divenire  2186 originale. Che cosa è dunque l'originalità? facoltà acquisita, come tutte le altre, benchè questo aggiunto di acquisita ripugna dirittamente al significato e valore del suo nome.) (28. Nov. 1821.).

[2208,2]  Ho detto pp. 1648-49 pp. 2039-41 pp. 2107-09 che l'uomo di gran sentimento più presto degli altri è soggetto a divenire indifferente sì nel resto, sì quanto alle sventure. Ciò vuol dire ch'egli forma l'abito delle sventure (così dite del resto)  2209 più facilmente e prontamente degli altri. E per due cagioni. 1. Perchè più soffre essendo più sensibile, onde le cause dell'assuefazione che sono l'esercizio, e la ripetizion delle sensazioni, essendo in lui maggiori che negli altri, più presto la cagionano. {+Oltre ch'egli più vivamente le sente ond'è soggetto a sventure maggiori e per numero e per grado di forza ec.} 2. Perch'egli è anche per se stesso e indipendentemente dalle circostanze, più assuefabile degli altri. {+(Massime a questi generi di cose.)} Ond'egli impara la sventura più presto degli altri, come gli uomini di talento (che per lo più sono anche di sentimento) imparano le discipline, o quella tale a cui sono inclinati ec. più presto degli altri, e più presto e facilmente intendono, concepiscono ec. perchè più attendono ec. Quindi è che gli uomini di poco o mediocre sentimento, e generalmente i mediocri spiriti, dopo un numero o una massa di sventure, maggiore assai di quella che ha bastato ad assuefare e  2210 rendere imperturbabile l'uomo di gran sentimento, non vi sono ancora assuefatti, sono sempre aperti all'afflizione al dolore, sempre sensibili al male, sempre egualmente teneri e molli (sebbene quegli ch'era assai più molle, sia già del tutto indurato), e restano bene spesso tali per tutta la vita, tanto capaci di soffrire nella decrepitezza, quanto appresso a poco nella prima giovanezza. Anzi di più, perchè meno distratti nelle loro sensazioni, e meno aiutati dalla forza naturale. Laddove all'uomo di sentimento lo stesso esser poco capace di distrazione, lo stesso attender vivamente alle sensazioni, facilita l'assuefazione, e l'acquisto della insensibilità, e incapacità di più attendervi. (1. Dic. 1821.).

[2228,1]  È cosa facilmente osservabile che nel comporre ec. giova moltissimo, e facilita ec. il leggere abitualmente in quel tempo degli autori di stile, di materia ec. analoga a quella che abbiamo per le mani ec. Da che cosa crediamo noi che ciò derivi? forse dal ricevere quelle tali letture, quegli autori ec. come modelli, come esempi di ciò che dobbiamo fare, dall'averli più in pronto, per mirare in essi, e regolarci nell'imitarli? ec. non già, ma dall'abitudine materiale che la mente acquista a quel tale stile ec. la quale abitudine le rende molto più facile l'eseguir ciò che ha da fare. Tali letture in tal tempo non sono studi, ma esercizi, come la lunga abitudine del comporre facilita la composizione. Ora tali letture fanno appunto allora l'uffizio di quest'abitudine, la facilitano, esercitano insomma la mente in quell'operazione  2229 ch'ella ha da fare. E giovano massimamente quando ella v'è già dentro, e la sua disposizione e[è] sul traine[train] di eseguire, di applicare al fatto ec. Così leggendo un ragionatore, per quei giorni si prova una straordinaria tendenza, facilità, frequenza ec. di ragionare sopra qualunque cosa occorrente, anche menoma. Così un pensatore, così uno scrittore d'immaginazione, di sentimento (esso ci avvezza per allora a sentire anche da noi stessi), originale, inventivo ec. E questi effetti li producono essi non in forza di modelli (giacchè li producono quando anche il lettore li disprezzi, o li consideri come tutt'altro che modelli), ma come mezzi di assuefazione. E però, massime nell'atto di comporre, bisogna fuggir le cattive letture, sia in ordine allo stile, o a qualunque altra cosa; perchè la mente senz'avvedersene si abitua a quelle maniere, per quanto le condanni, e per quanto sia abituata già a maniere diverse, abbia formato una maniera  2230 propria, ben radicata nella di lui assuefazione ec. (6. Dic. 1821.).

[2230,1]  Quanto sia vero che la scienza ed ogni facoltà umana non deriva che da pure assuefazioni, e queste quando son relative in qualunque modo all'intelletto, hanno bisogno dell'attenzione. L'uomo di gran talento, è avvezzo soprammodo ad attendere, ed assuefarsi, si trova bene spesso inespertissimo e ignorante di cose che i meno attenti, e più divagati animi conoscono ottimamente. Ciò viene perch'egli in tali cose non suol porre attenzione. Ho detto altrove pp. 1062-63 ch'egli suol essere ignorantissimo di tutte le arti ec. della buona compagnia. Osservatelo ancora nel senso materiale del gusto. Gl'ignoranti l'avranno finissimo, e capacissimo di discernere le menome differenze, pregi, difetti de' sapori e de' cibi. Egli al contrario, e se talvolta vi attende, si maraviglia di non capir nulla di ciò che gli altri conoscono benissimo, e gli dimostrano. Eppur questo è un senso materiale. Ma non esercitato da lui con l'attenzione,  2231 benchè materialmente esercitato da lui come dagli altri. Che vuol dir ciò? tutte le facoltà umane le più materiali, e apparentemente naturali, abbisognano di assuefazione ec. (6. Dic. 1821.).

[2259,1]  Per qual cagione le donne sono ordinariamente maliziose, furbe, raggiratrici, ingannatrici, astute, impostore, e nella galanteria, e nella devozione, e in tutto ciò che imprendono, e in qualunque carriera si mettono? Perchè acquistano così presto e l'inclinazione e l'arte d'ingannare, dissimulare, fingere, cogliere le occasioni ec. ec.? Perchè l'astuzia di una donna di mediocre talento e pratica di mondo, vince bene spesso l'arte e la furberia dell'uomo il più capace per natura e per esercizio? Crediamo noi che l'ingegno delle donne sia naturalmente e meccanicamente disposto ad amare, e facilmente acquistare queste qualità, a differenza dello spirito degli uomini? Crediamo noi che queste facoltà (poichè sono pur facoltà) sieno ingenerate nelle femmine più che ne' maschi, e proprie della  2260 natura donnesca? Non già. Lo spirito naturale e primitivo delle donne, non ha nè vestigio alcuno di tali facoltà, nè disposizione ad acquistarle, maggiore per nessun grado di quella che ne abbiano gli uomini. Ma la facilità e la perfezione con cui esse le acquistano, non viene da altra cagione che dalla loro natural debolezza, e inferiorità di forze a quelle degli uomini, e dal non poter esse sperare se non dall'arte e dall'astuzia essendo inferiori nella forza, ed inferiori ancora ne' diritti che la legge e il costume comparte fra gli uomini e le donne. Questo è tutto ciò che v'ha di naturale e d'innato nel carattere malizioso delle femmine: vale a dire che nè questo carattere, nè alcuna particolar disposizione ad acquistarlo esiste nella natura donnesca, ma solo una qualità, una circostanza che la proccura, affatto estranea al talento, all'indole dello spirito, al meccanismo dell'ingegno e dell'animo. Infatti ponete le donne in altre circostanze;  2261 vale a dire fate o ch'esse non sieno mai entrate a dirittura in verun genere di società, massimamente cogli uomini, o che le leggi {e i costumi} non sottopongano la loro condizione a quella de' maschi (come accadeva primitivamente, e come accade forse anche oggi in qualche paese barbaro), o che dette leggi e costumi le favoriscano alquanto più, o le mettano anche al di sopra degli uomini (come so di un paese dov'elle son tenute per esseri sacri), o che esse generalmente per qualche circostanza (come si raccontava del paese delle amazzoni ec.), o individualmente sieno o uguali o superiori agli uomini con cui trattano, per forze o corporali, o intellettuali, naturali o acquisite, per ricchezze, per rango, per nascita ec. ec. e troverete la loro arte ed astuzia o nulla, o poca, o non superiore o inferiore ancora a quella degli uomini, almeno di quelli con cui hanno a fare; o certo proporzionatamente, e secondo la qualità di dette circostanze, minore di quella delle altre donne,  2262 poste nelle circostanze contrarie, ancorchè meno ingegnose, e meno cattive ec. L'esperienza quotidiana lo dimostra. Nè solo nelle donne, ma anche negli uomini, o deboli, o poveri, {o brutti, o difettosi,} o non colti, o inferiori per qualunque verso agli altri con cui trattano, come sono i cortigiani avvezzi a trattare con superiori, e però sempre furbi, e ingannatori, e simulatori ec. Nè solo degli uomini, ma delle nazioni intere (come quelle soggette al dispotismo), delle città o provincie, delle famiglie, ec. lo dimostra la storia, i viaggi ec. ec. E cambiate le circostanze e i tempi quella stessa nazione o città o individuo maschio o femmina, perde, minora, acquista, accresce l'astuzia e la doppiezza, che si credono proprie del loro carattere, quando si osservano superficialmente. I selvaggi ordinariamente son doppi, impostori, finti verso gli stranieri più forti di loro fisicamente o moralmente. Ed osservate che la furberia è propria dell'ingegno. Ora ell'è spessissimo maggiore appunto in chi ha svantaggio  2263 dagli altri per ingegno o coltura ed esercizio di esso. {+(Così nelle donne in genere, meno colte degli uomini, negl'individui maschi o femmine, plebei, mal educati ec. ne' selvaggi rispetto ai civilizzati ec.)} Qual prova maggiore e più chiara che l'ingegno complessivamente preso, e ciascuna sua facoltà, non sono opera se non delle circostanze, quando si vede che la stessa circostanza dell'aver poco ingegno, proccura ad esso ingegno una facoltà (tutta propria di esso), che maggiori ingegni non hanno, o in minor grado? (19. Dic. 1821.).

[2268,1]  Per mostrare come le facoltà umane e animali derivino tutte dall'assuefazione e di che cosa sia {ella} capace, e come lo spirito, e gli organi esteriori e interiori dell'uomo sieno maravigliosamente modificabili secondo le circostanze variabilissime e indipendenti affatto dall'ordine primitivo, voluto, e generale della natura, ho citato le facoltà dei ciechi, sordi, ec. p. 1569. Aggiungo. Non è egli evidente che la natura ha destinato le mani ad operare, e  2269 i piedi non ad altro che a camminare ec.? Chi dirà ch'ella abbia dato ai piedi la facoltà delle stesse cose che può far la mano? Eppure i piedi l'acquistano; e risiede in essi o altrettanta o poco minore disposizione che nelle mani, a tutte le facoltà e funzioni di questa. Io ho veduto un fanciullo nato senza braccia, far coi piedi le operazioni tutte delle mani, anche le più difficili, e che non s'imparano senza studio. Ho inteso da un testimonio di vista, di una donzella benestante che ricamava coi piedi. Che vuol dir ciò? Tanta facoltà naturale risiede nelle mani quanta nei piedi, cioè nessuna in nessuno dei due. L'assuefazione sola e le circostanze la proccurano alle une, e la possono proccurare agli altri.

[2270,1]   2270 Come dunque sarebbe assurdo il dire che la natura abbia dato al piede le facoltà della mano, e nondimeno vediamo che esso le acquista; così parimente è stolto il dire che la natura abbia dato alla mano alcuna facoltà, ma solamente la disposizione e la capacità di acquistarne; disposizione ch'ella ha pur dato al piede, bench'ella resti non solo inutile, ma sconosciuta e neppur sospettata in quasi tutti gli uomini; disposizione che non è quasi altro che possibilità; disposizione maggiore certo nella mano, che la natura aveva espressamente destinata ad acquistare le sue facoltà ec. (altro è però destinarla, altro porvi essa stessa veruna facoltà ingenita); e però l'aveva provveduta di maggior numero di articolazioni, e postala in parte più adattata ad operare ec. Discorrete allo stesso modo di tutte le facoltà umane, e di tutti gli organi intellettuali, esteriori, interiori ec. L'argomento va in regola, e dalle cose più materiali chiare e visibili, si può e si deve  2271 inferire e spiegare la natura ec. delle meno chiare e facili, e meno materiali in apparenza. (22. Dic. 1821.).

[2378,1]   2378 Che non si dà ricordanza, nè si mette in opera la memoria senz'attenzione. Prendete a caso uno o due o tre versi di chi vi piaccia, in modo che possiate, leggendoli una volta sola, tenerli tanto a memoria da poterli poi ripeter subito fra voi, il che è ben facile in quello stesso momento che si son letti: e ripeteteli fra voi stesso dieci o quindici volte, ma con tutta materialità, come si fa un'azione ordinaria, senza pensarvi e senza porvi la menoma attenzione. Di lì ad un'ora non ve ne ricorderete più, volendo ancora richiamarli con ogni sforzo. Al contrario leggeteli solamente una o due volte con attenzione, e intenzione d'impararli, o che vi restino impressi; ovvero poniamo caso che da se stessi v'abbiano fatto una decisa impressione, ed eccitata per questo mezzo la vostra mente ad attendervi, anche senza intenzione alcuna d'impararli. Non li ripetete neppure fra voi, o ripetendoli, fatelo solo una o due volte con attenzione. Di lì a più ore vi risovverranno anche spontaneamente, e molto più se voi lo vorrete; e se allora di nuovo ci farete attenzione, in modo che quella reminiscenza  2379 non sia puramente materiale, ve ne ricorderete poi anche più a lungo per un certo tempo. Dico tutto ciò per esperienza, trovando d'essermi scordato più volte d'alcuni versetti ch'io per ricordarmene avea ripetuto meccanicamente fra me una ventina di volte, e di averne ritenuto degli altri ripetuti una sola o due volte, con decisa attenzione alle parti ec. E così d'altre cose ec. E chi sa che queste o simili osservazioni non fossero il fondamento di quell'arte della memoria che fra gli antichi s'insegnava e si professava come ogni altra disciplina, siccome apparisce da molte testimonianze, e fra le altre da Senofonte nel Convito c. 4. §. 62.

[2390,1]   2390 L'attenzione de' fanciulli è scarsa 1. per la moltitudine e forza delle impressioni in quell'età, conseguenza necessaria della novità ed inesperienza: le quali impressioni tirando fortemente l'attenzione loro in mille parti e continuamente, l'impediscono di esser sufficiente in nessuna: e questa è la distrazione che s'attribuisce ai fanciulli, tanto più distratti, quanto più suscettibili di sensazioni vive e profonde: 2. perchè anche la facoltà di attendere non si acquista senz'assuefazione ec: 3. perchè la natura ha provveduto in modo che fin che l'uomo è nello stato naturale, come sono i fanciulli, poco e insufficientemente attende, essendo l'attenzione la nutrice della ragione, e la prima ed ultima causa della corruzione ed infelicità umana. (16. Feb. 1822.)

[2391,2]  I muti hanno essi la facoltà della favella? No certo. Eppur quanto alla favella n'hanno tutta la disposizione naturale quanta n'ha il miglior parlatore del mondo. Ma questa non è altro che possibilità, la quale il muto non riduce mai all'atto e non adopera in verun modo, perchè non avendo udito, non impara dagli altri (cioè non si avvezza) a farlo, e coll'assuefazione, di cui non ha il mezzo, non acquista la facoltà. Ecco che cosa sono tutte le pretese facoltà naturali ed ingenite nell'uomo. E qual si crede più naturale della favella? principal caratteristica dell'uomo, e suo maggior distintivo dai bruti. (20. Feb. 1822.).

[2400,1]  Πάλιν δὲ ἐρωτώμενος * (Socrate), ἡ ἀνδρεία πότερον εἴη διδακτὸν ἢ ϕυσικόν; οἶμαι μέν, ἔϕη, ὥσπερ σῶμα σώματος ἰσχυρότερον πρὸς τοὺς πόνους ϕύεται, οὕτω καὶ ψυχὴν ψυχῆς ἐῤῥωμενεστέραν πρὸς τὰ δεινὰ ϕύσει γίγνεσϑαι. ῾Oρῶ γὰρ ἐν τοῖς αὐτοῖς νόμοις τε καὶ ἔϑεσι τρεϕομένους πολύ διαϕέροντας ἀλλήλων τόλμῃ. Nομίζω μέντοι πᾶσαν ϕύσιν μαϑήσει καὶ μελέτῃ πρὸς ἀνδρείαν αὔξεσϑαι. * Ξενοϕ. ἀπομνημ β. γ.᾽ κεϕ. ϑ.᾽ § α᾽ -β᾽. Così possiamo discorrere di tutto il resto. (16. Aprile, Martedì in Albis, 1822.).

[2401,1]   2401 Ετεκμαίρετο δὲ * (Socrate) τὰς ἀγαϑὰς ϕύσεις ἐκ τοῦ ταχύ τε μανϑάνειν οἷς προσέχοιεν, καὶ μνημονεύειν ἃ ἂν μάϑοιεν * . Senof. Ἀπομνημον. l. 4. c. l. §. 2. (19. Aprile. Venerdì in Albis, 1822.).

[2402,2]  Di quelli che non avendo mani, supplirono all'ufficio loro coi piedi, v. Dione Cassio l. 54. c. 9. p. 739. e quivi la nota 91. (25. Aprile. 1822.).

[2484,2]  Quanto sia vero che i talenti in gran parte son opera delle circostanze, vedasi che ne' paesi piccoli è infinitamente maggiore che nelle[ne'] grandi, il numero delle persone di grado agiato e comodo e (negli altri luoghi) colto {e civile,} che non hanno il senso comune, e da' quali non si può fidare l'esecuzione o il maneggio del menomo affare ec. Lo stesso dico proporzionatamente delle città meno grandi, rispetto alle più grandi, delle meno colte o socievoli rispetto alle più colte, delle capitali dove tutti son obbligati  2485 a conversare, a trattar negozi ec. rispetto alle città di provincia ec. (19. Giugno. 1822.).

[2564,1]  Per lo più noi riconosciamo alla sole[sola] voce {+anche senza vederle} le persone da noi conosciute, per moltiplici che siano le nostre conoscenze, per minima che sia la diversità di tale o tal altra voce da un'altra, per pochissimo che noi abbiamo praticata quella tal persona, o praticatala pure una sola volta. Non così ci accade nelle voci degli animali, nelle quali, neppure avvertitamente pensandoci, sappiamo riconoscer differenza tra molti individui d'una stessa specie, o riconosciutane, non ci resta in mente. {+Anche, con difficoltà riconosciamo le voci, p. e. in paese forestiero di lingua, o dialetto, pronunzia ec; e le confondiamo spesso; almeno a principio. L'ho osservato in me.} Effetti dell'assuefazione, dell'attenzione parziale e minuta ec. da riferirsi a quei pensieri dove ho portato altri esempi simili pp. 1194-96 pp. 1399-400 p. 1718. (11. Luglio. 1822.).

[2568,1]  Tutto è arte, e tutto fa l'arte fra gli uomini. Galanteria, commercio civile, cura de' propri negozi o degli altrui, carriere pubbliche, amministrazione politica interiore ed esteriore, letteratura; in tutte queste  2569 cose, e s'altre ve ne sono, riesce meglio chi v'adopra più arte. In letteratura, (lasciando stare quel che spetta alla politica letteraria, e al modo di governarsi col mondo letterato) colui che scrive con più arte i suoi pensieri, è sempre quello che trionfa, e che meglio arriva all'immortalità, sieno pure i suoi pensieri di poco conto, e sieno pure importantissimi e originalissimi quelli d'un altro che non abbia sufficiente arte nello scrivere: il quale non riuscirà mai a farsi nome, e ad esser letto con piacere, e nemmeno a far valutare, e pigliare in considerazione e studio i suoi pensieri. La natura ha certamente la sua parte, e la sua gran forza; ma quanta sia la parte e la forza della natura in tutte queste cose, rispettivamente a quella dell'arte, mi pare che dopo le gran dispute che se ne son fatte, si possa determinare in questo modo, e precisare  2570 in questi termini. Supposto in due persone ugual grado d'arte, quella ch'è superiore per natura, riesce certamente meglio dell'{altra} nelle sue imprese. Datemi due persone che sappiano ugualmente scrivere. Quella che ha più genio, sicuramente trionfa nel giudizio de' posteri e della verità. Datemi due galanti egualmente bravi nel mestier loro. Quello ch'è più bello {+(in parità d'altre circostanze, come ricchezza, fortuna d'ogni genere, comodità ed occasioni particolari ec.)} soverchia sicuramente l'altro. Ma ponete un uomo bellissimo senz'arte di trattar le donne; un gran genio senza scienza o pratica dello scrivere; e dall'altra parte un bruttissimo bene ammaestrato e pratico della galanteria, un uomo freddissimo bene istruito ed esercitato nella maniera d'esporre i propri pensieri, questi due si godranno le donne e la gloria, e quegli altri due staranno indubitatamente a vedere. Dal che si deduce che in ultima  2571 analisi la forza dell'arte nelle cose umane è maggiore assai che non è quella della natura. Lucano era forse maggior genio di Virgilio, nè perciò resta che sia stato maggior poeta, e riuscito meglio nella sua impresa; anzi che veruno lo stimi nemmeno paragonabile a Virgilio.

[2585,1]   2585 Ho paragonato altrove pp. 1432-33 pp. 1455-56 gli organi intellettuali dell'uomo agli esteriori, e particolarmente alla mano, e dimostrato che siccome questa non ha da natura veruna facoltà (anzi da principio è inetta alle operazioni più facili e giornaliere), così niuna ne portano gli organi intellettuali, ma solamente la disposizione o possibilità di conseguirne, e questa più o meno secondo gl'individui. Nello stesso modo io non dubito che se meglio si ponesse mente, si troverebbero anche negli organi esteriori dell'uomo, p. e. nella mano, molte differenze di capacità, non solo relativamente alle diverse assuefazioni, e al maggiore o minore esercizio di detto organo, ma naturalmente, e indipẽdentemente da ogni cosa acquisita; come accade negl'ingegni, che per natura sono qual più qual meno conformabili, e disposti  2586 ad assuefarsi, cioè ad imparare. E forse a queste differenze si vuole attribuire l'eccessiva e maravigliosa inabilità di alcuni che non riescono (anche provandosi) a saper far colle loro mani quello che il più degli uomini fanno tuttogiorno senza pure attendervi nè anche pensarvi; e l'altrettanto mirabile facilità ch'altri hanno d'imparare senza studio, e d'eseguire speditissimamente le più difficili operazioni manuali, che il più degli uomini o non sanno fare, o non fanno se non adagio, e con attenzione. Vero è che si trova molto minor differenza individuale fra la capacità generica della mano di questo o di quello, che fra la capacità de' vari ingegni. Ma questo nasce che tutti in un modo o nell'altro esercitano la mano, e quindi le danno e proccurano una certa abilità  2587 e assuefabilità generale: non così l'ingegno. Ed è molto maggiore, generalmente parlando, il divario che passa fra l'esercizio de' diversi ingegni, {che} fra l'esercizio della mano de' diversi individui. Divario che non è naturale, e non ha che far colle disposizioni native di tali organi. (28. Luglio. Domenica 1822.).

[2596,1]   2596 Quanta sia l'influenza dell'opinione e dell'assuefazione anche sui sensi, l'ho notato altrove p. 1733 coll'esempio del gusto, che pur sembra uno de' sensi più difficili ad essere influiti da altro che dalle cose materiali. Aggiungo una prova evidente. Io mi ricordo molto bene che da fanciullo mi piaceva effettivamente e parevami di buon sapore tutto quello che (per qualunque motivo ch'essi s'avessero) m'era lodato per buono da chi mi dava a mangiare. Moltissime delle quali cose, ch'effettivamente secondo il gusto dei più, sono cattive, ora non solo non mi piacciono, ma mi mi dispiacciono. Nè per tanto il mio gusto intorno ai detti cibi s'è mutato a un tratto, ma appoco appoco, cioè di mano in mano che la mente mia s'è avvezzata a giudicar da se, e s'è venuta rendendo indipendente dal giudizio e opinione degli altri, e dalla prevenzione che preoccupa la sensazione. La qual assuefazione ch'è propria dell'uomo, e ch'è generalissima, potrà essere ridicolo, ma pur è verissimo il dire che influisce anche in queste minuzie, e determina il giudizio  2597 del palato sulle sensazioni che se gli offrono, e cambia il detto giudizio da quello che soleva essere prima della detta assuefazione. In somma tutto nell'uomo ha bisogno di formarsi; anche il palato: ed è cosa facilissimamente osservabile che il giudizio de' fanciulli sui sapori, e sui pregi e difetti dei cibi relativamente al gusto, è incertissimo, {confusissimo} e imperfettissimo: e ch'essi in moltissimi, anzi nel più de' casi non provano punto nè il piacere che gli {uomini fatti} provano nel gustare tale o tal cibo, nè il dispiacere nel gustarne tale o tal altro. Lascio i villani, e la gente avvezza a mangiar poco, o male, o di poche qualità di cibi, il cui giudizio intorno ai sapori (anzi il sentimento ch'essi ne provano) è poco meno imperfetto e dubbio che quel dei fanciulli. Tutto ciò a causa dell'inesercizio del palato.

[2691,3]  Somma conformabilità dell'uomo. Le bestie sono più o meno addomesticabili, secondo che sono più o  2692 meno assuefabili e conformabili di natura. Ma nè le bestie domestiche convivendo coll'uomo, nè queste o altre bestie convivendo con bestie di specie diversa dalla loro, contraggono il carattere e i costumi umani o di quelle altre bestie, nè i caratteri di più bestie di specie diversa si mescolano tra loro per convivere che facciano insieme; ma solamente le bestie domestiche ricevono certe assuefazioni particolari, e certi costumi non naturali portati dalle circostanze, i quali non hanno però che far niente coi costumi dell'uomo. Ma l'uomo convivendo colle bestie, contrae veramente gran parte del carattere di queste, ed altera il suo proprio per una effettiva mescolanza di qualità naturali alle bestie con cui convive. È cosa osservata nella campagna romana, e nota quivi alle persone che per mestiere per abito e per natura sono tutt'altro che osservatrici, che i pastori e guardiani delle bufale, sono ordinariamente stupidi, lenti, goffi, rozzissimi, {{selvatici e}} tali che poco hanno dell'uomo: che i pastori de'  2693 cavalli sono svelti, {attivi,} pronti, vivaci, arguti, agili di corpo e di spirito: quelli delle pecore, semplici, mansueti, ubbidienti ec. (Recanati 16. Maggio 1823.). {{E tra gli abitanti della campagna romana i due estremi della zotichezza e della spiritualité {{e furberia}}, della torpidezza e del brio, {della dappocaggine, pigrizia ec. e dell'attività,} sono i guardiani delle bufale e quei de' cavalli; come lo sono i caratteri di queste specie di animali fra quelle che abitano nella detta campagna. (16. Maggio. 1823.).}}

[2862,1]   2862 L'amicizia, non che la piena ed intima confidenza tra' fratelli, rade volte si conserva all'entrar che questi fanno nel mondo, ancorchè siano stati allevati insieme, ed abbiano esercitato l'estremo grado di questa confidenza sino a quel momento; e di più seguano ancora a convivere. E pure se l'uomo è capace di piena ed intima confidenza, e s'egli dovrebbe conservarla perpetuamente verso qualcuno, questo dovrebb'essere verso i fratelli coetanei, ed allevati con lui nella fanciullezza: e dico dovrebb'essere, non per forza naturale {della} {congiunzione di sangue,} la qual forza è nulla e immaginaria, e niente ha che fare nel produr quella confidenza o nel conservarla, ma per forza naturale dell'abitudine e dell'abitudine contratta {nel} primo principio delle idee e delle abitudini dell'individuo, e nella prima capacità di contrarle, {e conservata} tutto quel tempo che dura la maggiore intensità e disposizione {ed ampiezza,} e il maggior esercizio di questa capacità. Nondimeno questa confidenza così fortemente stabilita e radicata si perde per la varietà che s'introduce nel carattere de' fratelli mediante il commercio cogli altri individui della società. Ma se questo  2863 commercio non avesse avuto luogo, quella confidenza sarebbe stata perpetua, com'ella non è mai cessata fino a quell'ora. Che vuol dir ciò, se non che nei caratteri degli uomini, novantanove parti son opera delle circostanze? e che per diversissimi ch'essi appariscano, come spesso accade anche tra fratelli, in questa diversità non è opera della natura, se non una parte così menoma che saria stata impercettibile? È quasi impossibile il caso che tutte le minute circostanze e avvenimenti che incontrano all'un de' fratelli nell'uso della società, incontrino all'altro, o sieno uguali a quelle che incontrano all'altro, ancorchè postogli da vicino. Questa diversità diversifica due caratteri {che parevano affatto, ed erano quasi affatto, compagni,} e com'ella è inevitabile, così la diversificazione di {questi} caratteri nella società non può mancare. E ho detto le minute circostanze, contentandomi di queste, perchè {anche} la somma di cose minutissime basta a produrre grandissimi e visibilissimi effetti sull'indole degli uomini, massime allora ch'eglino sono principianti nel mondo, e che {in essi} la capacità delle abitudini e delle opinioni, ossia la formabilità dell'indole, è ancor  2864 {molta e} grande e in buon essere. (30. Giugno. 1823.).

[2899,1]  Questa conseguenza deriva dal supposto principio: ma come il principio è falso, così essa non è vera; e questa proposizione considerata ancora in se sola, si riconosce agevolmente per falsissima. Poichè relativamente all'ordine delle cose terrestri, l'uomo come l'essere più di tutti conformabile, è il più perfetto di tutti.

[3197,1]  In molti luoghi di questi miei pensieri pp. 1370-72 pp. 1432-33 pp. 1455-56 pp. 1628-29 pp. 1828-30 pp. 2151-52 pp. 2268-69 pp. 2484-85 pp. 2569-72 ho dimostrato come l'uomo debba quasi tutto alle circostanze, all'assuefazione, all'esercizio; quanta parte di ciò che si chiama talento naturale, e diversità o superiorità o inferiorità di talenti, non sia per verità altro che assuefazione, esercizio, ed opera di circostanze non naturali nè necessarie ma accidentali, e diversità di assuefazioni e di circostanze, maggiore o minore assuefazione, e maggiore o minor favore o disfavore di circostanze e di accidenti secondarii: la diversità delle quali cose accresce a dismisura le piccole differenze e le piccole superiorità o inferiorità di facoltadi che si trovano naturalmente {e primitivamente} tra questo e quello ingegno di questo o quello individuo o nazione, in questo o quel secolo. Io però non intendo con ciò di negare che non v'abbiano diversità naturali fra i vari talenti, le varie facoltà, i vari primitivi caratteri degli uomini; ma solamente affermo e dimostro che tali diversità assolutamente naturali, innate, e primitive sono molto  3198 minori di quello che altri ordinariamente pensa. Del resto che gl'intelletti, gli spiriti, insomma gli animi degli uomini differiscano naturalmente e primitivamente gli uni dagli altri, con minute differenze bensì, ma pur vere ed effettive e notabili differenze; e che varie sieno le loro naturali disposizioni, maggiori in altri, in altri minori, ed ordinate in quelli a certi oggetti, in questi a certi altri, è cosa, come da tutti e sempre creduta, così vera e reale, e dimostrata da molte osservazioni, le quali, o alcune di esse, verrò qui sotto segnando per capi, sommariamente però, ed in modo che sopra ciascun capo potrà e dovrà molto più estendersi il discorso di quello che io sia per estenderlo.

[3301,1]  Come l'uomo sia quasi tutto opera delle circostanze e degli accidenti: quanto poco abbia fatto in lui la natura: quante di quelle medesime qualità che in lui più naturali si credono, anzi di quelle ancora che non d'altronde mai si credono poter derivare che dalla natura, nè per niun modo acquistarsi, e necessariamente in lui svilupparsi e comparire, non altro sieno in effetto che acquisite, e {tali che} nell'uomo posto in diverse circostanze, non mai si sarebbero sviluppate, nè sarebbero comparse, nè per niun modo esistite: come la natura non ponga quasi  3302 nell'uomo altro che disposizioni, ond'egli possa essere tale o tale, ma niuna o quasi niuna qualità ponga in lui; di modo che l'individuo non sia mai tale quale egli è, per natura, ma solo per natura possa esser tale, e ciò ben sovente in maniera che, secondo natura, tale ei non dovrebb'essere, anzi pur tutto l'opposto: come insomma l'individuo divenga (e non nasca) quasi tutto ciò ch'egli è, qualunque egli sia, cioè sia divenuto. Qual cosa pare più naturale, più inartifiziale, {più spontanea,} meno fattizia, più ingenita, meno acquistabile, più indipendente e più disgiunta dalle circostanze e dagli accidenti, che quel tal genere di sensibilità con cui l'uomo suol riguardare la donna, e la donna l'uomo, ed essere trasportato l'uno verso l'altra; quel tal genere, dico, di affetti e di sentimenti che l'uomo, e massimamente il giovane nella prima età, senz'ombra di artifizio, senza intervento di volontà, anzi tanto più quanto egli è più giovane, più semplice ed inesperto, e quanto meno il suo carattere  3303 è stato modificato e influito dall'uso del mondo e dalla conversazione degli uomini e pratica della società, suol provare alla vista {+o al pensiero} di donne giovani e belle, o nel trattenersi seco loro; e così le donne giovani cogli uomini giovani e belli? quel tressaillement, quell'emozione, quell'ondeggiamento e confusione di pensieri e di sentimenti tanto più indistinti e indefinibili quanto più vivi, che parte par che abbiano del materiale, parte dello spirituale, ma molto più di questo, in modo che par ch'egli appartengano interamente allo spirito, anzi alla più alta e più pura e più intima parte di esso? Or questo genere di sentimenti e di affetti e di pensieri, questa qualità del giovane, cioè questa tale sensibilità, e la facoltà ed abito di provare questi siffatti sentimenti, non è per niun modo naturale nè innata, ma acquisita, ossia prodotta di pianta dalle circostanze, e tale che se queste non fossero state, l'uomo neppur conoscerebbe nè potrebbe pur concepire questa qualità, nè anche sospettare d'esserne capace.  3304 Il genere umano naturalmente è nudo, e, seguendo la natura, almeno in molte parti del globo, egli non avrebbe mai fatto uso de' vestimenti, siccome le vesti sono affatto ignote p. e. ai Californii. {Nè l'uomo nè} il giovane non avrebbe mai veduto {nè immaginato} nelle donne (e così la donna negli uomini) nulla di nascosto. E nulla vedendo di nascosto, {{}} {potendo desiderare o sperar di vedere,} e ben conoscendo fin dal principio la nudità {e la forma} dell'altro sesso, egli non avrebbe mai provato per la donna altro affetto, altro sentimento, altro desiderio, che quello che per le {lor} femmine provano gli altri animali; nè avrebbe concepito intorno a lei altro pensiero che quello di mescersi seco lei carnalmente; nè l'aspetto o il pensiero o la compagnia della donna avrebbe in lui cagionato, neppur nella primissima gioventù, verun altro effetto che un desiderio il più puramente e semplicemente sensuale che possa mai dirsi, {un impeto a soddisfare tal desiderio,} ed un piacere (molto languido in se stesso per l'abitudine {+e l'assuefazione} incominciata sin dalla nascita, e sempre continuata) altrettanto carnale {che quel desiderio,} e interamente, unicamente  3305 e manifestissimamente materiale, cioè appartenente e derivante dalla sola materia e dal senso, nè più nè meno che quel piacere che in lui avrebbe prodotto la vista di un color rosso bello e vivo o altra tal sensazione; se non solamente che quel diletto sarebbe stato per natura maggiore di questi; siccome tra gli altri diletti, {o} naturalmente {{o per circostanze,}} qual è maggiore qual è minore, non in se, ma rispetto agli uomini e agli animali, insomma agli esseri che li provano, e ne' quali essi diletti nascono ed hanno l'essere.

[3374,1]  Dico in più luoghi pp. 1661-63 pp. 1680-82 pp.1923-25 che la natura non ingenera nell'uomo quasi altro che disposizioni. Or tra queste bisogna distinguere. Altre sono disposizioni a poter essere, altre ad essere. Per quelle l'uomo può divenir tale o tale; può, dico, e non più. Per queste l'uomo, naturalmente vivendo, e tenendosi lontano dall'arte, indubitatamente diviene quale la natura ha voluto ch'ei sia, bench'ella non l'abbia fatto, ma disposto solamente a divenir tale. In queste si deve considerare l'intenzione della natura: in quelle no. E se per quelle l'uomo può divenir tale o tale, ciò non importa che tale o tale divenendo, egli divenga quale la natura ha voluto ch'ei fosse: perocchè la natura per quelle disposizioni non ha fatto altro che lasciare all'uomo la possibilità di divenir tale o tale; nè quelle sono  3375 altro che possibilità. Ho distinto due generi di disposizioni per parlar più chiaro. Ora parlerò più esatto. Le disposizioni naturali a poter essere e quelle ad essere, non sono diverse individualmente l'une dall'altre, ma sono individualmente le medesime. Una stessa disposizione è ad essere e a poter essere. In quanto ella è ad essere, l'uomo, seguendo le inclinazioni naturali, e non influito da circostanze non naturali, non acquista che le qualità destinategli dalla natura, e diviene quale ei dev'essere, cioè quale la natura ebbe intenzione ch'ei divenisse, quando pose in lui quella disposizione. In quanto ella è disposizione a poter essere, l'uomo influito da varie circostanze non naturali, sião[siano] intrinseche siano estrinseche, acquista molte qualità non destinategli dalla natura, molte qualità contrarie eziandio all'intenzione della natura, e diviene qual ei non dev'essere, cioè quale la natura non intese ch'ei divenisse, nell'ingenerargli quella disposizione. Egli {però non} divien tale {per} natura, benchè questa disposizione sia naturale: perocchè essa {disposizione} non era ordinata a questo  3376 ch'ei divenisse tale, ma era ordinata ad altre qualità, molte delle quali affatto contrarie a quelle che egli ha per detta disposizione acquistato. Bensì s'egli non avesse avuto naturalmente questa disposizione, egli non sarebbe potuto divenir tale. Questa è tutta la parte che ha la natura in ciò che tale ei sia divenuto. Siccome, se la disposizion fisica del nostro corpo non fosse qual ella è per natura, l'uomo non potrebbe, per esempio, provare il dolore, divenir malato. Ma non perciò la natura ha così disposto il nostro corpo acciocchè noi sentissimo il dolore e infermassimo; nè quella disposizione è ordinata a questo, ma a tutt'altri e contrarii risultati. E l'uomo non inferma per natura; bensì può per natura infermare; ma infermando, ciò gli accade contra natura, o fuori e indipendentemente dalla natura, la quale non intese disporlo a infermare.

[3466,1]  Ces hommes qui existent ainsi * (les Chartreux de Rome) sont pourtant les mêmes à qui la guerre et toute son activité suffiraient à peine s'ils s'y étaient accoutumés. C'est un sujet inépuisable de réflexion que  3467 les différentes combinaisons de la destinée humaine sur la terre. Il se passe dans l'intérieur de l'ame mille accidents, il se forme mille habitudes qui font de chaque individu un monde et son histoire. Connaître un autre parfaitement serait l'étude d'une vie entière; qu'est-ce donc qu'on entend par connaître les hommes? les gouverner, cela se peut, mais les comprendre, Dieu seul le fait. * Corinne, livre 10. Chap. 1. t. 2. p. 114. Ciò vuol dire che l'uomo è sommamente e infinitamente o indeterminatamente conformabile, e non è possibile conoscer mai tutti i modi e tutte le differenze in cui lo spirito degl'individui, secondo la diversità delle circostanze (ch'è infinita o indeterminabile), si conforma o si può conformare; per la stessa ragione per cui non si possono conoscere tutte le circostanze possibili ad aver luogo, che possono influire sullo spirito degl'individui, nè tutte quelle che hanno effettivamente influito su tale o tale individuo determinato, nè le loro combinazioni scambievoli, nè le loro minute diversità che producono non piccole differenze di carattere ec.  3468 La maggior cognizione adunque che si possa avere dell'uomo è quella di sapere perfettamente e ragionatamente che gli uomini non si possono mai ben conoscere, perchè l'uomo è indefinitamente variabile negl'individui, e l'individuo stesso per se. E il più certo segno di tal cognizione si è quello di non maravigliarsi mai un punto, e di esser bene e ragionatamente e veramente disposto a non maravigliarsi di qualunque strana {e inaudita e nuova} indole, carattere, qualità, facoltà, azione di qualunque individuo umano noto o ignoto ci possa venire agli orecchi o agli occhi, ci accada o possa accader d'intendere o di vedere, {+in bene o in male.} Chi è veramente giunto a questa disposizione, e l'ha in se ben perfetta, radicata e costante, ed efficace, può dire di conoscer l'uomo il più ch'è possibile all'uomo. È[E] più infatti non può se non Dio, come ben dice la Staël, perchè Dio solo può conoscere e conosce tutti i possibili. Or gli uomini non si possono perfettamente {conoscere,} chi non conosca poco men che tutti i possibili, dico, i possibili di questa natura e di questa terra. (19. Sett. 1823.).

[3518,1]  Superiorità della natura sulla ragione, dell'assuefazione (ch'è seconda natura) sulla riflessione. - Mio timor panico d'ogni sorta di scoppi, non solo pericolosi, (come tuoni ec.), ma senz'ombra di pericolo (come spari festivi ec.); timore che stranamente e invincibilmente  3519 mi possedette non pur nella puerizia, ma nell'adolescenza, quando io era bene in grado di riflettere e di ragionare, e così faceva io infatti, ma indarno per liberarmi da quel timore, benchè ogni ragione mi dimostrasse ch'egli era tutto irragionevole. {Io non credeva che vi fosse pericolo, e sapeva che non v'era pericolo nè che temere; ma io temeva niente manco che se io avessi saputo e creduto e riflettuto il contrario. (puoi vedere la p. 3529.).} Non potè nè la ragione nè la riflessione liberarmi di quel timore irragionevolissimo, perch'esso m'era cagionato dalla natura. Nè io certo era de' più stupidi e irriflessivi, nè di quelli che men vivono secondo ragione, e meno ne sentono la forza, e son meno usi di ragionare, e seguono più ciecamente l'istinto o le disposizioni naturali. Or quello che non potè per niun modo la ragione nè la riflessione contro la natura, lo potè in me la natura stessa e l'assuefazione; e il potè contro la ragione medesima e contro la riflessione. Perocchè coll'andar del tempo, anzi dentro un breve spazio, essendo io stato forzato in certa occasione a sentire assai da vicino e frequentemente di tali scoppi, perdei quell'ostinatissimo e innato timore in modo, che non solo trovava piacere in quello  3520 che per l'addietro m'era stato sempre di grandissimo odio e spavento senza ragione, ma lasciai pur di temere e presi anche ad amare nel genere stesso quel che ragionevolmente sarebbe da esser temuto; nè la ragione o la riflessione che già non poterono liberarmi dal timor naturale, poterono poscia, nè possono tuttavia, farmi temere o solamente non amare, quello che per natura o assuefazione, irragionevolmente, io amo e non temo. {#1. Nè io son pur, come ho detto, de' più irriflessivi, nè manco di riflettere ancora in questo proposito all'occasione, ma indarno per concepire un timore che non mi è più naturale.} Questo ch'io dico di me, so certo essere accaduto e accadere in mille altri tuttogiorno, o quanto all'una delle due parti solamente, o quanto ad ambedue. - Quello che non può in niun modo la riflessione, può {{e fa}} l'irriflessione. (25. Sett. 1823.). {{V. p. 3908.}}

[3525,1]  L'uomo tanto può fare e patire quanto egli è assuefatto di fare e di patire (o che l'assuefazione continui, o che quantunque passata, ne restino gli effetti totalmente o in parte), niente più niente meno. (26. Sett. 1823.).

[3737,1]   3737 Altrove ho detto pp. 2110-12 pp. 2378-80 che non si dà reminiscenza senza attenzione, e che dove non fu attenzione veruna, di quello è impossibile che resti o torni ricordanza. L'attenzione può esser maggiore o minore e secondo la memoria (naturale o acquisita) della persona, e secondo la maggiore o minore durevolezza e vivacità della ricordanza che ne segue. Può essere anche menoma, ma se una ricordanza qualunque ha {pur} luogo, certo è che una qualunque attenzione la precedette. Può essere eziandio che l'uomo non si avvegga, non creda, non si ricordi di aver fatta attenzione alcuna a quella tal cosa ond'e' si ricorda, ma in tal caso, che non è raro, e' s'inganna. Forse l'attenzione non fu volontaria, fors'ella fu anche contro la volontà, ma ella non fu perciò meno attenzione. Se quella tal cosa lo colpì, lo fermò, anche momentaneamente, anche leggerissimamente, anche decisamente contro sua voglia, ancorch'ei ne distogliesse subito l'animo; ciò basta, l'attenzione vi fu, l'averlo colpito non è altro che averlo fatto attendere, comunque pochissimo e per pochissimo, comunque obbligandovelo mal grado suo. (20. Ott. 1823.).

[3804,1]   3804 - Moltissimi, anzi la più parte degli argomenti che si adducono a provare la sociabilità naturale dell'uomo, non hanno valore alcuno, benchè sieno molto persuasivi; perciocch'essi veramente non sono tirati dalla considerazione dell'uomo in natura, che noi pochissimo conosciamo, ma dell'uomo quale noi lo conosciamo e siamo soliti di osservarlo, cioè dell'uomo in società ed infinitamente alterato dalle assuefazioni. Le quali essendo una seconda natura, fanno che tuttodì si pigli per naturale, quello che non è se non loro effetto, e bene spesso contrario onninamente a natura, o da lei diversissimo. Onde gli effetti della società, quello che sola la società ha reso necessario, quello che non è vero se non posta la società, che senza questa non avrebbe avuto luogo ec., si fanno tuttogiorno servire nelle argomentazioni de' filosofi a dimostrare la naturale sociabilità dell'uomo, la necessità della società assolutamente e secondo la nostra natura ec. Di questo genere è quella inclinazione che tutti abbiamo a far parte ad altrui delle nostre sensazioni vive e non ordinarie, piacevoli o dispiacevoli ec., inclinazione della quale ho parlato altrove più volte ed osservato, pp. 85-86 p. 230 pp. 266-68 pp. 339-40 pp. 486-88 pp. 2471-72 , che bench'ella sembri affatto spontanea ed innata, non è che l'effetto dell'assuefazione e del nostro vivere in società, e nell'uomo posto fuori di essa per qualunque circostanza, e massime nell'uomo primitivo e veramente incorrotta[incorrotto], non ha luogo e gli è ignota. Ed infiniti altri sono gli effetti di questo genere che paiono naturalissimi, e dimostrativi della naturale sociabilità dell'uomo, e che per tali  3805 si recano tuttogiorno, ma che per vero non sono naturali, se non in quanto naturalmente hanno luogo, posta la società, e le rispettive circostanze ed assuefazioni non naturali; e naturalmente nascono da tali cagioni; nè possono non nascere, supposte queste. È cosa onninamente e naturalmente difficilissima il discernere tra l'assoluto naturale, e gli effetti dell'assuefazione, massime dell'assuefazione universale, e contratta o cominciata a contrarre fin dalla nascita o da' primi momenti del vivere, com'è l'assuefazione della società, e infinite assuefazioni subalterne da questa dipendenti e cagionate ec. o parti di lei, o da lei supposte ec.; e massime ancora nell'uomo, ch'essendo {di gran lunga} più conformabile e modificabile d'ogni altro animale, facilissimamente e presto si adatta alle assuefazioni, per innaturali ch'elle sieno, e se le converte in natura, e le abbraccia ed arripit, e seco loro s'immedesima in modo che appena l'occhio del più acuto filosofo è bastante a distinguerle dalle disposizioni naturali, e gli effetti loro dalle naturali qualità ed operazioni ec. Quindi non è maraviglia se tanti argomenti ci paiono dimostrativi della naturale sociabilità dell'uomo, e se di questa quasi tutti sono persuasi intimamente, e credono assurdo e impossibile il contrario, e stimano questa persuasione naturalissima, e fondata sopra il più certo ed intimo {e spontaneo} senso, ed autenticata dalla più chiara e sincera e manifesta voce della natura; e mai non deporranno questa credenza. Perocchè  3806 tutti gli uomini che di queste cose possono discorrere o pensare in qualsivoglia modo, filosofi o non filosofi o plebei, sono nati, allevati, formati e vissuti sempre nella società e nelle assuefazioni ad essa appartenenti. Onde, non veramente per prima natura, ma per seconda natura, essi sono tutti in verità esseri sociali, ed a cui la società è propria e necessaria. E s'alcuno è nato e cresciuto fuori della società esso non discorre nè pensa di queste cose, o non prima che la società e le sue assuefazioni, coll'abitudine, gli si sieno convertite in natura. Sicchè nel creder l'uomo naturalmente sociale, e fatto per la società, e di lei bisognoso assolutamente, e la società natural cosa e indispensabile all'uomo, i saggi e gl'idioti, i civili e i barbari, gli antichi e i moderni, e tutte le {diversissime} nazioni e tutte le classi dissimilissime di persone, consentono insieme e consentirono e consentiranno forse più interamente, fortemente, costantemente e per più lungo tempo, che non fecero non fanno e non sono per fare intorno ad alcun'altra quistione speculativa. Ma questo consenso quanto vaglia a dimostrar la proposizione da lui favorita, le cose sopraddette il deggiono fare {giustamente e adeguatamente} estimare.

[3824,1]  Somma conformabilità dell'uomo ec. Tutto in natura, e massime nell'uomo, è disposizione. ec. Straordinaria, ed, apparentemente, più che umana facoltà {e potenza} che i ciechi, o nati o divenuti, hanno negli orecchi, nella ritentiva, nell'inventiva, {nell'attendere} nella profondità del pensare, nell'apprender la musica ed esercitarla e comporne ec. ec. Similmente dei sordi nell'attenzione, nella contenzione e concentrazione del pensiero, nell'imparar cose che paiono impossibili ai sordi nati, fino a leggere, a scrivere, a parlare fors'anche ec. come nelle scuole de' sordi muti. ec. Le quali straordinarie potenze delle parti morali, che si scuoprono nell'uomo per la sola forza delle circostanze, e talora in un individuo medesimo che dapprima non le aveva, come in uno divenuto cieco a una certa età, ec.; sono analoghe a quelle, altrettanto straordinarie, delle parti fisiche, occasionate pur dalle sole circostanze, e che in tanto si credono possibili fisicamente all'uomo, in quanto solamente si vede in fatti qualche individuo che {per forza delle sue} circostanze, è giunto a possederle. Come quello che nato senza braccia, suppliva co' piedi a tutte le funzioni delle mani, fino alle più squisite p. 2269. Delle quali potenze niuno {pure} immagina che l'uomo e le rispettive sue parti morali  3825 o fisiche sieno in alcun modo capaci, se non vede o non conosce i fatti a uno per uno. Così dico di centomila altre facoltà straordinarie morali o fisiche possedute oggi o ne' tempi addietro da individui, o da razze, o da nazioni particolari, per sola forza di circostanze, o di esercizio, o di costumi ec. Come son quelle de' giocolieri indiani, ed eran quelle de' giocolieri messicani ec. de' nostri saltatori, giuocatori di forze, ed anche di lestezza di mano ec. E quel che dico delle facoltà dicasi ancora delle qualità {straordinarie} morali o fisiche, de' costumi, delle abitudini d'ogni sorta ec. straordinarie, o che a noi son tali ec. (4. Nov. 1823.).

[3881,4]  Il vino, il cibo ec. dà talvolta una straordinaria prontezza vivacità, rapidità, facilità, fecondità d'idee, di ragionare, d'immaginare, di motti, d'arguzie, sali, risposte ec. vivacità di spirito, furberie, risorse, trovati, sottigliezze grandissime di pensiero, profondità, verità astruse, tenacità  3882 e continuità ed esattezza di ragionamento anche lunghissimo e induzioni successive moltissime, senza stancarsi, facilità di vedere i più lontani e sfuggevoli rapporti, e di passare rapidamente dall'uno all'altro senza perderne il filo ec. volubilità somma di mente ec. Questo secondo le condizioni particolari delle persone, ed anche le loro circostanze sì attuali {in quel punto,} sì abituali in quel tempo, sì abituali nel resto della vita ec. Ma quello accrescimento di facoltà prodotto dal vino, {{ec.}} è indipendente per se stesso dall'assuefazione. E gli uomini più stupidi di natura, d'abito ec. divengono talora in quel punto spiritosi, ingegnosissimi ec. {+V. p. 3886.} Questo si applichi alle mie osservazioni p. 1553 pp. 1819-22 pp. 3197-206 pp. 3345-47 dimostranti che il talento {e le facoltà dell'animo ec.} essendo in gran parte cosa fisica, e influita dalle cose fisiche ec. la diversità de' talenti in gran parte è innata, e sussiste {anche} indipendentemente dalla diversità delle assuefazioni, esercizi, circostanze, coltura ec. (14. Nov. 1823.).

[3891,2]  Il carattere ec. ec. degli uomini è vario, e riceve notabili differenze non solo da clima a clima, ma eziandio da paese a paese, da territorio a territorio, da miglio a miglio; non parlando che delle sole differenze naturali. Ne' luoghi d'aria sottile, gl'ingegni sogliono esser {+maggiori e più svegliati e capaci, e particolarmente} più acuti e più portati e disposti alla furberia. I più furbi per abito e i più ingegnosi per natura di tutti gl'italiani, sono i marchegiani: il che senza dubbio ha relazione colla sottigliezza ec. della loro aria. Similmente gl'italiani in generale a paragone delle altre nazioni. Mettendo il piede ne' termini della Marca si riconosce visibilmente una fisonomia più viva, più animata, uno sguardo più penetrante e più arguto che non è quello de' convicini, nè de' romani stessi che pur vivono nella società e nell'uso di una gran capitale. Così discorrasi delle altre  3892 differenze ec. Gli abitatori de' monti differiscono notabilmente, se non di corpo, certo di spirito, carattere, inclinazione ec. da quelli degli stessi piani e valli lor sottoposte; i littorani da' mediterranei lor confinanti ec. ec. anche parlando delle sole differenze cagionate dalle diversità naturali de' luoghi ec. Infinito è il numero delle cagioni anche {semplicemente} naturali che producono differenze tra gli uomini, e queste, benchè or maggiori or minori, sempre notabili, e più notabili assai che in niun'altra specie di viventi, a causa dell'estrema conformabilità e modificabilità dell'uomo, e quindi suscettibilità di essere influito dalle cagioni anche menome di varietà, di alterazione ec. che in altri esseri o non producono niuna varietà, o piccolissima ec. Le dette cagioni di varietà s'incrociano per così dir tra loro, perchè il calor del clima produce un effetto, la grossezza dell'aria un altro contrario, e ambedue le dette cagioni s'incontrano bene spesso insieme; e così discorrendo. Esse si temperano, si modificano, si alterano, si diversificano, s'indeboliscono, si rinforzano scambievolmente in mille guise secondo le infinite diversità {loro, e} de' loro gradi, e delle loro combinazioni scambievoli ec. ec. e altrettante diversità, cioè infinite, e diversità di diversità, e tutte notabili, ne seguono ne' caratteri degli uomini. Queste osservazioni si applichino a quelle della p. 3806-10. e a quelle sopra le differenze vere p. 1553 pp. 1819-22 pp. 3197-206 pp. 3344-47 , cioè naturali, de' talenti, o innate, o acquisite e contratte  3893 naturalmente, e per cause {e circostanze} semplicemente naturali e indipendenti nell'esser loro dalle sociali, dagli avvenimenti ec. e che avrebbero operato ed operano per se stesse proporzionatamente anche negli uomini primitivi, ne' selvaggi ec. che operano ancora, benchè infinitamente meno, negli animali, piante ec. ec. {+a proporzione, e} secondo la loro suscettibilità, e la qualità e il grado e le combinazioni ec. d'esse cause e circostanze ec. ec. (18. Nov. 1823.)

[3902,5]  L'uomo che ha molta capacità e quindi facilità, prontezza e moltiplicità di assuefazione, per questa medesima causa ha altrettanta capacità, facilità ec. di dissuefazione. Viceversa nel caso contrario. E sempre proporzionatamente, anzi sempre ugualmente, alla misura dell'una capacità risponde quella dell'altra. L'una  3903 e l'altra o sono la cosa stessa diversamente considerata, o due effetti gemelli d'una stessa causa, che non può produr l'uno senza produr l'altro nel medesimo grado. Dalle medesime cagioni fisiche, morali ec. che producono l'assuefabilità di un uomo o dell'uomo ec. nasce altrettanta sua dissuefabilità. E dall'una si può argomentare all'altra. L'uomo è assuefabile; dunque egli è dissuefabile; o viceversa. Il tale individuo ha tanta capacità di assuefazione; dunque tanta di dissuefazione nè più nè meno.

[3941,3]  La facoltà d'imitazione non è che facoltà di assuefazione; perocchè chi facilmente si avvezza, vedendo o sentendo o con qualunque senso apprendendo, o finalmente leggendo, facilmente, ed anche in poco tempo, riducesi ad abito quelle tali sensazioni  3942 o apprensioni, di modo che presto, e ancor dopo una volta sola, e più o manco perfettamente, gli divengono come proprie; il che fa ch'egli possa benissimo e facilmente rappresentarle ed al naturale, esprimendole piuttosto che imitandole, poichè il buono imitatore deve aver come raccolto e immedesimato in se stesso quello che imita, sicchè la vera imitazione non sia propriamente imitazione, facendosi d'appresso se medesimo, ma espressione. {#1. Giacchè l'espressione de' propri affetti o pensieri {o} sentimenti o immaginazioni ec. comunque fatta, io non la chiamo imitazione ma espressione.} Or come la facoltà d'imitare sia qualità e parte principalissima e forse il tutto de' grandi ingegni, e così degli altri talenti in proporzione, è cosa da molti osservata è[e] spiegata. Dunque riconfermasi che l'ingegno è facoltà di assuefazione. (6. Dec. 1823.). {{V. p. 3950.}}

[3944,1]  La memoria, l'immaginazione e oltre di queste, anche l'altre facoltà dell'animo e dell'ingegno s'indeboliscono e talora si estinguono coll'età, anche indipendentemente dalle circostanze estrinseche della vita, dall'esperienza e dalle altre cose che influiscono sul carattere, spirito, ingegno, e lo modificano ec. Il rimbambimento de' vecchi è cosa molte volte reale, molte volte anche prematuro per malattie, che rendono radoteurs a 50 anni e poco prima o poco poi. Questi tali sono facilissimi a piangere come i fanciulli. Ciò può accadere anche nel fiore e vigor dell'età per debilitamento passeggero o durevole delle forze fisiche, e con esse delle facoltà mentali. Io n'ho veduto gli esempi. Tutto ciò si applichi al mio discorso fatto per provare che v'ha differenze naturali ed ingenite fra' talenti pp. 3197-98 pp. 3206-207 pp. 3344-47 , al qual proposito veggasi ancora la  3945 p. 3891, e 3806-10. e il pensiero seguente. (6. Dec. 1823.).

[3989,1]  Si dans un pays on pouvait découvrir tous les talens que la nature se plait à distribuer au hasard, et qu'on pût employer chacun dans son genre, ce pays deviendrait bientôt le premier de l'Europe. Mais que de sagacité, de soins infinis et de patience faudrait-il pour de telles découvertes? Le Fatum s'est réservé la direction de nos destinées. À bien examiner la chose, nous y avons moins de part que notre orgueil ne nous en attribue. * Lettres du Roi de Prusse et de M. d'Alembert. Lettre 189. du Roi. (16. Dec. 1823.).

[4026,6]  La eccessiva potenza di attenzione è al tempo stesso e per se medesima, potenza di distrazione, perchè ogni oggetto vi rapisce facilmente e potentemente la attenzione distogliendola dagli altri, e l'attenzione si divide; sicchè è anche, per se medesima, impotenza o difficoltà di attenzione, e facilità di attenzione, cose contrarie dirittamente a lei, onde sembra impossibile ch'ella sia insieme l'uno e l'altro, ma il troppo è sempre padre del nulla o volge al {suo} contrario, come altrove pp. 714-17 pp. 1176-79 pp. 1260-61 pp. 1653-54 pp. 1776-77 pp. 2274-75 p. 2478 pp. 3950-51. Quindi principalmente nasce la incapacità di attenzione ne' fanciulli ec. ec. (9. Feb. 1824.).

[4108,3]  Come tutte le facoltà dell'uomo siano acquisite per mezzo dell'assuefazione, e nessuna innata, fin quella di far uso de' sensi, da' quali ci vengono tutte le facoltà; insomma, come l'uomo impari a vedere, e nascendo non abbia questa facoltà, benchè egli non si accorga mai d'impararla, e naturalmente creda che ella sia nata con lui, vedi fra gli altri il Thomas loc. cit. qui sopra, p. 59-60. (2. Luglio. dì della S. Visitazione di Maria. 1824.).

[4166,4]  {(Tanto è lungi che)} Non solo noi non possiamo sapere nè anche sufficientemente congetturare tutto quello di cui sia capace, aiutata da circostanze favorevoli, la natura umana in universale, ma eziandio di un solo individuo, o passato o presente o futuro, noi non possiamo sapere {esattamente} nè congetturare quanta estensione, in circostanze appropriate, avessero potuto {o pur potranno} acquistare le sue facoltà. (Bologna. 21. Feb. 1826.).

[4231,2]  Intermittenza morale. * Passioni e qualità morali intermittenti. - Aggiungerò che quest'odiosa passione (l'avarizia) provenendo sovente dalla debolezza della nostra costituzione, avviene che le infermità corporali talvolta la sviluppino. Una dama che per sei mesi dell'anno era soggetta ai vapori e alla malinconia, era pur anche durante quel tempo d'una sordida parsimonia; ma come appena le funzioni corporee ripigliavano la loro armonia, ella si faceva adorare per la sua grande generosità. * Alibert, Physiologie des passions, nel N. Ricoglitore di Milano, quaderno 23. p. 788. - Questa osservazione si può sommamente estendere. Ciascuno di noi, se bene osserva, troverà in se questa sì fatta intermittenza. Io, inclinato all'egoismo, perchè debole e infermo, sono mille volte più egoista l'inverno che la buona stagione; nella malattia, che nella buona salute, e nella confidenza dell'avvenire; più aperto alla compassione, e facile ad interessarmi per gli altri, e prendere il loro soccorso quando qualche successo mi ha fatto confidente di me medesimo, o lieto, che quando avvilito, o melanconico. - Quante cose poi non si potrebbero dire sopra questa medesima intermittenza, considerata, non nelle qualità, ma nelle facoltà intellettuali e sociali, sia ingenite, sia acquisite! (Recanati. 10. Dic. Festa della Venuta. 1826.).

[4241,3]  Non so s'io m'inganno, ma certo mi par di scorgere nella maniera {} di pensare e sì di scrivere del Galilei un segno e un effetto del suo esser nobile. Quella franchezza e libertà di pensare, placida, tranquilla, sicura, e non forzata, la stessa non disaggradevole, e nel tempo stesso decorosa sprezzatura del suo stile, scuoprono una certa magnanimità, una fiducia ed estimazion lodevole di se stesso, una generosità d'animo, non acquisita col tempo e la riflessione, ma quasi ingenita, perchè avuta fin dal principio della vita, e nata dalla considerazione {altrui} riscossa fin da' primi anni ed abituata. Io credo che questa tale magnanimità e di pensare e di scrivere, dico questa tale, e che non sia nè feroce, nè satirica, o mista dell'uno e dell'altro, non si troverà facilmente in iscrittori o uomini non nati nobili o di buon grado; se egli si guarderà bene. Vi si troverà sempre una differenza. Simili considerazioni si potrebbero fare intorno alla ricchezza, che suol dare allo stile un certo splendore, abbondanza, e forse scialacquo. Simili intorno alla potenza, dignità, fortuna. Simili intorno ai contrarii. Vedi Alfieri Vita sua, capo 1. principio. Messala nitidus et candidus, et quodammodo prae se ferens in dicendo nobilitatem suam. * Quintiliano 10. 1. (6. 1827. Epifania.). {{Forse Galileo non riusciva, come fece, il primo riformatore della filosofia e dello spirito umano, o almeno non così libero, se la fortuna non lo facea nascere di famiglia nobile.}} {{V. p. 4419.}}

[4253,3]  Il bambino, quasi appena nato, farà dei moti, per li quali si potrebbe intender benissimo che egli conosce l'esistenza della forza di gravità dei corpi, in conseguenza della qual cognizione egli agisce. Così di moltissime altre cognizioni fisiche che tutti gli uomini hanno, e che il bambino manifesta quasi  4254 subito. Forse che queste cognizioni e idee sono in lui innate? Non già: ma egli sente in se ben tosto, e nelle cose che lo circondano, che i corpi son gravi. Questa esperienza, in un batter d'occhio, gli dà l'idea della gravità, e gliene forma in testa un principio: del quale di là a pochi momenti gli parrebbe assurdo il dubitare, e il quale ei non si ricorda poi punto come gli sia nato nella testa. Il simile accade appunto nei principii e morali e intellettuali. Ma le idee fisiche ognun concede e afferma non essere innate: le morali, signor sì, sono. Buona pasqua alle signorie vostre. (9. Marzo. 1827. Recanati.).

[4254,4]  I know, by my own experience, that the more one works, the more willing one is to work. We are all, more or less, des animaux d'habitude. I remember very well, that when I was in business, I wrote four or five hours together every day, more willingly than I should now half an hour. * Chesterfield, Letters to his son, lett. 318. I have so little to do, that I am surprised how I can find time to write to you so often. Do not stare at the seeming paradox; for it is an undoubted truth, that the less one has to do, the less time one finds to do it in. One yawns, one procrastinates; one can do it when one will, and therefore one seldom does it at all; whereas those who have a great deal of business, must (to use a vulgar expression) buckle to it; and then they always  4255 find time enough to do it in. Lett. 320. * It is not without some difficulty that I snatch this moment of leisure from my extreme idleness, to inform you of the present lamentable and astonishing state of affairs here. * Lett. 321. (12. Marzo. 1827.). {{v. p. 4281.}}

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Amore. (1827) (1)
Sentimentale. (1827) (1)
Donne, Grandi, Letterati, popolo ec. si maneggiano appunto colle stesse arti. (1827) (1)
Chi più fa, ha più tempo e voglia di fare; chi meno, meno. Applicazione ai letterati, agli uomini di affari, agli antichi. Osservazioni notabili. (1827) (1)