6. Dec. 1823.
[3941,3] La facoltà d'imitazione non è che facoltà di
assuefazione; perocchè chi facilmente si avvezza, vedendo o sentendo o con
qualunque senso apprendendo, o finalmente leggendo, facilmente, ed anche in poco
tempo, riducesi ad abito quelle tali sensazioni
3942 o
apprensioni, di modo che presto, e ancor dopo una volta sola, e più o manco
perfettamente, gli divengono come proprie; il che fa ch'egli possa benissimo e
facilmente rappresentarle ed al naturale, esprimendole piuttosto che imitandole,
poichè il buono imitatore deve aver come raccolto e immedesimato in se stesso
quello che imita, sicchè la vera imitazione non sia propriamente imitazione,
facendosi d'appresso se medesimo, ma espressione. {#1. Giacchè l'espressione de' propri affetti o pensieri
{o} sentimenti o immaginazioni ec. comunque
fatta, io non la chiamo imitazione ma espressione.} Or come la facoltà
d'imitare sia qualità e parte principalissima e forse il tutto de' grandi
ingegni, e così degli altri talenti in proporzione, è cosa da molti osservata
è[e] spiegata. Dunque riconfermasi che
l'ingegno è facoltà di assuefazione. (6. Dec. 1823.). {{V. p. 3950.}}