Perfettibilità o Perfezione umana.
Human perfectibility or perfection.
Vedi polizzine a parte, intitolate Perfettibilità o Perfezione umana. See separate slips, entitled Human perfectibility or perfection. 222,3 371,1 376,1 387-8 391,1 393,1 655,1 830,1 940 1096,1 1170,1 1452,1 1558,2 1569,2 1570,1 1572,1 1597,1 1611,1 1612,1 1618,1 1630,2 1691,2 1699,2 1737,2 1775-6 1858,2 1838,3 1907,2 1923,1 1952,1 1957,2 1959,1.2 1960,1 2114,1 2152,1 2268,1 2270,1 2337,2 2390,1 2391,1 2392,2 2410,1 2479,1 2493,1 2563,2 2567,1 2602,2 2606,1 2644,1 2645,1 2895,2 3078,1 3082,1 3179,1 3374,1 3643,1 3773,1 3957,1 3973,1 4041,7 4135,5 4166,4 4180,4 4185,2 4265,4[222,3]
Dice Macchiavelli che a voler conservare un regno una repubblica
o una setta, è necessario ritirarli spesso verso i loro principii. Così tutti i
politici. V. Montesquieu, Grandeur etc. Ch. 8. dalla metà in poi, dove parla dei
Censori.
Giordani
sulle poesie di
M. di Montrone applica
questo detto alle arti imitatrici. Ai
principii s'intende, non quando erano bambine, ma a quel primo tempo in cui
ebbero consistenza. {(Così anche si potrebbe applicare alle
lingue.)} Ed io dico nello stesso senso; a voler conservare gli
uomini, cioè farli felici, bisogna richiamarli ai loro principii, vale a dire
alla natura. - Oh pazzia. Tu non sai che la perfettibilità dell'uomo è
dimostrata. - Io vedo che di tutte le altre opere della natura è
dimostrato tutto l'opposto, cioè che non si possono perfezionare, ma
alterandole, si può solamente corromperle, e questo principalmente per
nostra mano. Ma l'uomo si considera quasi come fuori della natura, e non
sottomesso alle leggi naturali che governano tutti gli esseri, e appena si
riguarda come
223 opera della natura. -
Frattanto l'uomo è più perfetto di prima. - Tanto perfetto che,
tolta la religione, gli è più spediente il morire di propria mano che il
vivere. Se la perfezione degli esseri viventi si misura dall'infelicità,
va bene. Ma che altro indica il grado della loro perfezione se non la felicità?
E qual altro è il fine, anzi la perfezione dell'esistenza? Il fatto sta che
oggidì pare assurdo il richiamare gli uomini alla natura, e lo scopo vero e
costante anche dei più savi e profondi filosofi, è di allontanarneli sempre più,
quantunque alle volte credano il contrario, confondendo la natura colla ragione.
Ma anche non confondendola, credono che l'uomo sarà felice quando si regolerà
intieramente secondo la pura ragione. Ed allora si ammazzerà da se stesso.
(23. Agosto 1820.). {{V. p.
358.}}
[371,1] Sostengono come indubitato che l'uomo è perfettibile.
Vale a dire ch'egli può perfezionare se stesso, perfezionar l'opera della
natura. Considerate il sistema materiale del mondo, tanto nelle minime che nelle
massime cose, tanto nell'organizzazione di un animale appena visibile, quanto
nell'ordine degli astri, e voi troverete da per tutto un artifizio, una
sapienza, una maestria tale, che non solamente non si può perfezionar nulla di
quanto la natura ha fatto, non solamente non vi si può nè aggiungere nè levarne
cosa alcuna, nè alterare in nessun modo senza guastare, ma quando anche noi
avessimo quella stessa potenza di fare che ha avuto la natura, non c'è uomo
d'ingegno così sottile e profondo e sublime, che fosse capace non dico di
condurre a termine, ma di concepir solamente un piano così magistrale, così
minuto, così strettamente legato insieme e corrispondente, così perfetto in ogni
menomissima parte, come quello che vediamo eseguito dalla natura. Io dunque dico
all'uomo
372 il quale asserisce d'essere perfettibile, e
di potersi, anzi doversi perfezionare da se: perfeziona il tuo corpo, la tua
notomia, la tua costruzione organica, o almeno qualche parte di lei: se non puoi
questo, almeno immagina un disegno più perfetto, più completo, più giusto, più
conveniente, più esatto, più squisito di quello della natura, relativamente alla
organizzazione ec. del tuo corpo. L'uomo si mette a ridere, e confessa che non
solo non c'è cosa più perfetta, ma ch'egli con lunghissimo studio, {dal principio del mondo in poi,} ancora non è arrivato a
comprenderne interamente tutta la perfezione, e ogni giorno rivela qualche altra
cosa da ammirare, ed accresce la sua maraviglia. Or come dunque non potendo
perfezionare il tuo corpo, anzi non potendo neppur comprendere tutta la misura
della sua perfezione naturale, presumi di perfezionare una parte tanto più
nobile, astrusa, e difficile, qual'è lo spirito? Come dunque la natura tanto
perfetta maestra, tanto accurata {e puntuale} e finita
{e intera} in tutto il resto, e nominatamente nel
tuo corpo, è stata così stupida {e manchevole e
difettosa} nella parte più rilevante di te, in quella parte da cui
dipendeva l'uso di quel tuo corpo così perfetto, e che anche doveva molto
influire sugli altri ordini di enti? Come ti ha lasciato da far tanto in quella
parte che più le doveva premere, non avendoti lasciato nulla da fare in quella
che importava meno, e ch'era subordinata alla prima? Come soprattutto presumi di
perfezionare, non solo il tuo spirito,
373 ma anche
l'ordine vastissimo delle altre cose {terrestri,} in
quanto ha stretta relazione e connessione e dipendenza cogli andamenti e lo
stato della tua specie? (2. Dec. 1820.)
[376,1]
L'Essai sur
l'indifférence en matière de religion, prima o seconda pagina
del Capo 9. Ed è
rimarcabile che tutti gli uomini... uniscono costantemente all'idea
della felicità, l'idea del riposo, che non è altro fuorchè quella
pace profonda, inalterabile, di cui gode necessariamente un essere
pervenuto alla sua perfezione, e che S. Agostino chiama per eccellenza, la
tranquillità dell'ordine... In una parola non si trova felicità
fuorchè nel seno dell'ordine; e l'ordine è la sorgente del bene,
come il disordine è la sorgente del male, tanto nel mondo morale,
quanto nel mondo fisico; tanto pei popoli, quanto per
gl'Individui.
*
L'amore dell'ordine, o l'idea della
necessità dell'ordine, che è quanto dire dell'armonia e convenienza, è innata,
assoluta, universale, giacchè è il fondamento del raziocinio, e il principio
della cognizione o del giudizio falso o vero. Ma l'idea di un tal ordine, è
variabile, dipendente dall'abitudine, opinione, ec. è relativa, e particolare.
Il desiderio del riposo, non è in quanto riposo, o quiete, ma {1.} in quanto convenienza, armonia ec. colle qualità e
la natura della specie o dell'individuo. 2. in quanto stabilità, o capacità di
durare. L'uomo e nessun altro essere, non può trovar bene se non se in
377 uno stato che armonizzi colle sue qualità e natura.
Senza questo stato, egli è in una condizione di contrasto, di sconvenienza, e
perciò travaglioso, non per l'assenza della quiete assolutamente, ma
dell'armonia relativa. Se alla sua natura convenisse la guerra, il moto
perpetuo, l'azione continua, egli sarebbe in istato di pena, e violento, quando
fosse costretto al riposo propriamente detto, e non riposerebbe, vale a dire,
non troverebbe felicità, se non che nella guerra o fatica. Il riposo {e la pace} per lui sarebbe disordine, e la fatica {e la guerra} ordine. Sicchè il riposo che noi
desideriamo, non è riposo o quiete assolutamente, ma armonia colla nostra natura
tanto specifica, quanto individuale. Così diremo della stabilità, perchè quello
che contrasta colla nostra natura, se anche ha l'atto della durata, non ha la
potenza o il diritto, cosicchè l'uomo non ci può trovar quiete. Al contrario nel
caso opposto. Ma questa quiete non è quiete assoluta, quasi che la quiete fosse
essenzialmente e primordialmente buona; bensì è quiete relativa, o vogliamo dire
armonia. Non bisogna dunque usare le proposizioni astratte nelle cose relative,
nè pretendere di aver dimostrato che noi amiamo naturalmente un tal ordine,
perciò che amiamo l'ordine. Amiamo l'ordine, l'amano tutti gli esseri; ma qual
ordine? Odiamo il disordine, ma qual è questo disordine? Ciò bisogna
378 cercare, qui di nuovo i filosofi si dividono, e dal
principio antecedente, incontrastabile e confessato, invano si presume di
ricavar nulla di definito e concreto, circa la questione, dello stato e
perfezione destinata particolarmente all'uomo, e desiderata da lui ardentemente.
Io dico dunque: lo stato di perfezione, quello stato di ordine, fuori del quale
non c'è riposo, fuor del quale non c'è la tranquillità dell'ordine, nè la
felicità, è per l'uomo, come per tutte le altre cose esistenti, quello stato in
cui la natura l'ha posto di sua propria mano, e non quello in cui egli o si sia
posto, o si debba porre da se.
[385,1] 2o. E tanto è miser l'uom quant'ei si
reputa,
*
e tanto è beato quant'ei si reputa. Così
tanto è soddisfatto il desiderio di conoscere o concepire, dalla credenza di
conoscere, quanto dalla vera conoscenza, e la verità assoluta è totalmente
indifferente all'uomo anche per questo capo. Anzi il desiderio infinito di
concepire può ben essere in qualche modo e spesso appagato dalla natura col
mezzo della immaginazione {e delle persuasioni false ossiano
errori;} ma non mai dalla ragione col mezzo della scienza, nè dai
sensi col mezzo degli oggetti reali. Che se l'uomo avesse questa tendenza
infinita non al concepire, ma precisamente al conoscere, cioè al vero, perchè la
natura avrebbe posto tanti ostacoli a questa cognizione necessaria alla sua
felicità? {Perchè avrebbe radicate nella sua mente
tanto[tante] illusioni che appena il
sommo incivilimento, e abito di ragionare, può estirpare, e non del
tutto?} Perchè la verità sarebbe così difficile a scoprire? Da che
l'uomo tende infinitamente alla precisa cognizione, nessuna verità è
indifferente per lui.
386 Non solo la cognizione delle
verità religiose, morali ec. ma di qualunque verità fisica ec. ec. diviene
necessaria alla sua felicità. Ora quando anche si voglia supporre che l'uomo
primitivo avesse mezzi sufficienti per conoscere le verità religiose e morali,
(come par che supponga il nostro
libro) è certo che non gli ebbe per infinite altre, è certo che infinite
se ne ignorano ancora, che infinite se ne ignoreranno sempre, che la massima
parte degli uomini è (tolto nella religione rivelata) ignorante quanto i
primitivi, che i fanciulli lo sono parimente, {anche quanto
alla religione.} È certo che quantunque l'uomo conosca Dio ch'è
infinito, non lo conosce nè lo può conoscere infinitamente (come neanche amare,
quantunque l'autore presuma che la nostra facoltà di amare sia infinita, essendo
infinito il desiderio); anzi limitatissimamente. Dunque la sua cognizione non è
infinita; dunque se la sua facoltà di conoscere è infinita, manca del suo
oggetto, e perciò della sua felicità. Dunque l'uomo non può esser felice: dunque
ripeterò coll'autore, egli è un essere contraddittorio, perchè
avendo un fine, cioè la perfezione o la felicità, non ha alcun mezzo
di pervenirvi
*
. E le illusioni che la natura ha
poste saldissimamente in tutti noi,
perchè ce le ha poste? Per contendergli espressamente la sua felicità? E se
l'ignoranza è infelicità, perchè l'uomo esce dalle mani della natura, così
strettamente infelice? In
387 somma le assurdità sono
infinite quando non si vuol riconoscere che l'uomo esce perfetto dalle mani
della natura, come tutte le altre cose; che la verità assoluta è indifferente
all'uomo (quanto al bene, ma non sempre, anzi di rado, quanto al nuocergli); che
lo scopo della sua facoltà intellettiva, non è la cognizione, in quanto
cognizione derivata dalla realtà, ma la concezione, o l'opinione di conoscere,
sia vera, sia falsa. Che vuol dire che gl'ignoranti in luogo di esser più
infelici, sono evidentemente i più felici?
[391,1]
391 Il bene non è assoluto ma relativo. Non è assoluto
nè primariamente o assolutamente nè secondariamente o relativamente. Non
assolutamente perchè la natura delle cose poteva esser tutt'altra da quella che
è; non relativamente, perchè in questa medesima natura tal qual esiste, quello
ch'è bene per questa cosa non è bene per quella, quello che è male per questa è
bene per quell'altra, cioè gli conviene. La convenienza è quella che costituisce
il bene. L'idea astratta della convenienza si può credere la sola idea assoluta,
e la sola base delle cose in qualunque ordine e natura. Ma l'idea concreta di
essa convenienza è relativa. Non si può dunque dire che un essere sia più buono
di un altro, cioè abbia o contenga maggior quantità o somma di bene, perchè il bene non è bene se non in quanto conviene
alla natura degli esseri rispettivi. Solamente, {questo} si può dire degl'individui rispetto agli altri individui
della stessa specie. Ogni specie dunque, ed ogni individuo in quanto è conforme
alla natura della sua specie, è perfetto, e possiede la perfezione: (perfezione
relativa, ma non essendoci perfezione assoluta, cioè tipo di perfezione, nessun
essere o specie è più perfetta di un'altra) possiede tutto il bene che è bene
per
392 lui, perchè il resto non sarebbe bene: è tanto
buono quanto può essere, perchè per lui non c'è buono fuori della sua natura;
anzi fuori di questa, tutto è per lui cattivo, perchè non c'è bene assoluto.
Tutto ciò tanto nel fisico che nel morale. (8. Dicembre. 1820.).
{{Questo io credo che sia il sistema (Leibniziano se non erro)
dell'Ottimismo.}}
[393,1] A quello che ho detto p. 175. fine - 176. principio, riferisci quello che ho
detto p. 153. capoverso primo. I
fanciulli parlano ad alta voce da se delle cose che faranno, delle speranze che
hanno, si raccontano le cose che hanno fatte, vedute ec. o che loro sono
accadute, si lodano, si compiacciono, predicano ed ammirano ad alta voce le cose
che fanno, e non v'è per loro tanta solitudine ed inazione materiale, che non
sia piena società conversazione, ed azione spirituale; società ed azione non
languida nè passeggera, ma energica, presente, simile al vero, accompagnata
anche da gesti e movimenti fisici d'ogni sorta, durevole ed inesauribile.
(9. Dic. 1820.).
[655,1]
Examinez votre caractère, et mettez à profit vos défauts; il n'y en a
point qui ne tienne à quelques vertus, et qui ne les favorise. La Morale
n'a pas pour objet de détruire la nature, mais de la
perfectionner.
*
Mme Lambert, Avis d'une Mère a sa fille,
lieu cité ci-dessus, p.
84. E segue mostrando con parecchi esempi, come ciascuna
656 imperfezione conduca, serva, e quasi racchiuda
qualche virtù, conchiudendo: Il n'y a pas une
foiblesse, dont, si vous voulez, la vertu ne puisse faire quelque
usage.
*
ib. p. citée. Da
queste osservazioni fatte anche da molti altri, si può dedurre una verità molto
generale ed importante, cioè con quanto leggere modificazioni quelle qualità
umane che si chiamano viziose, e si presumono vizi naturali e inerenti, si
riducano e si trovino, non esser altro che buone e giovevoli qualità, e come in
origine e nella prima costituzione dell'uomo fosse buono ancor quello che ora
pare essenzialmente e primitivamente cattivo, perciocchè essendosi facilmente
corrotte quelle prime qualità naturali, e distoltesi dal loro fine, e non
conoscendosi più a qual buon fine potessero esser destinate; la depravazione
nostra ch'è opera dell'uomo, si prende per vizio naturale ed innato; e si
confonde il mal uso delle qualità che si chiamano naturali, col buon uso a cui
la natura le aveva destinate, e che ora non si scuopre più facilmente.
657 In somma da tutto ciò si conferma la dottrina della
perfezione naturale, e primitiva dell'uomo, considerando come sieno
originalmente buone {anche} quelle qualità, che per una
parte si hanno per naturali ed innate, e sono; per l'altra, si hanno per
naturalmente cattive, e non sono: ma questo errore fa che la natura si creda
viziosa, e bisognosa della ragione. La qual ragione, anch'essa, abbiamo
spessissimo dimostrato ch'è un sommo vizio, e contuttociò ell'è innata. Ma tal
quale era innata, non era vizio; bensì è vizio tal quale ella si trova, ed è
adoperata oggidì. (14. Feb. 1821.).
[830,1] Non solamente è ridicolo che si pretenda la
perfettibilità dell'uomo, in quanto alla mente, o a quello che vi ha riguardo,
come ho detto in altro pensiero pp. 371-73, ma anche in quanto ai
comodi corporali. Paiono oggi così necessari quelli che sono in uso, che si
crede quasi impossibile la vita umana, senza di questi, o certo molto più
misera, e si stimano i ritrovamenti di tali comodità, tanti passi verso la
perfezione e la felicità della nostra specie, massime di certe comodità che
sebbene lontanissime dalla natura, contuttociò si stimano essenziali e
indispensabili all'uomo. Ora io non domanderò a costoro come abbian fatto gli
uomini a viver tanto tempo privi di cose indispensabili; come facciano oggi
tanti popoli di selvaggi; parecchi ancora de' nostrali e sotto a' nostri occhi,
tuttogiorno. {+(anzi ancora quegli stessi più che mai
assuefatti a tali cose pretese indispensabili, quando per mille
diversità di accidenti, si trovano in circostanza di mancarne, alle
volte anche volontariamente).}
{Osservate in
questo proposito che essendo certo non potersi perfezionare il corpo
dell'uomo, anzi deperire nella civiltà, e quindi non darsi perfettibilità
dell'uomo in quanto al corpo, (la quale infatti niuno asserì nè
asserirebbe), tuttavia si sostiene la sua perfettibilità infinita in quanto
all'animo (quando intorno al corpo, volendo anche prendere per perfezioni
quelle che oggi si credono tali, e in natura sono la maggior parte il
contrario, certo però la perfettibilità sarebbe finitissima).} I quali
tutti, in luogo di accorgersi della loro infelicità, hanno anzi creduto
831 e credono e si accorgono molto meno di essere
infelici, di quello che noi facciamo a riguardo nostro: e molto meno lo erano e
lo sono, sì per questa credenza, come anche indipendentemente. Non chiamerò in
mio favore la setta cinica, e l'esempio e l'istituto loro, diretto a mostrare
col fatto, di quanto poco, e di quante poche invenzioni e sottigliezze abbisogni
la vita naturale dell'uomo. Non ripeterò che, siccome l'abitudine è una seconda
natura, così noi crediamo primitivo quel bisogno che deriva dalla nostra
corruzione. E che molti anzi infiniti bisogni nostri sono oggi reali, non
solamente per l'assuefazione, la quale, com'è noto, dà o toglie la capacità di
questo o di quello, e di astenersi da questo o da quello; ma anche senza essa
per lo indebolimento ed alterazione formale delle generazioni umane, divenute
oggidì bisognose di certi aiuti, soggette a certi inconvenienti, e quindi
necessitose di certi rimedi, che non avevano alcun luogo nella umanità
primitiva. Così la medicina, così l'uso di certi cibi, di vesti diversificate
secondo le stagioni, di
832 preservativi contra il
caldo, il freddo ec. di chirurgia ec. ec. Lascerò tutte queste cose e perchè
sono state dette da altri, e perchè potrebbero deridermi come partigiano
dell'uomo a quattro gambe. Solamente ripeterò quel ragionamento che ho usato
nella materia della perfettibilità mentale. Dunque se tutto questo era
necessario {o conveniente} alla perfezione e felicità
dell'uomo, come mai la natura tanto accurata e finita maestra in tutto, glielo
ha non solo lasciato ignorare, ma nascosto, quanto era in lei? Diranno che la
natura avendo dato a un vivente le facoltà necessarie, ha lasciato a lui che con
queste facoltà ritrovasse e si procacciasse il bisognevole, e che all'uomo ha
lasciato più che al bruto, perchè a lui diede maggiori facoltà, e così
proporzionatamente ha fatto secondo le maggiori o minori facoltà negli altri
bruti. Altro è questo, altro è mettere una specie di viventi in una infinita
distanza da quello che si suppone necessario al suo ben essere, e alla
perfezione della sua esistenza. Altro è permettere {anzi
volere e disporre} che infinito
833 numero,
che moltissime generazioni di questi viventi restassero prive {o} affatto o in massima parte di cose necessarie alla
loro perfezione. Altro è mettere nel mondo il detto vivente tutto nudo, tutto
povero, tutto infelice e misero, col solo compenso di certe facoltà, per le
quali, solamente dopo un gran numero di secoli, sarebbe arrivato a conseguire
qualche parte del bisognevole a minorare l'infelicità di una vita il cui scopo
non è assolutamente altro che la felicità. Altro è ordinare le cose in modo che
gran parte di questa specie (come tanti selvaggi poco fa scoperti, o da
scoprirsi) dovesse restare fino al tempo nostro, e chi sa fino a quando,
appresso a poco nella stessa imperfezione e infelicità primitiva (il che si può
applicare anche alla pretesa perfettibilità della mente e delle varie facoltà
dell'uomo). E tutto ciò in una specie privilegiata, e che si suppone la prima
nell'ordine di tutti gli esseri. Bel privilegio davvero, ch'è quello di veder
tutti gli altri viventi conseguire immediatamente la loro relativa perfezione
834 e felicità, senza stenti, nè sbagli, ed essa
intanto per conseguire la propria, stentare, tentare mille strade, sbagliare
mille volte, e tornare indietro, e finalmente dovere aspettare lunghissimo
ordine di secoli, per conseguire in parte il detto fine. Osserviamo quanti
studi, quante invenzioni, quante ricerche, quanti viaggi per terra e per mare a
remotissime parte[parti], e combattendo infiniti
ostacoli, sì della fortuna, sì (ch'è più notabile) e massimamente della natura,
per ridurci, quanto al corpo, nello stato presente, e proccurarci di quelle
stesse cose che ora si stimano essenziali alla nostra vita. Osserviamo quante di
queste, ancorchè già ritrovate, abbiano bisogno ancora dei medesimi travagli
infiniti per esserci procacciate. Osserviamo quanto ancora ci manchi, {+quanto sia di scoperta recentissima o
assolutamente, o in comparazione dell'antichità della specie umana;}
quanto ogni giorno si ritrovi, e quanto si accrescano le cognizioni pretese
utili alla vita, anche delle più essenziali (come in chirurgia, medicina ec.);
quante cose si ritroveranno e verranno poi in uso, che a noi avranno mancato, e
che i nostri
835 posteri giudicheranno tanto
indispensabili, quanto noi giudichiamo quelle che abbiamo. Domando se tutta
questa serie di difficilissimi mezzi conducenti al fine primario della natura
ch'è la felicità {e perfezione} delle cose esistenti e
il loro ben essere, e massime de'
viventi, e de' primi tra' viventi, entravano nel sistema, nel disegno, nel piano
della natura, nell'ordine delle cose, nella primordiale disposizione e calcolo
relativamente alla specie umana. Domando se nel piano nell'ordine nel calcolo
de' mezzi conducenti al fine essenziale e primario, ch'è la felicità e
perfezione, mezzi per conseguenza necessari ancor essi, v'entrava anche il caso.
Ora è noto quante scoperte delle più sostanziali in questo genere, e dell'uso il
più quotidiano, e di effetti e applicazioni rilevantissime, non le debba l'uomo
se non al puro e semplice caso. Dunque il puro e semplice caso entrava nel
sistema primordiale della natura; dunque ella lo ha calcolato come mezzo
necessario; dunque
836 ella ne ha fatto dipendere il
fine essenziale e primario; dunque si è contentata che non accadendo il tale e
tale altro caso, o non accadendo in quel tal modo ec. ec. o accadendo bensì
quello ma non questo ec. la specie umana, la maggiore delle sue opere, restasse
imperfetta e infelice, e priva del fine della sua esistenza, e similmente tutte
quelle parti dell'ordine delle cose che dipendono o hanno stretta connessione
colla specie umana.
[1096,1] Non si stimino esagerazioni le lodi ch'io fo dello
stato antico, e delle antiche repubbliche. So bene ancor io, com'erano soggette
a molte calamità, molti dolori, molti mali. Inconvenienti inevitabili nello
stesso sistema magistrale della natura; quanto più negli ordini che finalmente
sono, più o meno, opera umana! Ma il mio argomento consiste nella proporzione e
nel paragone della felicità, o se vogliamo,
1097
infelicità degli uomini antichi, con quella de' moderni, nel bilancio e
nell'analisi della massa de' beni e de' mali presso gli uni e presso gli altri.
Converrò che l'uomo, specialmente uscito dei limiti della natura primitiva, non
sia stato mai capace di piena felicità, sia anche stato sempre infelice. Ma
l'opinione comune è quello[quella] della
indefinita perfettibilità dell'uomo, e che quindi egli sia tanto più felice o
meno infelice, quanto più s'allontana dalla natura; per conseguenza, che
l'infelicità moderna sia minore dell'antica. Io dimostro che l'uomo essendo
perfetto in natura, quanto più s'allontana da lei, più cresce l'infelicità sua:
dimostro che la perfettibilità dello stato
sociale è definitissima, e benchè nessuno stato sociale possa farci
felici, tanto più ci fa miseri, quanto più colla pretesa sua perfezione ci
allontana dalla natura; dimostro che l'antico stato sociale aveva toccato i
limiti della sua perfettibilità, limiti tanto poco distanti dalla natura, quanto
è compatibile coll'essenza di stato sociale, e coll'alterazione inevitabile che
l'uomo ne riceve da quello ch'era primitivamente: dimostro infine con prove
teoriche, e con prove storiche e di fatto,
1098 che
l'antico stato sociale, stimato dagli altri imperfettissimo, e da me perfetto,
era meno infelice del moderno. (27. Maggio 1821.).
[1170,1] Si consideri per l'una parte che cosa sarebbe la
civiltà senza l'uso della moneta. Oltre ch'ella non potrebbe reggersi, non
sarebbe neppur giunta mai ad un punto di gran lunga inferiore al presente,
essendo la moneta, di prima necessità ad un commercio vivo ed esteso, e questo
commercio scambievole vivo ed esteso, tanto delle nazioni, quanto degl'individui
di ciascuna, essendo forse la principal fonte dei progressi della civiltà, o
della corruzione umana. E se bisognassero prove di una proposizione così
manifesta, si potrebbe addurre, fra gli altri infiniti de' popoli selvaggi ec.,
l'esempio di Sparta che, avendo poco uso della moneta per
le leggi di Licurgo, in mezzo al paese
più civile del mondo a quei tempi, cioè la Grecia, si
mantenne sì lungo spazio, e incorrotta, e quasi stazionaria, o certo la sua
civiltà, o corruzione, fu sempre di molti gradi minore di quella degli altri
popoli greci, e {le} andò sempre molti passi
indietro.
[1452,1] Ciascun uomo è come una pasta molle, suscettiva
d'ogni possibile figura, impronta ec. S'indurisce col tempo, e da prima è
difficile, finalmente impossibile il darle nuova figura ec. Tale è ciascun uomo,
e tale diviene col progresso dell'età. Questa è la differenza caratteristica che
distingue l'uomo dagli altri viventi. La maggiore o minore conformabilità primitiva, è la principal differenza di
natura fra le diverse specie di animali, e fra i diversi individui di una stessa
specie. La maggiore o minore conformabilità acquisita (mediante l'uso generale delle assuefazioni,
che produce la facilità delle assuefazioni particolari) e le diverse forme
ricevute
1453 da ciascun individuo di ciascuna specie,
è tutta la differenza di accidente che si trova fra detti individui. Quindi
considerate quanto sia ragionevole l'opinione delle cose assolute, anche dentro
i limiti, e l'ordine effettivo della natura qual ella è, e dilatate questo
pensiero.
[1558,2]
Discorre il Monti (Proposta ec. vol. 1. p. 227.) della separazione da farsi della natura bruta dalla
coltivata.
*
Vedilo. Egli antepone, come si può
{ben} credere, questa a quella. È verissimo. L'arte
emenda, abbellisce, ec. ec. non poche volte la natura. La natura non tocca
dall'arte, spessissimo è intollerabile, dannosa, schifosa
*
(come dice il Monti). Ma come tutto ciò? forse assolutamente? non già; ma
relativamente all'uomo. Or tutto ciò che vuol dire? che la natura ha errato?
ch'ell'è imperfetta nelle sue opere? Così la pensano coloro a' quali par molto
più assurdo che l'uomo non faccia tutto bene, di quello che la natura abbia
1559 fatto ogni cosa male, e sbagliato a ogni tratto, e
vada sempre mendicando l'opera e il soccorso delle sue proprie creature. Ma io
dico. Quelle cose che senza un'infinita arte dell'uomo, non gli giovano, non gli
piacciono, o gli nocciono, o fanno nausea ec. non erano e non son fatte per
l'uomo. Il mondo non è tutto fatto per l'uomo. Quelle cose che eran fatte per
lui, o dovevano aver relazione con lui, ed avercela in quel tal modo, la natura
le ha ordinate con tutta la possibile perfezione al suo bene. Così ha fatto per
tutte le altre cose, il cui bene non sempre si accorda con quello dell'uomo.
[1569,2] Ma ben altro è la conformabilità, che la
perfettibilità. Cosa generalmente non intesa dai filosofi, i quali credono di
aver provato che l'uomo è perfettibile, quando hanno provato ch'è conformabile.
Il che anzi dimostrerebbe l'opposto, cioè che le varie qualità e facoltà non
primitive che si sviluppano nell'uomo mediante la coltura, ec. ec. non sono
ordinate dalla natura, ma accidentali, e figlie delle circostanze, come le
malattie che modificano viziosamente i nostri organi ec. ec.
(27.)
[1570,1]
1570 La nostra civiltà, che noi chiamiamo perfezione
essenzialmente dovuta all'uomo, è manifestamente accidentale, sì nel modo con
cui s'è conseguita, sì nella sua qualità. Quanto al modo, l'ho già mostrato
altrove pp. 830-38.
Quanto alla qualità, essendo l'uomo diversissimamente conformabile, e potendo
modificarsi in milioni di guise dopo che s'è allontanato dalla condizione
primitiva, egli non è tale qual è oggi, se non a caso, e in diverso caso, poteva
esser diversissimo. E questo genere di pretesa perfezione a cui siam giunti o
vicini, è una delle diecimila diversissime condizioni a cui potevamo ridurci, e
che avremmo pur chiamate perfezioni. Consideriamo le storie, e le fonti del
nostro stato presente, e vediamo quale infinita combinazione di cause e
circostanze differentissime ci abbia voluto a divenir quali siamo. La mancanza
delle quali cause o combinazioni ec. in altre parti del globo, fa che gli uomini
o restino senza civiltà, e poco lontani dallo stato primitivo, o siano civili
(cioè perfetti) in diversissimo modo, come i Chinesi. Dunque è manifesto che la
nostra civiltà, che si crede essenzialmente appartenerci, non è stata
1571 opera della natura, non conseguenza necessaria e
{primordialmente} preveduta delle disposizioni da
lei prese circa la specie umana (e tale dovrebb'essere, s'ella fosse
perfezione), ma del caso. In maniera che, per così dire, neppur la natura
formando l'uomo, poteva indovinare, non dico ciò che fosse per divenire, ma come
potesse e dovesse divenir perfetto, e in che cosa consistesse la sua perfezione,
ch'è pur lo scopo e l'integrità di quell'esistenza ch'ella stessa gli dava e
formava. Non sapeva dunque che cosa ella si formasse, giacchè gli esseri e {le cose tutte} non vanno considerate, nè si può giudicar
di loro, e della loro qualità ec. se non se nello stato di perfezione. Or com'è
possibile che la natura la quale ha fatto ogni cosa perfetta, (nè poteva
altrimenti) non abbia nè assegnato verun genere di perfezione alla sua principal
creatura, nè disposto le cose in modo che l'uomo dovesse necessariamente
conseguire questa perfezione, cioè la pienezza e il vero modo del suo essere? e
che gli abbia detto; la perfezione, cioè l'esistenza intera, l'esistenza che
ti conviene, il modo in cui devi essere, la forma e la natura tua propria,
te la darà
1572 il caso come, e quando, e se vorrà,
e quanto vorrà, cioè in quel grado e in quei luoghi che vorrà, e quale
vorrà?
(27 Agos. 1821.).
[1572,1] Che immensa opera è la civilizzazione! quanto
difficile; quanto ne sono lontani da che mondo è mondo la maggior parte degli
uomini! che risultato d'infinite combinazioni accidentali! La perfezione
essenziale alle cose, doveva essere assegnata dalla natura in questo modo alla
principal cosa del nostro sistema, cioè all'uomo? (27. Agos.
1821.)
[1597,1]
1597 Tutto nella natura è armonia, ma soprattutto
niente in essa è contraddizione. Non è possibile che, massime in un medesimo
individuo, in un medesimo genere di esseri, e degli esseri più elevati
nell'ordine naturale, siccom'è l'uomo, la perfezione di una parte principale e
importantissima di esso, voluta e ordinata dalla natura, noccia a quella di
un'altra parte similmente principalissima. Ora se quella che noi chiamiamo
perfezione del nostro spirito, se la civiltà presente fosse stata voluta e
ordinata dalla natura, e se ella fosse insomma veramente la nostra perfezione,
allora la contraddizione assurda che ho detto, si verificherebbe; giacchè è
incontrastabile che questa pretesa perfezione dell'animo nuoce al corpo.
[1611,1] Nessun genere di animali o di cose, per essere qual
deve, ebbe o ha bisogno che sorga un suo individuo fornito di singolari
prerogative naturali o acquisite, che accada la tale scoperta importante, che
{si} dieno le tali e tali infinite combinazioni ec.
ec. La natura quando lo formò, fu ben certa ch'esso sarebbe qual doveva essere,
e qual ella voleva. Ma il genere umano ha avuto ed ha bisogno di tutto ciò, per
arrivare ad essere (così dicono) qual deve. Or dico io: perchè la perfezione
cioè il vero modo di essere del solo genere umano fu abbandonato dalla natura al
caso? È questo un privilegio, o un immenso svantaggio?
1612 Egli è certo che le facoltà del più privilegiato individuo umano,
non bastano di gran lunga a condurlo a quella che si chiama perfezione. Dunque
la natura non ha provveduto alla perfezione cioè al ben essere dell'uomo. - Ma
egli è fatto per la società. - Neppur basta ch'egli si metta in questa società.
Bisogna che questa duri una lunghissima serie di generazioni, e che si stenda
fino a divenir quasi universale. Allora solo l'uomo, e l'individuo potrà
avvicinarsi a quella perfezione alla quale ancora non siamo arrivati. È egli
possibile che tutto ciò sia necessario al ben essere dell'uomo. E che la sua
perfezione fosse posta dalla natura au bout di sì
lunga e difficile carriera, che dopo seimila anni ancora non è compiuta? Oltre
ch'ella, come risulta, dal sopraddetto, non poteva esser sicura che l'uomo vi
arrivasse mai, essendo stata opera di circostanze non mai essenziali, tutti i
pretesi progressi che si son fatti. (2. Sett. 1821.).
[1612,1] Di più: qual sarà poi questa
1613 perfezione dell'uomo? quando e come saremo noi perfetti, cioè veri uomini? in che punto, in che cosa
consisterà la perfezione umana? qual sarà la sua essenza? Ogni altro genere di
viventi lo sa bene. Ma la nostra civiltà o farà sempre nuovi progressi, o
tornerà indietro. Un limite, una meta (secondo i filosofi) non si può vedere, e
non v'è. {Molto meno un punto di mezzo.} Dunque non
sapremo mai {in eterno} che cosa e quale propriamente
debba esser l'uomo, nè se noi siamo perfetti o no ec. ec. {+Tutto è incerto e manca di norma e di modello, dacchè ci
allontaniamo da quello della natura, unica forma e ragione del modo di
essere.}
(2. Sett. 1821.).
[1618,1] La distruzione delle idee innate distrugge altresì
l'idea della perfettibilità dell'uomo. Pare tutto l'opposto, perchè se tutte le
sue idee sono acquisite, dunque egli è meno debitore e dipendente della natura,
e quindi si può e deve perfezionar da se. Ma anche le idee degli animali sono
acquisite, nè essi sono perfettibili. Distrutta colle idee innate l'idea della
perfezione assoluta, e sostituitale la relativa, cioè quello stato ch'è
perfettamente conforme alla natura di ciascun genere di esseri, si viene a
rinunziare alle pazze idee d'incremento di perfezione, di acquisto di nuove
buone qualità (che non sono più buone per se stesse come si credevano), di
perfezionamento modellato sopra le false idee del bene e del male assoluto ed
assolutamente maggiore o minore; e si conclude che l'uomo è perfetto qual egli è
in natura, appena le sue facoltà hanno conseguito quel tanto sviluppo che la
natura gli ha primitivamente {e} decretato, e indicato.
E
1619 non può se non essere imperfetto in altro stato.
Nè la perfezione sua, o quella di verun altro genere, può mai crescere: bensì
quella dell'individuo ec. (3. Sett. 1821.).
[1630,2] Quanto la specie umana oggidì sia vicina a quella
stessa perfezione relativa alla ragione, di cui si mena sì gran vanto, vedi il capo 11. di Wieland, Storia del
saggio Danischmend e dei tre Calender, o
1631 l'Egoista ed il Filosofo. Milano. Scelta Raccolta di
Romanzi. Batelli e Fanfani. vol.
25.
(5. Sett. 1821.).
[1691,2] Voi altri riformatori dello spirito umano, e
dell'opera della natura, voi altri predicatori della ragione, provatevi un poco
a
1692 fare un romanzo, un poema ec. il cui
protagonista si finga perfettissimo e straordinario in tutte le parti morali, e
dipendenti dall'uomo, e imperfetto {o men che perfetto}
nelle parti fisiche, dove l'uomo non ha per se verun merito. Di che si parla in
questo secolo sì spirituale massime in letteratura che oramai par che sdegni
tutto ciò che sa di corporeo, di che si parla, dico, ne' poemi, ne' romanzi,
nelle opere tutte d'immaginazione e sentimento, fuorchè di bellezza del corpo?
Questa è la prima condizione in un personaggio che si vuol fare interessante.
{+La perfettibilità
dell'uomo, come altrove ha[ho] detto
p. 830, non ha che fare col corpo. E
contuttociò la perfezione del corpo, che non dipende dagli uomini nè è
opera della ragione, si è la principal condizione che si ricerca in un
eroe di poema ec. (o si dee supporre, perchè ogni menoma imperfezione
corporale suppostagli guasterebbe ogni effetto) e la più efficace,
supponendolo ancora perfetto nello spirito.} Questa
circostanza non si può tacere; quando anche si taccia, la supplirà il lettore;
ma fare espressamente un protagonista brutto, è lo stesso che rinunziare a
qualsivoglia effetto. (V. ciò che dico in tal proposito dove parlo della
compassione pp. 220-21). Mad.
di Staël non era bella: in un'anima come la sua, questa circostanza
avrà prodotto mille pensieri e sentimenti sublimi, nuovissimi a scriverli,
profondissimi, sentimentalissimi: (così di Virgilio pretende Chateaubriand) ella amava
sopra tutto l'originalità, e poco teneva il buon
1693
gusto (v. Allemagne tome 1. ch. dernier.): ella, come tutti i
grandi, dipingeva ne' suoi romanzi il suo cuore, i suoi casi, e però si serve di
donne per li principali effetti; nondimeno si guarda bene di far brutti o men
che belli i suoi eroi o le sue eroine. Tutto lo spregiudizio, tutto l'ardire,
tutta l'originalità di un autore in qualsivoglia tempo non può giunger fin qua.
Che cosa è la bellezza? lo stesso in fondo, che la nobiltà e la ricchezza: dono
del caso? È egli punto meno pregevole un uomo sensibile e grande, perchè non è
bello? {+Quale inferiorità di vero merito
si trova nel più brutto degli uomini verso il più bello?} Eppure non
solamente lo scrittore o il poeta si deve guardare dal fingerlo brutto, ma deve
anche guardarsi da entrare in comparazioni sulla {sua}
bellezza. Ogni effetto svanirebbe se parlando o di se stesso (come fa il Petrarca) o del suo eroe, l'autore
dicesse ch'egli era sfortunato nel tale amore perchè le sue forme, o anche il
suo tratto e maniere esteriori (cosa al tutto corporea) non piacevano all'amata,
o perch'egli era men bello di un suo rivale ec. ec. Che cosa è dunque il mondo
fuorchè
1694 NATURA? Ho detto [pp. 601-603]
p. 1026
p. 1262
p. 1657 che l'intelletto umano è materiale in tutte le sue operazioni
e concezioni. La teoria stessa dell'intelletto si deve applicare al cuore e alla
fantasia. La virtù, il sentimento, i più grandi pregi morali, le qualità
dell'uomo le più pure, le più sublimi, infinite, le più immensamente lontane in
apparenza dalla materia, non si amano, non fanno effetto veruno se non come
materia, e in quanto materiali. Divideteli dalla bellezza, o dalle maniere
esteriori, non si sente più nulla in essi. Il cuore può bene immaginarsi di
amare lo spirito, o di sentir qualche cosa d'immateriale: ma assolutamente
s'inganna.
[1699,2]
Alla p. 1562.
fine. Non si dà salvatichezza
in natura. Bensì per noi. Ciò vuol dire che non siamo quali dovevamo. Quello che
per noi è salvatico, o non doveva servirci, e non era destinato all'uomo, o non
è salvatico se non perchè noi siamo civili, e incapaci quindi di servircene come
avremmo dovuto, e come la natura avea destinato. Non si nega che la coltura, i
nesti ec. non migliorino le piante le frutta, e le razze loro, molte delle quali
1700 nel loro stato di salvatichezza, non ci potrebbero servire affatto, o ci
servirebbero, o diletterebbero assai meno. ec. Così dico degli animali. ec. Ma
questo miglioramento è relativo al nostro stato presente, non mica alla natura
di quelle razze ec. pretese migliorate, nè alla natura propria nostra. Infatti
quelle razze ec. coi miglioramenti che ricevono dalle nostri[nostre] arti, acquistano qualunque altra qualità fuorchè il
vigore, la robustezza, la sanità, la forza di resistere alle intemperie alle
fatiche ec. di operare ec. di crescere proporzionatamente ec. Anzi quanto
guadagnano in altre qualità (non proprie nè primitive loro) altrettanto perdono
in questa, ch'è il vero carattere della natura in tutte le sue opere, e senza la
cui rispettiva dose proporzionata alla natura di ciascun genere, l'individuo è
insomma in istato di malattia abituale. {
V. la Veterinaria di
Vegezio, prologo al lib.
2., nel passo riportato
dal Cioni, Lettera a G. Capponi sopra Pelagonio, not.
19.} Il vigore rispettivo è la prima e più necessaria
di tutte le facoltà, perchè insomma non è altro che la facoltà di pienamente
esercitare tutte le proprie facoltà, e tutte le qualità rispettive della propria
natura, e tutta la perfezion fisica della propria esistenza. Senza la qual
perfezione
1701 fisica (che la natura ha dato
immediatamente a tutti i generi, ed all'umano come agli altri, a differenza
della pretesa perfezione dell'animo), nè l'animo (che dipende in tutto dal
fisico) nè l'intero animale può mai essere se non imperfetto. (14. Sett.
1821.).
[1737,2] Da che nacque l'invenzione del
1738 canocchiale che ha tanto influito sulla navigazione, sulla stessa
filosofia metafisica, e quindi sulla civilizzazione? Dal caso. E l'invenzione
della polvere che ha mutato faccia alla guerra, ed alle nazioni, e tanto
contribuito a geometrizzare lo spirito del tempo, e distruggere le antiche
illusioni, insieme col valore individuale ec. ec.? Dal caso. Chi sa che
l'aereonautica non debba un giorno sommamente influire sullo stato degli uomini?
E da che cosa ella deriva? Dal caso. E quelle scoperte infinite di numero,
sorprendenti di qualità, che furono necessarie per ridurre l'uomo in quel
medesimo imperfetto stato, in cui ce lo
presenta la più remota memoria che ci sia giunta delle nazioni; scoperte che
hanno avuto bisogno di lunghissimi secoli e per essere condotte a quella
condizione ch'era necessaria per una società alquanto formata, e per essere poi
perfezionate come lo sono oggidì; scoperte che oggi medesimo, dopo ch'elle son
fatte da tanto tempo, dopo ch'elle sono perfezionate, dopo che la nostra mente
vi s'è tanto abituata,
1739 lo spirito umano si
smarrisce {cercando} come abbiano potuto mai esser
concepite; le lingue, gli alfabeti, l'escavazione e fonditura de' metalli, la
fabbrica de' mattoni, de' drappi d'ogni sorta, {la nautica e
quindi il commercio de' popoli,}
{+la coltura de' formenti, e delle viti,
e la fabbrica del pane e vino, invenzioni che gli antichi attribuivano agli
dei, che la scrittura pone dopo il diluvio, e che certo furono
tardissime,} la stessa cocitura delle carni, dell'erbe, ec. ec. ec.
tutte queste maravigliose e quasi spaventose invenzioni, da che cosa crediamo
che abbiano avuto origine? Dal caso. Consideriamo tutte le difficili scoperte
moderne, fatte pure in tempo dove la mente umana aveva tanti, ed immensi aiuti
di più per inventare; e vedendo che tutte in un modo o nell'altro si debbono al
caso, e nessuna o pochissime derivano da spontanea e deliberata applicazione
della mente umana, nè dal calcolo delle conseguenze, e dal preciso progresso dei
lumi; {+pochissime ancora da tentativi
diretti, e sperienze appositamente istituite, benchè a tastoni e all'azzardo
(come furono per necessità, si può dir, tutte quelle pochissime che
fruttarono qualche insigne scoperta);} molto più dovremo creder lo
stesso di tutte le scoperte antiche le più necessarie all'esistenza di una
società formale. Se dunque porremo attenzione all'andamento delle cose, e alla
storia dell'uomo, dovremo convenire che tutta quanta la sua civilizzazione è
pura opera
1740 del caso. {+Il quale variando ne' diversi remoti paesi, o mancando,
ha prodotto quindi diversi generi di civilizzazione (cioè perfezione), o
l'assoluta mancanza di essa.} La perfezione del primo essere vivente
doveva dunque essere dalla natura incaricata all'azzardo? (19. Sett.
1821.).
[1775,1]
1775 Consideriamo la gran quantità delle persone
imperfette o nella forma o nelle facoltà del corpo, sia dalla nascita, sia per
infermità {naturali} sofferte nell'infanzia o nella
fanciullezza, prima insomma del perfetto ed intero sviluppo della macchina, e
della maturità del corpo. Paragoniamo questo numero di persone imperfette nella
loro maturità naturale, a quello degl'individui imperfetti in qualsivoglia
specie di animali, avuta ragione della rispettiva numerosità di ciascuna specie, e lo troveremo
strabocchevolmente maggiore. Che vuol dir ciò, se non che l'uomo è corrotto, e
che il suo stato presente non è quello che gli conviene? Così per certo
giudicheremmo e giudichiamo ogni qual volta ci vien fatta qualche simile
osservazione intorno a qualunque specie o genere di enti naturali appartenente a
qualsivoglia de' tre regni. Solamente a riguardo dell'uomo siamo ben lungi dal
pronunziare un tale o simile giudizio; perchè l'uomo
1776 secondo noi, non ha che far colla natura, e le sue imperfezioni derivano non
già dall'essersi egli allontanato, ma dal non essersi abbastanza ancora
allontanato dalla natura.
[1858,2] Da tutto ciò deducete 1. l'impotenza, e la
contraddizione che involve in se, ed introduce nell'uomo, e nell'ordine delle
cose umane, la ragione, la quale per far grandi effetti e decisi progressi ha
bisogno di quelle stesse disposizioni naturali ch'ella distrugge o n'è
distrutta, l'immaginazione e il sentimento. Facoltà generalmente {+e naturalmente} parlando
incompatibili con lei, massime dovendo esser questa e quelle in
1859 grado sommo. Vedete quanto sieno naturali i grandi
progressi della ragione, quanto la natura gli abbia favoriti nel fabbricar
l'uomo, quanto sia facile e naturale il conseguimento della pretesa perfezione
umana. Laddove l'immaginazione e il sentimento non hanno alcun bisogno della
ragione. E siccome, sebben questa e quelle sieno qualità naturali, nondimeno
quelle si ponno considerar come più proprie della natura, più generali, più
perfetti modelli di essa, meglio armonizzanti con lei, più singolarmente proprie
dell'uomo e delle nazioni e de' tempi naturali, de' fanciulli ec. così vedete la
gran superiorità della natura sulla ragione, e su tutto ciò che l'uomo si
proccura, si fabbrica, si perfeziona da se stesso e col tempo.
[1838,3] Quindi si veda quanto sia difficile a trovare un
vero e perfetto filosofo. Si può dire che questa qualità è la più rara e strana
che si possa concepire, e che appena ne sorge uno ogni dieci secoli, seppur uno
n'è mai sorto. (Qui riflettete quanto
1839 il sistema
delle cose favorisca il preteso perfezionamento dell'uomo mediante la perfezione
della ragione e della filosofia.) È del tutto indispensabile che un tal uomo sia
sommo e perfetto poeta; ma non già per ragionar da poeta; anzi per esaminare da
freddissimo ragionatore e calcolatore ciò che il solo
{ardentissimo}
poeta può conoscere. Il filosofo non è
perfetto, s'egli non è che filosofo, e se impiega la sua vita e se stesso al
solo perfezionamento della sua filosofia, della sua ragione, al puro
ritrovamento del vero, che è pur l'unico e puro fine del perfetto filosofo. La
ragione ha bisogno dell'immaginazione e delle illusioni ch'ella distrugge; il
vero del falso; il sostanziale dell'apparente; l'insensibilità la più perfetta
della sensibilità la più viva; il ghiaccio del fuoco; la pazienza
dell'impazienza; l'impotenza della somma potenza; il piccolissimo del
grandissimo; la geometria e l'algebra, della poesia. ec.
[1907,2] Non v'è cosa più sciocca e ingiuriosa alla natura
del dire e ripetere continuamente che la perfezione non è propria delle cose
create, che niente al mondo è perfetto, che le cose umane sono imperfette, che
non vi può esser uomo perfetto ec. ec. Che cosa mancava a quella insigne maestra
ch'è la natura per far le sue opere perfette? forse l'intelligenza? forse il
potere? Certo che nulla è nè può esser perfetto secondo la frivola idea che noi
ci formiamo di una perfezione assoluta,
1908 che non
esiste, di una perfezione indipendente da qualunque genere di cose, ed anteriore
ad essi, quando in essi soli è rinchiusa ogni perfezione, da essi deriva, e in
essi e nel loro modo di essere, ha l'unica ragione dell'esser suo, e dell'esser
perfezione. Certo che nulla è perfetto in un modo che non è, in un modo in cui
le cose non sono; e la natura delle cose che sono, non può corrispondere a
quello ch'è fuor di loro, e non è riposto in nessun luogo. Noi sognando andiamo
a cercare la perfezione di ciò che vediamo, fuori dell'esistenza, mentr'ella
esiste qui con noi, e coesiste a ciascun genere di cose che conosciamo, {+e non sarebbe perfezione in verun altro
caso possibile.} Non è maraviglia dunque se tutto ci pare imperfetto,
quando per perfetto intendiamo l'esistere in un modo in cui le cose non son
fatte, laddove la perfezione non consiste e non ha altra ragione di esser tale,
che nel modo in cui le cose son fatte, ciascuna nel suo genere.
[1923,1] Notate. L'uomo in assoluto stato di natura, il
bambino, non differisce dagli animali (massime da quelli che nella catena del
genere animale sono più vicini alla specie umana), se non per un menomo grado
ch'egli ha di maggior disposizione ad assuefarsi. La differenza è dunque
veramente menoma, e perfettamente gradata, fra l'uomo {in
natura,} e l'animale il più intelligente, come fra questo e l'altro un
po' meno intelligente ec. Ma di menoma, diventa somma, coll'esser coltivata,
cioè col porre in atto e in esercizio quella alquanto maggiore disposizione che
l'uomo ha ad assuefarsi. Un'assuefazioncella ch'egli può acquistare, e l'animale
no, perchè alquanto meno disposto, ne facilita un'altra. Due assuefazioni (se
così posso esprimermi) già acquistate, mediante
1924
quel piccolissimo mezzo di più, che la natura ha dato all'uomo, gliene
facilitano altre sei o otto, ed accrescono nella stessa proporzione la facilità
di acquistarle. Ecco che l'uomo viene acquistando mediante le sole assuefazioni
la facoltà di assuefarsi. La quale da una piccolissima disposizione naturale,
quasi dal grano di senapa, cresce sempre gradatamente, ma con proporzioni sempre
crescenti, in modo che a forza di assuefazioni acquistate, e della facoltà di
assuefarsi, l'uomo arriva a differenziarsi infinitamente da qualunque animale e
dall'intera natura. E similmente col progresso delle generazioni arriva colla
stessa proporzione crescente, a sempre più differenziarsi dal suo stato
naturale, dagli uomini primitivi, dagli antichi ec. ec. L'andamento, o il così
detto perfezionamento dello spirito umano rassomiglia interamente alla
progressione geometrica che dal menomo termine, con proporzione crescente arriva
all'infinito. Siccome
1925 appunto l'uomo da una menoma
differenza o superiorità di naturale disposizione arriva ad una interminabile
differenza dagli altri animali. E non è dubbio che quella che si chiama
perfettibilità dell'uomo è suscettibile di aumento in infinito come la
progression geometrica, e di aumento sempre proporzionalmente maggiore.
(15. Ott. 1821.).
[1952,1] Il toccar con mano che nessuno stato sociale fu nè
sarà nè può esser perfetto, cioè perfettamente equilibrato ed armonico nelle sue
forze costitutive, e nella sua ordinazione al ben essere dei popoli e
degl'individui (tutti i savi lo confessano); e che quando anche potesse esser
tale da principio, (come una monarchia, una repubblica) la stessa assoluta
essenza della società porta in se i germi della corruzione, e distrugge
immancabilmente e prestissimo questa perfezione, quest'armonia ec. ne' suoi
principii costitutivi; non è ella una prova bastante che l'uomo non è fatto per
la società, o almeno per una società stretta, e d'
1953
uomini inciviliti, e {che} questa è incompatibile con
la natura umana, e contraddittoria ne' suoi principii? Una tal società da un
lato abbisogna, dall'altro produce immancabilmente la civiltà; e la civiltà
distrugge la perfezione e l'armonia di qualunque siffatta società. Essa non può
trovarsi in natura, e frattanto, come altrove ho mostrato p. 1173
p.
1596, ella non può essere perfetta {e perfettamente
ordinata al suo fine,} che in natura e fra uomini naturali. (19.
Ott. 1821.).
[1957,2] La natura è infinitamente e diversissimamente
conformabile tutta quanta. Essa ha però disposto le cose in modo che quegli
agenti e quelle forze animali o no, che la debbono conformare, la conformino in
quella tal maniera ch'essa intendeva,
1958 e che
risponde al suo sistema, al suo disegno, al suo {primo}
piano, all'ordine da lei voluto. Se dunque l'uomo facendo evidentissimamente
violenza alla natura, e vincendo infiniti ostacoli naturali, è giunto a
conformare e se stesso, e quella parte di natura che da lui dipendeva
naturalmente, e quella molto maggiore che n'è venuta a dipendere in sola virtù
della di lui alterazione; è giunto dico a conformar tutto ciò in modo
diversissimo da quel piano, da quell'ordine, che col savio ragionamento si sopre
destinato, inteso, avuto in mira, voluto, disposto dalla natura; questa non può
essere una prova nè contro la natura, nè che la natura non abbia voluto
effettivamente quel tal ordine primitivo; nè che la perfezion delle cose, quanto
all'uomo, non si sia perduta; nè che l'andamento della nostra specie, e di
quanto ne dipende o le appartiene, sia naturale; nè che la natura non avesse
effettivamente
1959 di mira, non avesse concepito, e
con tutte le forze proccurato un ordine di cose quanto semplice ne' suoi
principii costitutivi, ne' suoi elementi, nelle sue forze produttrici, nelle sue
qualità analizzate e decomposte; tanto certo, determinato, costante, e al tempo
stesso armonico, fecondo e variatissimo ne' suoi effetti, suscettibile
d'infinite modificazioni, e soggetto anche a molte accidentali disarmonie,
sebben forse non per altro che per maggiore armonia. (20. Ott.
1821.).
[1960,1] Non crediamo già che le bestie non sieno capaci
anch'esse di corruzione. Non tanto quanto l'uomo perchè meno conformabili; non
tanto generale, perchè essendo meno conformabili sono meno sociali; non tanto
estensibile agli oggetti estranei alla loro specie, perchè quella stessa natura
che le fa tanto meno conformabili dell'uomo, dà loro tanto minore influenza
sulle cose, influenza il cui sommo grado deriva nell'uomo dalla di lui somma
conformabilità che nel sistema della natura, tutta conformabile, costituisce la
superiorità dell'uomo fra tutti gli esseri. Ma pur sono capacissime di
corruzione individuale, ed estensibile anche fino a un certo segno alle loro
particolari società. Sono capacissime di misfatti, e quella bestia, che per
pigrizia o altro uccide il proprio figlio, pecca contro natura e contro
coscienza. Noi conosciamo poco la natura degli animali, e crediamo che tutti
1961 e in tutto ciò che fanno ec. ec. sieno
precisamente conformi alle leggi e all'ordine della loro natura. Ma così pur
giudicheranno essi dell'uomo, e quella specie di quell'altra ec. (20. Ott.
1821.).
[2114,1] Gli antichi pensatori Cristiani, S. Paolo,
2115 i padri, e
prima anche del Cristianesimo, i filosofi gentili, s'erano ben accorti di una
contraddizione fra le qualità dell'animo umano, di una lotta e nemicizia
evidente fra la ragione e la natura, di un impedimento essenziale ed ingenito
nell'uomo (qual era divenuto) alla felicità, e per conseguenza di una
degenerazione e corruzione dell'uomo, conosciuta e predicata anche nelle
antichissime mitologie.
[2152,1] Di molte facoltà umane che si considerano come
naturali, o poco meno, o volute dalla natura ec., considerandole bene si vedrà,
che la natura non ne avea posto nell'uomo neppure (per dir così) la
disposizione, una disposizione cioè determinata, diretta, vicina, ma così
lontana, ch'essa non è quasi altro che possibilità. Così è. Infinite sono {e
comunissime} e giornaliere quelle facoltà umane, delle quali l'uomo
non deve alla natura, altro che la purissima possibilità di acquistarle, e contrarle. (23. Nov.
1821.).
[2268,1] Per mostrare come le facoltà umane e animali
derivino tutte dall'assuefazione e di che cosa sia {ella} capace, e come lo spirito, e gli organi esteriori e interiori
dell'uomo sieno maravigliosamente modificabili secondo le circostanze
variabilissime e indipendenti affatto dall'ordine primitivo, voluto, e generale
della natura, ho citato le facoltà dei ciechi, sordi, ec. p. 1569. Aggiungo.
Non è egli evidente che la natura ha destinato le mani ad operare, e
2269 i piedi non ad altro che a camminare ec.? Chi dirà
ch'ella abbia dato ai piedi la facoltà delle stesse cose che può far la mano?
Eppure i piedi l'acquistano; e risiede in essi o altrettanta o poco minore
disposizione che nelle mani, a tutte le facoltà e funzioni di questa. Io ho
veduto un fanciullo nato senza braccia, far coi piedi le operazioni tutte delle
mani, anche le più difficili, e che non s'imparano senza studio. Ho inteso da un
testimonio di vista, di una donzella benestante che ricamava coi piedi. Che vuol
dir ciò? Tanta facoltà naturale risiede nelle mani quanta nei piedi, cioè
nessuna in nessuno dei due. L'assuefazione sola e le circostanze la proccurano
alle une, e la possono proccurare agli altri.
[2270,1]
2270 Come dunque sarebbe assurdo il dire che la natura
abbia dato al piede le facoltà della mano, e nondimeno vediamo che esso le
acquista; così parimente è stolto il dire che la natura abbia dato alla mano
alcuna facoltà, ma solamente la disposizione e la capacità di acquistarne;
disposizione ch'ella ha pur dato al piede, bench'ella resti non solo inutile, ma
sconosciuta e neppur sospettata in quasi tutti gli uomini; disposizione che non
è quasi altro che possibilità;
disposizione maggiore certo nella mano, che la natura aveva espressamente
destinata ad acquistare le sue facoltà ec. (altro è però destinarla, altro porvi
essa stessa veruna facoltà ingenita); e però l'aveva provveduta di maggior
numero di articolazioni, e postala in parte più adattata ad operare ec.
Discorrete allo stesso modo di tutte le facoltà umane, e di tutti gli organi
intellettuali, esteriori, interiori ec. L'argomento va in regola, e dalle cose
più materiali chiare e visibili, si può e si deve
2271
inferire e spiegare la natura ec. delle meno chiare e facili, e meno materiali
in apparenza. (22. Dic. 1821.).
[2337,2] Volete veder come sia naturale lo stato presente
dell'uomo? Anche quello dell'agricoltore che pur conserva, tanto più che gli
altri, della natura? L'uomo presente, e già da gran tempo, vuol latte vuol biade
per cibarsi, vino per dissetarsi, lana per vestirsi, vuole uova ec. ec. Ecco
seminagioni, vigne, pecore, capre, galline, buoi per arare ec. vacche per
partorirli, e per latte ec. Ma il capro nuoce anzi distrugge la vigna; così
fanno i buoi ed alla vigna e ad ogni albero da frutto se vi si lasciano
appressare; le greggi, e gli armenti, e il
2338 pollame
ec. sterminerebbero i seminati se non si avesse infinita cura d'impedirlo; il
pollame nuoce alle stalle delle greggi, e degli armenti; i danni del porco
sarebbero infiniti ai campi e al bestiame, se non vi si avesse l'occhio ec. ec.
Insomma i bisogni che l'uomo si è fabbricati, anche i più semplici, rurali, ed
universali, e propri anche della gente più volgare e men guasta, si
contraddicono, si nocciono scambievolmente; e la cura dell'uomo non dev'esser
solo di procacciare il necessario a questi bisogni con infiniti ostacoli, ma nel
provvedere all'uno, guardare assai, perchè quella provvisione nuoce ad un altro
bisogno ec. E pure è certo che più facilmente potremo annoverar le arene del
mare di quello che trovare una sola contraddizione in qualunque di quelle cose
che la natura ha veramente e manifestamente resa necessaria, o destinata all'uso
sì dell'uomo, come di qualunque animale, vegetabile ec. (8. Gen.
1822.). {{V. p.
2389.}}
[2390,1]
2390 L'attenzione de' fanciulli è scarsa 1. per la
moltitudine e forza delle impressioni in quell'età, conseguenza necessaria della
novità ed inesperienza: le quali impressioni tirando fortemente l'attenzione
loro in mille parti e continuamente, l'impediscono di esser sufficiente in
nessuna: e questa è la distrazione che s'attribuisce ai fanciulli, tanto più
distratti, quanto più suscettibili di sensazioni vive e profonde: 2. perchè
anche la facoltà di attendere non si acquista senz'assuefazione ec: 3. perchè la
natura ha provveduto in modo che fin che l'uomo è nello stato naturale, come
sono i fanciulli, poco e insufficientemente attende, essendo l'attenzione la
nutrice della ragione, e la prima ed ultima causa della corruzione ed infelicità
umana. (16. Feb. 1822.)
[2391,1]
2391
Ma nulla fa chi troppe
cose pensa.
*
Tasso
Aminta, Atto 2. scena 3. v. ult.
(20. Feb. primo di Quaresima. 1822.).
[2392,2] Asseriscono che la natura ha data espressamente
all'uomo la facoltà di perfezionarsi, e voluto che l'adoprasse, e però non ha
provveduto a lui del necessario così bene come agli altri animali, anzi glien'ha
mancato anche nel più essenziale. E da questa facoltà vogliono che l'uomo sia
tenuto per superiore e più perfetto degli altri esseri. 1. Vi par questa una
bella provvidenza? Dare all'uomo la facoltà di perfezionarsi, cioè di conseguire
la felicità propria della sua natura; ma frattanto perchè questa perfezione non
si poteva conseguire se non dopo lunghissimo spazio di tempo, e successione
d'infinite esperienze,
2393 fare decisamente, e
deliberatamente infelici un grandissimo numero di generazioni, cioè tutte quelle
che dovevano essere innanzi che questa perfezione propria dell'esser loro, e non
per tanto difficilissima e remotissima, si potesse conseguire, come ancora non
possono affermare che si sia fatto. E per rispetto di questa medesima facoltà di
perfezionarsi, di questo dono, di questo massimo privilegio dato dalla natura
alla specie umana, mancare alla medesima del necessario, quando era evidente che
questa facoltà non avrebbe avuto effetto, e non avrebbe potuto supplire al
preteso mancamento della natura verso di noi, se non dopo lunghissimo tempo, e
dopo che moltissime generazioni avrebbero dovuto, a differenza di tutti gli
altri esseri, sentire e sopportare il detto mancamento, e l'infelicità che
risulta dal non essere nello stato proprio della propria natura. In verità che
questo, se fosse vero, mostrerebbe una gran predilezione della natura verso di
noi, e gran superiorità nostra sugli altri esseri. 2. Non essendo la perfezione
altro
2394 che l'essere nel modo conveniente alla
propria natura, e tutti gli animali e le cose essendo così, tutte sono perfette
nel loro genere, e ciò vuol dire che son perfette assolutamente, non potendo la
perfezione considerarsi fuori del genere di cui si discorre. La natura dunque
(giacchè gli animali e le cose non hanno acquistata questa perfezione da loro, e
sono in tutto secondo natura) ha fatto gli animali e le cose tutte perfette.
L'uomo solo, secondo voi, l'ha fatto perfettibile. Bella superiorità e
privilegio. Dare agli altri il fine, a voi il mezzo; a tutti la perfezione, a
voi non altro che il mezzo di ottenerla. E di più un mezzo o inefficace e quasi
illusorio, o così poco efficace, che, lasciando gl'infiniti ostacoli, e
l'immenso spazio di tempo che s'è dovuto passare prima di ridurci allo stato
presente, in questo ancora non possiamo esser tanto arditi nè sciocchi da darci
per perfetti (che vorrebbe dir felici, quando siamo il contrario): e oltre a
questo non sappiamo quando lo potremo essere: anzi non possiamo congetturar
neppure in che cosa potrà consistere la nostra
2395
perfezione se mai s'otterrà: e per ultimo, se parliamo da vero, siamo o dobbiamo
essere omai più che persuasi, che la detta perfezione, qualunque ce la
figuriamo, non s'otterrà mai, e non diverremo mai più felici. E pur gli animali
lo sono dal principio del mondo in poi, senza essersi mossi dalla natura. Ecco
la superiorità naturale su tutti gli esseri, che si scopre in noi mediante la
bella e generale supposizione della nostra perfettibilità. (5. Marzo
1822.).
[2410,1] Dalla mia teoria
del piacere segue che per essenza naturale e immutabile delle cose,
quanto è maggiore e più viva la forza, il sentimento, e l'azione e attività
interna dell'amor proprio, tanto è necessariamente maggiore l'infelicità del
vivente, o tanto più difficile il conseguimento d'una tal quale felicità. Ora la
forza e il sentimento dell'amor proprio è tanto maggiore quanto è maggiore la
vita, o il
2411 sentimento vitale in ciascun essere; e
specialmente quanto è maggiore la vita interna, ossia l'attività dell'anima,
cioè della sostanza sensitiva, e concettiva. Giacchè amor proprio e vita son
quasi una cosa, non potendosi nè scompagnare il sentimento dell'esistenza
propria (ch'è ciò che s'intende per vita) dall'amore dell'esistente, nè questo
esser minore di quello, ma l'uno si può sempre esattamente misurare coll'altro.
E tanto uno vive, quanto si ama, e tutti i sentimenti di chi vive sono compresi
o riferiti o prodotti ec. dall'amor proprio: il quale è il sentimento universale
che abbraccia tutta l'esistenza; e gli altri sentimenti del vivente (se pur ve
n'ha che sieno veramente altri) non sono che modificazioni, o divisioni, o
produzioni di questo, ch'è tutt'uno col sentimento dell'essere, o una parte
essenziale del medesimo.
[2479,1]
2479 Quanto prevaglia nell'uomo la materia allo
spirito, si può considerare anche dalla comparazione dei dolori. Perocchè i
dolori dell'animo non sono mai paragonabili ai dolori del corpo, ragguagliati
secondo la stessa proporzione di veemenza relativa. E sebben paia molte volte a
chi è travagliato da grave pena dell'animo, che sarebbe più tollerabile
altrettanta pena nel corpo; l'esperienza ragguagliata dell'una e dell'altra può
convincere facilmente chiunque sa riflettere che tra' dolori dell'animo e quelli
del corpo, supponendoli ancora, relativamente, in un medesimo grado, non v'è
alcuna proporzione. E quelli possono esser superati dalla grandezza o forza
dell'animo, dalla sapienza ec. (lasciando stare che il tempo consola ogni cosa),
ma questi hanno forza d'abbattere e di vincere ogni maggior costanza. (15.
Giugno 1822.).
[2493,1] Nè il titolo di filosofo nè verun altro simile è
tale che l'uomo se ne debba pregiare, nemmeno fra se stesso. L'unico titolo
conveniente all'uomo, e del quale egli s'avrebbe a pregiare, si è quello di
uomo. E questo titolo porterebbe che chi meritasse di portarlo, dovesse esser
uomo vero, cioè secondo natura. In questo modo {e con questa
condizione} il nome d'uomo è veramente da pregiarsene, vedendo ch'egli
è la principale opera della natura terrestre, o sia del nostro pianeta, ec.
(24. Giugno. dì del Battista. 1822.).
[2563,2] L'uomo non è perfettibile ma corrottibile. Non è più
perfettibile ma più corrottibile degli altri animali. È ridicolo, ma contuttociò
è naturale, che la nostra corrottibilità, e degenerabilità, e depravabilità, sia
2564 stata presa, e si prenda a tutta bocca da' più
grandi e sottili {e perspicaci e avveduti} ingegni e
filosofi per perfettibilità. (10. Luglio 1822.).
[2567,1] Una macchina dilicata (cioè più diligentemente e
perfettamente organizzata) è più facile a guastarsi che una rozza: ma ciò non
2568 toglie che la non sia più perfetta di questa,
e che andando come deve andare non vada meglio della rozza, {supponendole} anche tutt'e due in uno stesso genere, come due
orologi. Così l'uomo è più dilicato assai di tutti gli altri animali, sì nella
costruzione esterna, sì nelle fibre intellettuali. E perciò egli è senza dubbio
il più perfetto nella scala degli
animali. Ma ciò non prova ch'egli sia più perfettibile; bensì più guastabile,
appunto perchè più delicato. E d'altra parte l'esser più facile a guastarsi, non
toglie che non sia veramente la più perfetta delle creature terrestri, come ogni
cosa lo dimostra. (18. Luglio. 1822.).
[2602,2] Ho mostrato altrove pp.
835-36p. 837
pp.
1737-40 che quasi tutte le principali scoperte che servono alla vita
civile sono state opera del caso, e tiratone le sue conseguenze. Voglio ora
spiegare e confermar la cosa con un esempio. L'arte di fare il vetro, anzi
l'idea di farlo, e la pura cognizione di poterlo fare (la qual arte è
antichissima), è egli credibile che sia mai potuta venire
2603 all'uomo per via di ragionamento? Cavar dalle ceneri, e altre
materie la cui specie esteriore è toto coelo distante
dalle forme e qualità del vetro (v. l'Arte Vetraria d'Antonio Neri) un corpo
traslucido, fusibile, configurabile a piacimento ec. ec. può mai essere stato a
principio insegnato {da altro} che da uno o più
semplicissimi e assolutissimi casi? Ora quanta parte abbia l'uso del vetro
nell'uso della vita e delle comodità civili, com'esso appartenga al numero dei
generi necessari, come abbia servito alle scienze, quante immense e infinite
scoperte si sieno fatte in ogni genere per mezzo de' vetri ridotti a lenti ec.
ec. ec., quanto debbano al vetro l'Astronomia, la Notomia, la Nautica (tanto
giovata e promossa dalla scoperta dei satelliti di Giove
{fatta col telescopio} ec.), tutte queste cose mi basta
accennarle. Ma le accenno affinchè si veda che quando anche le successive
scoperte, perfezionamenti ec. fatti, acquistati ec. intorno al vetro, o per
mezzo del vetro ec. non sieno stati casuali ma pensati (sebbene l'invenzione
dell'occhiale e del Cannocchiale si dice che fosse a caso): contuttociò si
debbono
2604 tutti, esattamente parlando, riconoscere
per casuali, essendo casuale la loro origine, cioè l'invenzione del vetro, senza
la quale niente del sopraddetto avrebbe avuto luogo. E però tutta quella parte
(non piccola) del sapere, dei comodi, della civiltà umana che ha dipendenza e
principio ec. dall'invenzione del vetro, e che senza questa non si sarebbe
conseguita, è realmente casuale, e per puro caso acquistata.
[2606,1] Quello che ho detto del vetro, si dee dire di mille
e mille altre importantissime invenzioni, che senza una benchè menoma notizia e
traccia ec. che però il solo caso ha potuto somministrare, non si sarebbero mai
potute fare, e però son tutte casuali, per applicate, accresciute, perfezionate
che sieno state in seguito, e quando anche non si possano più riconoscere da
quel che furono
2607 a principio, non si possa neanche
investigare la loro prima origine e forma e natura, ec. ec. (10. Agosto.
1822.).
[2644,1] L'uomo odia l'altro uomo per natura, e
necessariamente, e quindi per natura esso, sì come gli altri animali è disposto
contro il sistema sociale. E siccome la natura non si può mai vincere, perciò
veggiamo che niuna repubblica, niuno istituto e forma di governo, niuna
legislazione, {niun ordine,} niun mezzo morale,
politico, filosofico, d'opinione, di forza, di circostanza qualunque, di clima
ec. è mai bastato nè basta nè mai basterà a fare che la società cammini come si
vorrebbe, e che le relazioni scambievoli degli uomini fra loro, vadano secondo
le regole di quelli che si chiamano diritti sociali, e doveri dell'uomo verso
l'uomo. (2. Nov. dì de' Morti. 1822).
[2645,1]
2645
Se l'uomo esce fuori
della naturale puritade, allora pecca. Servando dunque la nostra
condizione e virtù, bastiti o uomo, lo naturale ornamento, e non mutare l'opera del tuo Creatore, perocchè
volerla mutare è un guastare.
*
Vite de' Santi Padri, parte 1. capitolo 9.
fine, p. 25. e son degne d'esser vedute anche le cose precedenti a
queste parole. Le quali sono in bocca di Sant'Antonio, e nella sua Vita, il cui testo originale
greco è di S. Atanasio.
(Recanati-Roma.
Novembre. 1822.)
[2895,2] Quanto sia facile l'imparare a parlare, quanto poco
tempo debba esser corso innanzi che il genere umano
2896 arrivasse primieramente ad accorgersi di avere organi capaci di formare e
articolare vari suoni, poi ad imparar di formare e articolar tali suoni, e
finalmente a crear col loro diverso accozzamento una serie di voci di convenuta
significazione, che fosse bastante a potersi scambievolmente communicare i
proprii sensi, e più ancora innanzi che il genere umano arrivasse a portar
questa serie al punto di poter essere chiamata lingua e di servire a tutti i
bisogni dell'espressione; si consideri nel muto. Il quale, convivendo {pur} tutto giorno con uomini i quali parlano, ed usano
una lingua già perfetta, non arriva mai in tutta quanta la sua vita nemmeno alla
prima delle sopraddette cose, cioè ad accorgersi di avere organi capaci di suoni
articolati: giacchè seppure egli manda fuori alcun suono di voce, questo è meno
articolato e meno vario che non sono le voci delle bestie. Ora io torno in campo
colla mia solita domanda. È egli possibile che se la natura aveva espressamente
destinato l'uomo a parlare, se, come dice
Dante, opera naturale è ch'uom favella
*
, essa natura lasciasse
tanto da fare all'uomo per
2897 arrivare ad eseguire
quest'opera naturale, e debita alla sua
essenza, e propria di essa, quest'opera senza la quale egli non avrebbe mai
corrisposto alla sua natura particolare, nè all'intenzione della natura in
generale, e condannasse espressamente tanta moltitudine e tante generazioni
d'uomini, quante dovettero passare prima che fosse trovata una lingua, altre a
non sapere nè potere in alcun modo fare, altre a non poter fare se non se
imperfettissimamente, quello che l'uomo doveva pur sapere e potere compiutamente
fare per sua propria natura? E poichè l'uomo senza la lingua non sarebbe uscito
mai del suo stato primitivo purissimo, e la lingua è il principale e più
necessario istrumento col quale egli ha operato ed opera quello che si chiama
suo perfezionamento; e se d'altronde tanto è per ciascuna cosa il ben essere,
quanto l'esser perfetta, nè si dà per veruna specie di enti felicità veruna
senza la perfezione conveniente ad essa specie; è egli possibile che se questa
che si chiama perfezione dell'uomo, fosse veramente tale, e destinatagli dalla
natura, essa natura nel formar l'
2898 uomo l'avesse
posto così mirabilmente lontano dalla perfezione da lei voluta e destinatagli,
ed a lui necessaria, che egli non avesse ancora nè potesse avere nemmeno una
prima idea dell'istrumento, col quale dopo lunghissimi travagli, e lunghissimo
corso di generazioni e di secoli, la sua specie sarebbe finalmente arrivata a
conseguire alcuna parte di questa perfezione?
[3078,1] La più bella e fortunata età dell'uomo, la sola che
potrebb'esser felice oggidì, ch'è la fanciullezza, è tormentata in mille modi,
con mille angustie, timori, fatiche dall'educazione e dall'istruzione, tanto che
l'uomo adulto, anche in mezzo all'infelicità che porta la cognizion del vero, il
disinganno, la noia della vita, l'assopimento della immaginazione, non
accetterebbe di tornar fanciullo colla condizione di soffrir quello stesso che
nella fanciullezza ha sofferto. E perchè così tormentata
3079 e fatta infelice quella povera età, nella quale l'infelicità
parrebbe quasi impossibile a concepirsi? Perchè l'individuo divenga colto e
civile, cioè acquisti la perfezione dell'uomo. Bella perfezione, e certo voluta
dalla natura umana, quella che suppone necessariamente la {somma} infelicità di quel tempo che la natura ha manifestamente
ordinato ad essere la più felice parte della nostra vita. Torno a domandare.
Perchè fatta così infelice la fanciullezza? E rispondo più giusto. Perchè l'uomo
acquisti a spese di tale infelicità quello che lo farà infelice per tutta la
vita, cioè la cognizione di se stesso e delle cose, le opinioni, i costumi le
abitudini contrarie alle naturali, e quindi esclusive della possibilità di esser
felice; perchè colla infelicità della fanciullezza si compri e cagioni quella di
tutte le altre età; o vogliamo dire perch'ei perda colla felicità della
fanciullezza, quella che la natura avea destinato {e
preparato} siccome a questa, così a ciascun'altra età dell'uomo, {+e ch'altrimenti egli avrebbe ottenuta in
effetto.}
(1. Agosto. 1823.).
[3082,1] È cosa dimostrata e dalla ragione e dall'esperienza,
dalle storie tutte, e dalla cognizione dell'uomo, che qualunque società, e più
le civili, e massime le più civili, tendono continuamente a cadere nella
monarchia, e presto o tardi, qualunque sia la loro politica costituzione, vi
cadono inevitabilmente, e quando anche ne risorgono, poco dura il risorgimento e
poco giova, e che insomma nella società non havvi nè vi può avere stato politico
durabile se non il monarchico assoluto. È altrettanto dimostrato, e colle
medesime prove, che la monarchia assoluta, qual ch'ella sia ne' suoi principii,
qual ch'ella per effimere circostanze possa di quando in quando tornare ad
essere per pochi momenti, tende sempre e cade quasi subito e irreparabilmente
nel despotismo; perchè stante
3083 la natura dell'uomo,
anzi d'ogni vivente, è quasi fisicamente impossibile che chi ha potere assoluto
sopra i suoi simili, non ne abusi; vale a dire è impossibile che non se ne serva
più per se che per gli altri, {anzi} non trascuri
affatto gli altri per curarsi solamente di se, il che è nè più nè meno la
sostanza e la natura del despotismo, e il contrario appunto di quello che
dovrebb'essere e mai non fu nè sarà nè può essere la vera {e
buona} monarchia, ente di ragione e immaginario. Ora egli è parimente
certo, almeno lo fu per gli antichi, e lo è per tutti i savi moderni, che il
peggiore stato politico possibile {e il più contrario alla
natura} è quello del despotismo. Altrettanto certo si è che lo stato
politico influisce per modo su quello della società, e n'è tanta parte, ch'egli
è assolutamente impossibile ch'essendo cattivo quello, questo sia buono, e che
quello essendo imperfetto, questo sia perfetto, e che dove quello è pessimo, non
sia pessimo questo altresì. Or dunque lo stato
3084
politico di despotismo essendo inseparabile dallo stato di società, e più forte
e maggiore e più durevole nelle società civili, e tanto più quanto son più
civili, ricapitolando il sopraddetto, mi dica chi sa ragionare, se lo stato di
società nel genere umano può esser conforme alla natura, e se la civiltà è
perfezionamento, e se nella somma civiltà sociale e individuale si può riporre e
far consistere la vera perfezione della società e dell'uomo, e quindi la maggior
possibile felicità d'ambedue, come anche lo stato a cui l'uomo tende
naturalmente, cioè quello a cui la natura l'aveva ordinato, e la felicità e
perfezione ch'essa gli avea destinate. (2. Luglio[Agosto.] dì del Perdono. 1823.).
[3179,1] È cosa indubitata che la civiltà ha introdotto nel
genere umano mille spezie di morbi che prima di lei non si conoscevano, nè senza
lei sarebbero state; e niuna, che si sappia, n'ha sbandito, o seppur qualcuna,
così poche, e poco acerbe e poco micidiali, che sarebbe stato incomparabilmente
meglio restar con queste che cambiarle con la moltitudine, fierezza e mortalità
di quelle. (Vediamo infatti quanto poche e blande sieno le malattie spontanee
degli altri animali, massime salvatichi, cioè non corrotti da noi; e similmente
de' selvaggi, e massime de' più
3180 naturali, come i
Californii; e che anche quelle degli agricoltori sono molte più poche e rare e
men feroci che quelle de' cittadini). È parimente indubitato che la civiltà
rende l'uomo inetto a mille fatiche e sofferenze che egli avrebbe e potuto e
dovuto tollerare in natura, e suscettibilissimo d'esser danneggiato da quelle
fatiche e patimenti che, o per natura generale o per circostanze particolari,
egli è obbligato a sostenere, e che nello stato naturale avrebbe sostenuto senza
verun detrimento, e, almeno in parte, senza incomodo. È indubitato che la
civiltà debilita il corpo umano, a cui per natura (siccome a ogni altra cosa
proporzionatamente) si conviene la forza, e {il}
{quale} privo di forza, o con minor forza della sua
natura, non può essere che imperfettissimo; {+e ch'ella rende propria dell'uomo {civile} la delicatezza rispettiva di corpo, qualità che in natura
non è propria nè dell'uomo nè di veruno altro genere di cose, nè dev'esserlo
(vedi la pag. 3084.
segg. ).} È indubitato che le generazioni umane peggiorano
in quanto al corpo di mano in mano, ogni generazione più, sì per se stessa, sì
perch'ella così peggiorata non può non produrre una generazione peggior di se
ec. ec. Da tutte queste e da cento altre cose, da me altrove in diversi luoghi
considerate pp. 68-69
pp. 830-38
pp. 1597-602
pp.
1631-32, si fa più che certissimo e si tocca con mano, che i progressi
della civiltà portano seco e producono inevitabilmente il successivo
deterioramento
3181 del suo fisico,
deterioramente[deterioramento] sempre
crescente in proporzione d'essa civiltà. Nei progressi della civiltà, e non in
altro, consiste quello che i nostri filosofi, e generalmente tutti, chiamano
oggidì (e molti anche in antico) il perfezionamento dell'uomo e dello spirito
umano. È dunque dimostrato e fuori di controversia che il perfezionamento
dell'uomo include, non accidentalmente ma di necessità inevitabile, il
corrispondente e sempre proporzionato deterioramento e, per così dire,
imperfezionamento di una piccola parte di esso uomo, cioè del suo corpo: di modo
che quanto l'uomo s'avanza verso la perfezione, tanto il suo fisico cresce nella
imperfezione; e quando l'uomo sarà pienamente perfetto, il corpo umano, {generalmente parlando,} si troverà nel peggiore stato
ch'e' mai siasi trovato, e {in} che gli sia possibile
di trovarsi generalmente. Se con ciò si possa giustamente chiamare
perfezionamento, quello che oggi s'intende sotto questo nome, cioè se
l'incremento della civiltà sia perfezionamento dell'uomo, e la perfezione della
civiltà perfezione dell'uomo; se una tal perfezione ci possa essere stata
destinata dalla natura;
3182 se la nostra natura la
richiegga ed a lei tenda; se veruna natura richiegga o possa richiedere una
perfezione di questa sorta; se perciò che l'uomo è civilizzabile, e in quanto
egli è civilizzabile, ei sia, come dicono, e come stabiliscono {e dichiarano} per fuori d'ogni controversia,
perfettibile; si lascia giudicare a chiunque non è ancor tanto perfezionato,
tanto vicino all'ultima perfezione dell'uomo, ch'egli abbia perduto affatto
l'uso del raziocinio, {e non serbi neppur tanta parte del
discorso naturale quanta è} propria ancora degli altri viventi.
(17. Agosto. Domenica. 1823.).
[3374,1] Dico in più luoghi pp. 1661-63
pp. 1680-82
pp.1923-25 che la natura non ingenera nell'uomo quasi altro che
disposizioni. Or tra queste bisogna distinguere. Altre sono disposizioni a poter
essere, altre ad essere. Per quelle l'uomo può divenir tale o tale; può, dico, e
non più. Per queste l'uomo, naturalmente vivendo, e tenendosi lontano dall'arte,
indubitatamente diviene quale la natura ha voluto ch'ei sia, bench'ella non
l'abbia fatto, ma disposto solamente a divenir tale. In queste si deve
considerare l'intenzione della natura: in quelle no. E se per quelle l'uomo può
divenir tale o tale, ciò non importa che tale o tale divenendo, egli divenga
quale la natura ha voluto ch'ei fosse: perocchè la natura per quelle
disposizioni non ha fatto altro che lasciare all'uomo la possibilità di divenir
tale o tale; nè quelle sono
3375 altro che possibilità.
Ho distinto due generi di disposizioni per parlar più chiaro. Ora parlerò più
esatto. Le disposizioni naturali a poter essere e quelle ad essere, non sono
diverse individualmente l'une dall'altre, ma sono individualmente le medesime.
Una stessa disposizione è ad essere e a poter essere. In quanto ella è ad
essere, l'uomo, seguendo le inclinazioni naturali, e non influito da circostanze
non naturali, non acquista che le qualità destinategli dalla natura, e diviene
quale ei dev'essere, cioè quale la natura ebbe intenzione ch'ei divenisse,
quando pose in lui quella disposizione. In quanto ella è disposizione a poter
essere, l'uomo influito da varie circostanze non naturali, sião[siano] intrinseche siano estrinseche, acquista molte
qualità non destinategli dalla natura, molte qualità contrarie eziandio
all'intenzione della natura, e diviene qual ei non dev'essere, cioè quale la
natura non intese ch'ei divenisse, nell'ingenerargli quella disposizione. Egli
{però non} divien tale {per} natura, benchè questa disposizione sia naturale: perocchè essa
{disposizione} non era ordinata a questo
3376 ch'ei divenisse tale, ma era ordinata ad altre
qualità, molte delle quali affatto contrarie a quelle che egli ha per detta
disposizione acquistato. Bensì s'egli non avesse avuto naturalmente questa
disposizione, egli non sarebbe potuto divenir tale. Questa è tutta la parte che
ha la natura in ciò che tale ei sia divenuto. Siccome, se la disposizion fisica
del nostro corpo non fosse qual ella è per natura, l'uomo non potrebbe, per
esempio, provare il dolore, divenir malato. Ma non perciò la natura ha così
disposto il nostro corpo acciocchè noi sentissimo il dolore e infermassimo; nè
quella disposizione è ordinata a questo, ma a tutt'altri e contrarii risultati.
E l'uomo non inferma per natura; bensì può per natura infermare; ma infermando,
ciò gli accade contra natura, o fuori e indipendentemente dalla natura, la quale
non intese disporlo a infermare.
[3643,1] Fuoco - Il suo uso è indispensabile necessità ad una
vita comoda e civile, {+1. anzi pure ai
primissimi comodi.} - Or tanto è lungi che la natura l'abbia insegnato
all'uomo, che fuor di un puro caso, e senza lunghissime e diversissime
esperienze, ei non può averlo scoperto nè concepito - E non possono neppure i
filosofi indovinare come abbia fatto l'uomo non pure ad accendere, ma a vedere e
scoprire il primo fuoco. Chi ricorre a un incendio cagionato dal fulmine, chi al
frottement reciproco de' rami degli alberi
cagionato da' venti nelle
3644 foreste, {chi a' volcani,} e chi ad altre tali ipotesi l'una
peggio dell'altra - E conosciuto il fuoco, come avrà l'uomo trovato il modo di
accenderlo sempre che gli piaceva? Senza di che e' non gli era di veruno uso. E
di estinguerlo a suo piacere? Quanto avrà egli dovuto tardare a {sapere e a} trovar tutte queste cose - Gli antichi
favoleggiavano che il fuoco fosse stato rapito al cielo e portato di lassù in
terra. Segno che l'antica tradizione dava l'invenzione del fuoco e del suo uso e
del modo di averlo, accenderlo, estinguerlo a piacere, per un'invenzione non
delle volgari, ma delle più maravigliose; e che questa invenzione non fu fatta
subito, ma dopo istituita la società, e non tanto ignorante, altrimenti ella non
avrebbe potuto dar luogo a una favola, e a una favola la quale narra che il
ratto del fuoco fu opera di chi volle beneficare la società umana ec - Non solo
la natura non ha insegnato l'uso del fuoco, nè somministrato {pure} il fuoco {agli uomini} se non a caso,
ma ello[ella] lo ha fatto eziandio formidabile,
e pericolosissimo il suo uso. E lasciando i danni morali, quanti infiniti ed
immensi danni fisici non ha fatto l'uso del fuoco sì all'altre
3645 parti della natura sì allo stesso genere umano.
Niuno de' quali avrebbe avuto luogo se l'uomo non l'avesse adoperato, e
contratto il costume di adoperarlo. Il fuoco è una di quelle materie, di quegli
agenti terribili, come l'elettricità, che la natura sembra avere studiosamente
seppellito e appartato, e rimosso dalla vista e da' sensi e dalla vita degli
animali, e dalla superficie del globo, dove essa vita e la vegetazione e la vita
totale della natura ha principalmente luogo, per non manifestarlo o lasciarlo
manifestare che nelle convulsioni degli elementi e ne' fenomeni accidentali
{{e particolari,}} com'è quello de' vulcani, che
sono fuor dell'ordine {generale} e della regola
ordinaria della natura. Tanto è lungi ch'ella abbia avuto intenzione di farne
una materia d'uso ordinario e regolare nella vita degli animali o di
qualsivoglia specie di animali, e nella superficie del globo, e di sottometterlo
all'arbitrio dell'uomo, come le frutta o l'erbe ec., e di destinarlo come
necessario alla felicità e quindi alla natural perfezione della principale
specie di esseri terrestri -
3646
Orazio
(1. od. 3.) considera l'invenzione e l'uso del fuoco come cosa tanto
ardita, e come un ardire tanto contro natura, quanto lo è la navigazione, e
l'invenzion d'essa; e come origine, principio e cagione di altrettanti mali e
morbi ec. di quanti la navigazione; e come altrettanto colpevole della
corruzione e snaturamento e indebolimento ec. della specie umana - Ma il fuoco è
necessario all'uomo anche non sociale, ed alla vita umana semplicemente. Come si
vivrebbe in Lapponia o sotto il polo, anzi pure in
Russia ec. senza il fuoco? Primieramente, rispondo
io, come dunque la natura l'ha così nascosto ec. come sopra? Come poteva ella
negare agli esseri ch'ella produceva il precisamente necessario alla vita,
all'esistenza loro? o render loro difficilissimo il procacciarselo? e
pericolosissimo l'adoperare il necessario? pericolosissimo, dico, non meno a se
stessi che altrui? Ed essendo quasi certo, secondo il già detto, che gli uomini
non hanno potuto non tardare un pezzo (più o men lungo) a scoprire il fuoco, e
più ad avvedersi che lor potesse
3647 servire ed a che,
e più a trovare il come usarlo, il come averlo al bisogno ec. e a vincere il
timore che e' dovette ispirar loro, sì naturalmente, sì per li danni che ne
avranno ben tosto provati {e certo} prima di conoscerne
{anzi pur d'immaginarne l'uso e la proprietà,} sì
ancora forse per le cagioni che lo avranno prodotto (come se fulmini o volcani o
tali fenomeni ec.), sì per gli effetti che n'avranno veduto fuor di se, come
incendi e {{struggimenti}} d'arbori, di selve ec. morti
e consunzioni e incenerimento d'animali, {o d'altri
uomini} ec. ec.; stante dico tutto questo, come avranno potuto vivere
tanti uomini, o sempre, o fino a un certo tempo, senza il necessario alla vita
loro? Secondariamente, chiunque non consideri il genere umano per più che per
una specie di animali, superiore bensì all'altre, ma una finalmente di esse;
chiunque si contenti e si degni di tener l'uomo non per il solo essere, ma per
un degli esseri, di questa terra, diverso dagli altri di specie, ma non di
genere nè totalmente, nè formante un ordine e una natura a parte, ma compreso
nell'ordine e nella natura di tutti gli altri esseri sì della terra sì di questo mondo,
3648 e partecipante delle qualità ec. degli altri, come gli altri
delle sue, e in parte conforme in parte diverso dagli altri esseri, e fornito di
qualità parte comuni parte proprie, come sono tutti gli altri esseri di questo
mondo, ed insomma avente piena e vera proporzione cogli altri esseri, e non
posto fuor d'ogni proporzione e gradazione e rispetto e attinenza e convenienza
e affinità ec. verso gli altri; chiunque non crederà che tutto il mondo {o} tutta la terra e ciascuna parte di loro sian fatte
unicamente ed espressamente per l'uomo, e che sia inutile e indegna della natura
qualunque cosa, qualunque creatura, qualunque parte o della terra o del mondo
non servisse o non potesse nè dovesse servire all'uomo, nè avesse per fine il
suo servigio; chiunque così la pensi, risponderà facilmente alla soprascritta
obbiezione. S'egli v'ha, come certo v'avrà, una specie di pianta, che rispetto
al genere de' vegetabili ed alla propria natura loro {generale,} sia di tutti i vegetabili il più perfetto, e sia la
sommità del genere vegetale, come lo è l'uomo dell'animale, non per questo
3649 seguirà nè sarà necessario ch'essa pianta nè si
trovi nè prosperi, nè debba nè pur possa prosperare nè anche allignare nè
nascere in tutti i paesi e climi della terra, nè in qualsivoglia regione de'
climi ov'ella più prospera e moltiplica, nè in qualsivoglia terreno e parte
delle regioni a lei più proprie e naturali. Così discorrasi nel genere o regno
minerale, e negli altri qualunque. Che all'uomo in società giovi la
moltiplicazione e diffusione della sua specie, o per meglio dire che alla
società giovi la moltiplicazione e propagazione della specie umana, e tanto più
quanto è maggiore, questo è altro discorso, {#1. questo suppone lo stato di società ch'io
combatto.} e certo s'inganna assai chi lo nega. Ma che la natura {medesima} abbia destinato la specie umana a tutti i
climi e paesi, e tutti i climi e paesi alla specie umana, questo è ciò che nè si
può provare, e secondo l'analogia, che sarà sempre un fortissimo, e forse il più
forte argomento di cognizione concesso all'uomo, si dimostra per falsissimo.
Niuna pianta, niun vegetale, niun minerale, niuno animale conosciuto si trova in
tutti i paesi e climi
3650 nè in tutti potrebbe vivere
e nascere, non che prosperare ec. Altre specie di vegetabili e di animali {ec.} si trovano e stanno bene in più paesi e più
diversi, altre in meno, niuna in tutti, e niuna in tanti e così vari di qualità
e di clima, in quanti e quanto vari è diffusa la specie umana. Tra la
propagazione e diffusione di questa specie e quella dell'altre non v'ha
proporzione alcuna. E notisi che la propagazione di molte specie di animali, di
piante ec. devesi {in gran parte} non alla natura, ma
all'uomo stesso, onde non avrebbe forza di provar nulla nel nostro discorso.
Molte specie che per natura non erano destinate se non se a un solo paese, o a
una sola qualità di paesi, o a paesi poco differenti, sono state dagli uomini
trasportate e stabilite in più paesi, in paesi differentissimi ec. Ciò è contro
natura, come lo è lo stabilimento della specie umana medesima in quei luoghi che
a lei non convengono. Le piante, gli animali ec. trasportate e stabilite
dall'uomo in paesi a loro non convenienti, o non ci durano, o non prosperano, o
ci degenerano, ci si trovano male ec. Gl'inconvenienti
3651 a cui le tali specie sono soggette ne' tali casi in siffatti
luoghi, sono forse da attribuirsi alla natura? e se esse in detti luoghi, pur,
benchè male, sussistono, si dee forse dire che la natura ve le abbia destinate?
e il genere di vita ch'esse sono obbligate a tenere in siffatti luoghi, o che
loro è fatto tenere, e i mezzi che impiegano a sussistere, o che s'impiegano a
farle sussistere, si debbono forse considerare come naturali, come lor propri
per loro natura? e argomentare da essi delle intenzioni della natura intorno a
dette specie?
[3773,1]
3773 Vogliono che l'uomo per natura sia più sociale di
tutti gli altri viventi. Io dico che lo è men di tutti, perchè avendo più
vitalità, ha più amor proprio, e quindi necessariamente ciascun individuo umano
ha più odio verso gli altri individui sì della sua specie sì dell'altre, secondo
i principii da me in più luoghi sviluppati p. 55
pp. 872. sgg.
pp.
1078-79
pp.
1083-84
pp.
2204-206
p.
2644
pp. 2736. sgg.
p.
3291. Or qual altra qualità è più antisociale, più esclusiva per sua
natura dello spirito di società, che l'amore estremo verso se stesso, l'appetito
estremo di tirar tutto a se, e l'odio estremo verso gli altri tutti? Questi
estremi si trovano tutti nell'uomo. Queste qualità sono naturalmente nell'uomo
in assai maggior grado che in alcun'altra specie di viventi. Egli occupa nella
natura terrestre il sommo grado per queste parti, siccome generalmente egli
tiene la sommità fra gli esseri terrestri.
[3957,1] In tutta l'America, abitata
certo e frequentata da tempi remotissimi, poichè non s'ha notizia nè memoria
alcuna del quando incominciasse, non si è trovato {alcuna
sorta di} alfabeto nè orma alcuna di alfabeto, nè cosa che alla natura
di esso si avvicinasse. {V. il Saggio di Algarotti
sugl'Incas.} Non ostante la molta e maravigliosa coltura, le
arti, manifatture, fabbriche ammirabili, {+politica squisita e legislazione,} ed altre grandi
e numerose parti di civiltà che si trovarono nel paese soggetto al regno
degl'Incas, cominciato da tre secoli prima della scoperta e conquista d'esso
paese (cioè nel sec. 13.); e più ancora nel Messico, la
cui civilizzazione credo che sia ancora più antica. Dico
3958 dell'ultima e più nota civiltà, poichè s'hanno molti indizi, e di
tradizioni {patrie,} e d'avanzi d'edifizi e monumenti
di gusto e maniera diversa da quelli dell'ultima epoca di civiltà, e d'altre
cose, che dimostrano esservi state altre epoche in cui questa o quella parte
dell'America (in particolare il
Perù) fu, non si sa fino a qual segno, civile o
dirozzata. Massime che l'America fu soggetta a
rivoluzioni frequentissime e totali ne' paesi ov'elle accadevano, trasmigrazioni
e totali estinzioni d'interi popoli e città, e devastazioni e assolamenti
d'intere provincie, per la ferocia e frequenza e quasi continuità delle guerre,
come ho detto altrove in più luoghi (v. la pag. 3932. fra l'altre con quelle ivi citate [p.
3795,2], e il pensiero [p. 3773,1 segg.]
a cui quest'ultime appartengono). La scrittura del regno degl'incas si faceva
con certi nodi (Algarotti
Saggio sugl'Incas.
opp.
Cremona t. 4. p. 170-1); quella del
Messico consisteva in pitture. Queste osservazioni si
applichino al detto altrove pp.
830-38
pp. 1270-71
pp. 2602-606
pp.
2619-22
pp. 3661. sgg.
pp.
3959-60 1. sopra l'unicità dell'invenzione dell'alfabeto, 2. sopra la
difficoltà di questa invenzione tanto necessaria alla civiltà, e quindi tanto
principal cagione dello snaturamento dell'uomo ec., 3. sopra le differenze
essenziali tra lo stato de' popoli anche civili, che non abbiano avuto relazioni
tra loro, 4. sopra l'unicità di tutte o quasi tutte le invenzioni più difficili,
e più contribuenti alla civiltà, dimostrata dall'esser esse, benchè
necessarissime, state sempre ignote ai popoli, anche fino a un certo segno
civili, che non hanno avuto che fare cogli europei ec. dopo esse invenzioni, o
viceversa agli europei ec. benchè civilissimi, quelle degli altri popoli,
ancorchè molto addietro in coltura, e ciò per lunghissimi secoli, fino al
cominciamento delle relazioni scambievoli degli europei ec. e di tali popoli.
(8. Dec. Festa della Concezione. 1823.).
[3973,1] Non è dubbio che la civiltà, i progressi dello
spirito umano ec. hanno accresciuto mirabilmente e in numero e in grandezza e in
estensione le facoltà umane, e generalmente le forze dell'uomo, il quale essendo
ora, al contrario che da principio, più spirito che corpo, come dico altrove
pp. 3909. sgg.
pp. 3932. sgg. , può
veramente, anche nelle cose materiali, infinitamente più che da principio. Ma
bisogna vedere se queste nuove facoltà, questo accrescimento di forze ec.
corrisponde ed era destinato dalla natura
3974 sì
generale sì della specie umana in particolare, e giova o nuoce alla felicità
d'essa specie, chè nocendo, è certo che non corrisponde alla natura ec. Di
quante incredibili abilità vediamo noi col fatto che moltissimi animali (fino ai
pulci addestrati da non so chi a tirare un cocchietto d'oro) sono capaci, e lo
videro gli antichi che ne raccontano maraviglie, corrispondenti alle moderne,
benchè alcune maggiori, per la maggiore industria degli antichi, in questa come
in tante altre cose, manifatture, lavori d'arte ec. Chi non le avesse udite da
testimonii irrecusabili, o vedute cogli occhi propri o ascoltate co' propri
orecchi, neppur le avrebbe immaginate, nè figuratasene la possibilità, la
capacità, l'attitudine fisica in quella specie di animali, come p. e. elefanti,
cani, orsi, gatti, topi (cosa vera) ec. ec., anche ferocissime, e apparentemente
le più incapaci di disciplina e di mutar costumi ec. e di mansuefarsi e obbedire
agli uomini ec. Or chi dirà che tali abilità le quali accrescono le facoltà di
quelli animali ec. fossero per ciò destinate dalla natura o generale, o loro
particolare ec. giovino alla loro felicità ec. e che le loro rispettive specie
sarebbero più perfette o meno imperfette, se tali abilità fossero in esse più
comuni, o universali ec.? E senz'andar troppo lontano, quante {proprietà} abilità {ec.}
lontanissime dalla sua primitiva condizione, non acquistano tuttodì sotto i
nostri occhi, e tuttodì esercitano, i cavalli da tiro, da maneggio ec. proprietà
ed abilità che non ci fanno più meraviglia alcuna, a causa dell'abitudine e
frequenza, e che l'arte d'insegnar loro siffatte cose è comunissima {+e presentemente e da lungo tempo,
facile}; ma nè questa nè quelle sono perciò men degne di maraviglia.
3975 Or con tutto questo, e con tutto che il numero
degl'individui così ammaestrati sia tanto, e così continuo e successivo ec. chi
dirà che ec. come sopra? se non chi stima che tutto il mondo, e in questo la
specie de' cavalli, sia fatta di natura sua per servizio dell'uomo, e tenda a
questo come a suo fine, e non abbia la sua perfezione fuor di questo, onde sia
destinata e disposta naturalmente all'acquisto di quelle facoltà e qualità che
si richiedono o convengono e giovano a tal servizio, di modo che un cavallo non
sia perfettamente cavallo {+se e fino
ch'}ei non sa portare un uomo sul suo dosso, e obbedire a' suoi segni
e prevenirli e indovinarli ec. ec. e far tutto questo perfettamente. (11.
Dec. 1823.).
[4041,7] Gli uomini sarebbono felici se non avessero cercato
e non cercassero di esserlo. Così molte nazioni o paesi sarebbero ricchi e
felici (di felicità nazionale) se il governo, anche con ottima e sincera
intenzione, non cercasse
4042 di farli tali, usando a
questo effetto dei mezzi (qualunque) in cose dove l'unico mezzo che convenga si
è non usarne alcuno, lasciar far la natura, come p. e. nel commercio ch'è più
prospero quanto è più libero, e men se ne impaccia il governo. Similmente dicasi
de' filosofi ec. Del resto la vita umana è come il commercio; tanto più prospera
quanto men gli uomini, i filosofi ec. se ne impacciano, men proccurano la sua
felicità, lasciano più far la natura. (7. Marzo. prima Domenica di
Quaresima. 1824.).
[4135,5] La società contiene ora più che mai facesse, semi di
distruzione e qualità incompatibili colla sua conservazione ed esistenza, e di
ciò è debitrice principalmente alla cognizione del vero e alla filosofia. Questa
veramente non ha fatto quasi altro, massime nella moltitudine, che insegnare e
stabilire verità negative e {non} positive, cioè
distruggere pregiudizi, insomma torre e non dare. Con che ella ha purificato gli
animi, e ridottigli quanto alle cognizioni in uno stato simile al naturale, nel
quale niuno o ben pochi esistevano dei pregiudizi che ella ha distrutto. Come
dunque può ella aver nociuto alla società? La verità, vale a dire l'assenza di
questo o di quell'errore, come può nuocere? Sia nociva la cognizione di qualche
verità che la natura ha nascosto, ma come sarà nocivo l'esser purificato da un
errore che gli uomini per natura non avevano, e che il bambino non ha? Rispondo:
l'uomo in natura non ha nemmeno società stretta. Quegli errori che non sono
necessari all'uomo nello stato naturale, possono ben essergli necessari nello
stato sociale; egli non gli aveva per natura; ciò non prova nulla; mille altre
cose egli non aveva in natura, che gli sono necessarie per conservar lo stato
sociale. Ritornare gli uomini alla condizione naturale
4136 in alcune cose, lasciandolo nel tempo stesso nella società, può
non esser buono, può esser dannosissimo, perchè quella parte della condizione
naturale può essere ripugnante allo stato di stretta società, il quale altresì
non è in natura. Non sono naturali molte medicine, ma come non sono in natura
quei morbi a cui elle rimediano, può ben essere ch'elle sieno convenienti
all'uomo, posti quei morbi. La distruzione delle illusioni, quantunque non
naturali, ha distrutto l'amor di patria, di gloria, di virtù ec. Quindi è nato,
anzi rinato, uno universale egoismo. L'egoismo è naturale, proprio dell'uomo:
tutti i fanciulli, tutti i veri selvaggi sono pretti egoisti. Ma l'egoismo è
incompatibile colla società. Questo effettivo ritorno allo stato {naturale} per questa parte, è distruttivo dello stato
sociale. Così dicasi della religione, così di mille altre cose. Conchiudo che la
filosofia la quale sgombra dalla vita umana mille errori non naturali che la
società aveva fatti nascere (e ciò naturalmente), la filosofia la quale riduce
gl'intelletti della moltitudine alla purità naturale, e l'uomo alla maniera
naturale di pensare e di agire in molte cose, può essere, ed effettivamente è,
dannosa e distruttiva della società, perchè quegli errori possono essere, ed
effettivamente sono, necessari alla sussistenza e conservazione della società,
la quale per l'addietro gli ha sempre avuti in un modo o nell'altro, e presso
tutti i popoli; e perchè quella purità e quello stato naturale, ottimi in se,
possono esser pessimi all'uomo, posta la società; e questa può non poter
sussistere in compagnia loro, o sussisterne in pessimo modo, come avviene in
fatti al presente. (18. Aprile 1825.).
[4166,4]
{(Tanto è lungi che)} Non solo noi non possiamo sapere
nè anche sufficientemente congetturare tutto quello di cui sia capace, aiutata
da circostanze favorevoli, la natura umana in universale, ma eziandio di un solo
individuo, o passato o presente o futuro, noi non possiamo sapere {esattamente} nè congetturare quanta estensione, in
circostanze appropriate, avessero potuto {o pur
potranno} acquistare le sue facoltà.
(Bologna. 21. Feb. 1826.).
[4180,4] Che guadagno fa l'uomo perfezionandosi? Incorrere
ogni giorno in nuovi patimenti (i bisogni non sono per lo più altro che
patimenti) che prima non aveva, e poi trovarvi il rimedio, il quale senza il
perfezionamento dell'uomo non saria stato necessario nè utile, perchè quei
patimenti non avrebbero avuto luogo. Proccurarsi nuovi piaceri, forse più vivi
che i naturali, non però altrettanto 1. comuni, 2. durevoli, 3. facili ad
acquistarsi, anzi i più, difficilissimi, perchè, se non altro, esigono una
studiatissima educazione, e una lunga formazione dell'animo, e per ciò stesso
non possono esser comuni a tutti, anzi ristretti a certe classi solamente, ed
alcuni a certi individui. Nel tempo stesso distruggere in se la facoltà di
provare, almeno durevolmente, i piaceri naturali. Lo stato naturale dell'uomo ha
veramente dei piaceri, facili, comuni a tutti, durevoli, che non sono men veri
perciò che noi non li possiamo più sentire, e però non concepiamo come sieno
piaceri. Il solo stato di quiete e d'inazione sì frequente e lungo nel selvaggio
(insopportabile al civile) è certamente un piacere, {non
vivo, ma atto e sufficiente} a riempiere una grande {e forse massima} parte della vita del selvaggio. Vedesi
ciò anche negli altri animali. Vedesi {+(tra i domestici, e più a portata della nostra osservazione)} nei
cani, che se non sono turbati o forzati a muoversi, passano volentierissimo
4181 le ore intiere, sdraiati con gran placidezza e
serenità di atti e di viso, sulle loro zampe.
(Bologna. 3. Giugno. 1826.). {{Moltissimi patimenti poi, massime morali, che senza la
civilizzazione non avrebbero luogo, quantunque abbiano il loro rimedio,
proccurato dalla stessa civilizzazione, p. e. la filosofia pratica, è ben
noto che sono senza comparazione più facili, più frequenti, più comuni essi,
che l'applicazione effettiva e l'uso efficace di tali rimedi.}}
(Bologna. 3. Giugno. 1826.).
[4185,2] Pare affatto contraddittorio nel mio sistema sopra
la felicità umana, il lodare io sì grandemente l'azione, l'attività,
l'abbondanza della vita, e quindi preferire il costume e lo stato antico al
moderno, e nel tempo stesso considerare come il più felice o il meno infelice di
tutti i modi di vita, quello degli uomini i più stupidi, degli animali meno
animali, ossia più poveri di vita, l'inazione e la infingardaggine dei selvaggi;
insomma esaltare sopra tutti gli stati quello di somma vita, e quello di tanta
morte quanta è compatibile coll'esistenza animale. Ma in vero queste due cose si
accordano molto bene insieme, procedono da uno stesso principio, e ne sono
conseguenze necessarie non meno l'una
4186 che l'altra.
Riconosciuta la impossibilità tanto dell'esser felice, quanto del lasciar mai di
desiderarlo sopra tutto, anzi unicamente; riconosciuta la necessaria tendenza
della vita dell'anima ad un fine impossibile a conseguirsi; riconosciuto che
l'infelicità dei viventi, universale e necessaria, non consiste in altro nè
deriva da altro, che da questa tendenza, e dal non potere essa raggiungere il
suo scopo; riconosciuto in ultimo che questa infelicità universale è tanto
maggiore in ciascuna specie o individuo animale, quanto la detta tendenza è più
sentita; resta che il sommo possibile della felicità, ossia il minor grado
possibile d'infelicità, consista nel minor possibile sentimento di detta
tendenza. Le specie e gl'individui {animali} meno
sensibili, {men vivi} per natura loro, hanno il minor
grado possibile di tal sentimento. Gli stati di animo meno sviluppato, e quindi
di minor vita dell'animo, sono i meno sensibili, e quindi i meno infelici degli
stati umani. Tale è quello del primitivo o selvaggio. Ecco perchè io preferisco
lo stato selvaggio al civile. Ma incominciato ed arrivato fino a un certo segno
lo sviluppo dell'animo, è impossibile il farlo tornare indietro, impossibile,
tanto negl'individui che nei popoli, l'impedirne il progresso. Gl'individui e le
nazioni d'europa e di una gran parte del mondo, hanno da
tempo incalcolabile l'animo sviluppato. Ridurli allo stato primitivo e selvaggio
e[è] impossibile. Intanto dallo
4187 sviluppo e dalla vita del loro animo, segue {una} maggior sensibilità, quindi un maggior sentimento
della suddetta tendenza, quindi maggiore infelicità. Resta un solo rimedio: La
distrazione. Questa consiste nella maggior somma possibile di attività, di
azione, che occupi e riempia le sviluppate facoltà e la vita dell'animo. Per tal
modo il sentimento della detta tendenza sarà o interrotto, o quasi oscurato,
confuso, coperta e soffocata la sua voce, ecclissato. Il rimedio è ben lungi
dall'equivalere allo stato primitivo, ma i suoi effetti sono il meglio che
resti, lo stato che esso produce è il miglior possibile, da che l'uomo è
incivilito. - Questo delle nazioni. Degl'individui similmente. P. e. il più
felice italiano è quello che per natura {e per abito} è
più stupido, meno sensibile, di animo più morto. Ma un italiano che o per natura
o per abito abbia l'animo vivo, non può in modo alcuno acquistare o ricuperare
la insensibilità. Per tanto io lo consiglio di occupare quanto può più la sua
sensibilità. - Da questo discorso segue che il mio sistema, in vece di esser
contrario all'attività, allo spirito di energia che ora domina una gran parte di
europa, {+agli
sforzi diretti a far progredire la civilizzazione in modo da render le
nazioni e gli uomini {sempre} più attivi e più
occupati,} gli è anzi direttamente e fondamentalmente favorevole
(quanto al principio, dico, di attività {+e quanto alla civilizzazione considerata come aumentatrice di occupazione,
di movimento, di vita reale, di azione, e somministratrice dei mezzi
analoghi}), non ostante e nel tempo stesso che esso sistema considera
lo stato selvaggio, l'animo il meno sviluppato, il meno sensibile, il meno
attivo, come la miglior condizione possibile
4188 per
la felicità umana. (Bologna 13. Luglio
1826.).
[4265,4] Se era intenzione della natura, facendo l'uomo così
debole e disarmato, che egli provvedendo alla vita ed al ben essere suo
coll'ingegno, arrivasse allo stato di civiltà; perchè tante centinaia di nazioni
selvagge e barbare dell'America,
dell'Africa, dell'Asia
dell'Oceanica, non vi sono arrivate ancora, non hanno
fatto alcun
4266 passo per arrivarvi, e certo non vi
arriveranno mai, nè saranno mai civili in niun modo (o non sarebbero mai state),
se noi non ve li ridurremo (o non ve gli avessimo ridotti)? Le quali nazioni
sono pure una buona metà, e più, del genere umano in natura. Perchè dato ancora
che le popolazioni civili, nella somma loro, vincano di numero d'uomini la somma
delle non civili nè state mai civilizzate, questa moltitudine di quelle è
posteriore alla civilizzazione, ed effetto di essa: la quale favorisce la
moltiplicazion della specie e l'aumento della popolazione. È stata dunque la
natura così sciocca, e {così} mal provvidente, che ella
abbia missed il suo intento per più
della metà? (Recanati 30. Mar. ult. Venerdì.
1827.).
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Civiltà. Incivilimento. (1827) (14)
Della natura degli uomini e delle cose. (pnr) (12)
Memorie della mia vita. (pnr) (8)
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Parlar da se. (1827) (1)
Comodità corporali. (1827) (1)
Armi da fuoco. (1827) (1)
Uomo sensibile ec. e non bello. (1827) (1)
Barbarie. (1827) (1)
Moneta. (1827) (1)
Natura bruta, e Natura colta. (1827) (1)
Natura e Fortuna; provvidenza ed arte. (1827) (1)
Sensibilità. Sentimento. (1827) (1)
Romanzi. Sentimentale. (1827) (1)
, e il suo libro (1827) (1)
Romanticismo. (1827) (1)
nè finger brutti i protagonisti. (1827) (1)
Poeta non si dee lasciar creder brutto. (1827) (1)
Compassione. (1827) (1)
Cristianesimo, ha peggiorato i costumi. (1827) (1)
Distrattezza de' fanciulli. (1827) (1)
Bisogni dell'uomo nella vita civile. (1827) (1)
Inconvenienti accidentali nella natura. (1827) (1)
Fuoco (uso del). (1827) (1)
Mitologia greca. (1827) (1)
Società degli animali. (1827) (1)
Monarchia e Repubblica. (1827) (1)
Uomo, se sia il più sociale de' viventi. (1827) (1)
Medicina. (1827) (1)
Impossibile conoscere quello che possa divenire, non solo il genere umano, ma un individuo. (1827) (1)
Piacere dell'inazione e del riposo. (1827) (1)
Scrittura, alfabeto, ec. (1827) (1)
Despotismo. (1827) (1)
Fanciulli. (1827) (1)
Fanciulli e Giovani, generalmente inclinati al distruggere; maturi e Vecchi al conservare. (1827) (1)
Irresoluzione. (1827) (1)
Riflessione. Irriflessione. (1827) (1)
Luogo del nell'. (1827) (1)
Infelicità umana (prove della). (1827) (1)
Uomini di gran talento. (1827) (1)
Dolori del corpo. (1827) (1)
Desiderio. (1827) (1)
Natura. (1827) (1)
altro di (1827) (1)
Dolori dell'animo. (1827) (1)