17. Agosto. Domenica. 1823.
[3179,1] È cosa indubitata che la civiltà ha introdotto nel
genere umano mille spezie di morbi che prima di lei non si conoscevano, nè senza
lei sarebbero state; e niuna, che si sappia, n'ha sbandito, o seppur qualcuna,
così poche, e poco acerbe e poco micidiali, che sarebbe stato incomparabilmente
meglio restar con queste che cambiarle con la moltitudine, fierezza e mortalità
di quelle. (Vediamo infatti quanto poche e blande sieno le malattie spontanee
degli altri animali, massime salvatichi, cioè non corrotti da noi; e similmente
de' selvaggi, e massime de' più
3180 naturali, come i
Californii; e che anche quelle degli agricoltori sono molte più poche e rare e
men feroci che quelle de' cittadini). È parimente indubitato che la civiltà
rende l'uomo inetto a mille fatiche e sofferenze che egli avrebbe e potuto e
dovuto tollerare in natura, e suscettibilissimo d'esser danneggiato da quelle
fatiche e patimenti che, o per natura generale o per circostanze particolari,
egli è obbligato a sostenere, e che nello stato naturale avrebbe sostenuto senza
verun detrimento, e, almeno in parte, senza incomodo. È indubitato che la
civiltà debilita il corpo umano, a cui per natura (siccome a ogni altra cosa
proporzionatamente) si conviene la forza, e {il}
{quale} privo di forza, o con minor forza della sua
natura, non può essere che imperfettissimo; {+e ch'ella rende propria dell'uomo {civile} la delicatezza rispettiva di corpo, qualità che in natura
non è propria nè dell'uomo nè di veruno altro genere di cose, nè dev'esserlo
(vedi la pag. 3084.
segg. ).} È indubitato che le generazioni umane peggiorano
in quanto al corpo di mano in mano, ogni generazione più, sì per se stessa, sì
perch'ella così peggiorata non può non produrre una generazione peggior di se
ec. ec. Da tutte queste e da cento altre cose, da me altrove in diversi luoghi
considerate pp. 68-69
pp. 830-38
pp. 1597-602
pp.
1631-32, si fa più che certissimo e si tocca con mano, che i progressi
della civiltà portano seco e producono inevitabilmente il successivo
deterioramento
3181 del suo fisico,
deterioramente[deterioramento] sempre
crescente in proporzione d'essa civiltà. Nei progressi della civiltà, e non in
altro, consiste quello che i nostri filosofi, e generalmente tutti, chiamano
oggidì (e molti anche in antico) il perfezionamento dell'uomo e dello spirito
umano. È dunque dimostrato e fuori di controversia che il perfezionamento
dell'uomo include, non accidentalmente ma di necessità inevitabile, il
corrispondente e sempre proporzionato deterioramento e, per così dire,
imperfezionamento di una piccola parte di esso uomo, cioè del suo corpo: di modo
che quanto l'uomo s'avanza verso la perfezione, tanto il suo fisico cresce nella
imperfezione; e quando l'uomo sarà pienamente perfetto, il corpo umano, {generalmente parlando,} si troverà nel peggiore stato
ch'e' mai siasi trovato, e {in} che gli sia possibile
di trovarsi generalmente. Se con ciò si possa giustamente chiamare
perfezionamento, quello che oggi s'intende sotto questo nome, cioè se
l'incremento della civiltà sia perfezionamento dell'uomo, e la perfezione della
civiltà perfezione dell'uomo; se una tal perfezione ci possa essere stata
destinata dalla natura;
3182 se la nostra natura la
richiegga ed a lei tenda; se veruna natura richiegga o possa richiedere una
perfezione di questa sorta; se perciò che l'uomo è civilizzabile, e in quanto
egli è civilizzabile, ei sia, come dicono, e come stabiliscono {e dichiarano} per fuori d'ogni controversia,
perfettibile; si lascia giudicare a chiunque non è ancor tanto perfezionato,
tanto vicino all'ultima perfezione dell'uomo, ch'egli abbia perduto affatto
l'uso del raziocinio, {e non serbi neppur tanta parte del
discorso naturale quanta è} propria ancora degli altri viventi.
(17. Agosto. Domenica. 1823.).