Uomini di gran talento.
Men of great talent.
Vedi Stima. See Esteem. 538,1 539,1 595,2 1176,1 1450,1 1753,1 2017,2 2039,3 2230,1 2410,1 3040,1 3171,1 3183,1 3488,2 4037,6 4064,1[538,1] È cosa evidente e osservata tuttogiorno, che gli
uomini di maggior talento, sono i più difficili a risolversi tanto al credere,
quanto all'operare; i più incerti, i più barcollanti, e temporeggianti, i più
tormentati da quell'eccessiva pena dell'irresoluzione: i più inclinati e soliti
a lasciar le cose
539 come stanno; i più tardi, restii,
difficili a mutar nulla del presente, {malgrado l'utilità o
necessità conosciuta.} E quanto è maggiore l'abito di riflettere, e la
profondità dell'indole, tanto è maggiore la difficoltà e l'angustia di
risolvere. (21. Gen. 1821.).
[539,1] Ma non perciò è segno di molto talento il soler sempre
e subito determinarsi a non credere (come anche a non fare). Anzi perciò appunto
è indizio di piccolo spirito. Il non credere, è una determinazione: e gli uomini
veramente sapienti, e profondi, ed esperti, sanno quante cose possano essere,
quanto sia difficile il negare, quanto sia vero che dall'incertezza e oscurità
delle cose, dalla difficoltà di affermare, deriva necessariamente anche quella
di negare, cioè affermare che una cosa non è, genere anch'esso di affermazione.
E però se una cosa non manca affatto di prova, o di prova sufficiente a muover
dubbio, o s'ella non è del tutto assurda, o riconosciuta evidentemente da lui
stesso per falsa o col fatto, o colla ragione; eccetto in questi casi,
540 il vero saggio e filosofo e conoscitore delle cose
(in quanto sono conoscibili), ἐπέχει καὶ διασκέπτεται, e ritiene come l'assenso
così anche il dissenso. Ma uomini di non molto ingegno, bensì di molta
apparenza, o desiderio di essa apparenza, credono mostrar talento quando al
primo aspetto di una proposizione o cosa non ordinaria, o difficile a credere (o
non concorde colle loro opinioni e principii, o non ben dimostrata o fondata),
si determinano subito a non credere. E se ne compiacciono seco stessi, e si
credono forti di spirito, perchè sanno {determinatamente} e prontamente non credere, quando è tutto
l'opposto. E se bene in questo si mescola spesse volte l'ostentazione, non è
però che non lo facciano ordinariamente di buona fede, e con verità, e che
l'interno non corrisponda alle parole. Giacchè hanno veramente questa facilità di risolversi a non credere.
Perchè appunto sono lontani dalla vera e perfetta sapienza, e cognizione delle
cose. (22. Gen. 1821.).
[595,2]
᾽Αμαϑία μὲν ϑράσος,
λογισμὸς δ᾽ ὄκνον ϕέρει.
*
L'ignoranza fa l'uomo pronto,
596 la considerazione ritenuto; L'ignoranza fa che
l'uomo si risolva facilmente, la ragione difficilmente. In
latino traducono così: Inscitia
quidem audaciam, consideratio autem tarditatem fert.
*
Sentenza di Tucidide, lib. 2.
nell'orazione funebre detta da Pericle, che incomincia, οἱ μὲν πολλοὶ τῶν
ἐνϑάδε ἤδη εἰρηκότων
*
. Sentenza celebre presso gli antichi.
Luciano: (in {Epist.
ad Nigrinum, quae praemittitur} Nigrino, seu de Philosophi
moribus) ᾽Αποϕεύγοιμ᾽ ἂν
*
{(scamperò)}
εἰκότως καὶ τὸ τοῦ Θουκυδίδου λέγοντος, ὅτι ἡ ἀμαϑία
μὲν, ϑρασεῖς, ὀκνηροὺς δὲ τὸ λελογισμένον ἀπεργάζεται.
*
Imperitia audaces, res autem
considerata timidos efficit.
*
Plinio
(Epist. IV.
7.): Hanc ille vim, (seu quo alio
nomine vocanda est intentio quicquid velis obtinendi) si ad potiora
vertisset, quantum boni efficere potuisset? quanquam minor vis
bonis, quam malis inest, ac sicut ἀμαϑία μὲν ϑράσος, λογισμὸς
δὲ ὄκνον ϕέρει, ita recta ingenia debilitat
verecundia, perversa
597 confirmat
audacia.
*
S. Girolamo: (Epist. 126. ad Evagr. (così
è numerata nella mia edizione t. 3. p. 31. a.) Tuum certe spiritualem illum interpretem non
recipies; qui imperitus sermone et scientia, tanto supercilio et
auctoritate Melchisedek
Spiritum Sanctum pronunciavit, ut illud verissimum comprobarit, quod
apud Graecos canitur: imperitia confidentiam, eruditio timorem
creat.
*
[1176,1] Ho detto altrove p. 714 che il
troppo, spesse volte è padre del nulla. Osserviamolo ora nel genio e nelle
facoltà della mente. Certi ingegni straordinarissimi che la natura alcune volte
ha prodotti quasi per miracolo, sono stati o del tutto o quasi inutili, appunto
a cagione della soverchia forza o del loro intelletto o della loro
immaginazione, che finiva nel non potersi risolvere in nulla, nè dare alcun
frutto determinato.
[1450,1] Da quanto ho detto altrove p. 1254 che
l'ingegno è facilità di assuefarsi, e che questa facilità include quella di
mutare assuefazioni, di contrarne delle nuove in pregiudizio delle passate ec.
risulta che i grandi ingegni denno ordinariamente esser mutabilissimi (di
opinioni, di gusti, di stili, di modi, ec. ec.) non già per
1451 quella volubilità che nasce da leggerezza, e questa da poca forza
d'ingegno e di concezioni e sensazioni ec. ma per la facilità di assuefarsi, e
quindi di far progressi. Però la mutabilità, quando conduca sempre più avanti,
ancorchè produca nell'uomo delle condizioni tutte contrarie alle passate, è
sempre indizio di grande ingegno, anzi sua necessaria qualità. Ed infatti
grandissima differenza si suol trovare p. e. tra le prime e le ultime opere di
un grande scrittore (sia nel genere, sia nello stile, sia nelle opinioni, sia
ne' pregi particolari o qualità ec. sia in tutte queste cose insieme), e nessuna
o pochissima in quelle de' mediocri, o degl'infimi. Paragonate il Rinaldo del Tasso, o la prima Tragedia
del Metastasio o dell'Alfieri colle ultime ec. Così pure
nelle inclinazioni della vita o degli studi, ne' gusti letterarii ec. Così dico
anche rispetto alle sue assuefazioni e abilità materiali ec. (4. Agos.
1821.).
[1753,1]
Alla p. 1743.
marg. Infatti è cosa giornalmente osservabile e osservata, che l'uomo
di vero talento, applicato a cose per lui nuovissime, aliene ancora dalle sue
inclinazioni, occupazioni ordinarie, assuefazioni ec. riesce sempre meglio degli
altri; capisce i discorsi appartenenti alle professioni, discipline, cognizioni,
ec. le più lontane dalla sua; entra in tutti i raziocinii ben fatti; si capacita
senza molta fatica di qualunque affermazione o negazione vera, sufficientemente
spiegata, di qualunque probabilità, o parere opportuno; discuopre facilmente le
convenienze,
1754 i rapporti ec. o i loro contrarii,
nelle cose a lui meno familiari ec. ec. Insomma il carattere di un vero talento,
in qualunque genere esso si distingua, (o quantunque non si distingua in nessun
genere) è sempre quello di una capacità generale di mente. Siccome quegli organi
esteriori o materiali (come la mano ec.) che posseggono in grado eminente
qualche abilità, sono per lo più capacissime[capacissimi] di facilmente contrarne delle altre, ancorchè
diversissime. Così la persona svelta ec. ec. (20. Sett. 1821.).
{{V. p. 1778. fine.}}
[2017,2] Il talento non essendo nella massima parte che opera
dell'assuefazione, è certo che coloro che ammirano in altrui questo o quel
talento, abilità, opera ec. ammirano e si stupiscono di quello, di cui essi
medesimi in diverse circostanze, sarebbero stati appresso a poco capacissimi.
(30. Ott. 1821.).
[2039,3]
Alla p. 2033.
Una gran forza naturale di sentimento di immaginazione ec. non suol essere senza
un gran talento (e perciò ella è sempre compagna della facoltà di ragionare e
pensare), cioè una gran disposizione e facilità di assuefarsi. La facoltà di
sentire profondamente ec. e d'immaginare, si acquista
2040 mediante la detta disposizione, come tutte le altre; e quando
essa facoltà è ben grande, egli è segno che anch'essa disposizione è grande, e
però capace anche di altre diversissime facoltà. Ora la disposizione ad
assuefarsi include, come ho bene spiegato altrove p. 1727
pp.
1761-62
p.
1824, quella di dissuefarsi, cioè di contrarre facilmente e
prontamente nuove e contrarie abitudini. Quindi è che l'uomo di gran sentimento
è in maggior pericolo di perderlo, di divenir quasi insensibile, di contrarre un
abito gagliardo di freddezza d'indifferenza, di alienarsi fortemente dalla virtù
ec. ec. che non colui il quale non possiede che un sentimento mediocre, e non è
virtuoso che per una mediocre forza, ec. Le disposizioni di costoro si vede
infatti che sono durevolissime, anzi le sole durevoli e costanti, perch'essi non
contraggono facilmente nuove assuefazioni, non si persuadono di contrarii
principii, e le circostanze hanno poca influenza
2041
su di loro. Ma l'uomo gagliardamente suscettivo, perciò appunto è capace e
suscettivo di divenire insuscettivo, duro, freddo, egoista, quando le
circostanze lo portano a queste assuefazioni; e necessariamente ve lo porta
l'esperienza del mondo. La quale per convincerlo, ed assuefarlo a nuovi e
contrarii principii, non ha bisogno di molto tempo, perchè appunto un tal uomo
presto e facilmente {e fortemente} conosce, sente, e si
assuefa. (3. Nov. 1821.).
[2230,1] Quanto sia vero che la scienza ed ogni facoltà umana
non deriva che da pure assuefazioni, e queste quando son relative in qualunque
modo all'intelletto, hanno bisogno dell'attenzione. L'uomo di gran talento, è
avvezzo soprammodo ad attendere, ed assuefarsi, si trova bene spesso
inespertissimo e ignorante di cose che i meno attenti, e più divagati animi
conoscono ottimamente. Ciò viene perch'egli in tali cose non suol porre
attenzione. Ho detto altrove pp. 1062-63 ch'egli suol essere
ignorantissimo di tutte le arti ec. della buona compagnia. Osservatelo ancora
nel senso materiale del gusto. Gl'ignoranti l'avranno finissimo, e capacissimo
di discernere le menome differenze, pregi, difetti de' sapori e de' cibi. Egli
al contrario, e se talvolta vi attende, si maraviglia di non capir nulla di ciò
che gli altri conoscono benissimo, e gli dimostrano. Eppur questo è un senso
materiale. Ma non esercitato da lui con l'attenzione,
2231 benchè materialmente esercitato da lui come dagli altri. Che vuol
dir ciò? tutte le facoltà umane le più materiali, e apparentemente naturali,
abbisognano di assuefazione ec. (6. Dic. 1821.).
[2410,1] Dalla mia teoria
del piacere segue che per essenza naturale e immutabile delle cose,
quanto è maggiore e più viva la forza, il sentimento, e l'azione e attività
interna dell'amor proprio, tanto è necessariamente maggiore l'infelicità del
vivente, o tanto più difficile il conseguimento d'una tal quale felicità. Ora la
forza e il sentimento dell'amor proprio è tanto maggiore quanto è maggiore la
vita, o il
2411 sentimento vitale in ciascun essere; e
specialmente quanto è maggiore la vita interna, ossia l'attività dell'anima,
cioè della sostanza sensitiva, e concettiva. Giacchè amor proprio e vita son
quasi una cosa, non potendosi nè scompagnare il sentimento dell'esistenza
propria (ch'è ciò che s'intende per vita) dall'amore dell'esistente, nè questo
esser minore di quello, ma l'uno si può sempre esattamente misurare coll'altro.
E tanto uno vive, quanto si ama, e tutti i sentimenti di chi vive sono compresi
o riferiti o prodotti ec. dall'amor proprio: il quale è il sentimento universale
che abbraccia tutta l'esistenza; e gli altri sentimenti del vivente (se pur ve
n'ha che sieno veramente altri) non sono che modificazioni, o divisioni, o
produzioni di questo, ch'è tutt'uno col sentimento dell'essere, o una parte
essenziale del medesimo.
[3040,1] L'uomo in cui concorressero grande {e colto} ingegno, e risolutezza, si può affermare
senz'alcun dubbio che farebbe {e otterrebbe} gran cose
nel mondo, e che certo non potrebbe restare oscuro, in qualunque condizione
l'avesse posto la fortuna della nascita. Ma l'abito della prudenza nel
deliberare esclude ordinariamente la facilità e prontezza del risolvere, ed
anche la fermezza nell'operare. Di qui è che gli uomini d'ingegno grande ed
esercitato sono per lo più, anzi quasi sempre prigionieri, per così dire,
dell'irresolutezza, {+difficili a
risolvere, timidi, sospesi, incerti, delicati, deboli nell'eseguire.}
Altrimenti essi dominerebbero il mondo, il quale, perchè la risolutezza per se
può sempre più che la prudenza sola, fu {ed è} e sarà
sempre in balia degli uomini mediocri. (26. Luglio, dì di S. Anna.
1823.).
[3171,1]
3171 Niuna cosa maggiormente dimostra la grandezza e la
potenza dell'umano intelletto, nè l'altezza e nobiltà dell'uomo, che il poter
l'uomo conoscere e interamente comprendere e fortemente sentire la sua
piccolezza. Quando egli considerando la pluralità de' mondi, si sente essere
infinitesima parte di un globo ch'è minima parte d'uno degli infiniti sistemi
che compongono il mondo, e in questa considerazione stupisce della sua
piccolezza, e profondamente sentendola e intentamente riguardandola, si confonde
quasi col nulla, e perde quasi se stesso nel pensiero della immensità delle
cose, e si trova come smarrito nella vastità incomprensibile dell'esistenza;
allora con questo atto e con questo pensiero egli dà la maggior prova possibile
della sua nobiltà, della forza e della immensa capacità della sua mente, la
quale rinchiusa in sì piccolo e menomo essere, è potuta pervenire a conoscere e
intender cose tanto superiori alla natura di lui, e può abbracciare e contener
3172 col pensiero questa immensità medesima della
esistenza e delle cose. Certo niuno altro essere pensante su questa terra giunge
mai pure a concepire o immaginare di esser cosa piccola o in se o rispetto
all'altre cose, eziandio ch'ei sia, quanto al corpo, una bilionesima parte
dell'uomo, per nulla dire dell'animo. E veramente quanto gli esseri più son
grandi, quale sopra tutti gli esseri terrestri si è l'uomo, tanto sono più
capaci della conoscenza e del sentimento della propria piccolezza. Onde avviene
che questa conoscenza e questo sentimento anche tra gli uomini sieno infatti
tanto maggiori e più vivi, ordinari, continui e pieni, quanto l'individuo è di
maggiore e più alto e più capace {intelletto} ed
ingegno. (12. Agosto. dì di S. Chiara. 1823.).
[3183,1] Gli uomini che nel mondo sono stimati e sono tenuti
da quanto gli altri o da più degli altri, lo sono per l'ordinario in quanto
coll'uso della società essi si sono allontanati dalla natura lor propria e dagli
abiti naturali dell'uomo generalmente, ed hanno in se oscurata e coperta la
natura, o sanno, sempre che vogliono, coprirla. E quanto più è oscurata in loro
e coperta e mutata sì la natura individuale e lor propria, vale a dire il loro
natural carattere, e gli abiti a che essa {particolar
natura} gli avrebbe condotti, sì la natura generale degli uomini,
tanto la stima generale verso di essi è maggiore. Voglio dir che la più parte
delle qualità che negli uomini ottengono stima appo il mondo, o sono totalmente
acquisite e per nulla naturali, anzi spesso contrarie alla natura lor propria o
generale; ovvero sono talmente svisate
3184 dal
naturale che per naturali non si ravvisano, e più che sono svisate, più, per
l'ordinario, si stimano. Perocchè egli è ben raro che una qualità semplicemente
naturale, e tale qual ella è da natura, sia stimata punto nella società, e
quando pur sialo, questa stima non è nè durevole, nè salda, nè generale, nè
molta, {ed} è sempre inferiore a quella delle qualità
acquisite o snaturate, le quali si apprezzano per regola, stabilmente e
seriamente, ma le naturali quasi per gioco, per rarità, per variare, per
passatempo, momentaneamente. Quelle si stimano come gravi, serie, e da negozio;
queste come lievi, di poca importanza ed utilità, da {semplice} trattenimento e da ozio: e la società presto se ne
annoia.
[3488,2] Molti sono timidi i quali sono insieme
coraggiosissimi. Voglio dire che molti si perdono d'animo nella società, i quali
nè fuggono nè temono ed anche volontariamente incontrano i pericoli
3489
{e i danni e le fatiche e le sofferenze ec.;} e non
sostengono gli sguardi o le parole amichevoli o indifferenti di tali di cui
sosterrebbero facilissimamente l'aspetto minaccioso e l'armi nemiche in
battaglia o in duello. La timidità spetta per così dire ai mali dell'animo, il
coraggio a quelli del corpo. L'una teme de' danni e delle pene interne, l'altro
brava i danni e le sofferenze esteriori. L'una s'aggira intorno allo spirituale,
l'altro al materiale. E tanto è lungi che la timidità escluda il coraggio, che
anzi ella piuttosto lo favorisce, e da essa si può dedurre {con verisimiglianza} che l'uomo che n'è affetto sia coraggioso.
Perocchè la timidità è abito di temer la vergogna, la quale assai facilmente e
spesso incontra chi teme e fugge i pericoli. Onde il temer la vergogna, ch'è
male, per così dire, interno e dell'animo, giacchè nulla nuoce al corpo nè alle
cose esteriori, ed opera sul pensiero solo, ed ai sensi non dà noia; fa che
l'uomo non tema i danni esteriori, e non fugga e, bisognando, affronti il
pericolo {+ed eziandio la certezza}
di soffrirli, preponendo i mali o i pericoli esterni e materiali agl'interni e
spirituali,
3490 e l'anima, per così dire, al corpo; e
volendo innanzi soffrire ne' sensi, nella roba ec. che nello spirito, e morire
piuttosto che patir la {pena della} vergogna. Chè {in} questo e non altro consiste quel coraggio che viene
da sentimento di onore, e gli effetti del medesimo. Il qual coraggio ha origine
e fondamento, anzi è esso stesso una spezie di timidità, o certo {una spezie} di qualità contraria alla sfrontatezza,
all'impudenza, all'inverecondia. (21. Sett. Festa della Beatissima Vergine
Addolorata. 1823.). {{V. la pag. seg. [p.
3491,3].}}
[4037,6] Parrebbe che gli uomini sciolti, franchi nel
conversare, e massime gli sprezzanti avessero più amor proprio degli altri e più
stima di se, e i timidi meno. Tutto al contrario. I timidi per eccesso di amor
proprio e per il troppo conto che fanno di se, temendo sempre di sfigurare e
perdere la stima altrui o desiderando soverchiamente di acquistarla e di
figurare, hanno sempre innanzi agli occhi il rischio del proprio onore, del
proprio concetto, del proprio amore, e occupati e legati da questo pensiero,
sono senza coraggio, e non si ardiscono mai. I franchi e gli sprezzanti fanno al
contrario
4038 per la contraria cagione, cioè per aver
poca cura e poco concetto concetto di se, o desiderio della stima degli altri
(che viene a essere il medesimo), sia che essi sieno tali per natura, o per
abito acquisito. Così che essi offendono spesse volte e facilmente, o rischiano
di offendere l'amor proprio degli altri, e n'hanno poca cura, per poco amor di
se stessi. E i timidi lo risparmiano sempre con mille scrupoli e riguardi, e non
impetrano mai da se stessi non che di lederlo menomamente, ma di porsene a
rischio benchè leggero e lontano, e ciò per soverchio amor proprio, il quale
parrebbe che dovesse principalmente offendere e muoverli ad offendere quello
degli altri. E così per soverchia stima di se stessi, si guardano di mostrar
dispregio degli altri, e infatti non gli spregiano, anzi gli stimano
eccessivamente non per altro che per lo smisurato desiderio e conto che fanno
della loro stima, anche conoscendoli di niun valore, o almeno per la gran tema
che hanno di perderla, eziandio vedendo che la sarebbe piccola perdita per
rispetto al merito di coloro. Tali sono ordinariamente i fanciulli e i giovani
ancora inesperti e inesercitati nel commercio umano e nelle palestre dell'amor
proprio, dov'esso riporta tanti colpi, che alla fine incallisce; e tali sono più
o manco, per più o men lungo tempo, ed alcune per tutta la vita, le persone
sensibili e immaginose, le quali restano {sovente}
fanciulle anche in età matura, e vecchia, sì quanto a {molte} altre cose, sì quanto a questa della timidità {nel consorzio umano,} che in esse è sempre difficile a
vincere più {assai} che negli altri, e in alcune è
assolutamente invincibile, come {fu} in Rousseau. La cagione si è l'eccesso
dell'amor proprio, inseparabile dalla soprabbondanza della vita e forza
dell'animo; ed insieme la vivacità della immaginazione, la quale non mai
veramente spenta {in loro,} nè anche quando pare
affatto agghiacciata, e quando effettivamente ha cessato affatto di partorire
alcun piacere all'individuo medesimo, continuamente,
4039 secondo la sua natura, va fingendo ad esso amor proprio che è per se
vivissimo, mille falsi pericoli e difficoltà, o smisuratamente accrescendo e
moltiplicando i veri. Sì, Rousseau e gli
altri tali uomini sensibili e virtuosi e magnanimi, occupati sempre e legati da
un'invincibile e irrepugnabile timidità, anzi mauvaise
honte ed erubescenza, non furono e non son tali se non
per eccesso di amor proprio e d'immaginazione. Altro danno e infelicità somma
della soprabbondanza della vita interna dell'anima (oltre i tanti da me altrove
notati p. 1382
p.
1584
pp. 2410-14
pp.
2629-30
pp. 2736-39
p.
2861
pp.
3921. sgg.), della sensibilità, della squisitezza dell'ingegno, della
natura riflessiva, immaginosa ec. Poichè in essa l'amor proprio essendo
eccessivo e però tanto più bisognoso di successi, e desiderando la stima altrui
e temendo la disistima molto più che gli altri non fanno, e impedito di
conseguire e costretto ad incontrare quelli che gli altri con molto minor
desiderio e bisogno conseguono facilissimamente ogni dì, ed evitano con molto
minor tema, e che quando nol conseguissero o non lo evitassero, ne sarebbero
molto meno afflitti e infelicitati, per la minore vivacità {e
sensibilità} dell'amor proprio, ed anche della immaginazione, la quale
a quegli altri accresce eziandio per se stessa e con mille false esagerazioni e
finzioni la grandezza delle perdite fatte, di quello che essi desiderano
naturalmente di conseguire, di quello che non ottengono, dei mali successi
incontrati nella società, delle ἀσχημοσύναι, che anche bene spesso non son vere
affatto, ma fabbricate di pianta dall'immaginazione, e non esistono se non
nell'idea di questi tali, e così anche i buoni successi o gli oggetti che essi
si propongono di conseguire che spessissimo sono vani e immaginari, e da niuno
ottenuti nè possibili ad ottenere ec. ec. (1. Marzo. penultimo dì di
Carnevale. 1824.) Ciò che ho detto dell'immaginazione, dico
4040 dell'amor proprio, il quale in questi tali, anche
quando sembra rotto e fiaccato dall'uso de' mali, {dispiaceri, punture ec.} anzi minore assai che non è negli altri, e
quasi al tutto agghiacciato, addormentato e spento, è sempre in verità vivissimo
assai più che negli altri anche giovani e principianti, caldissimo, e {ancora} in istato da esser chiamato tenerezza di se
stesso (come suol essere nella gioventù) benchè sia in loro più {negativo che} positivo, più atto a impedire che a
cagionare, piuttosto causa di passione che d'azione ec. quale egli è
proporzianatamente[proporzionatamente] anche
ne' primi anni di questi tali. (3. Marzo. Mercoledì delle S. Ceneri.
1824.).
[4064,1] Ciascuno, e massimamente gli spiriti più delicati,
sensibili e suscettibili, pervenuto a una certa età ha fatto esperienza in se
stesso di più e più caratteri. Le circostanze fisiche, morali e intellettuali,
cambiandosi continuamente nello spazio della vita di un uomo, e nelle sue
diverse età, cambiandosi, dico, per rispetto a lui, cambiano continuamente il
suo carattere, di modo che di tempo in tempo egli è uomo veramente nuovo di
spirito, come dicono i fisici che di sette in sette anni (se non erro) egli è
rinnovato di corpo. Gli uomini sensibili in particolare non solo cambiano
carattere e più rapidamente degli altri, ma facilmente e ordinariamente
acquistano caratteri contrari tra se, e massime a quel primo carattere che si
sviluppò in essi, a quello più conforme alla loro natura, a quello che il primo
potè in loro esser chiamato carattere. La coltura dell'intelletto fra l'altre
cose cagiona in una persona stessa a proporzione de' suoi progressi, e
coll'andar del tempo, una
4065 variazione singolarmente
rapida e singolarmente grande. Chi non sa quanto i principii, le opinioni e le
persuasioni influiscano e determinino i caratteri degli uomini? Ora ciascuno
individuo quando nasce è precisamente, quanto all'intelletto nello stato
medesimo in cui fu il primo uomo. Quegl'individui che coll'andar del tempo si
sono posti a livello delle cognizioni del nostro tempo, sono necessariamente
passati per tutti quegli stati per cui lo spirito umano è passato dal principio
del mondo fino al dì d'oggi (almeno per quei gradi per cui egli è passato
progredendo e avanzando), e ha sperimentato in se tutti gli avvenimenti
dell'intelletto che il genere umano ha sperimentato in tanti secoli quanti sono
corsi dalla sua origine insino a ora. La storia del suo intelletto è quella
appunto di tutti questi secoli {ristretta e} compresa
in venti o trent'anni di tempo. Laonde da tutti i cambiamenti che il suo
intelletto ha provati, cambiamenti che più volte l'hanno portato a persuasioni e
stati contrarissimi ai passati, e in ultimo a un sistema di persuasioni ed a uno
stato contrarissimo al suo primitivo; da tutti questi cambiamenti, dico,
deggiono di necessità essere risultate in lui tante diversità e successivi
cambiamenti di carattere, quanti ne sono stati prodotti nelle nazioni e nel
genere umano in generale dai diversi principii e opinioni e dal diverso {progresso e} stato di cognizioni in tutto il tempo che
ci è bisognato per portarlo dal suo primitivo stato al presente. (8.
Aprile. 1824.) Onde questo tale individuo rinchiude e compendia in
se, non solo la storia dello spirito umano, ma quella eziandio de' caratteri
{successivi} delle nazioni, in quanto essi ebbero
origine e dipendenza dalle opinioni e conoscenze, che certo è grandissima e
forse la massima parte. (8. Aprile. 1824.).
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