Sapienza umana. Sua vanità e stoltezza.
Human knowledge. Its vanity and foolishness.
490,1 1085,1 1090,1 1091,1 1163,1 2295-6 2668,1 2672,3 2709,1 2711,1 2800,1 3773,1 4041,7 4189,1 4192,1 4206,4[490,1]
Σὺ γάρ, ὦ Θαλῆ, τὰ
ἐν ποσὶν οὐ δυνάμενος ἰδεῖν, τὰ ἐπὶ τοῦ οὐρανοῦ οἴει γνώσεσϑαι
*
;
disse quella vecchia fantesca a Talete caduto in una fossa mentre andava contemplando le stelle.
(Laerz. I. 34. in Thalete.)
491
Ὥσπερ καὶ Θαλῆν
ἀστρονομοῦντα, ὦ Θεόδωρε
*
(dum coelum suspiceret. Ficin.), καὶ
ἄνω βλέποντα, πεσόντα εἰς ϕρέαρ
*
(in foveam. id.) Θρᾷττά τις ἐμμελὴς καὶ χαρίεσσα ϑεραπαινὶς
*
(Thracia quaedam eius ancilla concinna et lepida. id.) ἀποσκῶψαι λέγεται, ὡς τὰ μὲν ἐν οὐρανῷ προϑυμοῖτο εἰδέναι
*
,
(pervidere contenderet. id.) τὰ δ᾽ ἔμποσϑεν αὐτοῦ καὶ
παρὰ πόδας, λανϑάνοι αὐτόν. Ταὐτὸν δὲ ἀρκεῖ
*
, (obiici potest. id.
aptius, cadit, convenit) σκῶμμα ἐπὶ πάντας ὅσοι ἐν
ϕιλοσοϕίᾳ διάγουσι
*
(in philosophia versantur. id.) Platone nel Teeteto, ἢ περὶ ἐπιστήμης alquanto prima della
metà. (p. 127. f. Lugduni 1590.) {E v. il Menag. ad Laert. I.
34.} E Diogene
Cinico si maravigliava ἐϑαύμαζε... τοὺς μαϑηματικοὺς
*
(cioè gli astronomi)
ἀποβλέπειν μὲν πρὸς τὸν ἤλιον καὶ τὴν σελήνην, τὰ
δ᾽ ἐν ποσὶ πράγματα παρορᾶν.
*
(Laerz. VI. 28. in Diogene
Cynico.)
[1085,1] Parecchi filosofi hanno acquistato l'
1086 abito di guardare come dall'alto il mondo, e le
cose altrui, ma pochissimi quello di guardare effettivamente e perpetuamente
dall'alto le cose proprie. Nel che si può dire che sia riposta la sommità
pratica, e l'ultimo frutto della sapienza. (25. Maggio 1821.).
[1090,1] Non si conoscono mai perfettamente le ragioni, nè
tutte le ragioni di nessuna verità, {anzi nessuna verità si
conosce mai perfettamente,} se non si conoscono perfettamente tutti i
rapporti che ha essa verità colle altre. E siccome tutte le verità e tutte le
cose esistenti, sono legate fra loro assai più strettamente ed intimamente ed
essenzialmente, di quello che creda o possa credere
1091 e concepire il comune degli stessi filosofi; così possiamo dire che non si
può conoscere perfettamente nessuna verità, per piccola, isolata, particolare
che paia, se non si conoscono perfettamente tutti i suoi rapporti con tutte le
verità sussistenti. Che è come dire, che nessuna (ancorchè menoma, ancorchè
evidentissima e chiarissima e facilissima) verità, è stata mai nè sarà mai
perfettamente ed interamente e da ogni parte conosciuta. (26. Maggio
1821.).
[1091,1] Così, senza la condizione detta qui sopra, non si
conoscono mai, nè tutte le premesse che conducono a una conseguenza, cioè alla
cognizione di una tal verità, nè tutta la relazione e connessione, o tutte le
relazioni e connessioni che hanno le premesse anche conosciute, colla detta
conseguenza. (26. Maggio 1821.).
[1163,1] Il miglior uso ed effetto della ragione e della
riflessione, è distruggere o minorare nell'uomo la ragione e la riflessione, e
l'uso e gli effetti loro. (13. Giugno 1821.).
[2292,1]
2292 Chi deve governare gli uomini, dovrebbe conoscerli
più che alcun altro mai. I principi per lo contrario, cresciuti fra
l'adulazione, e vedendo gli uomini sempre diversi da quello che sono, (per le
infinite simulazioni della corte) e da giovani avendo poca voglia, più tardi
poco tempo di attendere agli studi, non possono conoscer gli uomini nè come li
conoscono i filosofi, nè come li conosce chi ha praticato e sperimentato il
mondo qual egli è. Quindi nella cognizione degli uomini, dote in essi di prima
necessità per il bene de' sudditi, i principi non solo non sono superiori, ma
necessariamente inferiori ai più meschini e ignoranti che vivono nel mondo. A
questo gran difetto rimedierebbero gli studi: e infatti quanti principi sono
stati studiosi o in gioventù o in seguito, quanti principi sono stati filosofi,
tanti sono stati buoni principi, avendo appreso dai libri a conoscer quel mondo
e
2293 quelle cose che avevano a governare. Marcaurelio, Augusto, Giuliano ec. Parrebbe questo un grandissimo pregio e un vero trionfo
della filosofia, e dimostrazione della sua utilità. Ma io dico che la filosofia
non ha fatto nè farà mai questo buon effetto di darci dei buoni principi, se non
fino ch'ella fu, o quando ella è imperfetta: allo stesso modo che solo in questo
caso ella può darci de' buoni privati, e ce ne diede e ce ne dà. Vengo a dire
che la filosofia moderna (la quale può dirsi che nella sua natura, cioè in
quanto filosofia, o scienza della ragione e del vero, sia perfetta) non farà de'
buoni principi, come non farà mai de' buoni privati; anzi ne farà dei pessimi,
perchè la perfezione della filosofia, non è insomma altro che l'egoismo; e però
la filosofia moderna non farà de' principi (come
2294
vediamo de' privati) se non de' puri e perfetti egoisti. Tanto peggiori de'
principi ignoranti, quanto che in questi l'egoismo ha una base meno salda; la
natura che lo cagiona, v'aggiunge molti lenitivi e modificativi; le illusioni
della virtù della grandezza d'animo, della compassione, della gloria non sono
irrevocabilmente chiuse per loro, come per un principe filosofo moderno: e se
non altro in quelli la coscienza e l'opinione ripugna al costume, e al vizio; in
questi li rassoda, li protegge (essendo un filosofo moderno, necessariamente
egoista, e {quindi} malvagio, per principii), anzi li
comanda, e condannerebbe il principe se non fosse egoista dopo aver conosciute
le cose e gli uomini. Così che anche un principe inclinatissimo alla virtù,
divenendo filosofo alla moderna, diverrebbe quasi per forza e suo malgrado
vizioso,
2295 come accade ne' privati. Volete una prova
di fatto? Volete conoscere che cosa sia un principe filosofo moderno? Osservate
Federico II. e paragonatelo con
M. Aurelio. Di maniera che è da
desiderarsi sommamente oggidì che un principe non sia filosofo, il che tanto
sarebbe, quanto freddo e feroce e inesorabile egoista, ed un egoista che ha in
mano, e può disporre a' suoi vantaggi una nazione, è quanto dire un tiranno.
Ecco il bel frutto e pregio della filosofia moderna, la quale finisce
d'impossibilitare i principi ad esser virtuosi (siccome fa ne' privati), e a
conoscer gli uomini, senza il che non possono esser buoni principi. Ma siccome
questo effetto della filosofia moderna, non è in quanto moderna, ma in quanto
vera e perfezionata filosofia (giacchè niente di falso le possiamo imputare), e
siccome le cose si denno considerare e giudicare nella
2296 loro perfezione cioè nella pienezza del loro essere, e delle loro
qualità e proprietà, così giudicate che cosa sia per essenza la filosofia, la
sapienza, la ragione, la cognizione del vero, tanto riguardo al regolare le
nazioni, cioè riguardo a' principi, quanto assolutamente parlando. (27.
Dic. 1821.).
[2668,1] Chi mi chiedesse quanto e fino a qual segno la
filosofia si debba brigare delle cose umane e del regolamento dello spirito,
delle passioni, delle opinioni, de' costumi, della vita umana; risponderei tanto
e fino a quel punto che i governi si debbono brigare dell'industria {e del commercio} nazionale a voler che questi
fioriscano, vale a dire non brigarsene nè punto nè poco. E sotto questo aspetto
la filosofia è veramente e pienamente paragonabile alla scienza dell'economia
pubblica. La perfezione della quale consiste nel conoscere che bisogna lasciar
fare alla natura, che quanto il commercio {(interno ed
esterno)} e l'industria è più libera, tanto più prospera, e tanto
meglio camminano gli affari della nazione; che quanto più è regolata tanto più
decade e vien meno; che in somma essa scienza è inutile, poichè il suo meglio è
fare che le cose vadano come s'ella non esistesse, e come anderebbero da per
tutto dov'ella e i governi non s'intrigassero del commercio e dell'industria; e
la sua perfezione è
2669 interdirsi ogni azione,
conoscere il danno ch'essa medesima reca, e in somma non far nulla, al quale
effetto gli uomini non avevano bisogno d'economia politica, ma s'ella non fosse
stata, ciò si sarebbe necessariamente ottenuto allo stesso modo, e meglio. Ora
tale appunto si è la perfezione della filosofia e della ragione e della
riflessione ec. come ho detto altrove pp. 448-50
pp. 491-494
pp.
574-75. (2-3. Feb. 1823.).
[2672,3]
Μὴ προϑυμεῖσϑαι εἰς τὴν
ἀκρίβειαν ϕιλοσοϕεῖν, ἀλλ' εὐλαβεῖσϑαι {ὅπως}
μὴ πέρα τοῦ δέοντος σοϕώτεροι γενόμενοι, λήσετε διαϕϑαρέντες.
*
Plato in Gorgia ed. Frider. Astii.
Lips. 1819-... t. 1. p. 362-4. Ne enitamini ut diligenter philosophemini, sed cavete ne, supra quam
oportet, sapientiores facti ipsi inscientes corrumpamini
*
.
Φιλοσοϕία γάρ τοί
ἐστιν, ὦ Σώκρατες, χαρίεν, ἄν τις αὐτοῦ μετρίως ἅψηται∙ ἐὰν δὲ περαιτέρω
τοῦ δέοντος ἐνδιατρίψῃ, διαϕϑορὰ τῶν ἀνϑρώπων.
*
ib. p. 356. Philosophia enim, o Socrate, est illa quidem lepida, si quis eam
modice attingit, sin ultra quam opus est ei studet, corruptela est
hominum.
*
Tutta la vituperazione della filosofia che Platone
in quel Dial. mette in bocca di Callicle, dalla p. 352. alla p.
362. è degna d'esser veduta. V'è anche insegnata (sebben Platone lo fa per poi negarla e
confutarla) la vera legge naturale, che ciascun uomo o vivente faccia tutto per
se, e il più forte sovrasti il più debole, e si goda quel di costui.
(Roma 12. Feb.
2673 1823. primo dì di Quaresima.)
[2709,1] Paragonando la filosofia antica colla moderna, si
trova che questa è tanto superiore a quella, principalmente perchè i filosofi
antichi volevano tutti insegnare e fabbricare: laddove la filosofia moderna non
fa ordinariamente altro che disingannare e atterrare. Il che se gli antichi tal
volta facevano, niuno però era che in questo caso non istimasse suo debito e suo
interesse il sostituire {#1. V. p.
3469.} Così fecero anche nella {prima} restaurazione della filosofia Cartesio e Newton. Ma i filosofi
2710 moderni, sempre
togliendo, niente sostituiscono. E questo è il vero modo di filosofare, non già,
come si dice, perchè la debolezza del nostro intelletto c'impedisce di trovare
il vero positivo, ma perchè in effetto la cognizione del vero non è altro che lo
spogliarsi degli errori, e sapientissimo è quello che sa vedere le cose che gli
stanno davanti agli occhi, senza prestar loro le qualità ch'esse non hanno. La
natura ci sta tutta spiegata davanti, nuda ed aperta. Per ben conoscerla non è
bisogno alzare alcun velo che la cuopra: è bisogno rimuovere gl'impedimenti e le
alterazioni che sono nei nostri occhi e nel nostro intelletto; e queste,
fabbricateci e cagionateci da noi col nostro raziocinio. Quindi è che i più
semplici più sanno: che la semplicità, come dice un filosofo tedesco, (Wieland
[Storia del saggio
Danischmend]) è sottilissima, che i fanciulli e i selvaggi più
vergini vincono di sapienza le persone più addottrinate: cioè più mescolate di
elementi stranieri al loro intelletto.
2711 Di qui si
conferma quel mio principio che la sommità della sapienza consiste nel conoscere
la sua propria inutilità pp. 448-50
pp.
491-94
pp. 2668-69, e come gli uomini sarebbero {già} sapientissimi s'ella mai non fosse nata: e la sua maggiore
utilità, {+o per lo meno il suo primo e
proprio scopo,} nel ricondurre {l'intelletto
umano} (s'è possibile) {appresso a poco} a
quello stato in cui era prima del di lei nascimento. E quello ch'io dico qui
dell'intelletto, dico altrove, e qui ridico, anche per rispetto alla vita, e a
tutto quello che appartiene all'uomo, e che ha qualsivoglia relazione colla
sapienza. (21. Maggio 1823.).
[2711,1] I filosofi antichi seguivano {la
speculazione,} l'immaginazione e il raziocinio. I moderni
l'osservazione e l'esperienza. (E questa è la gran diversità fra la filosofia
antica e la moderna). Ora quanto più osservano tanto più errori scuoprono negli
uomini, più o meno antichi, più o meno universali, propri del popolo, de'
filosofi, o di ambedue. Così lo spirito umano fa progressi: e tutte le scoperte
fondate sulla nuda osservazione delle cose,
2712 non
fanno quasi altro che convincerci de' nostri errori, e delle false opinioni da
noi prese e formate e create col nostro proprio raziocinio o naturale o
coltivato e (come si dice) istruito. Più oltre di questo non si va. Ogni passo
della sapienza moderna svelle un errore; non pianta niuna verità, (se non che
tali {tuttogiorno} si chiamano le proposizioni, {i dogmi, i sistemi} in sostanza negativi). Dunque se
l'uomo non avesse errato, sarebbe già sapientissimo, e giunto a quella meta a
cui la filosofia moderna cammina con tanto sudore e difficoltà. Ma chi non
ragiona, non erra. Dunque chi non ragiona, o per dirlo alla francese, non pensa,
è sapientissimo. Dunque sapientissimi furono gli uomini prima della nascita
della sapienza, e del raziocinio sulle cose: e sapientissimo è il fanciullo, e
il selvaggio della California, che non conosce il pensare. (21. Maggio
1823.).
[2800,1] È massima molto comune tra' filosofi, e lo fu
specialmente tra' filosofi antichi, che il sapiente non si debba curare, nè
considerar come beni {o mali,} nè riporre la sua
beatitudine nella {presenza o nell'assenza delle cose}
che dipendono dalla fortuna, quali ch'elle si sieno, {+o da veruna forza di fuori,} ma solo in quelle che
dipendono interamente e sempre dipenderanno da lui solo. Onde
2801 conchiudono che il sapiente, il quale suppongono dover essere in
questa tale disposizion d'animo, non è per veruna parte suddito della fortuna.
Ma questa medesima disposizione d'animo, supponendo ancora ch'ella sia più
radicata, più abituale, più continua, più intera, più perfetta, più reale
ch'ella non è mai stata effettivamente in alcun filosofo, questa medesima
disposizione, dico, già pienamente acquistata, ed anche, per lungo abito,
posseduta, non è ella sempre suddita della fortuna? Non si sono mai veduti de'
vecchi ritornar fanciulli {di mente,} per infermità o
per altre cagioni, l'effetto delle quali non fu in balia di coloro l'impedire o
l'evitare. La memoria, l'intelletto, tutte le facoltà dell'animo nostro non sono
in mano della fortuna, come ogni altra cosa che ci appartenga? Non è in sua mano
l'alterarle, l'indebolirle, lo stravolgerle, l'estinguerle? La nostra medesima
ragione non è tutta quanta in balia della fortuna? Può nessuno assicurarsi o
vantarsi
2802 di non aver mai a perder l'uso della
ragione, o per sempre o temporaneamente; o per disorginazzazione[disorganizzazione] del cervello, o per accesso di sangue o
di umori al capo, o per gagliardia di febbre, o per ispossamento straordinario
di corpo che induca il delirio o passeggero o perpetuo? Non sono infiniti gli
accidenti esteriori imprevedibili o inevitabili che influiscono sulle facoltà
dell'animo nostro siccome su quelle del corpo? E di questi, altri che accadono
ed operano in un punto o in poco tempo, come una percossa al capo, un terrore
improvviso, una malattia acuta; altri appoco appoco e lentamente, come la
vecchiezza, l'indebolimento del corpo, e tutte le malattie lunghe e preparate o
incominciate già da gran tempo dalla natura ec. Perduta o indebolita la memoria
non è indebolita o perduta la scienza, e quindi l'uso e l'utilità di essa, e
quindi quella disposizion d'animo che n'è il frutto, e di cui ragionavamo? Ora
qual facoltà dell'animo umano è più labile,
2803 più
facile a logorarsi, anzi più sicura d'andar col tempo a indebolirsi od
estinguersi, anzi più continuamente inevitabilmente e visibilmente logorantesi
in ciascuno individuo, che la memoria? In somma se il nostro corpo è {tutto} in mano della fortuna, e soggetto per ogni parte
all'azione delle cose esteriori, temeraria cosa è il dire che l'animo, il quale
è tutto e sempre soggetto al corpo, possa essere indipendente dalle cose
esteriori e dalla fortuna. Conchiudo che quello stesso perfetto sapiente, quale
lo volevano gli antichi, quale mai non esistette, quale non può essere se non
immaginario, tale ancora, sarebbe interamente suddito della fortuna, perchè in
mano di essa fortuna sarebbe interamente quella stessa ragione sulla quale egli
fonderebbe la sua indipendenza dalla fortuna medesima. (21. Giugno
1823.).
[3773,1]
3773 Vogliono che l'uomo per natura sia più sociale di
tutti gli altri viventi. Io dico che lo è men di tutti, perchè avendo più
vitalità, ha più amor proprio, e quindi necessariamente ciascun individuo umano
ha più odio verso gli altri individui sì della sua specie sì dell'altre, secondo
i principii da me in più luoghi sviluppati p. 55
pp. 872. sgg.
pp.
1078-79
pp.
1083-84
pp.
2204-206
p.
2644
pp. 2736. sgg.
p.
3291. Or qual altra qualità è più antisociale, più esclusiva per sua
natura dello spirito di società, che l'amore estremo verso se stesso, l'appetito
estremo di tirar tutto a se, e l'odio estremo verso gli altri tutti? Questi
estremi si trovano tutti nell'uomo. Queste qualità sono naturalmente nell'uomo
in assai maggior grado che in alcun'altra specie di viventi. Egli occupa nella
natura terrestre il sommo grado per queste parti, siccome generalmente egli
tiene la sommità fra gli esseri terrestri.
[4041,7] Gli uomini sarebbono felici se non avessero cercato
e non cercassero di esserlo. Così molte nazioni o paesi sarebbero ricchi e
felici (di felicità nazionale) se il governo, anche con ottima e sincera
intenzione, non cercasse
4042 di farli tali, usando a
questo effetto dei mezzi (qualunque) in cose dove l'unico mezzo che convenga si
è non usarne alcuno, lasciar far la natura, come p. e. nel commercio ch'è più
prospero quanto è più libero, e men se ne impaccia il governo. Similmente dicasi
de' filosofi ec. Del resto la vita umana è come il commercio; tanto più prospera
quanto men gli uomini, i filosofi ec. se ne impacciano, men proccurano la sua
felicità, lasciano più far la natura. (7. Marzo. prima Domenica di
Quaresima. 1824.).
[4189,1] Nominiamo francamente tutto giorno le leggi della
natura (anche per rigettare come impossibile questo o quel fatto) quasi che noi
conoscessimo della natura altro che fatti, e pochi fatti. Le pretese leggi della
natura non sono altro che i fatti che noi conosciamo. - Oggi, con molta ragione,
i veri filosofi, all'udir fatti incredibili, sospendono il loro giudizio, senza
osar di pronunziare della loro impossibilità. Così accade p. e. nel Mesmerismo,
che tempo addietro, ogni filosofo avrebbe rigettato come assurdo, senz'altro
esame, come contrario alle leggi della natura. Oggi si sa abbastanza
generalmente che le leggi della natura non si sanno. Tanto è vero che il
progresso
4190 dello spirito umano consiste, o certo ha
consistito finora, non nell'imparare ma nel disimparare principalmente, nel
conoscere sempre più di non conoscere, nell'avvedersi di saper sempre meno, nel
diminuire il numero delle cognizioni, ristringere l'ampiezza della scienza
umana. Questo è veramente lo spirito e la sostanza {principale} dei nostri progressi dal 1700 in qua, benchè non tutti,
anzi non molti, se ne avveggano. (Bologna. 28.
Luglio. 1826.).
[4192,1]
Il detto del Bayle, che la ragione è piuttosto uno
strumento di distruzione che di costruzione, si applica molto bene, anzi ritorna
a quello che mi par di avere osservato altrove pp. 2705-15 , che il progresso dello
spirito umano dal risorgimento in poi, e massime in questi ultimi tempi, è
consistito, e consiste tutto giorno principalmente, non nella scoperta di verità
positive, ma negative in sostanza; ossia, in altri termini, nel conoscere la
falsità di quello che per lo passato, da più o men tempo addietro, si era tenuto
per fermo, {ovvero} l'ignoranza di quello che si era
creduto conoscere: benchè del resto, faute de bien observer ou raisonner, molte
di siffatte scoperte negative, si abbiano per positive. E che gli antichi, in
metafisica e in morale principalmente, ed anche in politica (uno de' cui più
veri principii è quello di lasciar fare più che si può, libertà più che si può),
erano o al pari, o più avanzati di noi, unicamente perchè {ed
in quanto} anteriori alle pretese
4193
scoperte e cognizioni di verità positive, alle quali noi lentamente e a gran
fatica, siamo venuti e veniamo di continuo rinunziando, {e
scoprendone} conoscendone la falsità, e persuadendocene, e promulgando
tali nuove scoperte e popolarizzandole. (Bologna 1.
Settembre. 1826.).
[4206,4] È chiaro e noto che l'idea e la voce spirito non si può in somma e in conclusione definire
altrimenti che sostanza che non è materia, giacchè
niuna sua qualità positiva possiamo noi nè conoscere, nè nominare,
4207 nè anco pure immaginare pp. 1635-36
p.
4111. Ora il nome e l'idea di materia, idea e nome anch'essa astratta,
cioè ch'esprime collettivamente un'infinità di oggetti, tra se differentissimi
in verità (e noi poi non sappiamo se la materia sia omogenea, {+e quindi una sola sostanza
identica,} o {vero} distinta in elementi,
{+e quindi in altrettante
sostanze,} di natura ed essenza differentissimi, com'ella è distinta
in diversissime forme), l'idea dico ed il nome di materia abbraccia tutto quello
che cade o può cader sotto i nostri sensi, tutto quello che noi conosciamo, e
che noi possiamo conoscere e concepire; ed essa idea ed esso nome non si può
veramente definire che in questo modo, o almeno questa è la definizione che più
gli conviene, in vece dell'altra dedotta dall'enumerazione di certe sue qualità
comuni, come divisibilità, larghezza, lunghezza, profondità e simili. Per tanto
il definire lo spirito, sostanza che non è
materia, è precisamente lo stesso che definirla sostanza che non è di quelle che noi conosciamo o possiamo
conoscere o concepire, e questo è quel solo che noi venghiamo a dire e
a pensare ogni volta che diciamo spirito, o che
pensiamo a questa idea, la quale non si può, come ho detto, definire altrimenti.
Frattanto questo spirito, non essendo altro che quello che abbiam veduto, è
stato per lunghissimo spazio di secoli creduto contenere in se tutta la realtà
delle cose; e la materia, cioè quanto noi conosciamo e concepiamo, e quanto
possiamo conoscere e concepire, è stata creduta non essere altro che apparenza,
sogno, vanità appetto allo spirito. È impossibile non deplorar la miseria
dell'intelletto umano considerando un così fatto delirio. Ma se pensiamo poi che
questo delirio si rinnuova oggi completamente; che nel secolo 19.° risorge da
tutte le parti e si ristabilisce radicatamente lo spiritualismo, forse anche più
spirituale, per dir così, che in addietro; che i filosofi più illuminati della
più illuminata nazione moderna, si congratulano di riconoscere per
caratteristica di questo secolo, l'essere esso éminemment
4208
religieux,
*
cioè spiritualista; che può fare un
savio, altro che disperare compiutamente della illuminazione delle menti umane, e gridare: o Verità, tu sei sparita
dalla terra per sempre, nel momento che gli uomini incominciarono a
cercarti
*
. Giacchè è manifesto che questa e simili
innumerabili follie, dalle quali pare ormai impossibile e disperato il guarire
gl'intelletti umani, sono puri parti, non mica dell'ignoranza, ma della scienza.
L'idea chimerica dello spirito non è nel capo nè di un bambino nè di un puro
selvaggio. Questi non sono spiritualisti, perchè sono pienamente ignoranti. E i
bambini, e i selvaggi puri, e i pienamente ignoranti sono per conseguenza a
mille doppi più savi de' più dotti uomini di questo secolo de' lumi; come gli
antichi erano più savi a cento doppi per lo meno, perchè più ignoranti de'
moderni; e tanto più savi quanto più antichi, perchè tanto più ignoranti.
(Bologna. 26. Sett. 1826.). {{V. p.
4219.}}
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