Navigation Settings

Manuscript Annotations:
interlinear {...}
inline {{...}}
attached +{...}
footnote #{...}
unattached {...}
Editorial Annotations:

Correction Normalization

Sapienza umana. Sua vanità e stoltezza.

Human knowledge. Its vanity and foolishness.

490,1 1085,1 1090,1 1091,1 1163,1 2295-6 2668,1 2672,3 2709,1 2711,1 2800,1 3773,1 4041,7 4189,1 4192,1 4206,4

[490,1]  Σὺ γάρ, ὦ Θαλῆ, τὰ ἐν ποσὶν οὐ δυνάμενος ἰδεῖν, τὰ ἐπὶ τοῦ οὐρανοῦ οἴει γνώσεσϑαι * ; disse quella vecchia fantesca a Talete caduto in una fossa mentre andava contemplando le stelle. (Laerz. I. 34. in Thalete.)  491 Ὥσπερ καὶ Θαλῆν ἀστρονομοῦντα, ὦ Θεόδωρε * (dum coelum suspiceret. Ficin.), καὶ ἄνω βλέποντα, πεσόντα εἰς ϕρέαρ * (in foveam. id.) Θρᾷττά τις ἐμμελὴς καὶ χαρίεσσα ϑεραπαινὶς * (Thracia quaedam eius ancilla concinna et lepida. id.) ἀποσκῶψαι λέγεται, ὡς τὰ μὲν ἐν οὐρανῷ προϑυμοῖτο εἰδέναι * , (pervidere contenderet. id.) τὰ δ᾽ ἔμποσϑεν αὐτοῦ καὶ παρὰ πόδας, λανϑάνοι αὐτόν. Ταὐτὸν δὲ ἀρκεῖ * , (obiici potest. id. aptius, cadit, convenit) σκῶμμα ἐπὶ πάντας ὅσοι ἐν ϕιλοσοϕίᾳ διάγουσι * (in philosophia versantur. id.) Platone nel Teeteto, ἢ περὶ ἐπιστήμης alquanto prima della metà. (p. 127. f. Lugduni 1590.) {E v. il Menag. ad Laert. I. 34.} E Diogene Cinico si maravigliava ἐϑαύμαζε... τοὺς μαϑηματικοὺς * (cioè gli astronomi) ἀποβλέπειν μὲν πρὸς τὸν ἤλιον καὶ τὴν σελήνην, τὰ δ᾽ ἐν ποσὶ πράγματα παρορᾶν. * (Laerz. VI. 28. in Diogene Cynico.)

[1085,1]  Parecchi filosofi hanno acquistato l'  1086 abito di guardare come dall'alto il mondo, e le cose altrui, ma pochissimi quello di guardare effettivamente e perpetuamente dall'alto le cose proprie. Nel che si può dire che sia riposta la sommità pratica, e l'ultimo frutto della sapienza. (25. Maggio 1821.).

[1090,1]  Non si conoscono mai perfettamente le ragioni, nè tutte le ragioni di nessuna verità, {anzi nessuna verità si conosce mai perfettamente,} se non si conoscono perfettamente tutti i rapporti che ha essa verità colle altre. E siccome tutte le verità e tutte le cose esistenti, sono legate fra loro assai più strettamente ed intimamente ed essenzialmente, di quello che creda o possa credere  1091 e concepire il comune degli stessi filosofi; così possiamo dire che non si può conoscere perfettamente nessuna verità, per piccola, isolata, particolare che paia, se non si conoscono perfettamente tutti i suoi rapporti con tutte le verità sussistenti. Che è come dire, che nessuna (ancorchè menoma, ancorchè evidentissima e chiarissima e facilissima) verità, è stata mai nè sarà mai perfettamente ed interamente e da ogni parte conosciuta. (26. Maggio 1821.).

[1091,1]  Così, senza la condizione detta qui sopra, non si conoscono mai, nè tutte le premesse che conducono a una conseguenza, cioè alla cognizione di una tal verità, nè tutta la relazione e connessione, o tutte le relazioni e connessioni che hanno le premesse anche conosciute, colla detta conseguenza. (26. Maggio 1821.).

[1163,1]  Il miglior uso ed effetto della ragione e della riflessione, è distruggere o minorare nell'uomo la ragione e la riflessione, e l'uso e gli effetti loro. (13. Giugno 1821.).

[2292,1]   2292 Chi deve governare gli uomini, dovrebbe conoscerli più che alcun altro mai. I principi per lo contrario, cresciuti fra l'adulazione, e vedendo gli uomini sempre diversi da quello che sono, (per le infinite simulazioni della corte) e da giovani avendo poca voglia, più tardi poco tempo di attendere agli studi, non possono conoscer gli uomini nè come li conoscono i filosofi, nè come li conosce chi ha praticato e sperimentato il mondo qual egli è. Quindi nella cognizione degli uomini, dote in essi di prima necessità per il bene de' sudditi, i principi non solo non sono superiori, ma necessariamente inferiori ai più meschini e ignoranti che vivono nel mondo. A questo gran difetto rimedierebbero gli studi: e infatti quanti principi sono stati studiosi o in gioventù o in seguito, quanti principi sono stati filosofi, tanti sono stati buoni principi, avendo appreso dai libri a conoscer quel mondo e  2293 quelle cose che avevano a governare. Marcaurelio, Augusto, Giuliano ec. Parrebbe questo un grandissimo pregio e un vero trionfo della filosofia, e dimostrazione della sua utilità. Ma io dico che la filosofia non ha fatto nè farà mai questo buon effetto di darci dei buoni principi, se non fino ch'ella fu, o quando ella è imperfetta: allo stesso modo che solo in questo caso ella può darci de' buoni privati, e ce ne diede e ce ne dà. Vengo a dire che la filosofia moderna (la quale può dirsi che nella sua natura, cioè in quanto filosofia, o scienza della ragione e del vero, sia perfetta) non farà de' buoni principi, come non farà mai de' buoni privati; anzi ne farà dei pessimi, perchè la perfezione della filosofia, non è insomma altro che l'egoismo; e però la filosofia moderna non farà de' principi (come  2294 vediamo de' privati) se non de' puri e perfetti egoisti. Tanto peggiori de' principi ignoranti, quanto che in questi l'egoismo ha una base meno salda; la natura che lo cagiona, v'aggiunge molti lenitivi e modificativi; le illusioni della virtù della grandezza d'animo, della compassione, della gloria non sono irrevocabilmente chiuse per loro, come per un principe filosofo moderno: e se non altro in quelli la coscienza e l'opinione ripugna al costume, e al vizio; in questi li rassoda, li protegge (essendo un filosofo moderno, necessariamente egoista, e {quindi} malvagio, per principii), anzi li comanda, e condannerebbe il principe se non fosse egoista dopo aver conosciute le cose e gli uomini. Così che anche un principe inclinatissimo alla virtù, divenendo filosofo alla moderna, diverrebbe quasi per forza e suo malgrado vizioso,  2295 come accade ne' privati. Volete una prova di fatto? Volete conoscere che cosa sia un principe filosofo moderno? Osservate Federico II. e paragonatelo con M. Aurelio. Di maniera che è da desiderarsi sommamente oggidì che un principe non sia filosofo, il che tanto sarebbe, quanto freddo e feroce e inesorabile egoista, ed un egoista che ha in mano, e può disporre a' suoi vantaggi una nazione, è quanto dire un tiranno. Ecco il bel frutto e pregio della filosofia moderna, la quale finisce d'impossibilitare i principi ad esser virtuosi (siccome fa ne' privati), e a conoscer gli uomini, senza il che non possono esser buoni principi. Ma siccome questo effetto della filosofia moderna, non è in quanto moderna, ma in quanto vera e perfezionata filosofia (giacchè niente di falso le possiamo imputare), e siccome le cose si denno considerare e giudicare nella  2296 loro perfezione cioè nella pienezza del loro essere, e delle loro qualità e proprietà, così giudicate che cosa sia per essenza la filosofia, la sapienza, la ragione, la cognizione del vero, tanto riguardo al regolare le nazioni, cioè riguardo a' principi, quanto assolutamente parlando. (27. Dic. 1821.).

[2668,1]  Chi mi chiedesse quanto e fino a qual segno la filosofia si debba brigare delle cose umane e del regolamento dello spirito, delle passioni, delle opinioni, de' costumi, della vita umana; risponderei tanto e fino a quel punto che i governi si debbono brigare dell'industria {e del commercio} nazionale a voler che questi fioriscano, vale a dire non brigarsene nè punto nè poco. E sotto questo aspetto la filosofia è veramente e pienamente paragonabile alla scienza dell'economia pubblica. La perfezione della quale consiste nel conoscere che bisogna lasciar fare alla natura, che quanto il commercio {(interno ed esterno)} e l'industria è più libera, tanto più prospera, e tanto meglio camminano gli affari della nazione; che quanto più è regolata tanto più decade e vien meno; che in somma essa scienza è inutile, poichè il suo meglio è fare che le cose vadano come s'ella non esistesse, e come anderebbero da per tutto dov'ella e i governi non s'intrigassero del commercio e dell'industria; e la sua perfezione è  2669 interdirsi ogni azione, conoscere il danno ch'essa medesima reca, e in somma non far nulla, al quale effetto gli uomini non avevano bisogno d'economia politica, ma s'ella non fosse stata, ciò si sarebbe necessariamente ottenuto allo stesso modo, e meglio. Ora tale appunto si è la perfezione della filosofia e della ragione e della riflessione ec. come ho detto altrove pp. 448-50 pp. 491-494 pp. 574-75. (2-3. Feb. 1823.).

[2672,3]  Μὴ προϑυμεῖσϑαι εἰς τὴν ἀκρίβειαν ϕιλοσοϕεῖν, ἀλλ' εὐλαβεῖσϑαι {ὅπως} μὴ πέρα τοῦ δέοντος σοϕώτεροι γενόμενοι, λήσετε διαϕϑαρέντες. * Plato in Gorgia ed. Frider. Astii. Lips. 1819-... t. 1. p. 362-4. Ne enitamini ut diligenter philosophemini, sed cavete ne, supra quam oportet, sapientiores facti ipsi inscientes corrumpamini * . Φιλοσοϕία γάρ τοί ἐστιν, ὦ Σώκρατες, χαρίεν, ἄν τις αὐτοῦ μετρίως ἅψηται∙ ἐὰν δὲ περαιτέρω τοῦ δέοντος ἐνδιατρίψῃ, διαϕϑορὰ τῶν ἀνϑρώπων. * ib. p. 356. Philosophia enim, o Socrate, est illa quidem lepida, si quis eam modice attingit, sin ultra quam opus est ei studet, corruptela est hominum. * Tutta la vituperazione della filosofia che Platone in quel Dial. mette in bocca di Callicle, dalla p. 352. alla p. 362. è degna d'esser veduta. V'è anche insegnata (sebben Platone lo fa per poi negarla e confutarla) la vera legge naturale, che ciascun uomo o vivente faccia tutto per se, e il più forte sovrasti il più debole, e si goda quel di costui. (Roma 12. Feb.  2673 1823. primo dì di Quaresima.)

[2709,1]  Paragonando la filosofia antica colla moderna, si trova che questa è tanto superiore a quella, principalmente perchè i filosofi antichi volevano tutti insegnare e fabbricare: laddove la filosofia moderna non fa ordinariamente altro che disingannare e atterrare. Il che se gli antichi tal volta facevano, niuno però era che in questo caso non istimasse suo debito e suo interesse il sostituire {#1. V. p. 3469.} Così fecero anche nella {prima} restaurazione della filosofia Cartesio e Newton. Ma i filosofi  2710 moderni, sempre togliendo, niente sostituiscono. E questo è il vero modo di filosofare, non già, come si dice, perchè la debolezza del nostro intelletto c'impedisce di trovare il vero positivo, ma perchè in effetto la cognizione del vero non è altro che lo spogliarsi degli errori, e sapientissimo è quello che sa vedere le cose che gli stanno davanti agli occhi, senza prestar loro le qualità ch'esse non hanno. La natura ci sta tutta spiegata davanti, nuda ed aperta. Per ben conoscerla non è bisogno alzare alcun velo che la cuopra: è bisogno rimuovere gl'impedimenti e le alterazioni che sono nei nostri occhi e nel nostro intelletto; e queste, fabbricateci e cagionateci da noi col nostro raziocinio. Quindi è che i più semplici più sanno: che la semplicità, come dice un filosofo tedesco, (Wieland [Storia del saggio Danischmend]) è sottilissima, che i fanciulli e i selvaggi più vergini vincono di sapienza le persone più addottrinate: cioè più mescolate di elementi stranieri al loro intelletto.  2711 Di qui si conferma quel mio principio che la sommità della sapienza consiste nel conoscere la sua propria inutilità pp. 448-50 pp. 491-94 pp. 2668-69, e come gli uomini sarebbero {già} sapientissimi s'ella mai non fosse nata: e la sua maggiore utilità, {+o per lo meno il suo primo e proprio scopo,} nel ricondurre {l'intelletto umano} (s'è possibile) {appresso a poco} a quello stato in cui era prima del di lei nascimento. E quello ch'io dico qui dell'intelletto, dico altrove, e qui ridico, anche per rispetto alla vita, e a tutto quello che appartiene all'uomo, e che ha qualsivoglia relazione colla sapienza. (21. Maggio 1823.).

[2711,1]  I filosofi antichi seguivano {la speculazione,} l'immaginazione e il raziocinio. I moderni l'osservazione e l'esperienza. (E questa è la gran diversità fra la filosofia antica e la moderna). Ora quanto più osservano tanto più errori scuoprono negli uomini, più o meno antichi, più o meno universali, propri del popolo, de' filosofi, o di ambedue. Così lo spirito umano fa progressi: e tutte le scoperte fondate sulla nuda osservazione delle cose,  2712 non fanno quasi altro che convincerci de' nostri errori, e delle false opinioni da noi prese e formate e create col nostro proprio raziocinio o naturale o coltivato e (come si dice) istruito. Più oltre di questo non si va. Ogni passo della sapienza moderna svelle un errore; non pianta niuna verità, (se non che tali {tuttogiorno} si chiamano le proposizioni, {i dogmi, i sistemi} in sostanza negativi). Dunque se l'uomo non avesse errato, sarebbe già sapientissimo, e giunto a quella meta a cui la filosofia moderna cammina con tanto sudore e difficoltà. Ma chi non ragiona, non erra. Dunque chi non ragiona, o per dirlo alla francese, non pensa, è sapientissimo. Dunque sapientissimi furono gli uomini prima della nascita della sapienza, e del raziocinio sulle cose: e sapientissimo è il fanciullo, e il selvaggio della California, che non conosce il pensare. (21. Maggio 1823.).

[2800,1]  È massima molto comune tra' filosofi, e lo fu specialmente tra' filosofi antichi, che il sapiente non si debba curare, nè considerar come beni {o mali,} nè riporre la sua beatitudine nella {presenza o nell'assenza delle cose} che dipendono dalla fortuna, quali ch'elle si sieno, {+o da veruna forza di fuori,} ma solo in quelle che dipendono interamente e sempre dipenderanno da lui solo. Onde  2801 conchiudono che il sapiente, il quale suppongono dover essere in questa tale disposizion d'animo, non è per veruna parte suddito della fortuna. Ma questa medesima disposizione d'animo, supponendo ancora ch'ella sia più radicata, più abituale, più continua, più intera, più perfetta, più reale ch'ella non è mai stata effettivamente in alcun filosofo, questa medesima disposizione, dico, già pienamente acquistata, ed anche, per lungo abito, posseduta, non è ella sempre suddita della fortuna? Non si sono mai veduti de' vecchi ritornar fanciulli {di mente,} per infermità o per altre cagioni, l'effetto delle quali non fu in balia di coloro l'impedire o l'evitare. La memoria, l'intelletto, tutte le facoltà dell'animo nostro non sono in mano della fortuna, come ogni altra cosa che ci appartenga? Non è in sua mano l'alterarle, l'indebolirle, lo stravolgerle, l'estinguerle? La nostra medesima ragione non è tutta quanta in balia della fortuna? Può nessuno assicurarsi o vantarsi  2802 di non aver mai a perder l'uso della ragione, o per sempre o temporaneamente; o per disorginazzazione[disorganizzazione] del cervello, o per accesso di sangue o di umori al capo, o per gagliardia di febbre, o per ispossamento straordinario di corpo che induca il delirio o passeggero o perpetuo? Non sono infiniti gli accidenti esteriori imprevedibili o inevitabili che influiscono sulle facoltà dell'animo nostro siccome su quelle del corpo? E di questi, altri che accadono ed operano in un punto o in poco tempo, come una percossa al capo, un terrore improvviso, una malattia acuta; altri appoco appoco e lentamente, come la vecchiezza, l'indebolimento del corpo, e tutte le malattie lunghe e preparate o incominciate già da gran tempo dalla natura ec. Perduta o indebolita la memoria non è indebolita o perduta la scienza, e quindi l'uso e l'utilità di essa, e quindi quella disposizion d'animo che n'è il frutto, e di cui ragionavamo? Ora qual facoltà dell'animo umano è più labile,  2803 più facile a logorarsi, anzi più sicura d'andar col tempo a indebolirsi od estinguersi, anzi più continuamente inevitabilmente e visibilmente logorantesi in ciascuno individuo, che la memoria? In somma se il nostro corpo è {tutto} in mano della fortuna, e soggetto per ogni parte all'azione delle cose esteriori, temeraria cosa è il dire che l'animo, il quale è tutto e sempre soggetto al corpo, possa essere indipendente dalle cose esteriori e dalla fortuna. Conchiudo che quello stesso perfetto sapiente, quale lo volevano gli antichi, quale mai non esistette, quale non può essere se non immaginario, tale ancora, sarebbe interamente suddito della fortuna, perchè in mano di essa fortuna sarebbe interamente quella stessa ragione sulla quale egli fonderebbe la sua indipendenza dalla fortuna medesima. (21. Giugno 1823.).

[3773,1]   3773 Vogliono che l'uomo per natura sia più sociale di tutti gli altri viventi. Io dico che lo è men di tutti, perchè avendo più vitalità, ha più amor proprio, e quindi necessariamente ciascun individuo umano ha più odio verso gli altri individui sì della sua specie sì dell'altre, secondo i principii da me in più luoghi sviluppati p. 55 pp. 872. sgg. pp. 1078-79 pp. 1083-84 pp. 2204-206 p. 2644 pp. 2736. sgg. p. 3291. Or qual altra qualità è più antisociale, più esclusiva per sua natura dello spirito di società, che l'amore estremo verso se stesso, l'appetito estremo di tirar tutto a se, e l'odio estremo verso gli altri tutti? Questi estremi si trovano tutti nell'uomo. Queste qualità sono naturalmente nell'uomo in assai maggior grado che in alcun'altra specie di viventi. Egli occupa nella natura terrestre il sommo grado per queste parti, siccome generalmente egli tiene la sommità fra gli esseri terrestri.

[4041,7]  Gli uomini sarebbono felici se non avessero cercato e non cercassero di esserlo. Così molte nazioni o paesi sarebbero ricchi e felici (di felicità nazionale) se il governo, anche con ottima e sincera intenzione, non cercasse  4042 di farli tali, usando a questo effetto dei mezzi (qualunque) in cose dove l'unico mezzo che convenga si è non usarne alcuno, lasciar far la natura, come p. e. nel commercio ch'è più prospero quanto è più libero, e men se ne impaccia il governo. Similmente dicasi de' filosofi ec. Del resto la vita umana è come il commercio; tanto più prospera quanto men gli uomini, i filosofi ec. se ne impacciano, men proccurano la sua felicità, lasciano più far la natura. (7. Marzo. prima Domenica di Quaresima. 1824.).

[4189,1]  Nominiamo francamente tutto giorno le leggi della natura (anche per rigettare come impossibile questo o quel fatto) quasi che noi conoscessimo della natura altro che fatti, e pochi fatti. Le pretese leggi della natura non sono altro che i fatti che noi conosciamo. - Oggi, con molta ragione, i veri filosofi, all'udir fatti incredibili, sospendono il loro giudizio, senza osar di pronunziare della loro impossibilità. Così accade p. e. nel Mesmerismo, che tempo addietro, ogni filosofo avrebbe rigettato come assurdo, senz'altro esame, come contrario alle leggi della natura. Oggi si sa abbastanza generalmente che le leggi della natura non si sanno. Tanto è vero che il progresso  4190 dello spirito umano consiste, o certo ha consistito finora, non nell'imparare ma nel disimparare principalmente, nel conoscere sempre più di non conoscere, nell'avvedersi di saper sempre meno, nel diminuire il numero delle cognizioni, ristringere l'ampiezza della scienza umana. Questo è veramente lo spirito e la sostanza {principale} dei nostri progressi dal 1700 in qua, benchè non tutti, anzi non molti, se ne avveggano. (Bologna. 28. Luglio. 1826.).

[4192,1]  Il detto del Bayle, che la ragione è piuttosto uno strumento di distruzione che di costruzione, si applica molto bene, anzi ritorna a quello che mi par di avere osservato altrove pp. 2705-15 , che il progresso dello spirito umano dal risorgimento in poi, e massime in questi ultimi tempi, è consistito, e consiste tutto giorno principalmente, non nella scoperta di verità positive, ma negative in sostanza; ossia, in altri termini, nel conoscere la falsità di quello che per lo passato, da più o men tempo addietro, si era tenuto per fermo, {ovvero} l'ignoranza di quello che si era creduto conoscere: benchè del resto, faute de bien observer ou raisonner, molte di siffatte scoperte negative, si abbiano per positive. E che gli antichi, in metafisica e in morale principalmente, ed anche in politica (uno de' cui più veri principii è quello di lasciar fare più che si può, libertà più che si può), erano o al pari, o più avanzati di noi, unicamente perchè {ed in quanto} anteriori alle pretese  4193 scoperte e cognizioni di verità positive, alle quali noi lentamente e a gran fatica, siamo venuti e veniamo di continuo rinunziando, {e scoprendone} conoscendone la falsità, e persuadendocene, e promulgando tali nuove scoperte e popolarizzandole. (Bologna 1. Settembre. 1826.).

[4206,4]  È chiaro e noto che l'idea e la voce spirito non si può in somma e in conclusione definire altrimenti che sostanza che non è materia, giacchè niuna sua qualità positiva possiamo noi nè conoscere, nè nominare,  4207 nè anco pure immaginare pp. 1635-36 p. 4111. Ora il nome e l'idea di materia, idea e nome anch'essa astratta, cioè ch'esprime collettivamente un'infinità di oggetti, tra se differentissimi in verità (e noi poi non sappiamo se la materia sia omogenea, {+e quindi una sola sostanza identica,} o {vero} distinta in elementi, {+e quindi in altrettante sostanze,} di natura ed essenza differentissimi, com'ella è distinta in diversissime forme), l'idea dico ed il nome di materia abbraccia tutto quello che cade o può cader sotto i nostri sensi, tutto quello che noi conosciamo, e che noi possiamo conoscere e concepire; ed essa idea ed esso nome non si può veramente definire che in questo modo, o almeno questa è la definizione che più gli conviene, in vece dell'altra dedotta dall'enumerazione di certe sue qualità comuni, come divisibilità, larghezza, lunghezza, profondità e simili. Per tanto il definire lo spirito, sostanza che non è materia, è precisamente lo stesso che definirla sostanza che non è di quelle che noi conosciamo o possiamo conoscere o concepire, e questo è quel solo che noi venghiamo a dire e a pensare ogni volta che diciamo spirito, o che pensiamo a questa idea, la quale non si può, come ho detto, definire altrimenti. Frattanto questo spirito, non essendo altro che quello che abbiam veduto, è stato per lunghissimo spazio di secoli creduto contenere in se tutta la realtà delle cose; e la materia, cioè quanto noi conosciamo e concepiamo, e quanto possiamo conoscere e concepire, è stata creduta non essere altro che apparenza, sogno, vanità appetto allo spirito. È impossibile non deplorar la miseria dell'intelletto umano considerando un così fatto delirio. Ma se pensiamo poi che questo delirio si rinnuova oggi completamente; che nel secolo 19.° risorge da tutte le parti e si ristabilisce radicatamente lo spiritualismo, forse anche più spirituale, per dir così, che in addietro; che i filosofi più illuminati della più illuminata nazione moderna, si congratulano di riconoscere per caratteristica di questo secolo, l'essere esso éminemment  4208 religieux, * cioè spiritualista; che può fare un savio, altro che disperare compiutamente della illuminazione delle menti umane, e gridare: o Verità, tu sei sparita dalla terra per sempre, nel momento che gli uomini incominciarono a cercarti * . Giacchè è manifesto che questa e simili innumerabili follie, dalle quali pare ormai impossibile e disperato il guarire gl'intelletti umani, sono puri parti, non mica dell'ignoranza, ma della scienza. L'idea chimerica dello spirito non è nel capo nè di un bambino nè di un puro selvaggio. Questi non sono spiritualisti, perchè sono pienamente ignoranti. E i bambini, e i selvaggi puri, e i pienamente ignoranti sono per conseguenza a mille doppi più savi de' più dotti uomini di questo secolo de' lumi; come gli antichi erano più savi a cento doppi per lo meno, perchè più ignoranti de' moderni; e tanto più savi quanto più antichi, perchè tanto più ignoranti. (Bologna. 26. Sett. 1826.). {{V. p. 4219.}}

Related Themes

Scienza e Ignoranza. (1827) (3)
Secolo decimonono. (1827) (3)
Progressi dello spirito umano. (1827) (3)
Filosofia perfetta, e mezza Filosofia. (1827) (3)
Filosofia antica, e Filosofia moderna. (1827) (2)
Sistemi in filosofia. (1827) (2)
Verità. Nessuna verità si può conoscere perfettamente. (1827) (2)
Memorie della mia vita. (pnr) (2)
Manuale di filosofia pratica. (pnr) (2)
Doveri morali. (1827) (2)
Politica. (1827) (2)
Perfettibilità o Perfezione umana. (1827) (2)
Governi. (1827) (2)
. (1827) (1)
Principe. (1827) (1)
Spirito. Spiritualità dell'anima, ec. (1827) (1)
Riflessione. Irriflessione. (1827) (1)
(a) Pensieri isolati satirici. (danno) (1)
Egoismo. (1827) (1)
Inutilità del rendersi indipendenti dalla fortuna p. esser felici. (danno) (1)
Società degli animali. (1827) (1)
Animali per la più parte, Femmine, Meridionali, sono più felici dell'uomo, de' maschi, de' settentrionali; perchè di vita più breve, sviluppo più rapido, vita più viva. (1827) (1)
Civiltà. Incivilimento. (1827) (1)
Contraddizioni necessarie e inevitabili nel sistema della vita civilizzata. (1827) (1)
Odio verso i nostri simili. (1827) (1)
Vitalità, Sensibilità. Il grado dell'amor proprio e dell'infelicità del vivente, è in proporzione di esse. (1827) (1)
Uomo, se sia il più sociale de' viventi. (1827) (1)
Leggi della natura in fisica ec. non sono che i fatti che noi conosciamo. La possibilità è molto più estesa che non si crede. (1827) (1)
Possibilità. (1827) (1)
Antichi, poco esatti nelle descrizioni delle passioni e de' caratteri: e perchè. (1827) (1)
anzi sapeano in queste cose più de' moderni: e perchè. (1827) (1)
Religione. Culto. (1827) (1)
Amor proprio. (1827) (1)
Della natura degli uomini e delle cose. (pnr) (1)