21. Giugno 1823.
[2800,1] È massima molto comune tra' filosofi, e lo fu
specialmente tra' filosofi antichi, che il sapiente non si debba curare, nè
considerar come beni {o mali,} nè riporre la sua
beatitudine nella {presenza o nell'assenza delle cose}
che dipendono dalla fortuna, quali ch'elle si sieno, {+o da veruna forza di fuori,} ma solo in quelle che
dipendono interamente e sempre dipenderanno da lui solo. Onde
2801 conchiudono che il sapiente, il quale suppongono dover essere in
questa tale disposizion d'animo, non è per veruna parte suddito della fortuna.
Ma questa medesima disposizione d'animo, supponendo ancora ch'ella sia più
radicata, più abituale, più continua, più intera, più perfetta, più reale
ch'ella non è mai stata effettivamente in alcun filosofo, questa medesima
disposizione, dico, già pienamente acquistata, ed anche, per lungo abito,
posseduta, non è ella sempre suddita della fortuna? Non si sono mai veduti de'
vecchi ritornar fanciulli {di mente,} per infermità o
per altre cagioni, l'effetto delle quali non fu in balia di coloro l'impedire o
l'evitare. La memoria, l'intelletto, tutte le facoltà dell'animo nostro non sono
in mano della fortuna, come ogni altra cosa che ci appartenga? Non è in sua mano
l'alterarle, l'indebolirle, lo stravolgerle, l'estinguerle? La nostra medesima
ragione non è tutta quanta in balia della fortuna? Può nessuno assicurarsi o
vantarsi
2802 di non aver mai a perder l'uso della
ragione, o per sempre o temporaneamente; o per disorginazzazione[disorganizzazione] del cervello, o per accesso di sangue o
di umori al capo, o per gagliardia di febbre, o per ispossamento straordinario
di corpo che induca il delirio o passeggero o perpetuo? Non sono infiniti gli
accidenti esteriori imprevedibili o inevitabili che influiscono sulle facoltà
dell'animo nostro siccome su quelle del corpo? E di questi, altri che accadono
ed operano in un punto o in poco tempo, come una percossa al capo, un terrore
improvviso, una malattia acuta; altri appoco appoco e lentamente, come la
vecchiezza, l'indebolimento del corpo, e tutte le malattie lunghe e preparate o
incominciate già da gran tempo dalla natura ec. Perduta o indebolita la memoria
non è indebolita o perduta la scienza, e quindi l'uso e l'utilità di essa, e
quindi quella disposizion d'animo che n'è il frutto, e di cui ragionavamo? Ora
qual facoltà dell'animo umano è più labile,
2803 più
facile a logorarsi, anzi più sicura d'andar col tempo a indebolirsi od
estinguersi, anzi più continuamente inevitabilmente e visibilmente logorantesi
in ciascuno individuo, che la memoria? In somma se il nostro corpo è {tutto} in mano della fortuna, e soggetto per ogni parte
all'azione delle cose esteriori, temeraria cosa è il dire che l'animo, il quale
è tutto e sempre soggetto al corpo, possa essere indipendente dalle cose
esteriori e dalla fortuna. Conchiudo che quello stesso perfetto sapiente, quale
lo volevano gli antichi, quale mai non esistette, quale non può essere se non
immaginario, tale ancora, sarebbe interamente suddito della fortuna, perchè in
mano di essa fortuna sarebbe interamente quella stessa ragione sulla quale egli
fonderebbe la sua indipendenza dalla fortuna medesima. (21. Giugno
1823.).