21. Giugno 1823.
[2799,1]
Tοὶ δὲ Σκύϑαι καλὸν
νομίζοντι, ὃς ἄνδρα κτανών, ἐκδείρας τὰν κεϕαλὰν, τὸ μὲν κόμιον πρὸ τοῦ
ἵππου ϕορεῖ, τὸ δ᾽ ὀστέον χρυσώσας καὶ ὠγρυρώσας, πίνει ἐξ αὐτοῦ καὶ
σπένδει τοῖς ϑεοῖς∙ ἐν δὲ τοῖς ἕλλασιν οὐδέ κ᾽ ἐς τὰν αὐτὰν οἰκίαν
συνεισελϑεῖν βούλοιτ᾽ ἄν τις τοιαῦτα ποιήσαντι.
*
Scythis quidem honestum, ut cum quis hominem occiderit,
capitis, cute divulsa, partem crinitam ante equum gestet, osseam vero
auro vel argento obducens, ex illa bibat Diisque ipsis libamina fundat.
Graecorum autem nullus easdem aedes ingredi vellet una cum viro, qui
tale quid fecerit.
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(Ex versione Io. Northi).
2800 Scrittore incerto di alcune διαλέξεις in
dialetto Dorico, che si trovano sovente nei Codici appiè de' libri di Sesto Empirico, e furono pubblicate
da Enrico Stefano tra i frammenti
de' Pitagorici, e dal Fabricio,
B. G. edit. vet. vol. 12. p. 617-35.
lib. 6. cap. 7. §. 6. Il Fabricio le chiama Disputationes
Antiscepticae, ma in verità sono anzi esercitazioni
scettiche in ciascuna delle quali si sostiene il pro e il contra, e questo vuol
dire il titolo ch'è premesso a queste διαλέξεις nel Codice Cizense, e riferito dal Fabricio p. 617. {+nel qual
titolo queste διαλέξεις sono chiamate ὑπομνήματα πρὸς ἀντίῤῥησιν.} Il
soprascritto passo è nella seconda διάλεξις, intitolata περὶ καλῶ καὶ
αἰσχρῶ, ap. Fabric. l. c.
p. 622. (21. Giugno 1823.).