Despotismo.
Despotism.
902,segg. 1077,1 1100,2 1534,2 1563,1 2608,3 3082,1 3438 3471,1 3517,1 3860 3889,1[902,3] Un grand'esercito, sì per se stesso, sì per le imposte
che bisognano a mantenerlo, non si mantiene senza incomodo e danno e spesa dei
sudditi. Finchè i sudditi non sono stati affatto servi, finchè la moltitudine è
stata qualche cosa, finchè la voce della nazione si è fatta sentire, finchè la
carne umana, eccetto quella di un solo per nazione, non è stata ad intierissima
disposizione di questo solo che comanda, e come la carne, così tutto il resto, e
la nazione per tutti i versi; fino, dico,
903 ad un tal
punto, il principe non potendo adoperare la nazione a' suoi propri fini, se non
sino ad un certo segno, le armate non furono più che tanto numerose. La nazione,
che era ancora in qualche modo nazione, non tollerava facilmente 1. di
guerreggiare pel puro capriccio del suo capo, e in bene di lui solo, 2. le leve
forzate, o almeno eccessive, 3. l'eccesso delle imposte per far la guerra. Non
tollerava, dico, tutto questo, o poneva il principe in gravissimi pericoli e
disturbi al di dentro. Così che era dell'interesse del principe di risparmiare
la nazione, che ancora tanto o quanto esisteva, e risparmiarla, sì nelle altre
cose, sì massimamente dove si trattava del suo sangue, e delle sue proprietà più
care, che sono i figli, i congiunti ec. Dal tempo della distruzione della
libertà, fino ai principii o alla metà del seicento, i sovrani se anche erano
più tiranni d'oggidì, cioè più violenti e sanguinarii, appunto per l'urto in cui
erano colla nazione, non sono stati però mai padroni così assoluti de' popoli,
come in appresso. Basta legger le storie e vedere come fossero frequenti e
facili e pericolose in quei tempi le sedizioni, i tumulti popolari ec. che per
qualunque cagione nascessero, mostravano pur certo che la nazione era ancor
viva, ed esisteva. E non era strano in quei tempi, come dopo,
904 il vedere scorrere il sangue de' principi per mano de' suoi
soggetti. Di più il potere era assai più diviso, tanto colle baronie, signorie,
feudi, ch'era il sistema monarchico d'allora, quanto colle particolari
legislazioni, privilegii, governi in parte indipẽdenti[indipendenti] delle città o provincie componenti le
monarchie. Così che il re, non trovando tutto a sua sola disposizioine, e non
potendo servirsi della nazione per le sue voglie, se non con molti ostacoli, le
armate venivano ad esser necessariamente piccole: ed è cosa manifesta che quando
la signoria di una nazione è divisa in molte signorie, il signore di tutte, non
può prendere da ciascuna se non poco, e infinitamente meno di quello che
prenderebbe s'egli fosse il signore immediato, e se tutto dipendesse
intieramente dall'arbitrio suo. Cosa dimostrata dalla storia, ed osservata dai
politici. Ed anche per questo si stima nella guerra come principalissimo
vantaggio, l'assoluta padronanza di un solo, e la intera monarchia, come quella
di Macedonia in mezzo alla grecia
divisa ne' suoi poteri. {+(Il che però ne'
miei principii si deve intendere solamente nel caso che quelle nazioni
combattute da una potenza dispotica non siano dominate da vero amor di
patria, o meno, se è possibile, di quella nazione soggetta al dispotismo. E
tale era la grecia ai tempi Macedonici, laddove la
sola Atene aveva una volta resistito alla potenza
dispotica della Persia, e vintala. Perchè del resto è
certo che un solo vero soldato della patria, val più di dieci soldati di un
despota, se in quella nazione monarchica non esiste altrettanto o simile
patriotismo. E appunto nella battaglia di Maratona,
uno si trovò contro dieci, cioè 10.m. contro 100.m. e vinsero.)} Sono
anche note le costituzioni di quei tempi, le carte nazionali, l'uso degli stati
generali, corti ec. come in Francia, in
Ispagna ec. con che o la moltitudine faceva ancora
sentir la sua voce, o certo il potere restava meno indipendente ed uno, e il
monarca più legato.
[1077,1] Il tempo di Luigi decimoquarto e tutto il secolo passato, fu
veramente l'epoca della corruzione barbarica delle parti più civili
d'europa, di quella corruzione e barbarie, che
succede inevitabilmente alla civiltà, di quella che si vide ne' Persiani e ne'
Romani, ne' Sibariti, ne' Greci ec. E tuttavia la detta epoca si stimava allora,
e per esser freschissima, si stima anche oggi, civilissima, e tutt'altro che
barbara. Quantunque il tempo
1078 presente, che si
stima l'apice della civiltà, differisca non poco dal sopraddetto, e si possa
considerare come l'epoca di un risorgimento dalla barbarie. Risorgimento
incominciato in europa dalla rivoluzione francese,
risorgimento debole, imperfettissimo, perchè derivato non dalla natura, ma dalla
ragione, anzi dalla filosofia, ch'è debolissimo, tristo, falso, non durevole
principio di civiltà. Ma pure è una specie di risorgimento; ed osservate che
malgrado la insufficienza de' mezzi per l'una parte, e per l'altra la
contrarietà ch'essi hanno colla natura; tuttavia la rivoluzione francese (com'è
stato spesso notato), ed il tempo presente hanno ravvicinato gli uomini alla
natura, sola fonte di civiltà, hanno messo in moto le passioni grandi e forti,
hanno restituito alle nazioni già morte, non dico una vita, ma un certo palpito,
una certa lontana apparenza vitale. Quantunque ciò sia stato mediante la mezza
filosofia, strumento di civiltà incerta, insufficiente, debole, e passeggera per
natura sua, perchè la mezza filosofia, tende naturalmente a crescere, e divenire
perfetta filosofia, ch'è fonte di barbarie. {+Applicate a questa osservazione le barbare e
ridicolissime e mostruose mode (monarchiche e feudali), come guardinfanti,
pettinature d'uomini e donne ec. ec. che regnarono, almeno in
italia, fino agli ultimissimi anni del secolo
passato, e furono distrutte in un colpo dalla rivoluzione (v. la lettera di Giordani a Monti §.
4.) E vedrete che il secolo presente è l'epoca di un vero
risorgimento da una vera barbarie, anche nel gusto; e qui può anche notarsi
quel tale raddrizzamento della letteratura in italia
oggidì.}
(23. Maggio 1821.). {{V. p.
1084.}}
[1100,2] Chiamano moderne le massime liberali, e si
scandalezzano, e ridono che il mondo creda di essere oggi solo arrivato al vero.
Ma elle sono antiche quanto Adamo, e di
più hanno sempre durato e dominato, più o meno, e sotto differenti aspetti sino
a circa un secolo e mezzo fa, epoca vera e sola della perfezione del dispotismo,
consistente in gran parte in una certa moderazione che lo rende universale,
1101 intero, e durevole. Dunque tutta l'antichità delle
massime dispotiche, cioè del loro vero ed universale dominio nei popoli
(generalmente e non individualmente parlando), non rimonta più in là della metà
del seicento. Ed ecco come quel tempo che corse da quest'epoca sino alla
rivoluzione, fu veramente il tempo più barbaro
dell'europa civile, dalla restaurazione della civiltà
in poi. Barbarie dove inevitabilmente vanno a cadere i tempi civili: barbarie
che prende diversi aspetti, secondo la natura di quella civiltà da cui deriva, e
a cui sottentra, e secondo la natura de' tempi e delle nazioni. P. e. la
barbarie di Roma sottentrata alla sua civiltà e libertà,
fu più feroce e più viva: quella dei Persiani fu simile nella mollezza e nella
inazione e torpore, alla nostra. Ed ecco come il tempo presente si può
considerare come epoca di un nuovo (benchè debole) risorgimento della civiltà. E
così le massime liberali si potranno chiamare risorte (almeno la loro
universalità e dominio); ma non mica inventate nè moderne. {+Anzi elle sono essenzialmente e caratteristicamente
antiche, ed è forse l'unica parte in cui l'età presente somiglia
all'antichità. Puoi vedere in tal proposito la lettera di Giordani a Monti nella Proposta ec. vol. 1. part. 2. alla
voce Effemeride, dove Giordani discorre delle barbarie antiche
rinnovate oggi.}
(28. Maggio 1821.).
[1534,2] Principi insigni e famosi per la
1535 bontà, e per l'amore scambievole di lui[loro] verso i popoli, e de' popoli verso lui[loro], non furono e non saranno mai fuorchè in un sistema di
tranquillo, sicuro, ma assoluto dispotismo. Nè un Giuseppe II. nè un Enrico IV. nè un Marco
Aurelio, nè altri tali non sarebbero stati in un regno come quello di
Falaride, e come altri antichi,
quando il popolo cozzava colla tirannide che soffriva; nè in una monarchia
costituzionale, alla moderna, quando il principe cozza col popolo che non può
vincere. Le ragioni le vedrai facilmente, e consistono nell'egoismo, che è la
cagione tanto della clemenza, quella[quanto]
della crudeltà e della tirannide de' principi, e determina i loro caratteri a
questa o a quella, secondo la diversità delle circostanze. Augusto sarebbe forse stato un buono ed amato principe,
se la sua tirannide fosse stata tranquilla, e se il tempo e le circostanze le
avessero permesso di esserlo. ec. ec. ec. (20. Agos. 1821.).
[1563,1] La virtù, l'eroismo, la grandezza d'animo non può
trovarsi in grado eminente, splendido e capace di giovare al pubblico, se non
che in uno stato popolare, o dove la nazione è partecipe del potere. Ecco com'io
la discorro. Tutto al mondo è amor proprio. Non è mai nè forte, nè grande, nè
costante, nè ordinaria in un popolo la virtù, s'ella non giova per se medesima a
colui che la pratica. Ora i principali vantaggi che l'uomo può desiderare e
ottenere, si ottengon mediante i potenti, cioè quelli che hanno in mano il bene
e il male, le sostanze, gli onori, e tutto ciò che spetta alla nazione. Quindi
il piacere, il cattivarsi in qualunque modo, o da vicino o da lontano, i
potenti, è lo scopo più o meno degl'individui di ciascuna nazione generalmente
parlando. Ed è cosa già mille volte osservata che i potenti imprimono il loro
carattere, le loro inclinazioni ec. alle nazioni loro soggette.
1564 Perchè dunque la virtù, l'eroismo, la magnanimità
ec. siano praticate generalmente e in grado considerabile da una nazione,
bisognando che questo le sia utile, e l'utilità non derivando principalmente che
dal potere, bisogna che tutto ciò sia amato ec. da coloro che hanno in mano il
potere, e sia quindi un mezzo di far fortuna presso loro, che è quanto dire far
fortuna nel mondo.
[2608,3] La nazione spagnuola poetichissima per natura e per
clima fra tutte l'Europee (non agguagliata in ciò che
dall'italia e dalla grecia), e
fornita di lingua poetichissima fra le
lingue perfette (non inferiore in detta qualità se non all'italiana, e
non agguagliata di gran lunga da nessun'altra) non ha mai prodotto un poeta nè
un poema che sia o sia stato di celebrità veramente
2609 europea. Tanto prevagliono le istituzioni politiche alle qualità naturali:
῞Ημισυ γὰρ τ' ἀρετῆς
ἀποαίνυται δούλων ἦμαρ
*
(Homer.). E questa osservazione può molto servire a quelli
che sostengono la maggiore influenza del governo rispetto al clima. (18.
Agosto. Domenica. 1822.).
[3082,1] È cosa dimostrata e dalla ragione e dall'esperienza,
dalle storie tutte, e dalla cognizione dell'uomo, che qualunque società, e più
le civili, e massime le più civili, tendono continuamente a cadere nella
monarchia, e presto o tardi, qualunque sia la loro politica costituzione, vi
cadono inevitabilmente, e quando anche ne risorgono, poco dura il risorgimento e
poco giova, e che insomma nella società non havvi nè vi può avere stato politico
durabile se non il monarchico assoluto. È altrettanto dimostrato, e colle
medesime prove, che la monarchia assoluta, qual ch'ella sia ne' suoi principii,
qual ch'ella per effimere circostanze possa di quando in quando tornare ad
essere per pochi momenti, tende sempre e cade quasi subito e irreparabilmente
nel despotismo; perchè stante
3083 la natura dell'uomo,
anzi d'ogni vivente, è quasi fisicamente impossibile che chi ha potere assoluto
sopra i suoi simili, non ne abusi; vale a dire è impossibile che non se ne serva
più per se che per gli altri, {anzi} non trascuri
affatto gli altri per curarsi solamente di se, il che è nè più nè meno la
sostanza e la natura del despotismo, e il contrario appunto di quello che
dovrebb'essere e mai non fu nè sarà nè può essere la vera {e
buona} monarchia, ente di ragione e immaginario. Ora egli è parimente
certo, almeno lo fu per gli antichi, e lo è per tutti i savi moderni, che il
peggiore stato politico possibile {e il più contrario alla
natura} è quello del despotismo. Altrettanto certo si è che lo stato
politico influisce per modo su quello della società, e n'è tanta parte, ch'egli
è assolutamente impossibile ch'essendo cattivo quello, questo sia buono, e che
quello essendo imperfetto, questo sia perfetto, e che dove quello è pessimo, non
sia pessimo questo altresì. Or dunque lo stato
3084
politico di despotismo essendo inseparabile dallo stato di società, e più forte
e maggiore e più durevole nelle società civili, e tanto più quanto son più
civili, ricapitolando il sopraddetto, mi dica chi sa ragionare, se lo stato di
società nel genere umano può esser conforme alla natura, e se la civiltà è
perfezionamento, e se nella somma civiltà sociale e individuale si può riporre e
far consistere la vera perfezione della società e dell'uomo, e quindi la maggior
possibile felicità d'ambedue, come anche lo stato a cui l'uomo tende
naturalmente, cioè quello a cui la natura l'aveva ordinato, e la felicità e
perfezione ch'essa gli avea destinate. (2. Luglio[Agosto.] dì del Perdono. 1823.).
[3437,1]
{Fu} proprio carattere delle antiche opere manuali la
durevolezza e la solidità, delle moderne la caducità e brevità. Ed è ben
naturale in un'età egoista. Ell'è egoista perchè disingannata. Ora il
disinganno,
3438 come fa che l'uomo non pensi se non a
se, così fa che non pensi se non quasi al presente; di quello poi che sarà {dopo} di lui, non si curi punto nè poco. Oltre che
l'egoista è vile, sì per l'egoismo, sì per altre parti è{e} cagioni. E l'età moderna ch'è quella del despotismo tranquillo,
incruento e perfezionato, come può non essere abbiettissima? Ora un animo basso
non si sa levar alto, nè proporsi de' fini nobili, nè cape l'idea dell'eternità
in menti così anguste, nè l'uomo abbietto può riporre la sua felicità nel
conseguimento d'obbietti sublimi.
[3471,1]
Mὴ μετέχοντας δὲ τῆς
πολιτείας, πῶς οἷόν τε ϕιλικῶς ἔχειν πρὸς τὴν πολιτεῖαν
*
; Aristot.
Polit. l. 2. ed. Victor.
Flor. 1576. ap. Juntas, p.
131. (19. Sett. 1823.).
[3517,1]
3517
Alla p. 3412.
fine. Altrettanto però è certo che una società capace di repubblica
durevole, non può essere che leggermente o mezzanamente corrotta; che una
società pienamente corrotta (come la moderna) non è assolutamente capace d'altro
stato durevole che del monarchico quasi assoluto; e che il non essere
assolutamente capace se non di assoluta monarchia, e l'essere incapace di
durevole stato franco, è certo segno di società pienamente corrotta. Così,
apparentemente, si ravvicinano i due estremi, di società primitiva, di cui non è
proprio altro stato che la monarchia; e di società totalmente guasta, di cui non
è propria che l'assoluta monarchia. Colla differenza che questa società non è
onninamente capace di altro stato durevole, quella sì; e che in questa non può
durar che una monarchia assoluta cioè dispotica, in quella una tal monarchia non
poteva assolutamente durare; ma l'era propria una monarchia piena bensì ed
intera, ma non assoluta nè dispotica; una monarchia dove il re era padron di
tutto, e il suddito niente manco libero. Del resto s'egli è
3518 proprio carattere sì della società primitiva come della più
corrotta l'essere ambedue per natura monarchiche di governo, non è questo il
solo capo in cui si veda che le cose umane ritornano dopo lungo circuito e dopo
diversissimo errore ai loro principii, e giunte (come or pare che siano) al
termine di lor carriera, o tanto più quanto a questo termine più s'avvicinano,
si trovano di nuovo in gran parte cogli effetti medesimi, e nel medesimo luogo,
stato ed essere che nel cominciar d'essa carriera. Bensì per cagioni ben diverse
e contrarie a quelle d'allora: onde questi effetti e questo stato sono ben
peggiori ritornando, che allora non furono; e se e dove furon buoni {e convenienti all'umana società ed alla felicità
sociale} nel principio, son pessimi nel ritorno e nel fine {ec.}
(25. Sett. 1823.).
[3860,1] Questa politica condizione
dell'italia e della Spagna ha
prodotto e produce i soliti e immancabili effetti. Morte e privazione di
letteratura, d'industria, di società, di arti, di genio, di coltura, di grandi
ingegni, di facoltà inventiva, d'originalità, di passioni grandi, vive, utili o
belle e splendide, d'ogni vantaggio sociale, di grandi fatti e quindi di grandi
scritti, inazione, torpore così nella vita privata e rispetto al privato, come
rispetto al pubblico, e come il pubblico è nullo rispetto alle altre nazioni.
Questi effetti {nati subito,} sono andati dal 600 in
poi sempre crescendo sì in italia che in
Ispagna, {+ed
oggi sono al lor colmo in ambo i paesi,} benchè le cagioni
assegnatene, forse non sieno maggiori oggi che nel principio, anzi forse al
contrario (sebbene però la placidezza del dispotismo, propria dell'ultimo
secolo, e quindi la blandizia di esso, n'è anzi la perfezione, la sommità e il
massimo grado, che un grado minore). Questo è avvenuto perchè niente in natura
si fa per salto, e perchè un vivente colpito dalla morte, si raffredda appoco
appoco, ed è più caldo assai a pochi momenti dalla morte che un pezzo dopo. Nel
600, ed anche nel 700, l'italia già uccisa, palpitava e
fumava ancora. Così discorrasi della Spagna. Or l'una e
l'altra sono immobili e gelate, e nel pieno dominio della morte.
[3889,1] Come altrove ho dimostrato pp. 543. sgg.
pp. 590-91
pp. 3411-12, il solo perfetto stato di {una}
società umana stretta, si è quello di perfetta unità, cioè d'assoluta monarchia,
quando il monarca viva e governi e sia monarca pel ben essere de' suggetti,
secondo lo spirito {+la ragione e
l'essenza} della vera monarchia, e secondo che accadeva in principio.
Ma quando l'effetto della monarchia si riduca in somma a questo, che un solo
nella nazione, viva, e tutti gli altri non vivano se non se in un solo e per un
solo, e i suggetti servano {unicamente} al ben essere
del monarca, in vece che questo a quelli, e che l'effetto e la sostanza
dell'unità della nazione sia questo, che quanto essa unità è più perfetta, tanto
la vita e il ben essere più si ristringa in un solo, o almeno lo spirito d'essa
unità e il proposito della costituzion nazionale miri in effetto a questo fine; allora è certamente meglio
qualsivoglia altro stato; perocchè senza la perfetta unità, gli uomini in
società stretta non possono veramente godere del perfetto
3890 ben esser sociale, nè la nazione è capace di perfetta vita; ma
egli è peggio non vivere e non essere (or la nazione sotto una tal monarchia,
non è) che non vivere {perfettamente} e non essere
perfetta. Or, come ho altresì provato altrove pp. 543. sgg. , non può assolutamente
accadere che l'assoluta monarchia non cada nel detto stato, nè che conservi il
suo stato vero per alcuna cagione intrinseca ed essenziale, e per altro che per
caso, il quale è straordinariamente difficile che abbia luogo, e mille cagioni
intrinseche ed essenziali alla monarchia assoluta considerata rispettivamente
alla natura dell'uomo, si oppongono positivamente alla detta conservazione ec.
(17. Nov. 1823.).
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